Codice Civile art. 2399 - Cause d'ineleggibilità e di decadenza (1).

Enrico Quaranta

Cause d'ineleggibilità e di decadenza (1).

[I]. Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall'ufficio:

a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 2382;

b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo;

c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza.

[II]. La cancellazione o la sospensione dal registro dei revisori legali e delle società di revisione legale (2) e la perdita dei requisiti previsti dall'ultimo comma dell'articolo 2397 sono causa di decadenza dall'ufficio di sindaco.

[III]. Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché cause di incompatibilità e limiti e criteri per il cumulo degli incarichi.

(1) V. nota al Capo V.

(2) Le parole «dei revisori contabili» sono state sostituite dalle parole «dei revisori legali e delle società di revisione legale» dall'art. 37, comma 6, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39.

Inquadramento

La norma in commento si pone l'obiettivo di rafforzare l'autonomia dell'organo di controllo rispetto all'organo di gestione ed alla maggioranza dei soci, individuando particolari requisiti di capacità ed indipendenza, che si assommano a quelli di professionalità – diretti allo stesso fine – indicati dall'art. 2397 c.c.

Ad ogni modo essa consente all'autonomia statutaria di prevedere ulteriori cause di ineleggibilità o di decadenza, nonché di incompatibilità ed ulteriori limiti e criteri per il cumulo degli incarichi.

A tale ultimo riguardo è stato osservato che l'assemblea non potrebbe introdurre ipotesi di automatica cessazione dell'incarico di tipo sanzionatorio, in quanto queste ultime integrerebbero altrettante ragioni di giusta causa di revoca così traducendosi in indebolimento della indipendenza dei sindaci (Ambrosini, 206; Aiello, 483), utilizzabile a fini ritorsivi da parte della maggioranza.

Cause di ineleggibilità

Le ipotesi di cui alla lettera a)

Il primo comma dell'articolo in commento è dedicato all'elencazione della cause di ineleggibilità e di decadenza dei sindaci.

La lettera a) del primo comma si riferisce a stati di incapacità giuridica, in relazione a qualsiasi soggetto che intenda ricoprire la carica di sindaco, tramite un espresso rinvio all'art. 2382 c.c., che disciplina, a sua volta, le cause di incompatibilità all'assunzione della suddetta per gli amministratori societari.

Tali cause corrispondono a: interdizione, inabilitazione, fallimento, sussistenza di una condanna ad una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici ovvero l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.

Risulta, pertanto, ineleggibile il soggetto che abbia riporta una condanna ad una pena accessoria, in aggiunta a quella principale, consistente nell'interdizione dai pubblici uffici e nell'incapacità ad esercitare uffici direttivi.

In particolare, l'interdizione perpetua deriva da una condanna alla pena della reclusione non inferiore a cinque anni, mentre l'interdizione temporanea si perfeziona in caso di condanna alla pena della reclusione non inferiore a tre anni e non superiore a cinque. L'incapacità di esercitare uffici direttivi, invece, deriva da una condanna alla pena della reclusione non inferiore a sei mesi in caso di delitti commessi con abuso di poteri o violazione dei doveri di ufficio.

In ogni caso, però, la condanna che genera la causa di ineleggibilità deve essere passata in giudicato; inoltre, la pena accessoria non deve essere stata sospesa, la pena della reclusione non deve essere stata convertita in pena pecuniaria, e non deve essere stato esperito il patteggiamento.

Per altro verso, non può essere designato sindaco il rappresentante comune degli obbligazionisti, ex art. 2417 c.c.

Altre cause d'ineleggibilità si rinvengono, poi, in disposizioni di leggi speciali.

È il caso dei componenti del CSM (art. 33 l.n. 195/1958), dei commissari Consob (art. 1, comma 5, sub art. 1, l. n. 216/1974) e di coloro che sono interdetti temporaneamente per effetto di condanna al pagamento di sanzioni amministrative per violazione in materia di imposte dirette ed IVA (art. 12 d.lgs. n. 471/1997 e art. 21 d.lgs. n. 472/1997).

La dottrina si è interessata della questione inerente l'eleggibilità di una società quale sindaco di un'altra compagine, a causa della necessaria iscrizione al registro dei revisori legali.

