Codice Civile art. 2382 - Cause di ineleggibilità e di decadenza (1).

Renato Bernabai

Cause di ineleggibilità e di decadenza (1).

[I]. Non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

Inquadramento

La norma non è stata emendata dalla riforma del 2003, onde continua a non prevedere specifici requisiti per la carica di amministratore. Non vi può essere, pertanto, esercizio abusivo della professione nella redazione dei bilanci (Cass. pen., VI, n. 1525/2000).

Lo statuto può porre, però, requisiti particolari di onorabilità professionalità e indipendenza (art. 2387 c.c.): nel qual caso la loro mancanza, o perdita, assimilabile ad una causa di ineleggibilità, determina la nullità della nomina.

La norma in esame è richiamata nella disciplina relativa ai sindaci (art. 2399, primo comma, lettera a), ai componenti del consiglio di gestione (art. 2409-undecies, primo comma) come pure del consiglio di sorveglianza (art. 2409-duodecies, decimo comma, lettera a) nel sistema dualistico, nonché agli amministratori di S.p.A. strutturata secondo il modello monistico (art. 2409-noviesdecies, primo comma).

Alle cause di ineleggibilità elencate dalla legge per la carica di amministratore di s.p.a. si deve riconoscere natura imperativa ed inderogabile, quale espressione di un principio di ordine pubblico. Per contro, esse non sono previste per le società di persone; mentre è dubbio se valgano estensivamente per le s.r.l. (per la soluzione negativa, Cass. III, n. 18904/2013, che dall'inapplicabilità in via analogica dell'art. 2382 c.c. ha derivato l'esclusione della decadenza di un amministratore di società a responsabilità limitata per effetto della sua dichiarazione di fallimento personale: con l'ulteriore conseguenza dell'infondatezza dell'eccezione di nullità, per incapacità processuale, del ricorso per cassazione da lui presentato in rappresentanza della S.r.l. di cui era amministratore).

Ineleggibilità e incompatibilità

Presupposto soggettivo fondamentale per assumere la carica di amministratore è la capacità di agire, che si acquista con la maggiore età.

Sebbene non menzionata formalmente nell'art. 2382 essa deve considerarsi implicita, per deduzione “a fortiori” dall'incapacità del minore di amministrare il proprio patrimonio. Al riguardo, non si può ritenere sufficiente, quindi, la mera capacità naturale, coincidente con la capacità di intendere e di volere: idonea, invece, per la responsabilità da atto illecito, o anche per la stipulazione di contratti di lavoro per i quali leggi speciali stabiliscano un'età inferiore.

Per simmetria di disciplina è da ritenere eleggibile, per contro, il minore emancipato, che può esercitare un'impresa commerciale senza l'assistenza del curatore, se autorizzato dal tribunale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore (art. 397): tanto più, che l'autorizzazione all'esercizio dell'impresa commerciale contempla anche gli atti di straordinaria amministrazione, a differenza della disciplina generale dell'emancipazione, limitativa della capacità d'agire del minore, senza assistenza, ai soli atti di ordinaria amministrazione (art. 394).

La perdita della piena capacità d'agire a seguito di interdizione, inabilitazione, fallimento, ed inoltre quale effetto di condanna ad una pena che comporti l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità a esercitare uffici direttivi determina l'ineleggibilità alla carica, con conseguente nullità dell'eventuale nomina e decadenza dall'ufficio.

Ulteriori cause di ineleggibilità sono previste da leggi speciali per società di particolare rilievo (banche, assicurazioni, ecc.).

Diverso è però il momento integrativo della decadenza tra le varie ipotesi sopraelencate, in quanto solo per la causa di ineleggibilità dipendente da condanna esso coincide con il passaggio in giudicato, stante l'insussistenza dell'efficacia provvisoria delle sentenze penali. Per contro, l'ineleggibilità da interdizione ed inabilitazione decorre dalla pubblicazione della relativa sentenza (art. 421); mentre, la revoca, per cessazione della causa dell'interdizione o dell'inabilitazione, produce i suoi effetti ex nunc, appena passata in giudicato (art. 431).

