Codice Civile art. 2393 - Azione sociale di responsabilità (1).Azione sociale di responsabilità (1). [I]. L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione. [II]. La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie (2) da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio. [III]. L'azione di responsabilità può anche essere promossa a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti (3). [IV]. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore dalla carica. [V]. La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso, l'assemblea provvede alla sostituzione degli amministratori (4). [VI]. La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere, purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi primo e secondo dell'articolo 2393-bis. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. (3) Comma inserito dall'art. 3 1 lett. a) n. 1 l. 28 dicembre 2005, n. 262. (4) Comma così sostituito dall'art. 31 lett. a) n. 2 l. n. 262, cit. Il testo del comma era il seguente: «La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l'assemblea stessa provvede alla loro sostituzione». InquadramentoNell'ambito del diritto societario, l'azione di responsabilità verso gli amministratori ha assolto, storicamente, una funzione, “lato sensu” evolutiva, parallela a quella svolta, in generale, dall'azione risarcitoria, per la tutela sempre più ampia di diritti e di interessi non solo individuali e privati. La naturale incompatibilità dell'oggetto della domanda con la legittimazione di un organo imparziale, quale il pubblico ministero, importa che il controllo di legittimità dell'attività gestoria è demandato ad una gamma di soggetti privati – organi sociali, soci e terzi – il cui potere di iniziativa è stato progressivamente esteso, con l'istituzione delle azioni di minoranza e del singolo socio: dapprima per le società quotate, nel Testo unico sull'intermediazione finanziaria, (art. 129 d.lgs. n. 58/1998), e poi con la riforma societaria (artt. 2393-bis e 2476, terzo comma). Il presupposto fondamentale, comune ad ogni azione risarcitoria, è naturalmente l'accertamento di un comportamento illegittimo e di un danno derivatone secondo un nesso di causalità. Non sempre il comportamento illegittimo degli amministratori comporta un pregiudizio; talvolta, anzi, può ridondare addirittura a vantaggio della società e di riflesso anche dei creditori, come ad es. nelle evasioni fiscali. Resta estraneo alla disciplina italiana il cd. “Disgorgement of profits”, che consiste nella restituzione dei ricavi realizzati dagli amministratori in regime di conflitto di interessi, ma senza danno per la società. Era contemplato all'art. 110 cod. comm. del 1882 per l'uso illegittimo di cose sociali, ma non è stato trasfuso nell'art. 2256, né nella disciplina delle società di capitali. La riforma ha segnato un accentuato verticismo nelle società per azioni (con un ritorno al Fuehrerprinzip) e all'accrescimento del potere degli amministratori, titolari in via esclusiva della gestione dell'impresa (art. 2380-bis), cui corrisponde un maggior rischio di essere convenuti in un giudizio di responsabilità, a seguito dell'introduzione dell'azione di minoranza. La delibera autorizzativa dell'azione di responsabilitàAi sensi dell'art. 2393, primo comma, c.c., l'azione di responsabilità sociale è subordinata alla delibera della assemblea ordinaria, la cui competenza in materia è inderogabile (Cass. I, n. 13279/2012), anche se la società sia in liquidazione. L'assemblea dovrebbe essere convocata dagli stessi amministratori, o dal consiglio di gestione nel sistema dualistico, e nell'ipotesi, pressoché scontata, di loro inerzia, provvedono i sindaci o il consiglio di sorveglianza, nel sistema dualistico, o il comitato per il controllo sulla gestione nel modello monistico; in subordine, si può ricorrere al tribunale (art. 2367 c.c.). La dottrina tradizionale configura la delibera, non come dichiarazione o manifestazione di volontà, bensì come atto individuale risultante dalla combinazione di atti non negoziali. Il ruolo dell'assemblea, come luogo deputato all'assunzione delle più importanti decisioni, pur profondamente svalutato da parte della dottrina (Richter, Considerazioni preliminari in tema di corporate governante e risparmio gestito, in Giur. comm., 2006, 1, 196, 200, che parla di organo-teatro monopolizzato, con rare eccezioni, da pensionati, mitomani, esibizionisti, squalificati e impreparati ricattatori o altri ambigui personaggi, ove si ratificano scelte prese altrove piuttosto che un collegio dove si discutono e prendono decisioni) resta in subiecta materia la sede naturale per l'assunzione di un'iniziativa così grave; pur le sia stato affiancato, in questa competenza, il collegio