Alcuni autori ritengono che l'art. 2397, comma 2, non ponga distinzioni tra persone fisiche e società, convenendosi che anche una società di revisione possa rivestire la qualifica di sindaco (Campobasso, 395); comunque, nel registro dei revisori possono iscriversi, oltre alle persone fisiche, le società aventi i requisiti previsti dalla legge (art. 2 d.lgs. n. 39/2010, come modificato dal d.lgs. n. 135/2016).

Altra parte della dottrina, invece, è contraria, dal momento che numerose norme di riferimento si applicano solo alle persone fisiche e non a soggetti diversi, ed in base alla circostanza che la limitazione dell'oggetto sociale, appena riferita, riguardi attività diversa da quella richiesta ai sindaci (Domenichini, 730; Fauceglia, 588).

Alcuni autori sostengono che a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 2 d.lgs. n. 39/2010 – che, a differenza di quanto previsto dalla disciplina previgente, contenuta nell'art. 6 d.lgs. n. 88/1992, non richiede più che, ai fini dell'iscrizione nel relativo registro dei revisori legali, la società abbia come oggetto esclusivo la revisione e l'organizzazione contabile delle società – sia venuto meno uno degli impedimenti a che quelle società possano assumere la veste di sindaco. Ciò in considerazione del fatto che a tal organo spettano attività diverse e più ampie di quelle cui, viceversa, risultavano in pregresso vincolate le società di revisione (Cavalli).

Le ipotesi di cui alla lett. b) ed alla lett. c)

Le ulteriori ipotesi di incompatibilità disposte dall'art. in commento si differenziano da quelle precedenti in quanto non assolute e non valide erga omnes, bensì inerenti a determinati soggetti che, allorquando si trovino in particolari condizioni e situazioni, non possono essere nominati sindaci.

La lett. b) elenca delle incompatibilità basate sui rapporti di natura personale, stabilendo che non possono ricoprire la carica di sindaco coloro il cui coniuge, ovvero uno dei parenti o affini entro il quarto grado, sia amministratore della società e parimenti non possono essere nominati sindaci gli amministratori, il coniuge, i parenti e affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo.

La ratio iuris sottesa alle previsioni analizzate è rivolta alla tutela dell'indipendenza dei sindaci, evitando rapporti personali che possano minare l'autonomia nello svolgimento dei propri doveri.

La lett. c) prevede invece l'incompatibilità a ricoprire l'ufficio per coloro che vantino rapporti di lavoro, di consulenza continuativa o di prestazione d'opera retribuita con la società, ovvero con le società da questa controllate o le società che la controllano o quelle sottoposte a comune controllo.

Trattasi di una previsione giustificata dalla volontà del legislatore di evitare pressioni ed influenza da parte del datore di lavoro.

La dottrina ha criticato la norma ritenendo che peccasse di eccessivo formalismo, non prevedendo anche ulteriori rapporti e vincoli ugualmente lesivi dell'indipendenza del collegio sindacale, come quelli di convivenza, amicizia, ovvero i rapporti familiari di fatto.

A tal ultimo proposito, esiste un certo numero di autori che propende per l'interpretazione estensiva del divieto prevista per coniugi e familiari degli amministratori della società, che appare coerente – in chiave sistematica – con la legislazione che l'ordinamento ha apprestato in tempi recenti, proprio per estendere il riconoscimento ed il rilievo giuridico a tali relazioni.

Tuttavia, allo stato appare ancora più ampio il fronte della dottrina che si oppone ad una tale lettura (Cavalli; Rigotti; Tedeschi).

Inoltre, è stata negata la possibilità di estendere la causa di incompatibilità, inerente ai familiari degli amministratori della società controllante, anche ai familiari del socio controllante diverso da una società (Rigotti; Tedeschi).

Ciò sul presupposto del riferimento, quanto ai rapporti di controllo rilevanti, alla disciplina di cui all'art. 2359, comma 1.

La dottrina appare invece schierata prevalentemente a favore di un'interpretazione estensiva del divieto per tutti colori che siano legati dai vincoli esaminati ai liquidatori della società, in questo senso parificati agli amministratori.

Quanto ai menzionati rapporti di lavoro tra il soggetto intenzionato a ricoprire la carica di sindaco e la società, ovvero le società da questa controllate o le società che la controllano o quelle sottoposte a comune controllo, la norma si riferisce ai rapporti continuativi di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero di altri rapporti di natura patrimoniale.

La dottrina ha interpretato in modi differenti il requisito della continuità.

Secondo alcuni, essa va considerata quale stabilità del rapporto (Frè, Cavalli, Domenichini), tanto da pervenire a considerare compatibili con l'incarico di controllo occasionali prestazioni d'opera professionale.

