Codice Civile art. 2396 - Direttori generali (1).

Renato Bernabai

Direttori generali (1).

[I]. Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall'assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati, salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società.

(1) V. nota al Capo V.

Inquadramento

Accanto alla struttura minima prevista dalla legge (amministratori, assemblea, organi di controllo) le società di maggiori dimensioni sono spesso dotate di ulteriori articolazioni organizzative, in cui è presente un organo denominato direttore generale ed eventualmente uno o più direttori di settore. La figura del direttore generale – che, oltre che monocratica, può anche avere forma collegiale di direzione generale, eventualmente giustificata dall'estrema complessità delle funzioni amministrative di una grande impresa, richiedente un ulteriore specializzazione interna di compiti – posta all'interno della struttura gestionale, non è espressamente disciplinata nel codice civile, ma è dotata di una consolidata tipicità sociale.

In realtà, lo stesso sintagma, prima della riforma, non appariva nemmeno nel testo della norma, in cui si parlava genericamente di direttori, bensì solo nella rubrica. Più precisa ed analitica appariva, al confronto, la disciplina dell'art. 148 del codice di commercio del 1882, che prevedeva la possibilità che “per patto sociale o per deliberazione dell'assemblea generale la parte esecutiva delle operazioni sociali sia attribuita ad un direttore estraneo al consiglio di amministrazione”.

Non si identifica con il direttore generale il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari; tra i cui compiti il più rilevante è certamente la predisposizione di “adeguate procedure amministrative e contabili” per le comunicazioni di carattere finanziario, tra cui il bilancio annuale, anche consolidato: figura, disciplinata per la prima volta nel nostro ordinamento con la c.d. legge sul risparmio (l. n. 262/2005), che ha introdotto nel T.U.F. il nuovo art. 154-bis. È da notare, peraltro, che l'ultimo comma di questa norma ripete pedissequamente il testo dell'art. 2396, laddove prevede, parimenti, che “le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, in relazione ai compiti loro spettanti, salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società”.

In carenza di definizione normativa, il ruolo del direttore generale è stato messo a fuoco prevalentemente dalla dottrina ed identificato, di volta in volta, in un dipendente della società officiato della corretta esecuzione delle decisioni del consiglio di amministrazione; o nel funzionario della società dotato di una posizione di primazia rispetto agli altri prestatori di lavoro subordinato, destinato a mansioni di alta amministrazione, con ruolo di coordinamento, e onerato di un dovere di vigilanza che è il presupposto della responsabilità impostagli dalla norma.

Non manca neppure, in dottrina, chi ritiene ipotizzabile anche un rapporto di lavoro autonomo a fondamento della carica del direttore generale.

Benché disciplinata espressamente solo dalla norma in esame in tema di s.p.a, la figura del direttore generale può essere presente in altre società di capitali; e perfino di persone, anche se sembra naturalmente consona ad un'impresa di medie e grandi dimensioni (Trib. Salerno 10 dicembre 2009, in Giur. comm., 2011, 2, 455, per un'applicazione alla società in accomandita semplice). La disciplina prevista per la responsabilità degli amministratori si applica al direttore generale la cui posizione apicale all'interno della società sia desumibile da una nomina formale dell'assemblea o del consiglio di amministrazione, in base ad una previsione statutaria: non essendo configurabile un'interpretazione analogica che consenta di estenderne il regime ad altre ipotesi (Cass. VI-III, n. 345/2020).

I compiti del direttore generale

Il direttore generale sostituisce, in pratica, l'organo amministrativo nell'attuazione delle scelte operative, pur non potendo essere delegato allo svolgimento della totalità delle sue funzioni, stante la natura imperativa dell'art. 2380-bis (“La gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori”); e per coerenza sistematica, si deve pure ritenere ammissibile, in ogni caso, la revoca, anche implicita, della delega al direttore generale da parte dell'organo amministrativo che avochi a sé il compimento dell'atto di gestione. Non è sempre agevole distinguere le funzioni di amministratore, consistenti nella gestione dell'impresa da quelle di direttore generale, che attengono, invece, all'esecuzione, seppure al più elevato livello, delle disposizioni generali impartite nel corso di tale gestione. Quando esse si assommino nella stessa persona, si instaurano due distinti rapporti: rispettivamente, di amministrazione e di lavoro subordinato (App. Venezia 28 giugno 2022 n. 325).

In particolare, pur potendo partecipare alle riunioni del consiglio di amministrazione, il direttore generale non dispone del diritto di voto e non concorre, quindi, alla formazione della volontà sociale.

