Codice Civile art. 2364 - Assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza1 .

Renato Bernabai

Assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza1 .

[I]. Nelle società prive di consiglio di sorveglianza, l'assemblea ordinaria:

1) approva il bilancio;

2) nomina e revoca gli amministratori; nomina i sindaci e il presidente del collegio sindacale e, quando previsto, il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti 2;

3) determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto;

4) delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci;

5) delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti;

6) approva l'eventuale regolamento dei lavori assembleari.

[II]. L'assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta l'anno, entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale. Lo statuto può prevedere un maggior termine, comunque non superiore a centottanta giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovvero  quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società; in questi casi gli amministratori segnalano nella relazione prevista dall'articolo 2428 le ragioni della dilazione34

 

[1] Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l'intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

[2] Le parole «al quale è demandato il controllo contabile» sono state sostituite dalle parole «incaricato di effettuare la revisione legale dei conti» dall'art. 37, comma 3, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39.

[3] La parola «ovvero» è stata sostituita alla parola «e» dall'art. 9 d.lg. 28 dicembre 2004, n. 310.

[4] Con riferimento alle misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, v. art. 106, comma 1, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv., con modif., in l. 24 aprile 2020, n. 27, che prevede che in deroga a quanto previsto dagli articoli 2364, secondo comma, e 2478-bis, del codice civile o alle diverse disposizioni statutarie, l'assemblea ordinaria è convocata entro centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio. Ai sensi del comma 7 dell’art. 106 cit., le disposizioni del presente articolo si applicano alle assemblee convocate entro il 31 luglio 2020 ovvero entro la data, se successiva, fino alla quale è in vigore lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza della epidemia da COVID-19.  

Inquadramento

La tecnica assembleare riduce ad unità la volontà di una collettività di soci. L'evoluzione normativa è stata nel senso di configurare una competenza speciale dell'assemblea ed una generale degli amministratori, invertendo una tradizionale gerarchia degli organi della società (Grippo, L'assemblea nella società per azioni, Trattato Rescigno, Torino, vol. 16, 365): l'assemblea, da organo sovrano, è diventato organo a competenza limitata ed il confine tra la sua competenza e quella degli amministratori è stato storicamente mobile in ordine alla gestione. Nel codice di commercio del 1882 l'assemblea era l'organo supremo della volontà sociale ed i poteri degli amministratori avevano natura convenzionale, nel senso che questi ultimi potevano compiere solo le operazioni elencate nell'atto costitutivo. Nel codice civile del 1942 viene invece riconosciuta la natura originaria, legale del potere degli amministratori; cui si affianca la competenza gestoria anche dell'assemblea ex art. 2364, primo comma, n. 4 c.c..

La riforma del 2003 ha fatto venir meno quest'ultima, accentuando il Fuehrerprinzip, in nome dell'esclusiva spettanza della gestione agli amministratori, anche nei sistemi dualistico (art. 2409-novies) e monistico (art. 2409-septiesdecies): principio, la cui rigidità contrasta con la valorizzazione dell'autonomia statutaria enunciata dalla legge-delega (Portale, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, vol. 2, 8). E tuttavia, in norme sparse si attribuisce all'assemblea la competenza a deliberare su vari temi di rilevanza gestoria: quali, ad es., la proposizione dell'azione sociale di responsabilità, nonché le eventuali rinunzie e transazioni successive; la destinazione degli utili; gli aumenti e la riduzione del capitale. Nell'ipotesi di perdite oltre la misura di cui all'art. 2446, l'assemblea, secondo un'autorevole dottrina, potrebbe anche assumere decisioni gestorie, non limitate ad operazioni sul capitale: come, ad esempio, la chiusura di stabilimenti e la riduzione del personale (Portale, L'assemblea, Liber amicorum Campobasso, Torino, II, 27).

Competenza dell'assemblea ordinaria

La novellazione del 2003 ha introdotto vari emendamenti, a cominciare dall'originaria rubrica “Assemblea ordinaria”, divenuta, ora, “Assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza”. Analogamente, è inedito l'incipit del primo comma “Nelle società prive di consiglio di sorveglianza”, assente – com'è ovvio – nel testo previgente, riferendosi ad un sistema di amministrazione e controllo istituito ex novo.