Altro orientamento, riferendosi alla ratio della norma, pone viceversa l'accento sul profilo della ripetitività di suddette prestazioni, per farne derivare il presupposto applicativo del divieto (Caselli, 256; Tedeschi, 39).

La dottrina ha rinvenuto, poi, l'incompatibilità dell'incarico in ogni rapporto di natura patrimoniale capace di compromettere l'indipendenza del sindaco, includendo anche il singolo incarico professionale di rilevanza economica tale da mettere in pericolo la liberà di giudizio del sindaco, così come meri rapporti di consulenza o di assistenza con compensi stabiliti a forfait (Caselli, 256).

L'incompatibilità riguarderebbe, ad avviso di alcuni autori, anche i rapporti di fornitura di beni, allorquando siano dotati di consistente rilevanza economica, in quanto aventi natura patrimoniale, in grado di compromettere l'indipendenza dell'eventuale sindaco (Rigotti, 106).

Specificamente, per quanto attiene al rapporto sussistente tra le due parti ex lett. c), sono emersi due orientamenti contrapposti. Il primo, restrittivo, secondo il quale non vi è correlazione tra la previsione di incompatibilità per coloro che sono legati alla società da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, e la previsione relativa a coloro che sono legati da altri rapporti patrimoniali che ne compromettano l'indipendenza.

Esso fonda sul dato letterale della norma e sull'avviso che la stessa contenga un'elencazione casistica, per cui l'ultima ipotesi rappresenterebbe una categoria residuale.

Pertanto, mentre al verificarsi dei casi di cui alla lett. b) ed alla prima parte della lett. c) maturerebbero sempre i profili dell'incompatibilità, per quelli diversi la condizioni presupporrebbe sempre l'idoneità del rapporto a compromettere l'indipendenza del sindaco (Cavalli; Quagliotti).

Tra i sostenitori di questa posizione prevale comunque il convincimento che per «altri rapporti» dovrebbero intendersi non quelli necessariamente diversi dalla prestazione d'opera o di consulenza, quanto quelli privi di continuità.

Il secondo orientamento, invece, ritiene che le previsioni incluse nella prima parte della lettera in analisi costituiscano delle mere esemplificazioni ed indicazioni della situazione disciplinata in modo generale nella parte restante dell'articolo.

In altre parole, le incompatibilità dettate dalla parte iniziale della lett. c) dovrebbero essere interpretate con meno rigore, permettendo di ritenere che esse non integrino una presunzione di mancanza d'indipendenza, da verificare in concreto.

In proposito, il legislatore non ha fissato alcuna soglia quantitativa. Così come la Commissione Europea, che pur ha considerato privo di indipendenza il sindaco che percepisce un totale di corrispettivi – per la propria prestazione di consulenza, dal cliente o da un gruppo di clienti – che oltrepassi una generica soglia critica dei propri ricavi (Racc. Comm. UE 16 maggio 2002).

Va detto, ad ogni modo, che la dottrina è apparsa generalmente contraria alla previsioni a monte di soglie rilevanti, preferendo il sistema della verifica caso per caso della ricorrenza delle condizioni di compromissione dell'autonomia dell'organo di controllo.

La lett. c) – differentemente dall'art. 148 TUF – non prevede, quali rapporti incompatibili con la funzione di sindaco, quelli di natura economica intrattenuti con gli amministratori della società.

Lacuna contrastata da alcuni autori che considerano viceversa incompatibile tale rapporto, ove sia tale da integrare un legame tra sindaco e società, come nel caso in cui il vincolo tra il potenziale sindaco e l'amministratore sia inerente all'attività svolta da quest'ultimo.

Ulteriore interpretazione dottrinaria è stata fornita in relazione alla lacuna normativa relativa alla mancata previsione dei rapporti pregressi come cause di incompatibilità per gli aspiranti sindaci, risolvendo la questione alla luce della qualificazione della norma in commento come norma di principio (Providenti, 238).

L'ineleggibilità all'incarico riguarda anche i soggetti legati economicamente alle società controllanti o a quelle sottoposte a controllo ovvero ai soggetti legati a tutte le società del gruppo (Domenichini, 542; Cera, 526), sul presupposto condiviso dalla dottrina prevalente che rilevi, ai fini della verifica del rapporto di controllo, quanto dettato dall'art. 2359 (Cavalli, 28).