Al riguardo, occorre aggiungere che si è pure sostenuta la tesi che i direttori generali possano assumere rilievo operativo pari, o perfino preminente, rispetto agli amministratori: cui solo formalmente, quindi, sarebbero subordinati (Trib. Santa Maria Capua Vetere, 13 gennaio 2009, in Fall., 2010, 94).

Sulla base della vicinanza di tale figura a quella dell'organo amministrativo, nell'organizzazione dell'impresa, attestata proprio dalla disciplina della responsabilità ex art. 2396, la Corte suprema ha ritenuto che l'autorizzazione rilasciata dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 72, comma 5, d.lgs. n. 385/1993, al commissario straordinario per l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dei disciolti organi sociali deve ritenersi comprensiva anche dei direttori generali (Cass. I, n. 13765/2007).

Parte della dottrina riconduce il direttore generale alla figura dell'institore, dotato di un potere legale di rappresentanza, anche processuale, per gli atti compiuti nell'esercizio dell'impresa cui è preposto (art. 2204). La giurisprudenza, sul punto, mostra invece di propendere per la necessità di una specifica attribuzione, nello statuto, di tale potere al direttore generale, che, a differenza dell'institore, potrebbe esserne privo (Cass. lav., n. 11661/2006; Cass. III, n. 10096/2007; Cass. V, n. 18090/2004).

Del resto, il potere di rappresentanza esterna della società non costituisce un elemento indispensabile dell'ufficio, dal momento che la conclusione diretta di contratti di impresa non ricade nell'area delle attribuzioni essenziali del direttore generale. Occorre aggiungere, sul punto, che, sia in dottrina, che in giurisprudenza, è ritenuto ammissibile il conferimento di rappresentanza anche per fatti concludenti: in particolare, quando siano affidati al direttore generale compiti il cui svolgimento implichi necessariamente il potere rappresentativo (Cass. I, n. 10229/1997).

In carenza di tale attribuzione, espressa o tacita, è quindi nulla la procura rilasciata dal direttore generale della società al difensore senza indicare la qualità di legale rappresentante e senza dimostrare la fonte dei poteri rappresentativi, contestata da controparte (Cass. lav. n. 14813/2003).

Controversa è la compatibilità, per lo più negata, tra la carica di direttore generale – che è, nell'ipotesi ordinaria, un dipendente della società: come si evince dal riferimento contenuto, in chiusura di norma, al rapporto di lavoro, che costituisce la novità più rilevante introdotta, in materia, dal d.lgs. n. 6/2003 – e quella di amministratore.

Nomina e regime di responsabilità

La nomina può derivare direttamente dallo statuto (il testo previgente parlava di atto costitutivo) o, in via alternativa subordinata, dall'assemblea ordinaria (competente, pure, per la nomina degli amministratori: art. 2364, primo comma, n. 2). La giurisprudenza di legittimità ha però da sempre ritenuto legittima anche la nomina del direttore generale da parte del consiglio di amministrazione, ove lo statuto non la riservi all'assemblea (Cass. I, n. 2113/1973).

Problema diverso è se il regime di responsabilità, parificato dalla norma a quella degli amministratori, differisca, in concreto, a seconda della fonte della nomina; in particolare, restando in parte inapplicabile ai direttori generali di nomina consiliare, come ritenuto già da una risalente giurisprudenza (Trib. Milano 25 febbraio 1971, in Giur. it., 1971, 1, 2, 564). In quest'ottica non sarebbe condizione sufficiente l'aver ricoperto la carica di direttore generale, occorrendo pure l'originarietà delle attribuzioni, quale assicurata dall'investitura formale indicata dalla norma: ciò che solo conferirebbe al direttore generale il potere di resistenza a decisioni illecite degli amministratori, premessa indispensabile della pari responsabilità.

In coerenza con tale impostazione, si nega, pertanto, che l'azione sociale debba essere autorizzata dall'assemblea, ex art. 2393, nell'ipotesi in cui il direttore generale sia stato nominato dal consiglio d'amministrazione, a ciò abilitato dallo statuto.

Unulteriore elemento distintivo, questa volta di carattere generale, rispetto alla responsabilità degli amministratori, è stato ravvisato nell'inapplicabilità, nei confronti del direttore generale, della sospensione della prescrizione, ai sensi dell'art. 2941, n. 7, c.c., ritenuto norma eccezionale (Cass. I, n. 13765/2007).

