Codice Civile art. 2361 - Partecipazioni 1 .Partecipazioni1. [I]. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nello statuto, non è consentita, se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dallo statuto. [II]. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime deve essere deliberata dall'assemblea; di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa del bilancio, indicando la denominazione, la sede legale e la forma giuridica di ciascun soggetto partecipato2.
[1] Articolo sostituito dall' art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. [2] Le parole «, indicando la denominazione, la sede legale e la forma giuridica di ciascun soggetto partecipato» sono state aggiunte, in fine, dall'art. 24, comma 2, lett. d) l. 23 dicembre 2021, n. 238. InquadramentoL'art. 2361 si compone di due commi, il secondo dei quali è stato introdotto con la riforma delle società di capitali attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Le due parti della norma, seppur di età legislativa differente, sono ispirate dalla medesima ratio: impedire che una partecipazione sociale lontana dalla natura della società, sia per oggetto che per criterio di attribuzione della responsabilità, possa incidere sulla sfera giuridica dei soci senza che loro ne siano a conoscenza. A rafforzamento di tale fondamento, la l. 23 dicembre 2021, n. 238 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea) ha imposto agli amministratori di indicare nella nota integrativa del bilancio anche alcuni dati – denominazione, sede legale, forma giuridica del soggetto partecipato – idonei ad offrire una più completa informazioni ai soci circa la partecipazione assunta in altre imprese dalla società. Il comma 4 dell'art. 24 della legge n. 238/2021 ha stabilito che le nuove disposizioni si applichino per la prima volta al bilancio dell'impresa e al bilancio consolidato relativi al primo esercizio successivo a quello chiuso o in corso al 31 dicembre 2019. La previsione ha destato in dottrina qualche perplessità, essendo i bilanci degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020 (primo esercizio successivo a quello chiuso al 31 dicembre 2019) o di quelli in corso al 31 dicembre 2019 ragionevolmente già stati approvati e depositati presso il Registro delle Imprese (Sottoriva e Cerri, 5). Più nel dettaglio, il primo comma dell'articolo in esame è ispirato alla necessità di evitare modifiche tacite e informali dell'oggetto sociale (Cass. S.U. n. 5636/1988) con una conseguente elusione delle competenze assembleari in tale ambito (Costanza, 233) e, pur non attribuendo al socio il diritto di recesso (il quale è riconosciuto solo in presenza di modifica formale dell'oggetto sociale), mira comunque a tutelare il suo interesse all'immodificabilità della struttura organizzativa della società (App. Milano, 16 settembre 2001, in Giur. merito, 2002, 400 e in Società 2002, 449, con nota di Zagra). Il secondo comma, invece, è stato con tutta probabilità introdotto dal legislatore del 2003 per definire, in senso positivo, l'annoso problema dell'ammissibilità della partecipazione di una società di capitali in una società di persone (Autuori, 740). La ratio della norma va ricercata, secondo la gran parte della dottrina, nel fatto che, attraverso una partecipazione in una società illimitatamente responsabile, parte del patrimonio della società partecipante viene gestita dagli amministratori della società partecipata (Autuori, 745) e ciò determina la possibilità di incorrere in responsabilità derivanti da una gestione totalmente estranea alla volontà dell'assemblea. Anche per la giurisprudenza, il secondo comma della norma in esame, così come introdotto dal d.lgs. n. 5 del 2003, è ispirato alla necessità di fugare la preoccupazione di una finale gestione extrasociale del patrimonio sociale da parte di soggetti che non sono gli amministratori della società. L'imposizione della pubblicità di un'eventuale partecipazione nel bilancio (nota integrativa, art. 111-duodecies disp.att. c.c.) e l'imposizione, in capo alla società di persone, dei medesimi vincoli contabili delle s.p.a., inoltre, valgono per la tutela di soci e creditori (Cass. n. 1095/2016, in Riv. dir. soc., 2017, 157, con nota di Russo, Il regime dell'assunzione da parte di s.r.l. di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata: spunti di riflessione, e in Riv. dir. comm., II, con nota critica di Valente, Sull'applicazione analogica