Per quanto riguarda l'ineleggibilità da fallimento, occorre ricordare che la Corte Europea dei Diritti dell'uomo, con sentenza, 17 luglio 2003 (in Foro it., 2004, IV, 109) ha negato, con affermazione di carattere generale suscettibile di riverberarsi anche sul tema in questione, che l'incapacità del soggetto conseguente alla dichiarazione di fallimento integri una violazione del diritto di proprietà, tutelato dalla Convenzione: salvo che la procedura fallimentare non abbia una durata tale da comportare un eccessivo sacrificio dell'interesse individuale del fallito rispetto alla tutela dell'interesse generale al pagamento dei suoi creditori.

L'ineleggibilità per il beneficiario dell'amministrazione di sostegno è invece solo eventuale, se così dispone il giudice con decreto (art. 405).

È controverso se la funzione di amministratore possa essere svolta da una persona giuridica. L'opinione tradizionalmente contraria, fondata soprattutto sull'intuitus personae che contraddistingue il rapporto fiduciario tra amministratore e soci (in questo senso, Salafia, Soc., 2006, 1325) è stata progressivamente revocata in dubbio, sulla base di appigli normativi, ravvisati nell'art. 5 (Persona giuridica amministratore) del d.lgs. n. 240/1991 (Norme per l'applicazione del regolamento n. 85/2137/CEE relativo all'istituzione di un Gruppo europeo di interesse economico GEIE), che espressamente prevede: “Può essere nominato amministratore anche una persona giuridica, la quale esercita le relative funzioni attraverso un rappresentante da essa designato”; come pure nell'art. 47 del Regolamento 8 ottobre 2001 n. 2157 (Regolamento del Consiglio relativo allo statuto della Società europea - SE) che recita: “Lo statuto della SE può prevedere che una società o altra entità giuridica sia membro di un organo, salvo se altrimenti disposto dalla legislazione dello Stato membro della sede sociale della SE applicabile alle società per azioni”.

In questi casi deve essere designata la persona fisica che in concreto gestirà la società ed a cui sarà riferibile l'eventuale causa di ineleggibilità, o incompatibilità, personale.

Nell'ottica della tesi ammissiva, si può ritenere che l'intuitus personae sia riferibile alle stesse persone giuridiche nominate alla carica di amministratore: s'intende, sotto il diverso profilo dei connotati di solidità patrimoniale, rinomanza e prestigio acquisiti nel mercato. E l'obiezione che la designazione della persona fisica in concreto officiata sfuggirebbe al voto assembleare della società amministrata può trovare una risposta adeguata nel potere di revoca, per giusta causa, della persona giuridica-amministratore, ove la scelta di quest'ultima cadesse su un soggetto individuale che non raccolga l'approvazione dei soci.

Attiene invece al diverso profilo del divieto di concorrenza l'ineleggibilità prevista dall'art. 2390, secondo cui non possono essere nominati amministratori coloro che siano già amministratori di una società concorrente: salvo autorizzazione dell'assemblea (e si deve intendere delle assemblee di entrambe le società, dato l'interesse comune ad evitare la situazione di concorrenza).

La sanzione per l'inosservanza del divieto non è però la nullità della nomina, bensì la revocabilità dall'ufficio, rimessa ai soci, con esercizio di un potere discrezionale, speculare a quello autorizzativo.

È controverso se sussista una causa ostativa all'eleggibilità, o meglio alla rieleggibilità, dell'amministratore revocato ex art. 2409: problema, che si pone in tutti i casi di revoca giudiziale di un amministratore di società (art. 2259 per le società di persone e art. 2476, terzo comma, per la s.r.l.).

La natura sanzionatoria e la ratio preventiva del rischio di mala gestio proprie di tale revoca, induce a ritenere inibita, e dunque invalida, la conferma assembleare dell'amministratore revocato (Trib. Milano 9 maggio 1991, in Giur. comm., 1992, II, 349): tesi, che trova anche un sostrato letterale, quanto meno nell'art. 2409, laddove si prevede, al sesto comma, che l'assemblea sia convocata per la nomina dei “nuovi” amministratori.

