Codice Civile art. 2350 - Diritto agli utili e alla quota di liquidazione1 .

Gianluca Scarchillo

Diritto agli utili e alla quota di liquidazione1 .

[I]. Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni.

[II]. Fuori dai casi di cui all'articolo 2447-bis, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché le eventuali2  condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria.

[III]. Non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società.

 

[1] Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. Il testo dell'articolo recitava: «[I]. Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni a norma degli articoli precedenti».

[2] Le parole «le eventuali» sono state sostituite alle parole «l'eventuali» dall'art. 5 1, g) d.lg. 6 febbraio 2004, n. 37.

Inquadramento

L'art. 2350 disciplina il diritto patrimoniale dell'azionista a percepire periodicamente una parte degli utili maturati dalla società. Al riguardo, è fondamentale distinguere i diritti amministrativi (intervento e voto in assemblea, impugnazione delle delibere etc.) e i diritti patrimoniali (diritto agli utili ed alla quota di liquidazione, di recesso e di opzione).

Natura giuridica e disciplina normativa del diritto agli utili ed alla quota di liquidazione.

Il diritto alla partecipazione agli utili rappresenta un pilastro fondamentale in tema di azioni.

Al riguardo ogni azione attribuisce al socio il diritto a percepire una parte degli utili maturati dalla società e di ottenere, al compimento dell'eventuale fase di liquidazione della società, una quota dell'attivo residuo. Tale legittima pretesa degli azionisti al conseguimento degli utili si esplica nell'approvazione del bilancio e nell'accertamento degli utili. Infatti, con apposita deliberazione dell'assemblea viene determinata la relativa ripartizione.

Come anticipato, ogni azione attribuisce inderogabilmente il diritto di percepire periodicamente una parte degli utili maturati dalla società e di percepire, allo scioglimento di questa una quota di liquidazione. Tali diritti di natura patrimoniale costituiscono elementi importanti della partecipazione sociale.

Ferma restando l'autonomia negoziale che permette la creazione di categorie speciali di azioni stabilendo una graduazione nella partecipazione al profitto della società da parte dei titolari delle relative azioni, qualora fosse statutariamente prevista una clausola che escludesse la pretesa sugli utili, o la escludesse per una determinata classe di azioni, quest'ultima sarebbe nulla, in quanto lesiva del c.d. patto leonino.

Recente sentenza della S.C. ha statuito che non viola il divieto di patto leonino, pur applicabile anche alle società di capitali, la clausola c.d. put (Cass. nn. 17500/2018 e 17498/2018).

Il rapporto partecipativo può quindi essere declinato differentemente in base ad un principio di proporzionalità: l'aspettativa sull'utile e la distribuzione dell'attivo residuo in sede di liquidazione della società, possono essere differenziate attraverso la creazione di categorie speciali di azioni.

Mentre l'approvazione di bilancio di esercizio stabilisce di per sé l'insorgere di un diritto individuale degli azionisti circa l'immediata assegnazione della propria parte di utili, il diritto alla quota di liquidazione si realizza al verificarsi di un residuo patrimoniale.

Accertata l'esistenza di utili maturati, l'assemblea può deliberare la non distribuzione degli stessi e, quindi, adottare una decisione volta ad accantonare o reimpiegare e reinvestire gli utili, ovvero destinare alla distribuzione una sola quota parte dei profitti. A tal riguardo, la deliberazione dell'assemblea che approva la «non distribuzione degli utili» non deve configurarsi come lesiva dei diritti dei soci di minoranza onde evitare l'annullamento della delibera e, inoltre, il reinvestimento non può essere determinato con carattere di stabilità. In questo senso, nello statuto potrà trovare riconoscimento una regolamentazione derogatoria.

In tale direzione si può ricordare l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale «in tema di società per azioni, il diritto individuale del singolo azionista a conseguire l'utile di bilancio sorge soltanto se e nella misura in cui la maggioranza assembleare ne disponga l'erogazione ai soci, mentre, prima di tale momento, vi è una semplice aspettativa, potendo l'assemblea sociale impiegare diversamente gli utili o anche rinviarne la distribuzione all'interesse della società» (Cass. I, n. 2959/1993).

«La quota o l'azione attribuiscono al socio una complessa posizione contrattuale, comprensiva di poteri e di diritti amministrativi, tra i quali ultimi è compreso quello avente ad oggetto la quota di liquidazione, diritto che è destinato a divenire esigibile, perché determinate nel suo ammontare, con l'approvazione del bilancio finale di liquidazione ed all'esito di eventuali reclami e, comunque, dopo che siano soddisfatti i creditori sociali» (Cass. I, n. 299/1999).

Deroghe statutarie e speciali categorie di azioni

La normativa permette di variare entro determinati limiti, sulla base dell'autonomia statutaria, il contenuto del diritto agli utili e del diritto alla liquidazione mediante l'istituzione di speciali categorie di azioni.

Al riguardo, ad esempio, possono essere annoverate le c.d. azioni correlate (tracking stocks).