All'assemblea ordinaria, a differenza che a quella straordinaria, va riconosciuta una competenza generale deliberativa, non esaurita dall'elenco di cui ai nn. 1-5; cui fa riscontro la competenza esecutiva degli amministratori. Per altro verso, non sembra dubbia l'ammissibilità di assemblee senza deliberazioni: che si concludano, cioè, con una presa d'atto di informazioni o di relazioni, come quella dei sindaci su denuncia dei soci (art. 2408).

Talune deliberazioni sono necessarie e cicliche (approvazione del bilancio, nomina degli amministratori); altre si rendono indispensabili in carenza di clausola statutaria ad hoc, come la determinazione del compenso di amministratori e sindaci. Stante la rigida divisione di competenze tra organi sociali, è dubbio se l'assemblea possa emendare il progetto di bilancio: potere, espressamente previsto dall'art. 154 del cod. di comm. del 1882, ove si stabiliva che l'assemblea poteva “discutere, approvare o modificare il bilancio”. La soluzione negativa, peraltro non univoca, è legata alla definizione del bilancio come atto di gestione: di spettanza, quindi, esclusiva degli amministratori. 

In tesi generale, le deliberazioni dell'assemblea di una società di capitali, ivi comprese quelle di approvazione del bilancio, non costituiscono dichiarazioni di scienza, né possono essere considerate intese a regolare rapporti intersoggettivi. Tuttavia, ha pur sempre rilevanza la volontà posta a base della formazione della deliberazione stessa: con la conseguenza che, se nel bilancio sia incluso un debito, estraneo alla società in quando creato prima della sua legale costituzione, l'approvazione di quel bilancio costituisce atto di appropriazione di tale rapporto da parte della società e vale come ratifica dell'atto posto in essere da chi abbia agito in nome della società stessa senza averne il potere (Cass. I, n. 2832/2001).

Nomina e revoca di organi sociali

La formulazione del primo comma, n. 2, è stata modificata. Laddove prima si leggeva “nomina gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale..., ora si legge “nomina e revoca gli amministratori; nomina i sindaci e il presidente del collegio sindacale e, quando previsto, il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti”. Emerge dal testo che mentre la nomina degli organi suddetti rientra nella discrezionalità dell'assemblea ordinaria, la revoca potestativa ad nutum è limitata espressamente a quei soggetti, come gli amministratori, privi di stabilità nella carica (art. 2383, terzo comma).

La determinazione dei compensi

All'assemblea ordinaria è affidata la determinazione del compenso degli amministratori e sindaci, se non stabilito nello statuto; nel qual caso può essere modificato solo dall'assemblea straordinaria. Se il compenso degli amministratori di una società per azioni è stabilito dallo statuto, l'assemblea ordinaria non ha, infatti, alcuna competenza al riguardo; neppure per integrarlo, quand'anche esso consista in una partecipazione agli utili ed abbia quindi natura aleatoria (Cass. I, n. 8230/2006). Il compenso, peraltro, non può essere desunto, implicitamente, dalla delibera di approvazione del bilancio che ne riporti la posta, qualora non vi sia stata una specifica discussione ed approvazione sul punto (Cass. S.U., n. 21933/2008; Cass. V, n. 28586/2020).

Laddove manchi una disposizione specifica dell'atto costitutivo e l'assemblea ometta di stabilire il compenso degli amministratori, o lo stabilisca in misura inadeguata, questi possono chiederne al giudice la determinazione, anche in via equitativa, provando qualità e quantità delle prestazioni svolte (Cass. lav., n. 23004/2014).

Deliberazione sulla responsabilità

È rimasta invariata la competenza dell’assemblea ordinaria a deliberare la promozione della azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (art. 2393) e dei sindaci (art. 2407).

Competenze sparse ex lege - le autorizzazioni assembleari

Nel testo originario dell'art. 2364 gli amministratori avevano facoltà di sottoporre all'esame dell'assemblea specifici affari: facoltà, che secondo una parte della dottrina diventava un obbligo in ordine ad operazioni di incidenza straordinaria sulla struttura organizzativa e sulla strategia imprenditoriale. Era dubbio se lo statuto potesse perfino riconoscere una generale competenza gestionale all'assemblea, benché questa apparisse in contrasto irriducibile con il naturale requisito di celerità delle decisioni gestorie. Con la riforma è stato aggiunto un n. 5, che prima non c'era, in cui si riporta parzialmente quello che prima era previsto al n. 4: “delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea – è nuovo il riferimento alla legge, mentre è scomparso quello relativo all'atto costitutivo – nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti”.