sindacale, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, dalla l. n. 262/2005 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari). La delibera che autorizza l'azione di responsabilità deve essere espressa (stante l'inammissibilità delle delibere implicite) e non necessita di motivazione. Quando questa vi sia, con indicazione di specifici addebiti, non vale, peraltro, a precludere la deduzione di altri fatti dannosi nel successivo giudizio, in cui, però, bisogna indicare, fin dall'inizio, la condotta avanti doverosa ascritta all'amministratore (Cass.I, n. 23180/2006). Anche il collegio sindacale, come detto, può promuovere l'azione di responsabilità, senza però esercitarla: la proposizione spetterà, stante il conflitto di interessi immanente con l'amministratore, ad un curatore speciale nominato ex art. 78 c.p.c. La deliberazione concernente la responsabilità di amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, ma, con emendamento limitativo introdotto dalla riforma del 2003, solo “quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio”. Non è necessaria la presenza degli amministratori, che comunque non possono votare per conflitto di interessi (art. 2373, comma 2, c.c.). Sotto il profilo processuale, la delibera è costantemente definita come condizione dell'azione (Cass.I, n. 11552/2019, in Foro it., 2019, 1, 2745) e non presupposto processuale: suscettibile, quindi, di regolarizzazione ex tunc ed attinente alla legittimazione processuale della parte attrice. Basta quindi che sussista al momento della decisione (Cass.I, n. 18939/2007; Cass. I, n. 9849/1996), e l'onere della prova della sua esistenza grava sulla società attrice (Cass. I, n. 9090/2003); laddove, la sua mancanza, incidendo sulla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. I, n. 18939/2007 cit.; Cass. I, n. 16999/2004): salvo il giudicato interno formatosi sulla relativa questione, che abbia formato oggetto di discussione nel contraddittorio tra le parti (Cass. I, n. 12568/2021). L'autorizzazione deve contenere l'individuazione degli elementi costitutivi dell'azione, sotto il profilo sia oggettivo, che soggettivo: in carenza, la genericità della delibera ne comporta l'invalidità, per inidoneità ad esprimere la volontà informata dei soci (Cass. I, n 21245/2021). Anche nella procedura arbitrale – ritenuta ammissibile ex art. 806 c.p.c., vertendosi su diritti disponibili che possono formare oggetto di rinuncia e transazione (Cass. I, n. 11658/2007; Cass. I, n. 8699/1998) – c'è bisogno dell'autorizzazione assembleare. Per contro, l'azione di regresso, proporzionale alla colpa, non ha bisogno di autorizzazione assembleare, perché ha natura individuale e non sociale. Secondo Cass. I, n. 1925/1999, non necessita di previa deliberazione assembleare la domanda della società volta ad ottenere la restituzione di somme di sua pertinenza, indebitamente ritenute dall'amministratore. Si viene così a distinguere nettamente tra l'obbligazione primaria, di carattere contrattuale, e l'obbligazione secondaria, da inadempimento del mandato gestorio: riservando solo a quest'ultima la disciplina legale in commento. Nel processo viene sovente eccepito, in via pregiudiziale, il vizio della delibera (quorum o convocazione irregolari). Si tratta di questione incidentale, conoscibile dallo stesso giudice, anche se possa assurgere, ex art. 34 c.p.c., ad accertamento principale, su domanda. La sua deducibilità in via cautelare ante causam appare preclusa dalla tipicità, anche processuale, della sospensione delle delibere assembleari disciplinata dall'art. 2378. La legittimazione attiva e passivaNon c'è litisconsorzio necessario tra gli amministratori responsabili, e la legittimazione passiva appartiene ai singoli amministratori e non al consiglio di amministrazione nel suo complesso. Tale giurisprudenza consolidata si fonda sulla natura solidale dell'obbligazione dedotta in giudizio, in ragione della comune partecipazione, anche in via di mero fatto, alla gestione sociale, che dà luogo ad una pluralità di rapporti distinti, anche se collegati tra loro (Cass. I, n. 21497/2020). La legittimazione attiva spetta anche all'amministratore giudiziario ex art. 2409, quinto comma. In assenza di raccordo col novellato art. 92 disp. att. c.c., è dubbio se in questo caso l'esercizio necessiti di specifica autorizzazione del tribunale, o competa ex lege (Per la prima tesi, cfr. Trib. Milano 30 gennaio 1995, in Soc., 1995, 1323; per la seconda, Trib. Milano 17 gennaio 1991, in Soc., 1991, 1077). La riforma, nella sua completa rimodellazione del procedimento, ha aggiunto, al quinto comma dell'art. 2409 c.c. un richiamo espresso all'ultimo comma dell'art. 2393. Viene quindi meno ogni possibile dubbio, semmai ve ne siano stati, sulla legittimità di rinunce e transazioni deliberate dopo il ritorno alla pienezza dei poteri assembleari, con i quorum ivi previsti: in contrasto con la prosecuzione obbligatoria dell'azione prescritta, invece, all'art. 72, comma 5, d.lgs. n. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) – pure novellato dal d.lgs. n. 6/2003 e poi emendato dall'art. 2 del d.lgs. correttivo n. 37/2004 – la cui effettività è garantita dal dovere degli organi amministrativi succeduti ai commissari di riferire sullo svolgimento dell'azione alla Banca d'Italia. Sotto il profilo soggettivo, si è ritenuto che la cessazione dalla carica di un amministratore che abbia ritualmente presentato le proprie dimissioni è opponibile al fallimento che eserciti le azioni di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c., anche se non iscritta nel registro delle imprese, dal momento che si tratta pur sempre di responsabilità per fatto proprio, anche se di natura omissiva (Cass. I, n. 13221/2021). Nell'estensione della legittimazione passiva all'amministratore di fatto, per molto tempo vi è stata distinzione nella giurisprudenza penale e civile. Nella prima, era considerato amministratore di fatto sia chi fosse stato nominato con delibera viziata, sia l'usurpatore. In sede civile, per contro, era opinione prevalente che solo i vizi della nomina o della proroga comportassero un rapporto di amministrazione di fatto. Dopo Cass. I, n. 1925/1999, anche l'usurpazione, purché di natura sistematica e non occasionale, vale ad integrare il rapporto gestorio di fatto (Cass. I, n. 4045/2016; Cass. I, n. 6719/2008). Resta, però, diversamente regolato il requisito dell'autorizzazione assembleare: necessaria verso l'amministratore di fatto per vizio della nomina o proroghe illegittime e non pure verso l'usurpatore, anche se questi – normalmente socio-sovrano – abbia goduto di un'autorizzazione tacita a gestire, per fatti concludenti. Sotto il profilo processuale è stata ritenuta in ogni caso estensibile all'amministratore di fatto la sospensione della decorrenza dei termini di prescrizione dell'azione di responsabilità per la durata della carica, ai sensi dell'art. 2941 n. 7 c.c. (Cass. I, n. 6719/2008). Sempre sulla tematica dell'amministratore di fatto di una società di capitali, si è statuito che la relativa azione di responsabilità, da chiunque promossa, appartiene alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa, stante la formulazione letterale dell'art. 3, secondo comma, lettera a) del d.lgs. n. 168/2003 (Istituzione di sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d'appello, a norma dell'art. 16 della l. n. 273/2002), che, richiamando tutti i rapporti societari, esprime una nozione generale, non meramente riassuntiva delle peculiari ipotesi citate nel testo della medesima norma (Cass. VI-I, n. 20441/2018; Cass. I, n. 21730/2020). L'onere della provaNell'azione sociale si deve fornire la prova del comportamento illecito, del nesso eziologico e dell'entità del danno. Largo spazio è riservato, nella prassi giudiziaria, alle presunzioni e pressoché immancabile il ricorso alla consulenza tecnica d'ufficio, specialmente sulle manipolazioni del bilancio. Frequente la valutazione equitativa del danno. Il problema del nesso di causalità è stato affrontato sotto il profilo del riparto dell'onere probatorio: dibattendosi in giurisprudenza se vi sia una presunzione a carico degli amministratori che non abbiano adempiuto i loro obblighi, o se occorra la prova positiva che il danno non si sarebbe verificato in caso di puntuale svolgimento del munus. La questione si ricollega al più generale problema della natura giuridica dell'azione. È affermazione tralatizia che la natura contrattuale importi la presunzione di colpa ex art. 1218. Il dolo, invece, rilevante ai sensi dell'art. 1225 c.c., dev'essere positivamente dimostrato. Non manca chi distingue gli obblighi di gestione, di mezzi, dagli obblighi di organizzazione (pubblicità, convocazione dell'assemblea, ecc.), che sarebbero di risultato, perché relativi a specifici atti e non ad una generica attività. Solo nei casi marginali di totale assenteismo vi sarebbe, in quest'ottica, un'inversione dell'onere della prova a carico degli amministratori. L'accertamento di responsabilità potrebbe risentire dell'esistenza di eventuali requisiti specifici di qualificazione statutariamente previsti all'art. 2387, comportanti l'esigibilità di un livello di perizia (normalmente, non richiesto), fino a connotare il mandato gestorio in senso spiccatamente professionale: ed in tal caso, potrebbe ritenersi oggetto di richiamo, in parte qua, la disciplina della responsabilità prefigurata nel contratto d'opera intellettuale (art. 2236). In questa linea evolutiva