Cosa diversa dall'ineleggibilità è l'incompatibilità di vari uffici e status professionali con la carica di amministratore, prevista da leggi speciali in casi assai disparati per natura, che impedisce il cumulo di funzioni, ma consente comunque al soggetto interessato di optare per una delle due.

Tra le cause di incompatibilità figurano la professione forense, ma solo per gli amministratori unici e delegati, titolari effettivi della gestione .

Al riguardo, già nel vigore dell'ordinamento professionale forense di cui al r.d.l. n. 1578/1933, si riteneva che ai sensi dell'art. 3, primo comma, n. 1), il legale che ricoprisse la qualità di presidente del consiglio di amministrazione di una società commerciale versasse in una situazione di incompatibilità con l'esercizio della professione forense solo qualora risultasse che tale carica comportava effettivi poteri di gestione o di rappresentanza. (Cass. S.U., n. 25797/2013; Cass. S.U., n. 4773/2011; Cass. S.U., n. 37/2007).

Sul punto, la l. n. 247/2012 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense) all'art. 18 lett. C) stabilisce ora, chiaramente, che la professione di avvocato è incompatibile “con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l'esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione”. Tuttavia, l'incompatibilità non sussiste se l'oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all'amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico.

Incompatibili, per effetto di leggi speciali, con la carica di amministratori sono, in particolare, pure la qualità di membro del Parlamento (artt. 1-3 l. n. 60/1953 - Incompatibilità parlamentari) e del governo (art. 2, primo comma, lett. C, l. n. 215/2004 - Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi), del C.S.M. (art. 33, secondo comma, l. n. 195/1958 - Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nonché il rapporto di impiego pubblico (art. 60 d.P.R. n. 3/1957 -Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), la titolarità di cattedra universitaria a tempo pieno (art. 11, quinto comma, lett. A, d.P.R. n. 382/1980 - Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica); così come la carica di amministratore locale, di amministratore e sindaco di banche, assicurazioni e società finanziarie, ed altre ancora).

Dalla disciplina generale delle s.p.a. si evince, inoltre, che non si possono esercitare contemporaneamente le cariche di amministratore e sindaco nella medesima società; anche se è dubbio se sussista il potere di opzione del soggetto nominato, o debba ritenersi, invece, preclusa in limine la carica assunta successivamente.

Quantunque tale divieto di cumulo non sia espressamente enunciato nella norma, nondimeno esso è desumibile, senza dubbio, dall'incompatibilità logico-giuridica della funzione di organo controllore con quella di organo controllato; e comunque, la lacuna testuale si può intendere colmata in via analogica, stante l'eadem ratio con l'incompatibilità della carica di consigliere di gestione con quella di consigliere di sorveglianza formalmente sancita, nel modello dualistico, dagli artt. 2409-novies, quarto comma, e 2409-duodecies, comma 10, lettera b), introdotti dalla riforma del 2003.

L'eventuale incompatibilità tra la carica di amministratore e la posizione di dipendente subordinato, da conflitto di interessi, dev'essere valutata in concreto, dovendosi evitare rischi di autoassunzione (Cass. lav., n. 21759/2004). Al riguardo, è stata ritenuta addirittura compatibile la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, ove il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio – dirigente alle direttive ed al controllo dell'organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci (Cass. lav., n. 7465/2002).

Decadenza per causa sopravvenuta di ineleggibilità

La nomina di un amministratore ineleggibile è affetta da nullità ex tunc.

Le cause di ineleggibilità, se temporalmente sopravvenute alla nomina, si convertono in cause di decadenza, operative di diritto, con efficacia ex nunc: anche se, di fatto, esse siano accertate e dichiarate – senza efficacia costitutiva – dallo stesso consiglio di amministrazione, o in difetto, dal collegio sindacale, od in via gradata dal tribunale.

Poiché la decadenza è automatica, il potere di rappresentanza non è più riconoscibile, ope legis, in capo all'amministratore che sia incorso in una delle cause elencate dalla norma, stante l'immediata cessazione del rapporto organico con la società (Cass. I, n. 10355/2005, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto da una società per azioni sulla base di una procura speciale, ex art. 365 c.p.c. conferita da un amministratore interdetto dai pubblici uffici).