Se in linea di principio la valutazione del rischio d'impresa è dunque demandato ai soli amministratori, evidentemente sul presupposto che l'assemblea difetti della necessaria professionalità, pure, per talune operazioni è la legge stessa a prescrivere il requisito dell'autorizzazione assembleare: come ad es., per l'acquisto di beni dei promotori, fondatori, soci o amministratori, per un corrispettivo pari o superiore ad un decimo del capitale sociale, entro due anni dall'iscrizione della società nel registro delle imprese (art. 2343-bis, primo comma); per l'acquisto di azioni proprie (art. 2357, secondo comma) o della società controllante (art. 2359-bis, secondo comma); per operazioni che determinano il superamento del 2% del capitale per l'acquisto di partecipazioni reciproche di società quotate (art. 121, secondo comma, T.U.F.); per il compimento di atti operazioni volti a contrastare un'Opa (art. 104 T.U.F.). Natura autorizzativa sembra avere pure la delibera assembleare di acquisto di partecipazioni in società con responsabilità illimitata, ex art. 2361, secondo comma.

Le autorizzazioni rimuovono un limite esterno all'esercizio di un potere originario degli amministratori, che essi possono nondimeno astenersi dall'esercitare, tenuto conto della responsabilità loro incombente, nonostante l'autorizzazione; anche se l'inesecuzione li espone, per contro, al rischio di revoca: così come l'ipotesi inversa di compimento di operazione cui sia stata negata l'autorizzazione (Maffezzoni, 19 e segg.).

Nella disciplina novellata si può considerare caduto il principio della supremazia dell'assemblea; onde, va negato un potere di autodeterminazione o di avocazione di decisioni: a differenza che nella s.r.l. – in cui non v'è il monopolio gestorio degli amministratori, che possono demandare ai soci decisioni sui singoli argomenti (art. 2479, primo comma, c.c.) – e a fortiori nelle società di persone (arg. ex art. 2320, secondo comma, c.c.).

Neppure sembra più consentito agli amministratori di sottoporre, di propria iniziativa, all'assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale. Come si legge nella Relazione al d.lgs. n. 6/2003: “Si è solo ammesso che lo statuto possa richiedere che l'assemblea autorizzi l'amministratore al compimento di determinate operazioni, ma si è precisato che resta ferma in ogni caso la responsabilità degli amministratori per gli atti compiuti, quantunque autorizzati dell'assemblea. Si è così evitato che, come in passato poteva accadere, nessuno risponda di una data operazione: né l'assemblea, che è per definizione irresponsabile, né gli amministratori che a discarico di responsabilità abbiano sottoposto l'operazione all'assemblea”.

In Germania, per contro, possono essere deliberati dall'assemblea atti di gestione se proposti dal Vorstand, con esonero da responsabilità per quest'ultimo, a condizione che la delibera sia conforme a legge. Il previgente art. 2364 n. 4 consentiva l'estensione di competenze gestorie all'assemblea su base statutaria: facoltà, che è riservata ora, alla sola legge.

Non appare più ammissibile, quindi, la richiesta, da parte degli amministratori, dell'esame preventivo di operazioni, a fini di esonero da responsabilità interna. Secondo parte della dottrina, nondimeno, sarebbe tuttora legittima tale iniziativa: che peraltro avrebbe come unico effetto quello di escludere la giusta causa di revoca per operazioni approvate preventivamente dall'assemblea; ed anzi, l'autonomia statutaria potrebbe perfino prevedere tale possibilità per determinati atti gestori (Maffezzoni, 23).

La scelta dell'amministratore di una società di assoggettare una determinata opzione amministrativa alla volontà dell'assemblea non fa venire meno, comunque, il carattere deliberativo della determinazione assembleare, cosicché non può ritenersi che il potere dell'amministratore di disattenderne le indicazioni, in quanto non vincolanti, precluda l'impugnazione della deliberazione ai soci di minoranza, che abbiano l'interesse a farne accertare l'invalidità o l'abusività dell'opzione amministrativa che ne costituisce il contenuto (Cass. I, n. 8867/2014).

La previsione espressa di responsabilità, nonostante l'autorizzazione ricevuta, ha natura speciale rispetto al divieto generale di “venire contra factum proprium” per l'assemblea in sede di delibera dell'eventuale azione di responsabilità contro l'amministratore, ex art. 2393; tanto più, che in nessun caso l'autorizzazione potrebbe precludere l'azione di minoranza, ex art. 2393-bis.

