Codice Civile art. 2447 bis - Patrimoni destinati ad uno specifico affare (1).Patrimoni destinati ad uno specifico affare (1). [I]. La società può: a) costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare; b) convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i proventi dell'affare stesso, o parte di essi. [II]. Salvo quanto disposto in leggi speciali, i patrimoni destinati ai sensi della lettera a) del primo comma non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società e non possono comunque essere costituiti per l'esercizio di affari attinenti ad attività riservate in base alle leggi speciali. (1) V. nota al Capo V. InquadramentoLa costituzione, nelle società per azioni, di «patrimoni destinati» in via esclusiva ad uno specifico affare o al finanziamento di uno specifico affare è una delle «novità» introdotte nell'ordinamento con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in attuazione della legge delega n. 366 del 2 ottobre 2001. L'istituto in rassegna può essere considerato una sorta di «alternativa meno onerosa» rispetto alla costituzione di una nuova società, la cui funzione è quella di segregare, nel complesso delle attività sociali, un singolo affare (attività) che, in certa misura, viene reso autonomo dalle altre vicende societarie e posto in evidenza al fine di determinarne una più agevole valutazione anche da parte di specifici finanziatori, sì da consentire altresì ai creditori un coinvolgimento limitato al rendimento dell'affare stesso e, non, invece, al complesso di tutte le attività sociali (Inzitari, 166). La minore onerosità non sta tanto nel costo legato alla costituzione e gestione del nuovo soggetto giuridico, quanto nella flessibilità organizzativa consentita nell'articolare il patrimonio in funzione di specifici scopi e affari, mantenendo però ferma – senza inutili duplicazioni, anche di costi – la struttura manageriale e organizzativa della società, alla quale la gestione dei vari patrimoni resta affidata, anche quando ad uno o più affari partecipino in varie forme anche terzi, senza dover per questo assumere gli oneri e i diritti tipici dei soci e senza necessità di dover ridiscutere e ridefinire gli equilibri e le regole organizzative, statutarie o parasociali, già esistenti all'interno della compagine sociale. A tal fine lo strumento dei patrimoni destinati introduce, almeno all'interno del modello d'impresa svolta in forma societaria e in applicazione delle sue regole di organizzazione e di garanzia, anche contabile, una deroga al principio generale della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c., la quale evita la costituzione di un'altra società e « consente, al contempo, di facilitare e diversificare i canali di finanziamento dell'impresa » (Zoppini 1, 959), posto che all'affare così segregato e al patrimonio ad esso destinato possono partecipare, come finanziatori o anche mediante apporti variamente regolati, anche terzi. In sostanza, l'obiettivo che si è inteso perseguire con l'introduzione nell'ordinamento dei patrimoni destinati è quello della riduzione del costo del denaro per la società per azioni e del controllo da parte degli investitori. Il carattere fortemente innovativo dell'istituto si coglie altresì sul piano sistematico, ove si consideri che il nucleo della fattispecie risiede non già nella proprietà e imputazione in chiave “soggettiva” di beni, ma nella loro “oggettiva” destinazione ad uno scopo, secondo regole organizzative riferite all'attività che si intenda attraverso di essi esercitare (Ferro-Luzzi, 121); e che, così facendo, si consente l'esercizio di un'attività d'impresa (“l'affare”) senza la mediazione di un'imputazione “a soggetto”, ma attraverso la destinazione ad essa, sul piano meramente obiettivo, di un patrimonio, variamente formato e organizzato, anche mediante apporti e finanziamenti di terzi (ancora Ferro-Luzzi, 121 ss. e Gentiloni Silveri, 327). Sul piano operativo, la destinazione di un patrimonio – variamente costituito, anche con apporti di terzi – ad uno scopo può rappresentare uno strumento utile per coinvolgere le risorse e le competenze necessarie nella realizzazione di una specifica iniziativa commerciale; in tal modo, si va oltre la funzione meramente segretativa endosocietaria e l'istituto finisce per diventare un diverso e innovativo modello di esercizio in forma collettiva di un'attività d'impresa, senza la mediazione personalistica e soggettiva, consentendo la creazione di una struttura patrimoniale finalisticamente organizzata al compimento di un affare, nella quale anche terze parti possono partecipare in modalità diverse, mediante apporti ovvero la messa a disposizione (di una parte) delle necessarie risorse finanziarie (Gentiloni Silveri, 323-4). È stato tuttavia spontaneo, almeno di primo acchito, l'accostamento dei