di crescente promozione dei requisiti di onorabilità, professionalità indipendenza, attestata dall'aggancio ai codici di autodisciplina redatti da associazioni di categoria o società di gestioni di mercato regolamentati contenuto all'art. 2387 (richiamato dagli articoli 2409-undecies, nel sistema dualistico, e 2409-septiesdecies nel sistema monistico), un'autorevole dottrina ha visto il riflesso di suggestioni di remota ascendenza calvinista, teorizzate da Max Weber, verso l'eticizzazione di ogni aspetto dell'attività umana e la conseguente giuridicizzazione del codice etico. Questo diverrebbe, così, norma giuridica invocabile anche da terzi, a titolo di promessa al pubblico: autonoma, ma giuridicamente impegnativa. La natura solidale della responsabilità importa che nell'azione di regresso tra amministratori e sindaci vi sia l'onere della prova anche del grado rispettivo di colpa. Il danno risarcibile La liquidazione della prova del danno si atteggia diversamente in relazione ad illeciti tipici, disciplinati da norme specifiche di comportamento, rispetto alla violazione del generale dovere di diligenza. Viene, innanzitutto, all'esame il conflitto di interessi (art. 2391 c.c.). Secondo un'opinione dottrinaria, l'obbligo del risarcimento dipenderebbe unicamente dal verificarsi di due condizioni: che l'amministratore abbia violato l'obbligo di comunicazione e che dall'operazione sia derivato un danno per la società: qualunque sia stata l'incidenza del suo voto, rilevante invece ai fini dell'impugnazione della delibera collegiale. In questo modo, peraltro, si configurerebbe una responsabilità oggettiva da rischio economico. L'art. 2391 novellato parla di danni e non più di perdite; ma anche prima si riteneva incluso il lucro cessante. Se, in particolare, il comportamento illegittimo dell'amministratore consiste in un'omissione è difficile valutare la perdita di chances. Il risarcimento del danno da violazione del divieto di concorrenza imposto dall'art. 2390 c.c. sembra prescindere dal carattere sleale di quest'ultima. Verrebbe quindi anche meno la possibilità di applicare l'art. 2600 terzo comma, secondo cui l'accertamento degli atti di concorrenza sleale comporta la presunzione di colpa inestensibile ad ipotesi di concorrenza leale La violazione di regole di contabilità e bilancio, pur in stretta connessione con il rapporto di ufficio, non si traduce automaticamente in fonte di danni, potendo perfino risultare vantaggiosa per la società; come, ad esempio, se si traduca in un'elusione fiscale. La falsità del bilancio non è quindi danno in re ipsa, ma premessa di comportamenti pregiudizievoli: gestioni extra contabili, costituzione di fondi neri, distrazione di beni ecc. È da notare come tale forma di illecito sia stato l'ipotesi tipica, storicamente prevista dal legislatore del 1942, per configurare l'azione risarcitoria diretta ex art. 2395. Il falso in bilancio può anche essere un mezzo rispetto al fine di nascondere lo scioglimento della società ex art. 2447 c.c. L'omessa convocazione dell'assemblea – soprattutto in presenza di perdite (artt. 2446-2447) – di rado si traduce in danno, che sarebbe difficile da dimostrare, occorrendo la prova di un'ipotetica delibera approvata, con effetti positivi per la società. S'intende che la responsabilità discenderà dall'eventuale prosecuzione illegittima dell'attività sociale, comportante, prima della riforma, un'obbligazione primaria, solidale degli amministratori verso i soli creditori (art. 2449, comma 1, testo previgente, c.c.: Cass. n. 2156/2015; Cass. n. 3694/2007); ed ora, invece, una responsabilità per danni (obbligazione secondaria: artt. 2485,2486 c.c.), diversamente modulata verso i creditori (in caso di inadempimento della società), dei soci (per lesione del diritto alla liquidazione), della stessa società; nonché – come ipotesi di chiusura, di non agevole determinazione – verso ulteriori terzi. La prescrizione dell'azioneUn'ulteriore modifica introdotta dalla d.lgs. 6/2003 concerne il regime della prescrizione: cinque anni dalla cessazione dell'amministrazione dalla carica (art. 2393, terzo comma). Anche prima della riforma la prescrizione era considerata, pacificamente, quinquennale ex art. 2949, e soggetta alla sospensione durante la carica (art. 2941, n. 7), anche se gli illeciti fossero stati palesi. Si riteneva, inoltre, che l'autorizzazione assembleare all'azione di responsabilità non interrompesse la prescrizione ex art 2393 c.c. perché di rilevanza endosocietaria, anche se accompagnato da dibattito e contestazioni; mentre, l'atto di citazione notificato ad uno degli amministratori aveva efficacia interruttiva verso gli altri corresponsabili in solido, ex art. 1310, primo comma, solo se le violazioni addebitate