In ordine alla possibilità di assumere la veste di sindaco di più società del gruppo, a fronte di un orientamento negativo – sotto l'egida della disciplina previgente – allo stato risulta viceversa affermata la tesi favorevole, caldeggiata del resto anche dalla stessa Consob (Racc. 9701574202) per l'utilità pratica che può conseguire alla circostanza che un componente del collegio sindacale della capogruppo sia nominato tale anche nelle controllate.

La giurisprudenza di merito ha prediletto un approccio temperato e meno netto, ritenendo escluse dalla previsione in commento le prestazioni d'opera intellettuale occasionali e sporadiche, come le consulenze professionali rese saltuariamente (ex multis, Trib. Milano 28 maggio 1990; Trib. Milano 30 maggio 1998).

Secondo la giurisprudenza di legittimità,  l'art. 2399, comma 1, lett. c), nello statuire che sono incompatibili con la carica di sindaco coloro che sono legati alla società da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza, impone al giudice di merito di verificare non solo se il controllore sia direttamente coinvolto nell'attività da controllare, ma anche che essa non riguardi, piuttosto, un socio o un associato del sindaco. In tali casi, è legittimo confrontare i ricavi derivanti al sindaco dal rapporto di collaborazione, in ragione della sua posizione nella compagine associativa, e il compenso conseguente alle sue funzioni di controllo; e concludere che l'indipendenza del controllore è messa in pericolo tutte le volte in cui egli si possa attendere dal rapporto di consulenza un ritorno economico personale superiore a quello che gli deriva dalla retribuzione sindacale (Cass. n. 9392/2015).

Con riguardo alla causa di ineleggibilità per i sindaci, prevista dall'art. in commento, relativa all'esistenza con la società medesima di un rapporto continuativo di prestazione d'opera retribuita, l'incompatibilità non sussiste soltanto in presenza di rapporti di lavoro subordinato, ma ogniqualvolta ricorra un legame avente ad oggetto attività professionali rese anche nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo, a titolo oneroso e con carattere né saltuario, né occasionale (come per la tenuta di libri contabili, ovvero nella consulenza ed assistenza fiscale e nell'espletamento di tutti gli adempimenti di natura fiscale e previdenziale).  

In tn tale ottica ed in chiave oltremodo estensiva la Corte ha da ultimo evidenziato  che l'ineleggibilità alla carica di sindaco prevista dall'art. 2399, comma 1, lett. c), c.c. è configurabile non solo quando il controllore sia direttamente implicato nell'attività sulla quale dovrebbe esercitare il controllo, ma anche quando tale attività sia prestata da un socio o da un collaboratore dello studio di cui faccia parte il sindaco, ove quest'ultimo si trovi in una situazione che ne comprometta l'indipendenza, legittimamente valutabile da parte del giudice di merito alla luce del criterio della percentuale allo stesso spettante dei crediti derivanti dall'attività svolta dal suo socio o collaboratore in favore della società. In applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto l'ineleggibilità in ragione della percentuale del 70 per cento spettante al sindaco sui crediti ricavabili dall'attività di consulenza continuativa svolta in favore della società dal socio del suo studio di commercialista. (Cass. II - n. 29406/2022).

  Tuttavia, la grave situazione di irregolarità gestionale derivante dal doppio e contemporaneo esercizio delle funzioni di sindaco e professionista incaricato integra pertanto, a carico degli amministratori, la responsabilità di cui all'art. 2392 c.c., per violazione del dovere di diligenza, in relazione all'omessa vigilanza sull'operato del soggetto che, anziché effettuare da una posizione di imparzialità il dovuto controllo sull'amministrazione, si sia reso autore e partecipe della stessa gestione da controllare (Cass. n. 19234/2008).

Decadenza

Secondo l'art. in commento, un sindaco decade dalla propria carica ogni volta in cui si trovi, successivamente alla sua elezione, in un rapporto che integri una causa di ineleggibilità e rga omnes, oppure una causa di incompatibilità, ovvero sia carente dei requisiti ex art. 2397 c.c.

In relazione a quest'ultima causa, si sottolinea la necessità che, nel verbale assembleare di nomina, siano indicati i requisiti professionali che hanno portato alla scelta di quel candidato, in modo che, in caso di perdita di essi, sia giustificata la decadenza.