patrimoni destinati all'istituto del trust e del resto i lavori preparatori della riforma del diritto societario (in particolare, la relazione al progetto c.d. Mirone) indicavano che: «la nozione di patrimonio separato è contigua all'istituto del trust». Si tratta, tuttavia, di un accostamento poco utile e non convincente, come già rilevato sia dalla dottrina (Manes, 27 ss.), che dalla giurisprudenza (Trib. Milano 30 luglio 2009, in Trusts e att. fid., 2010, 81; Trib. Sassari, 20 febbraio 2015, n. 271; contra, Trib. Bologna 16 giugno 2003). Basti osservare che, mentre nel trust il patrimonio viene affidato ad un soggetto diverso da quello che lo istituisce, i patrimoni destinati continuano ad essere affidati all'organo di gestione della società che li costituisce, anche in caso di patrimoni costituiti mediante risorse apportate anche da terzi. Si tratta, in definitiva e in coerenza con quanto normalmente accade con riferimento alla separazione patrimoniale in materia societaria, di un istituto funzionale a migliorare la produttività e la gestione dell'impresa, in quanto consente di limitare la responsabilità nello svolgimento di uno specifico affare senza dover ricorrere alla costituzione di una nuova società (in tal senso si esprime anche la Relazione governativa al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in tuttocamere.it). In ogni caso, com'è stato correttamente evidenziato in dottrina (Guizzi, 640), la limitazione di responsabilità non rappresenta un elemento necessario della fattispecie, potendovi la società rinunciare in sede di costituzione del patrimonio separato, secondo la previsione normativa di cui al comma 3 dell'art. 2447-quinquies (v. infra). Lo strumento dei patrimoni destinati permette alla società che vi fa ricorso di aprirsi alla ricerca di strumenti di finanziamento relativi al singolo affare, attraverso la separazione e destinazione preferenziale dei proventi, così da agevolare modalità di circolazione di risorse produttive attraverso investimenti con rischio diversificato da quello generale della società (Comporti, 954; Angeloni, 36), posto che, com'è stato osservato, « con il patrimonio separato si “destina” alla garanzia di taluni creditori un determinato attivo patrimoniale, che è posto al riparo dalle pretese degli atri creditori della società » e, in tal modo, si consente altresì di stabilire alle parti le condizioni specifiche di costo del finanziamento dello specifico affare (Zoppini 1, 959 e ss.). Non di meno, l'istituzione di patrimoni destinati da parte delle imprese organizzate in forma societaria è rimasto, nella prassi, abbastanza raro e la tipologia di impresa maggiormente interessata dall'utilizzazione concreta dell'istituto dei patrimoni destinati è risultata quella di grandi dimensioni organizzata su un sistema «multicomparto» (Fimmanò, 814), orientata verso la diversificazione dei settori di produzione, con la conseguenza di essere caratterizzata, solitamente, da un oggetto sociale particolarmente ampio e suscettibile di essere perseguito attraverso moduli organizzativi differenziati per settore: si pensi, in questo senso, alla più ricorrente adozione dello strumento dei patrimoni destinati da parte delle società pubbliche, con la finalità peculiare di consentire ovvero anche imporre agli amministratori regole di gestione differenziate per i diversi patrimoni e i diversi affari, anche in ragione del diverso regime regolatorio ad essi applicabile (lo rileva Zoppini 1, 960 e ss., ove anche alcune rilevanti indicazioni esemplificative; v. altresì Scano, 371 e ss.). Degni di nota appaiono, in particolare, il caso di Cassa Depositi e Prestiti s.p.a., anche in virtù di norme speciali intese a favorire l'intervento pubblico a sostegno dell'economia (Minervini, passim), e quello di Poste s.p.a., ai fini della gestione del cd. Bancoposta (Cardi, passim). In questa prospettiva, i patrimoni destinati possono in effetti ricoprire un ruolo alternativo all'organizzazione di società secondo lo schema del «gruppo» (Gennari, 1376; Guizzi, 641). Interessante altresì osservare che allo schema dei patrimoni destinati il legislatore ha fatto sovente ricorso anche nella legislazione speciale (oltre ai casi appena considerati, si pensi altresì al richiamo della disciplina operato ad es. ai fini delle operazioni di cartolarizzazione o di gestione di diversi patrimoni riferibili a diversi investitori da parte di un'unica società di gestione finanziaria, anche in relazione ai fondi comuni d'investimento, su cui si veda ad es., rispettivamente, Cass. V, 18898/2021 e Cass. n. 29888/2020), tanto da ingenerare in dottrina la tesi che lo strumento della destinazione patrimoniale e la relativa disciplina avrebbero una naturale vis expansiva, che ne legittimerebbe un'applicazione generalizzata, anche al di fuori dell'ambito