La distinzione tra autorizzazioni legali e statutarie si riflette, secondo parte della dottrina, sul regime di opponibilità ai terzi dell'eventuale carenza di tale presupposto: possibile, nonostante il disposto dell'art. 2384, secondo comma, se si verta in ipotesi di autorizzazione legale. Sul punto, occorre rilevare, però, che in taluni casi, come per l'acquisto di azioni proprie (art. 2357, quarto comma) o della controllante (art. 2359-ter c.c.) senza la necessaria autorizzazione dell'assemblea, è la stessa legge a sancire la validità dell'atto e l'irrilevanza esterna del mancato rispetto del procedimento autorizzativo, prevedendo la misura alternativa dell'alienazione delle azioni (Calandra Bonaura, Il potere di rappresentanza degli amministratori di società per azioni, in Liber amicorum Campobasso, Torino, II, 667 e segg; per l'inopponibilità dei limiti legali o statutari al potere degli amministratori, Bonelli, Atti estranei all'oggetto sociale potere di rappresentanza, in Giur. comm., 2004, 1, 924, 941). In ogni caso, il compimento di un atto senza l'autorizzazione richiesta dallo statuto comporta la responsabilità degli amministratori verso la società.

Si ritiene tuttora sussistente, per contro, un obbligo degli amministratori di sentire l'assemblea su operazioni straordinarie che incidano su diritti dei soci.

Lo statuto potrebbe conferire all'assemblea il potere di approvare ex post una decisione degli amministratori, con l'effetto di precluderne l'eventuale riesame successivo; ma non di esimerlo da responsabilità. Controverso è il potere dell'assemblea di autorizzare un atto estraneo all'oggetto sociale, senza il previo emendamento dello statuto, di competenza dell'assemblea straordinaria. Per la tesi negativa si esprime Cass. III, n. 20597/2010, che addirittura ritiene inammissibile l'autorizzazione di atti estranei all'oggetto sociale, perfino se concessa all'unanimità dei soci (in Soc., 2010, 1425, con nota critica di Busani; Trib. Treviso 20 giugno 2002, in Giur.it., 2003, 1, 2118 con nota di Fragnelli).

Al riguardo, sembra da distinguere tra il singolo atto estraneo all'oggetto sociale – autorizzabile – e l'intera attività, che esige invece la formale modifica dell'oggetto sociale, che non solo delimita il potere di gestione degli amministratori, ma vincola altresì l'assemblea.

In questo senso, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, l'eccedenza dell'atto rispetto ai limiti dell'oggetto sociale, ovvero il suo compimento al di fuori dei poteri conferiti, non integra un'ipotesi di nullità, ma, al più, di inefficacia e di opponibilità nei rapporti con i terzi; e, posto che è rimesso alla società, e solo ad essa, di respingere gli effetti dell'atto, deve esserle riconosciuto, simmetricamente, il potere di farli propri ex tunc, mediante una deliberazione di ratifica, così come di autorizzarli ex ante (Cass. I, n. 15522/2015; Cass. I, n. 9905/2008; Cass. I, n. 17678/2004. In senso contrario, Cass. III, n. 20597/2010).

Il regolamento dei lavori assembleari

Il regolamento, per la prima volta regolato normativamente, è uno strumento di autodisciplina del funzionamento dell'assemblea, che lo approva ed eventualmente emenda in sede ordinaria. Rientrano nel suo oggetto le modalità del voto, dell'ordine e durata degli interventi in assemblea, che il presidente, nell'esercizio dei poteri ex art. 2371, è tenuto a rispettare; ferma restando, però, l'indisponibilità dei suoi poteri originari ex lege. Il regolamento non ha rango statutario, rientrando tra gli interna corporis: a meno che non sia inserito nello statuto, così da acquistare, per l'effetto, valore di clausola emendabile solo dall'assemblea straordinaria. Fuori di tale ipotesi, la sua violazione non è causa di annullamento della delibera, ex art. 2377, ma solo fonte di responsabilità per gli autori della sua disapplicazione; salvo che questa non sia conseguente ad una decisione derogativa ad hoc assunta dalla stessa assemblea.

Il regolamento può essere generale o particolare , per la singola riunione. 