potessero considerarsi eziologicamente concorrenti nella produzione del danno (Cass. I, n. 6244/1998). Il dies a quo, rimasta isolata una risalente opinione che l'identificava con la delibera di promozione dell'azione di responsabilità, veniva alternativamente indicato nella data della violazione dei doveri (quando però poteva non essersi ancora verificato l'evento dannoso: e dunque, neppure maturato il credito risarcitorio), o nella data produzione del danno; o infine, nella data di scoperta, con l'ordinaria diligenza, del danno. Inoltre, si riteneva applicabile il più lungo termine di cui all'art. 2947, terzo comma, se il fatto addebitato all'amministratore costituiva altresì reato, purché sussistesse, in concreto, totale identità e concomitanza tra gli elementi (oggettivo e soggettivo) dell'illecito civile e di quello penale (Cass. I, n. 3430/1994). La rigidità del nuovo dies a quo, in contrapposizione alla variabilità caso per caso, affermatasi nel pregresso diritto vivente, ha fatto dire, sulla scorta anche di opinioni emerse nei lavori preparatori – che ora si verterebbe, in realtà, in un termine di decadenza. In senso contrario, si può obbiettare che una modifica così radicale dell'estinzione per inerzia – che soprattutto la sottrarrebbe a cause di interruzione (per costituzione in mora: art. 1219 c.c.) e di sospensione (art. 2941 n. 8: occultamento doloso del debito, non accertabile immediatamente dai nuovi amministratori con la diligenza canonica) – avrebbe reso necessaria una locuzione normativa ben altrimenti univoca (... “a pena di decadenza...”), trattandosi,”prima facie”, di termine di lunghezza del tutto inconsueto per la decadenza. Un argomento contrario alla natura decadenziale del termine si poteva inoltre rinvenire, nel contesto della disciplina novellata dal. d.lgs. n. 6/2003, nel perdurante riferimento letterale alla prescrizione contenuto nell'art. 2409-sexies c.c. in tema di azione di responsabilità verso i soggetti incaricati del controllo contabile, di formulazione letterale pressoché identica (“l'azione si prescrive nel termine di cinque anni della cessazione dell'incarico”): sembrando da escludere una configurazione “a pelle di leopardo” nell'ambito di azioni della medesima natura giuridica, per situazioni obbligatorie legate da vincolo di solidarietà. Ma successivamente la norma è stata abrogata dall'art. 37 d.lgs. n. 39/2010 (Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati), e contestualmente sostituita dall'art. 15, recante una diversa enunciazione (“L'azione di risarcimento nei confronti dei responsabili ai sensi del presente articolo si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d'esercizio o consolidato emessa al termine dell'attività di revisione cui si riferisce l'azione di risarcimento”). Occorre da ultimo aggiungere come un'opinione dottrinaria, sulla scorta di recente giurisprudenza di legittimità in tema di prescrizione di danni lungolatenti, ha suggerito che anche nell'azione sociale ex art. 2393 sia possibile la posticipazione del dies a quo alla data di percezione del danno sociale, rispetto alla data di cessazione della carica, indicata come termine fisso, al quarto comma. Si configurerebbe, a questa stregua, un superprincipio generale che si imporrebbe sulla norma scritta: e tanto basta per disattendere quest'interpretazione contra legem; che, oltre tutto, priverebbe di certezza e prevedibilità la prescrizione (chi, all'interno della società, sarebbe il soggetto referente ai fini dell'accertamento della conoscibilità del danno?), disincentivando i professionisti dall'accettare la carica di amministratore (anche per la maggiore difficoltà di recuperare le prove della propria correttezza a distanza di tempo), con riflessi onerosi sulle polizze assicurative, quasi tutte claims made. Né vale l'argomento che l'art. 2393, quarto comma, novellato, ponendo un termine secco dalla cessazione dalla carica, si porrebbe in contrasto con il principio generale secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2395), dal momento che la Corte costituzionale ha ammesso la legittimità di un termine fisso per il decorso della prescrizione, anche a prescindere dalla conoscenza del danno (Corte. Cost. n. 78/2012). S'intende che il problema nemmeno si porrebbe, ove si qualificasse di decadenza il termine di esercizio dell'azione, come pure sostenuto da autorevole dottrina. Competenza e rito Sulla scia di Cass. S.U., n. 10680/1994, che aveva ricondotto il rapporto tra amministratore e società alla categoria del lavoro cd. “parasubordinato”, nonostante la natura imprenditoriale della funzione dell'amministratore, si era formata una giurisprudenza di merito secondo cui anche le azioni di responsabilità contro amministratori, sindaci, liquidatori e direttore generale sarebbero state di competenza del pretore, con applicazione del rito speciale ex art. 413 c.p.c. Tale competenza per materia era però applicabile alla sola azione sociale; e non pure a quella dei creditori (salvo che non la si considerasse surrogatoria), né alle azioni individuali ex artt. 2395 e 2449, testo previgente, c.c.