La caratteristica peculiare di queste azioni è la «correlazione» dei pertinenti diritti patrimoniali ad un settore della società stessa, da intendersi come specifica attività svolta, e non al suo complesso.

Pur essendo soggette alla disciplina propria delle azioni, le azioni correlate hanno un rendimento connesso all'andamento di un particolare settore di riferimento: a differenza delle altre azioni, le modalità di attribuzione degli utili spettanti ai titolari avvengono sulla base dei risultati di un preciso settore di attività della società.

Possono pertanto essere create diverse categorie di azioni, tra loro diverse, mettendo in relazione i diritti di ciascuna di esse ai risultati di diversi settori dell'attività sociale. I loro titolari sono da intendersi come azionisti della società nel suo complesso, poiché non si manifesta alcuna separazione patrimoniale all'interno dell'ente interessato e, quindi, dette azioni diventano una frazione dell'intero capitale sociale.

Giova precisare che con il termine «settore» si intende un ramo dell'azienda o una divisione operativa dell'impresa ma non è indispensabile che esista un apparato organizzativo specifico, rivolto al settore di riferimento.

Il privilegio in punto di distribuzione degli utili ai titolari di azioni speciali può, a mero titolo esemplificativo, consistere nell'attribuzione al relativo azionista del diritto di percepire una quota di utili maggiore della porzione spettante agli altri titolari di differenti categorie di azioni (c.d. azioni di preferenza), ovvero nel diritto di partecipare in via prioritaria alla distribuzione, fino al raggiungimento di una determinata percentuale del valore nominale del dividendo conseguito dalle azioni privilegiate, conseguentemente le altre azioni partecipano alla distribuzione solo se sussistono utili ulteriori maturati dalla società (c.d. azioni di priorità).

L'autonomia statutaria può tuttavia stabilire che non sia l'assemblea degli azionisti a deliberare in merito a tale potere, prevedendo che siano attribuiti alle azioni o ad una categoria speciale delle stesse i diritti di percepire gli utili (per esempio fino al raggiungimento di una data percentuale del loro valore nominale), solo sulla base della maturazione di detti utili come risultanti dal bilancio approvato.

In tale ambito, la prassi fatta propria dal Consiglio Notarile di Milano (massima n. 189/2020) ha ritenuto legittime le clausole statutarie di s.p.a. e di s.r.l. che pongono un «tetto massimo» al diritto all’utile.

Affinchè tali prevsioni statutarie possano essere ritenute legittime, senza incorrere nel divieto di patto leonino, è necessario, precisa il Consiglio notarile milanese,  che non si vada a pregiudicare totalmente un socio o una categoria di azionisiti nella partecipazione alla distribuzione degli utili.  

A titolo esemplificativo, la massima notarile riporta alcune clausole da considerarsi ammesse;  tra queste vi sono quelle che prevedano limiti massimi in misura assoluta, riferiti al singolo esercizio, o in misura relativa, riferiti a dati variabili (capitale sociale o il patrimonio netto), in quanto consentono alle partecipazioni di mantenere per l'intera durata della società il diritto agli utili, seppur entro una soglia predeterminata

Più discussa, secondo il Consiglio Notarile di Milano, è invece la liceità di clausole che riconoscono un diritto agli utili con limiti massimi riferiti al tempo. Ebbene, in quest’ultimo caso, occorre verificare che l’esclusione sia in parte bilanciata da ulteriori diritti di natura patrimoniale.

Fermo il principio di integrità del capitale, il diritto di privilegio può altresì essere strutturato fissando speciali e determinati parametri per l'individuazione dell'utile (ad esempio sulla base di una percentuale rispetto al prezzo di emissione delle relative azioni).

Anche la distribuzione della quota in sede di liquidazione può essere ispirata al principio di proporzionalità. Lo statuto può infatti stabilire che il dividendo – e una percentuale determinata della quota cui il dividendo inerisce – e il relativo diritto all'attribuzione sorga automaticamente, in caso di maturazione di utili corrispondenti da parte della società, ovvero che la relativa distribuzione sia rimessa alla delibera dell'assemblea degli azionisti (qualora manchi una previsione statutaria).

La prevalenza del principio di integrità del capitale sociale è in ogni caso imprescindibile rispetto alla correlazione delle azioni con i risultati del settore: nessun diritto alla percezione del dividendo spetta ai titolari delle azioni correlate quandanche i risultati del settore siano positivi. Resta impregiudicato il diritto alla distribuzione nei limiti degli utili complessivamente maturati dalla società.

Bibliografia

Abriani, in Commentario, a cura di Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004; Aa.Vv., Commentario al codice civile, a cura di Cendon, Milano, 2009; Aa.Vv., Commentario breve al codice civile, a cura di Cian, Trabucchi, Padova, 2016; Bava, Clausole che impongono un “tetto massimo” al diritto agli utili, il societario, 2020; Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2006; Consiglio Notarile di Milano, Massime Commissione Società, Milano 2020; Santosuosso, Delle società - Dell’azienda - Della concorrenza, artt. 2247-2378, Volume 1, Milano, 2015.

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