Deve, per contro, ritenersi ammissibile anche l'azione sociale di responsabilità esercita tata dai soci (art. 2393-bis); ma non verso il direttore generale assunto per autonoma scelta del consiglio di amministrazione, senza autorizzazione assembleare o statutaria.

Nell'ipotesi di condanna, il direttore generale avrà azione di rivalsa pro quota verso gli amministratori, cui però non potrebbe opporre l'accertamento di responsabilità nei suoi confronti (art. 1306).

Per altro verso, la qualità di dipendente della società (la cui necessità è negata, peraltro, da una parte della dottrina), importa l'applicazione del contratto di lavoro nei confronti del direttore generale; ed in particolare, delle norme e dei contratti collettivi relativi alla figura del dirigente d'impresa, con la conseguente possibilità del licenziamento ad nutum. Secondo l'opinione maggioritaria prima della riforma la revoca del direttore generale si riteneva di competenza del medesimo organo della società che aveva provveduto alla nomina.

La dizione letterale della norma sembra assegnare, però, alla responsabilità ex contractu una posizione sussidiaria rispetto alla responsabilità sociale. È dubbio, quindi, se nel concorso dei presupposti di entrambe le azioni la società (e solo essa) possa cumulare le domande: esclusa, naturalmente, la duplicazione dei risarcimenti e salva la diversità dei presupposti e dei relativi oneri probatori.

Se la condanna fosse fondata sulla violazione del contratto di lavoro, non vi sarebbe, però, regresso pro quota nei confronti degli amministratori.

L'azione sociale di responsabilità nei confronti del direttore generale della società per azioni che agisca nell'ambito delle deleghe conferitegli dal consiglio di amministrazione, non si differenzia da quella avverso l'amministratore esecutivo: cosicché vale il principio dell'insindacabilità delle scelte di gestione (cd. business judgement rule): salva l'irragionevolezza delle scelte, valutabile ex ante secondo i parametri di diligenza di cui all'art. 2392 c.c., tenuto conto, in particolare, della mancata adozione delle cautele normalmente richieste, per decisioni di tale tipo, nell'apprezzare i margini di rischio (Cass. III, n. 12108/2020).

Sotto il profilo processuale della giurisdizione e della competenza, si osserva che, secondo Cass. S.U., n. 8429/2010, anche per le azioni di responsabilità nei confronti dei direttori generali di società in mano pubblica vale il consueto criterio di riparto di giurisdizione fondato sull'incidenza del danno sulla società (giudice ordinario), o sugli enti pubblici soci (Corte dei Conti); e che qualora la responsabilità del direttore generale di una società per azioni sia stata dedotta sotto il profilo delle inadempienze poste in essere nello svolgimento del rapporto di lavoro, in violazione degli obblighi di diligenza, fedeltà e lealtà, l'azione non va proposta alla sezione specializzata di cui al d.lgs. n. 168/2003, bensì al giudice del lavoro, attesa l'espressa salvezza stabilita dall'art. 2396 c.c. (Cass. VI, n. 15619/2015; Cass. VI-III, n. 345/2020).

Il direttore generale «di fatto»

Secondo l'opinione prevalente, l'applicazione dell'art. 2396 esige una nomina formale.

Non mancano, però, opinioni divergenti, sulla prevalenza delle funzioni in concreto svolte, rispetto alla qualificazione formale e all'eventuale irritualità delle modalità di nomina. In tale evenienza si viene a delineare la figura del direttore generale di fatto.

Con la qualificazione “di fatto”, si suole indicare, in tesi generale, l'organo, che pur rivelando assonanze, nei poteri e nelle funzioni, con quello tipico, dal corrispondente nomen juris, difetti, però, di un elemento costitutivo: o perché del tutto assente, o perché viziato da invalidità.

La prassi si è talmente diffusa, nel tempo, soprattutto nel campo del diritto di impresa, più duttile e sensibile alle esigenze mutevoli del mercato, che talvolta lo stesso legislatore si è preoccupato di inibirla espressamente, come nel caso dell'art. 2409-octiesdecies, secondo comma.

Si pone quindi il problema della tutela dei terzi che facciano affidamento incolpevole sull'effettiva titolarità dell'ufficio da parte di chi lo eserciti in modo ostensibile, pur in carenza di rituale investitura: problema, particolarmente delicato in presenza di pubblicità legale che discrimini l'opponibilità ai terzi della situazione apparente.

Al riguardo, si assiste ad un atteggiamento divergente della giurisprudenza in relazione ai vari organi sociali interessati dal fenomeno. Mentre è ormai consacrata, infatti, la configurabilità dell'amministratore di fatto, soggetto a responsabilità civile e penale al pari dell'amministratore legittimo, analoga possibilità si è negata a proposito dei sindaci (Cass. I, n. 22575/2014) e dei direttori generali.