(App. Milano 29 luglio 1997, in Soc., 1998, 297). L'art. 88 della l. n. 353/1990, modificando l'art. 48, comma secondo, n. 7 della legge sull'ordinamento giudiziario, ha poi previsto la composizione collegiale del tribunale per le cause di responsabilità, da chiunque proposte contro amministratori, sindaci, liquidatori, direttori generali di società di capitali, quale deroga alla composizione monocratica generale. Nemmeno questa norma era stata ritenuta, però, da tutti decisiva: sul presupposto che le disposizioni sull'ordinamento giudiziario non possano sovrapporsi a quelle processuali. Tale orientamento deve intendersi ormai superato (Cass. S.U., n. 1545/2017; Cass. I, n. 23630/2015; Cass. n. 9090/2003, che ha escluso la parasubordinazione, sul rilievo che l'amministratore impersona l'imprenditore societario), anche grazie all'interpretazione autentica contenuta nell'art. 144-ter disp. att. c.p.c. introdotto dall'art. 130 del d.lgs. n. 51/1998, istitutivo del giudice unico di primo grado. La questione resta quindi rilevante sotto il solo profilo del rito: con la conseguenza che è inammissibile il regolamento di competenza avverso l'ordinanza con cui il tribunale, adito in funzione di giudice del lavoro, abbia dichiarato la propria incompetenza per materia in favore di una sezione ordinaria del medesimo ufficio giudiziario (Cass. IV, n. 8905/2015). Pertanto, deve ritenersi esclusa anche l'applicazione delle norme sui poteri istruttori del giudice (art. 421 c.p.c) e sul cumulo di rivalutazione ed interessi sul credito risarcitorio (art. 429, comma 3, c.p.c.). Circa la competenza in materia, si è ritenuto che la domanda proposta dal fallimento di una società nei confronti degli ex organi sociali, nell'esercizio congiunto dell'azione risarcitoria attribuita alla stessa società e di quella spettante ai creditori sociali, debba essere conosciuta dal giudice ordinario, non operando la clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale che devolva ad arbitri la cognizione delle controversie tra società ed amministratori (Cass. VI-I, n. 15830/2020, in Foro It., 2020, 1, 3062; Trib. Milano 13 ottobre 2020, in Soc., 2021, 867, con nota di Brighenti). La revoca automatica dell'amministratoreLa deliberazione dell'azione sociale importa la revoca automatica dall'ufficio degli amministratori se approvata in assemblea da almeno un quinto del capitale. La revoca permane anche se l'azione non venga più esercitata in concreto, ma non esclude, secondo parte della dottrina, la rieleggibilità. Il comma è stato sostituito dall'art. 3, l. n. 262/2005 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari) che ha soppresso l'aggettivo “stessa”, riferito all'assemblea, che figurava nel testo previgente (“In questo caso l'assemblea stessa provvede alla loro sostituzione”): in tal modo, rendendo non necessitata la contestuale elezione di un nuovo amministratore. È dubbio se il quorum legale di un quinto del capitale sociale sia disponibile; ed in questo caso, se solo al rialzo, come sembra desumersi dall'avverbio “almeno”. Stante la specialità della disposizione, sembra preferibile ritenere applicabile la revoca automatica anche all'amministratore nominato dallo Stato o da titolari di strumenti finanziari, in deroga alla regola della simmetria tra nomina e revoca. Non per questo si dovrebbe ritenere necessitata la deroga anche alla riserva di nomina del nuovo amministratore, dal momento che il contenuto precettivo inderogabile della disposizione sembra essere limitato, appunto, all'effetto revocativo. In ogni caso, non sembra esservi spazio per la cooptazione in caso di omessa sostituzione (che, come detto, può non essere contestuale, nella stessa assemblea). Secondo parte della dottrina la revoca, non risolvendosi in una causa di ineleggibilità, non impedirebbe la riconferma dell'amministratore delegato: ipotesi, del resto, plausibile solo ove la deliberazione dell'azione di responsabilità sia stata promossa da una maggioranza assembleare occasionale. Secondo Trib. Roma 22 febbraio 2021 n. 3099 (in Foro it., 2021, 1, 2564), la revoca ope legis degli amministratori, conseguente all'adozione della delibera di un'azione di responsabilità da parte di almeno un quinto del capitale sociale, integra una presunzione assoluta di lesione del vincolo fiduciario: il che ne esclude, in linea di principio, il carattere arbitrario, per carenza