Spesso, infatti, accade che un soggetto possieda entrambi i requisiti derivanti dagli artt. 2397 e 2399 c.c., riuscendo a conservare la propria nomina anche nel caso di perdita di uno di essi, nel caso in cui nel relativo verbale di nomina non sia stato evidenziato quello che ha permesso di far ricadere la scelta su di lui.

Il legislatore del 2003 ha, altresì, previsto la possibilità di includere nuove ed ulteriori cause di decadenza nel testo dello statuto della società.

Allorquando un sindaco decade dalla propria carica, subentra uno dei supplenti, seguendo un ordine di età, ex art. 2401 c.c.

La dottrina ha evidenziato come le cause di decadenza, inerenti alla perdita dei requisiti di eleggibilità, operino automaticamente (Tantini, 58).

Tuttavia, occorre un atto attraverso il quale l'intervenuta decadenza venga accertata e quindi resa conoscibile, ad opera della società, per i terzi.

In tal modo, ad esempio, si giustifica l'obbligo a carico degli amministratori di provvedere entro 30 giorni all'iscrizione nel registro delle imprese della cessazione dei sindaci dall'incarico, poiché tale formalità fonda l'opponibilità dell'evento ai terzi, dal momento che l'accertamento intercorso all'interno del circuito societario non ha valenza verso l'esterno.

Inoltre, è stata negata la possibilità di estendere analogicamente la regola prevista per le società quotate, in forza della quale la decadenza può essere dichiarata dal consiglio di amministrazione, ritenendo che gli unici organi competenti siano il collegio sindacale (Tedeschi, 252) e l'assemblea.

In ogni caso, un sindaco può impugnare la dichiarazione di decadenza, rimettendo il relativo accertamento all'autorità giudiziaria.

G Sul punto la giurisprudenza di merito, confermando il carattere automatica di questa decadenza, ne ha fatto derivare la conseguenza che la delibera assembleare, con la quale ne venga riconosciuto il verificarsi, abbia efficacia dichiarativa ed operi ex tunc, cioè dal momento in cui si è realizzata la causa (Corte d'Appello Napoli, sez . spec. impr., 11/03/2022)

In motivazione la CdA ha evidenziato come in passato, soprattutto in dottrina, fosse stata sostenuta la differenza tra le cause di decadenza ordinaria (art. 2399 c.c.) e di quella sanzionatoria (artt. 2404 e 2405 c.c.), sicché solo per le prime essa operasse in maniera automatica. Ha quindi aggiunto che appare ormai consolidato l'orientamento, ritenuto più condivisibile, che afferma l'operatività automatica della decadenza in ogni caso (in tal senso, Cass. n. 2009/1982; Cass. n. 1676/1957; Cass. n.  1943/1956; nonché Cass. n. 11554/2008, in motivazione).  

L'orientamento citato, secondo la CdA sarebbe fondato poiché volto ad evitare una differente operatività della decadenza a seconda delle cause che ne hanno determinato l'applicazione, ingiustificato per l'identica formulazione letterale delle norme (artt. 2399,2404 e 2405 c.c.), secondo le quali l'amministratore "decade" dall'ufficio al verificarsi delle fattispecie ivi previste, sia in ragione dell'art. 2401 c.c. che prevede un meccanismo di sostituzione automatica in ogni caso di decadenza.

La CdA ha pertanto concluso che, una volta riconosciuta l'automatica operatività della decadenza, la relativa delibera non possa che avere efficacia dichiarativa operando ex tunc, cioè dal momento del verificarsi della causa di decadenza (in tal senso, cfr. anche Trib. Milano 15/3/1956 in Giur. it. 1956, I, 2, 748 ss.; Trib. Genova 19/7/1993 in Giur. it. 1994, I, 2, 327).

Contro l'automaticità della decadenza si segnala  Corte d'Appello Catania I, 8  ottobre 2019, secondo cui la decadenza dei sindaci di cui all'art. 2399, lett. c), c.c., non opera automaticamente, ma dal momento dell'accertamento della causa che la determina, in quanto la valutazione circa l'integrazione della fattispecie ha un inevitabile margine di discrezionalità tecnica, trattandosi di ravvisare, nell'un caso, la sostanziale continuità del rapporto e, nell'altro, la compromissione dell'indipendenza del sindaco.

Ciò che rileverebbe, quindi, anche sulla decorrenza degli effetti della delibera accertativa

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che ricorra la decadenza automatica dall'incarico nel caso in cui il sindaco diventi consulente professionale retribuito dall'impresa, non essendo necessaria una delibera assembleare.