dell'art. 2361, 2° comma, c.c. nelle società a responsabilità limitata, 175; Tribunale S. Maria Capua Vetere, sez. III, 15 gennaio 2015, inedita). Per entrambi i commi deve ritenersi che con «assunzione di partecipazioni» il legislatore si sia riferito sia alla sottoscrizione di partecipazioni (in sede di costituzione o di aumento di capitale), sia all'acquisto delle stesse a titolo oneroso o gratuito, nonché al conferimento a seguito di aumento di capitale sociale o di fusione. Rilevano anche le partecipazioni assunte in imprese a carattere non societario come i consorzi e gli acquisti di ramo d'azienda (Gaeta, 2729; Autuori, 746). Secondo una pronuncia di merito (Trib. Roma, ord., sez.specializzata, 1° aprile 2019, , in IlSocietario.it, 2020, con nota di ELMO), peraltro, la norma attribuirebbe all'assemblea la competenza circa la generalità delle operazioni che modificano (anziché attuarlo) l'oggetto sociale statutario, nonché quelle aventi un potenziale impatto sulle condizioni di rischio dell'investimento del singolo azionista (cd. “poteri di organizzazione”). Tra queste, più di preciso, in forza di una lettura parzialmente estensiva della norma in esame, rientrerebbero anche quelle che, benché non costituenti un'assunzione di partecipazione in altre imprese, comportino comunque un atto dispositivo dell'intero (o quasi) patrimonio sociale. Tali operazioni, difatti, avrebbero comunque un impatto sulle condizioni di rischio dell'investimento del singolo azionista e non potrebbero che essere attribuite alla competenza dell'assemblea, organo collegiale composto da coloro i quali corrono il rischio stesso. Da ciò discenderebbe l'abusività e la contrarietà ai canoni di buona fede della condotta dell'amministratore unico che neghi all'azionista di minoranza la possibilità di esaminare la bozza di un accordo quadro – la cui stipulazione è stata previamente autorizzata in sede assembleare – in forza del quale la società cesserebbe di detenere la partecipazione totalitaria nel capitale sociale della sua unica controllata ed assumerebbe ingenti obbligazioni debitorie al fine di ripianare le perdite pregresse dalla stessa subite. In una simile ipotesi, invero, non risulterebbe possibile opporre ragioni di riservatezza ai membri dell'organo collegiale competente a deliberarne l'esecuzione. La dottrina, sul punto, rileva che le operazioni che hanno quale risultato la modifica dell'oggetto sociale, così come le operazioni destinate a coinvolgere l'intero (o quasi l'intero) patrimonio sociale e ad esporre gli azionisti ad un rischio concernente il proprio investimento debbano egualmente essere decise con delibera assembleare (per tutti, PORTALE, 29 ss; PINTO, 861, e DE LUCA 380). Giova inoltre precisare, come rilevato da una recente ed autorevole dottrina (PORTALE e DE LUCA, 776), che, in assenza di una competenza (implicita) assembleare, i soci – in particolare, quelli di minoranza – non solo sarebbero privati dei diritti di informazione, ma sarebbero altresì spogliati della possibilità di esercitare i tipici poteri di reazione che l'ordinamento ha introdotto quale contraltare all'operatività del principio maggioritario: il diritto di recesso (ove applicabile ai sensi dell'art. 2437 c.c.) e l'impugnazione della delibera assembleare (ad es., per abuso di maggioranza, ai sensi dell'art. 2377 c.c.). La partecipazione in altre imprese che modifica l'oggetto socialeIl primo comma dell'articolo in esame vieta la partecipazione in altre imprese che modifichi l'oggetto sociale previsto nello statuto. Tale limite può operare solo laddove si neghi l'ammissibilità di società con oggetto generico o onnicomprensivo (Costanza, 233), in caso contrario nulla risulterebbe estraneo all'oggetto sociale. Allo stesso tempo, il limite non opera quando l'oggetto sociale riguardi proprio l'acquisto di partecipazioni in altre imprese a scopo di investimento (Frè, Sbisà, 544). In giurisprudenza è stato rilevato che la norma in esame non è applicabile quando la modifica sostanziale dell'oggetto sociale avvenga con metodi diversi dall'assunzione di partecipazioni (come nel caso di vendita di ramo d'azienda e conseguente trasformazione della società in holding) pur collegando tale ricostruzione alla necessità di interpretare restrittivamente l'art. 2361 c.c., alla violazione del quale, all'epoca, era collegata l'applicazione di una sanzione penale (App. Milano, 16 settembre 2001, cit.). Ma si veda quanto, in contrario, esposto