di una giusta causa, ed il conseguente diritto al risarcimento del danno, ex art. 2383, comma 3, c.c. Vi è da dire, al riguardo, che il medesimo giudice configura la delibera ex art. 2393, comma 5, c.c. non come causa di revoca, bensì di decadenza dell'amministratore. Secondo autorevole dottrina, resta, però, salvo il risarcimento del danno qualora l'azione di responsabilità risulti, alfine, infondata (Salafia, Bonelli, Weigmann). Sesto comma - Rinunzia e transazioneL'ultimo comma dell'art. 2393 consente la rinunzia e la transazione purché siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, senza il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno un quinto del capitale sociale, o un ventesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio; ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio dell'azione di minoranza (artt. 2393-bis, primo e secondo comma). Rinunzia e transazione sono ammissibili, alle predette condizioni, anche in ordine alle azioni di responsabilità promosse dal collegio sindacale e dall'amministratore giudiziario ex art. 2409 (che al quinto comma richiama, appunto, l'ultimo comma dell'art. 2393). Dopo la modifica del secondo comma dell'art. 2393-bis ad opera della legge a tutela del risparmio (art. 3 l. n. 262/2005), con riguardo alle società aperte vi è una discrasia tra la percentuale richiesta per l'esercizio dell'azione di responsabilità (1/40, pari al 2,5%) e quella richiesta per la relativa rinunzia o transazione, rimasta ancorata al 5%. Secondo un'opinione dottrinaria, si dovrebbe intendere che anche l'interdizione opposta alla rinunzia e transazione possa provenire da una minoranza di soci che rappresenti 1/40 del capitale, per una sorta di adeguamento automatico della regola; ma si tratta di un meccanismo “praeter legem”, che presuppone una simmetria tra autorizzazione all'azione e rinunzia alla stessa, certamente logica, ma non giuridicamente necessitata (la percentuale più alta per rinunce e transazioni potrebbe intendersi come esigenza di rigore nell'abbandonare l'azione risarcitoria intrapresa). La transazione stipulata direttamente dagli amministratori, senza delibera assembleare è nulla; e non solo annullabile per difetto di capacità a contrattare, o inefficace (Cass. lav., n. 14963/2011; Cass. I, n. 9901/2007). La successiva eventuale ratifica dell'assemblea avrebbe quindi efficacia solo ex nunc. Non si può però rinunziare ad azioni di responsabilità per fatti tuttora ignoti (rinunzia preventiva); perché neppure l'autorizzazione preventiva dell'assemblea esime l'amministratore da responsabilità (art. 2364 primo comma, n. 5). Una volta consumata la fattispecie di mala gestio potenzialmente dannosa, non hanno efficacia esimente la generica deliberazione di manleva per l'attività svolta in occasione dell'approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.), né, tanto meno la rinunzia preventiva all'azione di responsabilità, eventualmente contenuta in patti parasociali, non infrequenti contestualmente alla cessione di partecipazioni. L'impegno del cessionario a non promuovere l'azione di responsabilità verso il cedente (spesso ex amministratore) è stato tradizionalmente ritenuto nullo, alternativamente, per conflitto di interessi tra socio e società (Cass. I, n. 7030/1994); o per illiceità dei motivi, per la prevalenza dell'interesse di singoli soci su quello della società (Cass. I, n. 10215/2010); o per indeterminabilità dell'oggetto - ove non siano specificati gli episodi esaminati sui quali la società non intenda perseguire gli amministratori (Trib. Milano 10 febbraio 2000, in Giur comm., 2001, 2, 326); o ancora, per elusione dell'art. 2393 c.c., che rende il patto atipico non meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. (Trib. Milano 16 giugno 2014, in Giur. comm., 2015, 2, 1098). In senso parzialmente difforme si è espresso altra giurisprudenza di merito, che ha ritenuto nulla la sola rinuncia preventiva ad esercitare l'azione su condotte dell'amministratore posteriori ad essa (e quindi inconoscibili al momento del patto) – sotto il profilo che essa costituirebbe un incentivo a gestioni negligenti della società, con lesione dell'interesse generale alla correttezza della gestione che è indisponibile ex ante – laddove, la stessa sarebbe valida se l'illecito degli amministratori sia realmente conosciuto (magari per effetto di una due diligence): ciò che del resto renderebbe il patto parasociale perfettamente analogo alla rinunzia deliberata dall'assemblea ai sensi dell'art. 2393, ultimo comma (Trib. Roma 28 settembre 2015, in Giur. comm., 2017, 2, 896). Affinché si configuri una rinunzia all'azione di responsabilità, occorre che essa sia deliberata dall'assemblea in relazione agli specifici episodi di