Più di recente ha, altresì, stabilito che le delibere adottate dal collegio sindacale, in presenza di un sindaco decaduto, siano tutte invalide, anche nel caso in cui il voto di quest'ultimo non sia stato dirimente per l'adozione di una decisione.

L'invalida composizione del collegio estende la sua efficacia negativa anche nei confronti delle deliberazioni assembleari di approvazione del bilancio, dato che in tale procedimento la relazione del collegio sindacale costituisce un momento essenziale (Cass. N. 11554/2008).

In relazione alla decadenza dalla carica di sindaco di colui che si trova nella situazione di ineleggibilità prevista dall'art. 2399 c.c., essa opera automaticamente, con la conseguenza che nei confronti della parte, che non abbia mai ricoperto la carica di sindaco, non può esercitarsi l'azione di responsabilità ex art.  146 l. fall. (Cass. N. 22575/2014).

La previsione della decadenza dall'ufficio, in caso di cancellazione o sospensione dal ruolo o dall'albo, per i sindaci scelti nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti o in un albo professionale determinato dalla legge, risponde all'esigenza di garantire la funzionalità del collegio, dotato di compiti di vigilanza continua sulla gestione della società, nonché di funzioni ispettive esercitabili anche individualmente, per cui non è configurabile una diversità di situazioni fra sospensione sanzionatoria e sospensione cautelare (Corte cost. n. 401/1989).

La giurisprudenza di merito ha affermato che determinano incompatibilità con la carica di sindaco, e costituiscono causa di decadenza da detta carica, l'avere percepito dalla società compensi, seppure di importi non elevati, per attività professionali in favore della società stessa e l'esistenza di un pluriennale rapporto di consulenza tra un collaboratore dello studio professionale del sindaco e una società controllata da quella nella quale il sindaco ricopre la carica (Trib. Bari 02.03.2022).

Cancellazione e sospensione dal registro dei revisori

Il secondo comma dell'art. in commento dispone che la sospensione e la cancellazione dal registro dei revisori integrano cause di decadenza dalla carica di sindaco operando, indirettamente, un richiamo alla previsione ex art. 2397, comma 2, c.c.

La disciplina delle società quotate

L'art. in commento non si applica alle società quotate, dal momento che deve essere fatto riferimento all'art. 148, comma 3, TUF, secondo il quale non possono essere eletti sindaci e, se eletti, decadono dall'ufficio: a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 2382 c.c.; b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società od alle società da questa controllate od alle società che la controllano od a quelle sottoposte a comune controllo ovvero agli amministratori della società e ai soggetti di cui alla lettera b) da rapporti di lavoro autonomo o subordinato ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o professionale che ne compromettano l'indipendenza.

Le differenze maggiori si rilevano in merito alla lett. c) di tale articolo, dal momento che è prevista l'ineleggibilità anche di coloro che sono legati da rapporti di lavoro autonomo o subordinato, non solo alla società ed alle altre del medesimo gruppo, ma anche direttamente alle persone in veste di amministratori delle società, al coniuge, ai parenti, agli affini degli amministratori stessi.

La dottrina, pertanto, ha ritenuto che l'assenza di previsione del requisito della continuità anche per le società quotate denota che in seno a queste ultime non possano ricoprire la carica di sindaco anche i consulenti occasionali della società.

Per quanto riguarda le cause di decadenza, invece, il comma 4 dell'art. 148 TUF (nel testo risultante dall'ultima modifica alla norma, operata dal d.lgs. n. 72/2015) dispone che, allorquando uno dei requisiti di professionalità ed onorabilità venga meno, si verifica la decadenza dalla carica.

Il primo comma dell'art. 148-bis, inserito dalla l. n. 262/2005, prevede che sia un regolamento Consob a stabilire limiti al cumulo di incarichi di amministrazione e controllo per lo svolgimento degli incarichi nelle società disciplinate dal libro V, titolo V, capo V. In particolare, tali limiti dovranno essere determinati tenendo conto dell'onerosità e complessità di ciascun tipo di incarico, anche in rapporto a particolari fattori quali: a) le dimensioni della società; b) il numero e la dimensione delle imprese del gruppo; c) l'estensione e l'articolazione dell'organizzazione societaria. Si rimanda, per ogni altro profilo, al commento agli artt. 148 ss. TUF, nella parte dedicata alle società quotate.

Bibliografia

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