da altra più recente giurisprudenza, al par. 1. Il divieto, in base alla norma, è collegato ad un acquisto idoneo a determinare una modifica «per la misura e per l'oggetto». È di immediata percezione che la congiunzione «e» implica l'esistenza di entrambi i profili di abnormità dell'acquisto: lo stesso dovrebbe essere rilevante dal punto di vista della sua entità (valore rispetto alla società che acquista) e dovrebbe essere estraneo all'oggetto sociale. La dottrina, sul punto, non è conforme: per alcuni la norma andrebbe applicata restrittivamente e il divieto si applicherebbe solo qualora la partecipazione, estranea all'oggetto sociale, sia acquistata in misura rilevante. In tale via, se una società si trasformasse in una finanziaria con partecipazioni in imprese aventi il medesimo oggetto sociale del proprio, la norma non troverebbe applicazione (Frè, Sbisà, 548). Per altri i due criteri possono essere applicati in via alternativa (Gliozzi, 207). Sul punto si veda anche Motti, 800, ove ulteriori riferimenti. Per la giurisprudenza maggioritaria i due criteri, quantitativo e qualitativo, possono essere applicati in via alternativa avendo riguardo all'incidenza della partecipazione su entrambe le società, partecipata e partecipante (Trib. Como, 8 febbraio 2001, in Giur. it., 2001, 1205) e valutando anche l'incidenza complessiva delle partecipazioni in portafoglio (Cass. n. 9100/2003, in Giur. it., 2004, 95). Non manca chi ritiene, invece, che i criteri di cui all'art. 2361 c.c. debbano essere intesi in senso cumulativo e debbano essere tali da determinare una modifica stabile dell'oggetto sociale (App. Milano, 16 settembre 2001, cit.). È stato, così, ad esempio affermato che integra cambiamento dell'oggetto sociale la trasformazione della società in holding realizzata mediante l'assunzione di partecipazioni in misura rilevante e determinante (Trib. Como, 8 febbraio 2001, cit. e App. di Milano, 16 ottobre 2001, cit.). In questo contesto si inserisce anche il dibattito relativo al parametro rispetto al quale valutare la rilevanza dalla partecipazione: se il capitale sociale della partecipante o quello della partecipata. In altre parole si tratta di risolvere la questione se il cambiamento dell'oggetto sociale si abbia quando la partecipazione assunta risulti una partecipazione di controllo (perché è rilevante rispetto al capitale sociale della partecipata), ed è quindi idonea a modificare l'oggetto sociale in senso «mediato» – giacché la società controllante svolge, per effetto della partecipazione, anche l'attività della controllata – o quando la partecipazione, rilevante in rapporto al capitale sociale della controllante, sia idonea a trasformare la stessa in una holding. Sul punto sembra condivisibile App. Milano, 16 settembre 2001, cit., la quale ritiene che «entrambe le opzioni non si contraddicano e che entrambe concorrano a conformare, nel contesto dell'art. 2361 c.c., un comando-divieto composito, volto a sanzionare, in rapporto alternativo sia rispetto al capitale della controllante, sia (o anche) rispetto al capitale della controllata». È da escludersi che il divieto possa essere aggirato attraverso una deliberazione dell'assemblea, giacché il limite dell'oggetto sociale, invalicabile anche per l'assemblea, può essere superato solo attraverso una modifica dello stesso, come è noto attuabile con maggioranze qualificate di cui all'art. 2365 (Motti, 801, ove ulteriori riferimenti). In giurisprudenza si richiama, sul tema, Cass. n. 9100/2003, in Giur. it., 2004, 95. La partecipazione in imprese che comporta una responsabilità illimitataIl secondo comma dell'art. 2361 c.c. rappresenta una novità di rilievo introdotta dalla riforma del diritto societario, e risolve, in senso positivo, l'annosa questione dell'ammissibilità della partecipazione di una società per azioni in società di persone. Sul punto è noto che la dottrina, antecedentemente alla riforma, si presentava divisa, anche se tendenzialmente favorevole (per una ricostruzione delle varie posizioni si rimanda a Colombo, 1512 e ss.). La giurisprudenza, invece, confortata dall'assenza di un'espressa previsione normativa, era radicalmente contraria (per tutte Cass.S.U., 17 ottobre 1988, in Giur. comm., 1989, II, 708) in quanto riteneva che una siffatta partecipazione fosse nulla per insuperabile contrasto con la disciplina delle società di capitali, in cui sono rigidamente normate le regole di amministrazione e trasparenza