Secondo comma: convocazione necessaria dell’assemblea annuale

L'ultimo comma mantiene l'obbligo di convocazione dell'assemblea ordinaria almeno una volta all'anno; ma, mentre prima della riforma il termine ultimo era entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio sociale – salvo il termine maggiore indicato all'atto costitutivo, non superiore, comunque, a sei mesi, in presenza di particolari esigenze – ora, si fa riferimento al termine stabilito dallo statuto, che non può però essere superiore a 120 giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale; salva la previsione di un termine maggiore – in ogni caso, non superiore a 180 giorni – nelle società tenute al bilancio consolidato, o quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società. In quest'ultimo caso, gli amministratori devono segnalare nella relazione ex art. 2428 le ragioni della dilazione. Secondo una giurisprudenza di merito, entro il predetto termine va tenuta, e non solo convocata l'assemblea; tuttavia, la tardività della assemblea non è causa di annullamento delle delibere assunte (Trib. Napoli 22 aprile 2009, in Foro it., 2009, 1, 3242; Trib. Napoli 14 dicembre 2007, in Foro it., 2008, 1, 2352; in dottrina, Fico, Violazione del termine di approvazione del bilancio di esercizio, in Soc., 2008, 475). Si ritiene dalla prevalente dottrina che il termine sia riferito solo all'assemblea di prima convocazione; mentre è dubbia la discrezionalità degli amministratori nel prorogare, caso per caso, l'assemblea, ove lo statuto si limiti a riprodurre la formula di legge con clausola generica, non tipizzata.

Il termine è espresso in giorni, e non in mesi, ed è quindi applicabile l'art. 155 c.p.c.

Oltre all'obbligo di convocazione di un'assemblea annuale ordinaria – indefettibile, stante l'esigenza di approvare il bilancio d'esercizio – possono verificarsi altre ipotesi di convocazione necessaria: su richiesta di un decimo del capitale (un ventesimo nelle società aperte al mercato del capitale di rischio), ex art. 2367; per il venir meno della maggioranza degli amministratori nominati dall'assemblea (art. 2386, secondo comma); per l'incompletezza del collegio sindacale (art. 2401, terzo comma); per perdite oltre il terzo del capitale (artt. 2446 e 2447); per deliberare la causa di scioglimento della società (art. 2484, primo comma, n. 6), o all'inverso per deliberare le opportune modifiche statutarie per evitarlo (ibidem, n. 2); per la vendita o l'annullamento delle azioni proprie (art. 2357, quarto comma); negli altri casi espressamente previsti dalla legge (come ad esempio ex art. 2361, secondo comma); ed inoltre, su proposta degli amministratori per ottenere autorizzazioni.

La legislazione emergenziale pandemica

Il d.l. n. 18/2020 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), all'art. 106, ha introdotto emendamenti all'art. 2364, secondo comma, c.c. (oltre che all'art. 2478 bis c.c., in tema di s.r.l.), dettati dalla finalità di agevolare lo svolgimento delle assemblee sociali in tempi di emergenza sanitaria, comportante restrizioni di vario genere alla libertà di movimento e di raggruppamento materiale di persone. I presupposti di straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l'emergenza sanitaria sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale sono espressi nella premessa del testo normativo. Tra questi, anche quello del sostegno a favore delle imprese: cui può ricondursi la deroga, in parte qua, alla disciplina dell'assemblea nelle società di capitali.

Si tratta di modifiche di durata transitoria, come precisa il settimo comma dell'art. 106, che prevede il dies ad quem al 31 luglio 2020; o, in alternativa, alla data successiva fino alla quale resti in vigore lo stato di emergenza sul territorio nazionale connesso all'insorgenza dell'epidemia da Covid-19. La dizione letterale della disposizione lascia intendere, quindi, che la proroga eventuale, oltre il 31 luglio 2020, è legata alla prosecuzione ininterrotta dell'emergenza da pandemia: con la conseguenza che l'eventuale reviviscenza di quest'ultima, dopo una soluzione di continuità temporale, non comporta l'automatica ripresa di vigenza delle disposizioni derogative, ope legis; occorrendo, invece, un nuovo provvedimento legislativo ad hoc.

In concreto, la deroga consiste nella previsione di un termine unitario di 180 giorni dalla chiusura dell'esercizio per la convocazione dell'assemblea ordinaria, in sostituzione del termine statutario, che l'art. 2364, secondo comma, c.c. prescrive, in via generale, non superiore a 120 giorni.