gestione posti a base della pretesa risarcitoria della società (Trib. Roma 1gennaio 2020, in Soc., 2021). Per consentire ai soci di minoranza di esprimere in assemblea il proprio eventuale dissenso sulla rinunzia all'azione o sulla transazione, è necessario che essa venga chiaramente indicata come oggetto dell'ordine del giorno delle materie da trattare, così da evitare che il socio possa essere tratti in inganno da una formulazione generica (Trib. Roma 17 ottobre 2019, in Soc., 2020, 1135, con nota di Papini). In tema di società di capitali a partecipazione pubblica, è costante l'affermazione della giurisdizione ordinaria, allorché si verta di pregiudizio economico al patrimonio dalla società partecipata che solo indirettamente si ripercuota sull'ente pubblico-socio, mediante la diminuzione del valore della quota di partecipazione. La giurisdizione della Corte dei Conti, per contro, sussiste per le società in house e qualora sia prospettato un danno arrecato in via diretta dalla società partecipata all'azionista pubblico (Cass. S.U., n. 4264/2023; Cass. S.U., n. 20632/2022). BibliografiaAbriani, Dalle nebbie della finzione al nitore della realtà: una svolta nella giurisprudenza civile in tema di amministratore di fatto, in Giur. comm., 2, 167; Balzarini, I nuovi orientamenti della corte di cassazione in tema di responsabilità degli amministratori, in Resp. e prev.; 1999, 1319; Bonelli, Gli amministratori di società per azioni-la responsabilità degli amministratori, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Torino, 1985, 16, 427, 488; Bonelli, La responsabilità degli amministratori di società per azioni dopo la riforma delle società, Milano, 2004; Bontempi, La giurisdizione in materia di responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica, in Giornale dir. amm., 2019, 217; Brighenti, Azioni di responsabilità del curatore: appunti su autonomia delle azioni, prescrizione e quantificazione del danno risarcibile, in Soc., 2021, 867; Cameli, Alcuni aspetti processuali dell’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori, in Giust. civ., 2004, 1, 2341; Camilletti, Convenzioni di voto e conflitto di interessi, in Giur. comm., 1997, 2, 99; Carlizzi, I patti parasociali di rinuncia all’azione di responsabilità: una sentenza innovativa ma con qualche ombra, in Corr. giur., 2016, 1258; Carmellino, Azioni di responsabilità esercitate da curatori e commissari, in Fall., 2022, 1450; Ciocca, Patti parasociali e rinunzia all’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori uscenti, in Banca borsa tit. cred, 2012, 3, 141; De Pamphilis, L’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito nel “diritto della crisi pandemica”, in Corr. giur., 2020, 1238; Delle Monache, Concessione abusiva di credito e legittimazione del curatore, in Fall., 2021, 1329; Delucchi, La deliberazione assembleare quale presupposto processuale per l’azione ex art. 2393 cod. civ., in Soc., 1997, 641; Desana, Azione sociale di responsabilità, in Giur. it., 2012, 1, 1074; Fabiani, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo con cessione dei beni: la transizione dalla legge fallimentare al codice della crisi, in Fall., 2019, 1533; Fabiani, Le obbligazioni solidali nelle azioni di responsabilità contro gli organi di controllo nelle società di capitali, in Soc., 2021, 1185; Fiengo, Convenzioni parasociali di rinuncia all’azione sociale di responsabilità, in Giur. comm., 2011, 2, 802; Fimmanò, Le Sezioni Unite aprono ad una giurisdizione concorrente “a tutto campo” della Corte dei conti sulle azioni di responsabilità, in Soc., 2019, 67; Frontini, Prescrizioni brevi e necessaria identità tra illecito penale e civile ex art. 2947, comma terzo, cod. civ. in generale e con riguardo ai rapporti tra azione di responsabilità contro gli amministratori ex art. t. 146 legge fall. e bancarotta fraudolenta, in Giust. civ., 1994, 1, 2859; Guidotti, Amministratore di fatto e negotiorum gestio, in Giur. it., 2000, 770; Irti, Due temi di governo societario (responsabilità amministrativa- codici di autodisciplina), in Giur. comm. 2003, 1, 693; Meruzzi, Competenze gestorie ed esercizio dell’azione sociale di responsabilità nella disciplina delle società per azioni (tra diritto societario generale e diritto speciale delle società bancarie), in Contr. impr., 2022, 769; Papini, Rinunzia all’azione di responsabilità sociale, genericità dell’ordine del giorno e sospensione cautelare della delibera non validamente assunta, in Soc., 2020, 1135; Pernazza, Sub art. 2393, in Codice commentato delle nuove società a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004; Perrone, Sub art. 2393, in Commentario breve al codice civile a cura di G. 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