nei confronti dei terzi. In senso analogo anche Corte d'appello di Milano, 25 maggio 2004, in Giur. comm. 2005, II, 269, con nota di Dagnino. La generica previsione di ammissibilità della partecipazione, purché deliberata dall'assemblea (ordinaria ex art. 2364, comma 1, n. 5, c.c.; per i contenuti della deliberazione si veda Gaeta, 2729) lascia aperti alcuni interrogativi relativi alla concreta applicazione della norma, con particolare riferimento sia alla sua estensione a tipi di società diversi dalla società per azioni, sia con riguardo alla natura della responsabilità illimitata che deve riscontrarsi in capo al soggetto partecipato (responsabilità connaturata al tipo sociale o collegata all'esplicarsi di ulteriori circostanze). Quanto al primo interrogativo, è pacifica l'applicabilità della norma alla società in accomandita per azioni, non trovandosi ostacoli nell'art. 2454 c.c., che estende l'applicazione delle regole della s.p.a. in quanto compatibili. Si registrano, invece, opinioni differenti in merito all'applicabilità della norma alla società a responsabilità limitata, principalmente in relazione alla necessaria deliberazione dell'assemblea, anche se la dottrina maggioritaria propende decisamente per la soluzione affermativa. In particolare, per parte della dottrina occorre applicare in via analogica l'art. 2361 c.c. (Donativi, 236; Autuori, 756; Cian, 22) o comunque si ritiene che sia pur sempre necessaria una decisione dei soci ex art. 2479, comma 2, n. 5 c.c. (Motti, 801, ove anche ampi riferimenti). A ben vedere, in effetti, un'interpretazione sistematica del complesso normativo delle s.r.l. nonché il senso letterale dell'art. 111-duodecies delle disposizioni di attuazione del codice civile, che espressamente richiama, tra i soggetti di cui all'art. 2361 c.c., le s.r.l., lascerebbe propendere per tale ultima soluzione, pur se la giurisprudenza di legittimità ha di recente assunto una posizione opposta. La questione sembra, infatti, ormai risolta per effetto di recenti pronunce della Corte di cassazione (Cass. n. 1095/2016, cit.; le medesime conclusioni in Cass. n. 12120/2016, in Giur. it., 2017, 895, con nota di Riganti e in Soc., 2017, 166, con nota di Abete) che, in occasione dell'accertamento del fallimento della società di fatto, hanno negato che la partecipazione di una s.r.l. in una società di persone, anche di fatto, richieda il rispetto della preventiva deliberazione autorizzativa dei soci, trattandosi, invece, di mero atto gestorio, come tale non implicante una pronuncia assembleare ex art. 2479 c.c. Sul tema aveva già richiesto un approfondimento, lasciando quantomeno intendere che l'applicazione dell'art. 2361 c.c. alla s.r.l. non fosse scontata, Cort. cost. n. 276/2014, in Fall., 2015, 414. In senso contrario merita, comunque, segnalare una giurisprudenza di merito antecedente tra cui Trib. Foggia, 3 marzo 2015, inedita, Trib. Mantova, 30 aprile 2013, in Giur. comm. 2014, II, 909, con nota di Murino, Sulla fattispecie di società di fatto tra società di capitali. Sul punto si ricorda che il tema è di non poco conto, in quanto la generale ammissibilità della partecipazione di società di capitali in società di persone implica l'assoggettamento a fallimento della società di fatto ex art. 147, comma 5, l. fall. e, di conseguenza, il fallimento della società – partecipante alla società di fatto – illimitatamente responsabile. Sul tema si rimanda, in via essenziale, a Russo, 169 ss., ove anche ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza. La giurisprudenza e la dottrina maggioritaria ritengono, inoltre, ammissibile la nomina di una società di capitali quale amministratore della società di persone (e anche, per conseguenza, di una società di capitali). Sul tema si vedano Sagliocca, 785 e Pescatore, 647, ove ampi riferimenti. Sul punto anche la prassi notarile (massima Comitato Notarile Triveneto 2004 I.C.20) si è espressa positivamente. Nel caso di specie, il Comitato notarile del Triveneto ha rilevato che, “nonostante il mancato richiamo normativo (dell'art. 2361 comma 2 c.c.), la disciplina sulle partecipazioni societarie si ritiene direttamente applicabile, per analogia, anche alle s.r.l.”