La nullità resta però inopponibile ai terzi di buona fede, dopo la pubblicità della nomina.

Al riguardo, il d.P.R. n. 1127/1969, attuativo della direttiva CEE 9 marzo 1968 n. 151, ha ampliato la tutela dei terzi, introducendo l'attuale comma quinto dell'art. 2383, che sancisce l'inopponibilità ai terzi di buona fede delle cause di nullità o annullabilità della nomina, una volta eseguita la pubblicità legale (Cass. I, n. 4971/1998).

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il principio dell'apparenza del diritto e dell'affidamento, traendo origine dalla legittima, e quindi incolpevole, aspettativa del terzo di fronte ad una situazione ragionevolmente attendibile, ancorché non conforme alla realtà (non altrimenti accertabile se non tramite le sue manifestazioni esteriori), non è invocabile nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l'ordinaria diligenza la consistenza effettiva dell'altrui potere: come accade nel caso di organi di società di capitali regolarmente costituiti. Tuttavia, anche in tale ipotesi, il principio dell'affidamento può essere invocato, qualora il potere, sulla cui esistenza si assume di aver fatto incolpevolmente affidamento, possa sussistere indipendentemente dalla sua regolamentazione statutaria e possa essere conferito per determinati atti e senza particolari formalità (Cass. I, n. 12273/2016; Cass. I, n. 10297/2010, in una fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto che il pagamento effettuato dal debitore nelle mani dell'amministratore di fatto di una società avesse efficacia liberatoria, pur trattandosi di società di capitali, in considerazione dell'inerzia gravemente colpevole dei legali rappresentanti della società, che avevano consentito per un lungo tempo una tale condotta).

Deve comunque ritenersi possibile la ratifica da parte della società degli atti dell'amministratore decaduto ; per analogia con la ratifica degli atti posti in essere, prima della sua costituzione, da colui che poi ne sia diventato amministratore (Cass. I, n. 1408/1981).

L'accertamento dell'avvenuta decadenza degli amministratori, per perdita del requisito di indipendenza previsto dallo statuto, esclude la sussistenza di un'ipotesi di revoca senza giusta causa (Trib. Napoli 7 giugno 2022, in Soc., 2023, 253).

L'iscrizione della decadenza di un soggetto dalla carica di amministratore, effettuata ai sensi dell'art. 2382 c.c. a seguito di condanna penale, non può essere cancellata d'ufficio ex art. 2191 c.c., dopo l'estinzione della pena e la conseguente revoca delle pene accessorie: la decadenza determina, infatti, la cessazione dell'amministratore con effetti immediati né è sensibile alla successiva riabilitazione, che è inidonea a rimuoverne, anche solo ex nunc, gli effetti, ma consente soltanto che il soggetto interessato possa essere di nuovo nominato amministratore dell'assemblea.

In tema di società per azioni con partecipazione pubblica, si è escluso che il rinnovo elettorale degli organi comunali sia causa di automatica decadenza, ai sensi dell'art. 50 T.U.E.L. per effetto di un meccanismo di spoils system: e ciò, in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, alla luce dell'art. 97 Cost., fondata sul rilievo che gli amministratori delle società partecipate dal comune svolgono funzioni estranee alla formazione dell'indirizzo politico, del quale si limitano a dare attuazione (Trib. Milano 16 maggio 2019, in Soc., 2020, 159, con nota di Pasero).

Bibliografia

Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004; Bonelli, Gli amministratori di società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 1985, XVI, 449; De Feo, Sub art. 2382, in Codice commentato delle nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004; Magnani, Sub art. 2382, in Commentario breve al Diritto delle società, diretto da A. Maffei Alberti, Padova-Milano, 2017; Nazzicone, Sub art. 2382, in Commentario Lo Cascio, 2003; Regoli, Sub art. 2382, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015; Rizzini Bisinelli, Lopatriello, Amministratori di S.p.A. e persona giuridica: spunti di riflessione, in Soc., 2000, 1171; Sandei, Sub art. 2382, in Commentario breve al codice civile, a cura di G. Cian, Milano-Padova, 2016; Sironi, Sub art. 2382, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2008.

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