Risulta così superato il regime differenziato – ivi contestualmente previsto per le società tenute alla redazione del bilancio consolidato, ovvero quando lo richiedano particolari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società – che consente una dilazione, su base statutaria, fino a 180 giorni: dilazione, le cui ragioni, in concreto, devono essere segnalate dagli amministratori nella relazione sulla gestione (art. 2428 c.c.). Tale fattispecie speciale viene a perdere la sua autonomia, stante la parificazione in via generale del termine massimo per la convocazione, in ogni caso, senza distinzioni. La norma emendata è espressamente quella di cui all'art. 2364 c.c., relativa all'assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza; l'estensione della deroga introdotta dall'art. 106 d.l. n. 18/2020 alle società con consiglio di sorveglianza – nel sistema di amministrazione e controllo cd. dualistico – è però conseguenza de plano della relatio contenuta nell'art. 2364-bis c.c. al secondo comma dell'art. 2364 c.c., testé esaminato.

Al secondo comma, l'art. 106 d.l. n. 18/2020 liberalizza ulteriormente la disciplina delle assemblee ordinarie e straordinarie della S.p.A. (oltre che delle società in accomandita per azioni, delle società a responsabilità limitata, delle società cooperative delle mutue assicuratrici) consentendone lo svolgimento mediante mezzi di telecomunicazione: anche in deroga – e qui è il novum della previsione – alle diverse disposizioni statutarie. Si tratta di una deroga specifica, che si realizza con lo stesso avviso di convocazione, senza bisogno del previo emendamento di un'eventuale clausola statutaria: clausola, che non è abrogata ed è destinata dunque a ritornare ad essere la disciplina applicabile in subiecta materia, una volta esaurita la vigenza della norma transitoria dettata dall'emergenza epidemiologica da Covid-19.

Si intende che la deroga è una facoltà, e non un obbligo, e rientra quindi nel potere dispositivo dell'organo amministrativo che convoca l'assemblea. Più ambigua è invece la seconda parte del comma, secondo cui le predette società possono altresì prevedere che l'assemblea si svolga, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l'identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l'esercizio del diritto di voto: senza necessità, in ogni caso che si trovino nel medesimo luogo, ove previsti, il presidente, il segretario o il notaio. Poiché già l'art. 2370 c.c. consente l'uso di tale tecnologia, rimessa a scelta statutaria, si deve attribuire portata innovativa alla disposizione ex art. 106 d.l. n. 18/2020, ancora una volta, nella parte in cui consente che tali modalità siano fissate direttamente con l'avviso di convocazione, senza bisogno di un emendamento statutario ad hoc. Il medesimo incipit (“con l'avviso di convocazione”) sorregge anche la contestuale abolizione del requisito della presenza fisica nello stesso luogo indicato nell'avviso di convocazione del presidente, del notaio, o del segretario. In tal modo, si dà adito ad una vera e propria assemblea virtuale, interamente in rete: quale si riteneva prima inammissibile, essendole di ostacolo la previsione dello svolgimento della riunione assembleare in un certo luogo fisico (art. 2366, primo comma, c.c.), non identificabile con il ciberspazio.

Il quarto comma dell'art. 106 del d.l. n. 18/2020 innova in parte il meccanismo della rappresentanza in assemblea per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio previsto dall'art. 135-undecies T.U.F. (articolo quest'ultimo inserito dal d.lgs. n. 27/2010, che ha aggiunto la sezione II-ter). In verità, anziché usare questa indicazione onnicomprensiva di società aperta, la norma dispone la deroga, formalmente, per le società con azioni quotate; salvo estenderne, al comma successivo, l'applicazione alle società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante (oltre che alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione). La ragione di questa ridondante tecnica enunciativa risiede forse nel fatto che l'art. 135-undecies T.U.F. si riferisce, a sua volta, espressamente – sia nella rubrica, sia nel testo – alle società con azioni quotate; e non pure alla società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante: anche se l'attuale deroga introdotta, per entrambe, dal d.l. n. 18/2020 lascia pensare che già la disciplina originaria si applicasse estensivamente pure a queste ultime. Oggetto della deroga è la possibilità di designare un soggetto al quale i soci possono conferire la delega anche ove lo statuto disponga diversamente (e cioè, plausibilmente, ove non preveda tale possibilità). La norma emendata faceva infatti salva, in apertura, la difforme previsione statutaria ed aveva quindi natura suppletiva. Ratio dell'attuale deroga deve ritenersi l'agevolazione di forme di rappresentanza in assemblea in tempi in cui è inibito, per ragioni di emergenza epidemiologica da Covid-19, il raggruppamento di persone, senza costringere le società per azioni ad una laboriosa modifica statutaria.

Bibliografia

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