. In merito al tipo di società che la norma ritiene idonee a determinare una responsabilità illimitata, in dottrina si è efficacemente parlato di «responsabilità da struttura» e «responsabilità personale» (Motti, 802) ad indicare quei casi in cui la responsabilità illimitata discende direttamente dal tipo sociale (società in nome collettivo, società in accomandita semplice o per azioni se venga assunto il ruolo di socio accomandatario, società semplice) e quelli in cui, invece, la responsabilità illimitata è collegata, come sanzione, a violazioni di specifiche disposizioni normative (come, ad esempio, nel caso di partecipazione ad una s.r.l. in cui la responsabilità sia conseguenza del mancato rispetto della disciplina collegata ai conferimenti). La dottrina maggioritaria, in senso preferibile, propende per la prima soluzione, ritenendo la ratio della norma contraria ad un'estensione eccessiva della portata del precetto. Le sanzioniIn conclusione è opportuno chiedersi quali siano le conseguenze dell'inosservanza dell'art. 2361 c.c., con riferimento ad entrambi i commi. Quanto al primo, definitivamente abrogata la sanzione penale (un tempo prevista dall'art. 2630, comma 2, n. 3 c.c., interamente sostituito dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61: si veda all'apposito commento), occorre chiedersi quali siano le conseguenze civilistiche dell'assunzione di partecipazioni che mutino l'oggetto sociale previsto nello statuto. La dottrina, sul punto, riconosce unanimemente, quale conseguenza della violazione del divieto, il sorgere della responsabilità degli amministratori. Si registra, invece, una certa divisione sul tema dell'opponibilità a terzi della delibera di assunzione delle partecipazioni in violazione del divieto de quo, anche se la dottrina maggioritaria sembra propendere per una piena efficacia della stessa (Motti, 800; Di Paolo, 1008, ove anche riferimenti). Anche la giurisprudenza non si presenta conforme: alcune pronunce accertano la nullità della delibera (Trib. Como, 8 febbraio 2001, cit.) mentre altre ne affermano la piena opponibilità per i terzi (Trib. Prato, 11 maggio 1988, in Riv. not., 1989, 452). Con riguardo alla sanzione, in caso di violazione del secondo comma dell'art. 2361, per mancata autorizzazione dell'assemblea in presenza di un acquisto di partecipazioni in società che comportino la responsabilità illimitata, la dottrina è divisa. Taluni, in senso condivisibile (Autuori, 749, Russo, 189, ove anche ampi riferimenti), ritenendo l'atto posto in essere dagli amministratori in violazione dei poteri di rappresentanza, ne fanno discendere l'inefficacia e l'inopponibilità verso al società, e invece la piena efficacia verso i terzi salvo il limite della buona fede, in applicazione analogica dei principî espressi dall'art. 2377, comma 7, c.c. Secondo altre autorevoli voci, invece, l'acquisto sarebbe da considerare nullo o quantomeno inefficace, per carenza di potere rappresentativo in capo agli amministratori determinato dal carattere autorizzativo della delibera prevista dalla norma (Donativi, 227 ss., ove anche riferimenti). La giurisprudenza della Suprema Corte si è consolidata nell'escludere che l'eventuale difetto di autorizzazione assembleare all'assunzione di partecipazioni comportanti la responsabilità illimitata possa comportare l'inefficacia, o invalidità, della partecipazione che comunque (nonostante tale difetto, appunto) sia stata in concreto assunta. Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1095/2016, cit.), difatti, l'omessa deliberazione dell'assemblea non può determinare la nullità della stessa assunzione di partecipazioni, in quanto gli amministratori sono titolari di un potere generale di rappresentanza della società che consente loro di impegnarne validamente il nome. In questo quadro, anche a voler ammettere che l'art. 2361, secondo comma, c.c. costituisca un limite legale al potere di rappresentanza, la Suprema Corte ritiene che, in assenza di un valido sistema di pubblicità delle delibere assembleari, non possa farsi gravare su un terzo in buona fede la mancanza della delibera autorizzativa all'acquisto di partecipazioni di cui trattasi. Si è osservato (Cass. n. 10507/2016; Cass. n. 12962/2017; Cass. n. 9572/2018; Cass. n. 366/2021) come la norma dell'art. 2361, comma 2, c.c. attenga unicamente ai rapporti tra i soci e gli amministratori dell'ente, non anche ai rapporti tra quest'ultimo e i terzi. Secondo la Suprema Corte, a pensare altrimenti, la ridetta norma consentirebbe ai soci un troppo comodo modo per esonerarsi dalle conseguenze negative eventualmente derivanti dall'assunzione di partecipazioni in altri enti. 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