Si è osservato, al riguardo, che poiché la problematica dell'amministratore di fatto si è sviluppata soprattutto in ordine ai profili di responsabilità, da cui egli sarebbe esente ove si considerasse escluso dalla disciplina ex art. 2392 – in tal modo acquisendo, addirittura, una patente privilegiata di immunità – il problema non avrebbe ragione di porsi a proposito del direttore generale di fatto, nominato in violazione dell'art. 2396 o privo affatto di nomina formale, data la possibilità di esperire nei suoi confronti le azioni fondate sul rapporto di lavoro sottostante, richiamato dall'art. 2396, oltre che l'azione generale di danni di natura extracontrattuale (art. 2043).

Si è pertanto statuito che, in tema di azione di responsabilità nei confronti del direttore generale di società di capitali, la disciplina prevista per la responsabilità degli amministratori si applica, ai sensi dell'art. 2396, esclusivamente se la posizione apicale di tale soggetto all'interno della società sia desumibile da una nomina formale da parte dell'assemblea, o anche del consiglio di amministrazione in base ad apposita previsione statutaria: non avendo il legislatore fornito, infatti, una nozione intrinseca di direttore generale collegata alle mansioni svolte, non è configurabile alcuna interpretazione estensiva od analogica che consenta di allargare lo speciale ed eccezionale regime di responsabilità di tale figura ad altre ipotesi, salva la ricorrenza dei diversi presupposti dell'amministratore di fatto (Cass. I, n. 23630/2015; Cass. I, n. 28819/2008).

La nomina rituale sarebbe, in ultima analisi, un requisito essenziale, anche se non sufficiente, perché il direttore entri a far parte della struttura organizzativa della società, divenendo, in tal modo, soggetto alla responsabilità degli amministratori.

La tesi non sembra del tutto convincente. Nei confronti della società, non si può dire che la disciplina del rapporto di lavoro copra ogni profilo di responsabilità prefigurato dall'art. 2392 con riguardo agli amministratori, perché questa norma presuppone dei doveri più incisivi che non l'ordinario contratto di lavoro subordinato: doveri, ivi modulati tra l'altro, anche sulla base delle specifiche competenze.

Inoltre, tra la responsabilità degli amministratori regolata dal diritto societario e quella derivante da un rapporto di lavoro con la società sussistono rilevanti diversità: in ordine alla promozione dell'azione - di competenza dell'assemblea ex art. 2393, nel primo caso e spettante invece al consiglio di amministrazione, tenuto ad esercitarla, se fondata sul rapporto di lavoro; nonché, riguardo alla prescrizione - quinquennale nel primo caso e ordinaria, decennale, nel secondo - ed alla competenza, rispettivamente del tribunale delle imprese (Cass. I, n. 23630/2015) o del giudice del lavoro (con applicazione del relativo rito).

Ove poi si consideri che il richiamo alle disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori appare inclusiva della responsabilità verso terzi, oggetto delle azioni previste dagli artt. 2394 e 2395 (inclusione, che nell'art. 148 del codice di commercio del 1882 era esplicita: “il direttore è responsabile verso i soci e verso i terzi, al pari degli amministratori, per l'adempimento dei suoi doveri... nonostante qualunque patto contrario e sebbene egli sia sottoposto all'autorità alla sorveglianza degli amministratori stessi”), non sarebbe neppure in astratto invocabile, in tali fattispecie, la disciplina del rapporto di lavoro subordinato: anche se questa sembra, comunque, un'ipotesi scolastica, praticamente configurabile nel solo caso di usurpazione di funzioni amministrative da parte del direttore generale, destinata, perciò stesso, a ricondurlo alla figura dell'amministratore di fatto (per la soggezione dei componenti della direzione centrale di una banca all'azione di responsabilità ex art. 2395, cfr. Trib. Milano 31 gennaio 2002, in Giur. comm., 2004, 2, 101). Sotto il profilo penale si è statuito che fra i soggetti attivi in tema di reati fallimentari, exart. 223 R.d. n. 267/1942, vi è anche il direttore generale della società di capitali, che, rivestendo un ruolo apicale all'interno della società, è tenuto al rispetto delle leggi e dello statuto societario al pari degli amministratori, per gli ampi poteri di cui dispone, nonostante egli sia legato alla società da un rapporto di dipendenza, e non da un rapporto organico (Cass. pen., V, n. 39449/2018).

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