societario in cui è oggi nominalmente ammessa, purché siano osservate alcune regole comuni e minime di garanzia (che, a ben vedere, finiscono poi per riprodurre il nocciolo di quelle societarie: per questa tesi v. in partic. Guerrieri, 665-6). In ogni caso, un'espressa estensione della disciplina codicistica dei patrimoni destinati è stata prevista dal legislatore al di fuori dell'ambito societario per i cd. enti del terzo settore dotati di personalità giuridica e iscritti nel registro delle imprese, ai sensi dell'art. 10 del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (cd. Codice del Terzo Settore: Marasà, 45; Chianale, 543); e, prim'ancora, il legislatore aveva reso trascrivibili, ai sensi dell'art. 2645-ter c.c., gli atti di destinazione, per un periodo non superiore ai novanta anni, di beni immobili o mobili registrati effettuati anche da persone fisiche a favore di persone con disabilità o di enti e pubbliche amministrazioni per « interessi meritevoli di tutela » (su cui v. Oppo, 1 ss. e La Porta, 1069 ss.). Ritiene inoltre applicabile analogicamente la disciplina dei patrimoni destinati di cui agli artt. 2447-bis e ss., ad es. ai fondi complementari istituiti con finalità previdenziali, per gli aspetti non espressamente regolati, Cass. S.U., 12209/2022. Costituzione di patrimoni separati in «altri» tipi socialiÈ discusso se, oltre alle società per azioni, anche le società a responsabilità limitata possano costituire patrimoni destinati (per l‘opinione negativa, si vedano Niutta, 6, che considera l'istituto dei patrimoni destinati – ma non quello dei finanziamenti destinati – incompatibile con il tipo); in senso analogo Giannelli 2, 1222; Santagata De Castro, 56; ritiene invece che anche le società a responsabilità limitata possano costituire patrimoni destinati Meucci, 303). Un indizio in senso contrario all'ammissibilità dei patrimoni destinati nelle s.r.l. potrebbe ricavarsi ora dal nuovo testo dell'art. 263 del Codice della crisi e dell'insolvenza (d'ora in avanti, anche solo c.d.c.: e v. oltre il commento alla norma): infatti, a differenza di quanto faceva la legge fallimentare (nel previgente art. 156, terzo comma, l. fall., che per il caso di violazione delle regole di separazione patrimoniale richiamava le azioni previste nell'art. 146), l'art. 263 c.d.c. indica oggi in modo diretto le azioni esercitabili dal curatore, limitandosi a elencare l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori sociali ai sensi dell'art. 2394 c.c., senza menzionare né richiamare invece le altre azioni di responsabilità esperibili dal curatore per le società a responsabilità limitata, pur indicate, con norma di carattere generale (fuori dal caso dei patrimoni destinati), dal nuovo art. 255 c.d.c.. Il dato testuale potrebbe essere in questo senso indicativo ove si consideri che il principio indicato al legislatore delegato dall'art. 7 comma 5 della legge delega era, al contrario, nel senso di ampliare il novero delle azioni di responsabilità esercitabili dal curatore (che si ritrovano oggi elencate, appunto in via generale, nel nuovo art. 255 c.d.c., non richiamato però dall'art. 263 c.d.c. in tema di patrimoni separati). Vi è tuttavia da agiungere che la conclusione negativa (sulla non istituibilità di patrimoni separati nelle s.r.l.), pur trovando oggi implicito conforto nel dato letterale del nuovo art. 263 c.d.c., potrebbe per altri versi apparire obiettivamente in controtendenza rispetto alla vis expansiva che sembra invece caratterizzare l'istituto dei patrimoni destinati, la cui istituzione viene oggi espressamente ammessa dal legislatore anche per gli enti non in forma societaria del terzo settore (v. supra). Costituzione di patrimoni separati in s.a.p.a. Un espresso rinvio è, invece, previsto nell'art. 2454 in materia di s.a.p.a.; ciò rende pacifica l'applicabilità dell'istituto a tale tipo sociale. Nella s.a.p.a., la tipologica compresenza di soci con diverso regime di responsabilità patrimoniale, impone, tuttavia, talune riflessioni. Occorre infatti conciliare il regime della responsabilità illimitata degli accomandatari con la circostanza che, per effetto della disciplina dei patrimoni destinati, si riconosce il beneficio della limitazione della responsabilità rispetto ai debiti relativi allo specifico affare, ai sensi dell'art. 2447-quinquies, comma 3, c.c. (qualora lo statuto non preveda diversamente). Al riguardo si può ritenere che, in presenza di patrimoni destinati e di obbligazioni relative allo specifico affare, per poter agire nei confronti degli accomandatari, sarà sufficiente la preventiva escussione del patrimonio destinato e, quindi, l'azione di regresso degli accomandatari potrà poi esercitarsi nei limiti della capienza dello stesso. Tuttavia, se la società ha assunto la responsabilità sussidiaria per obbligazioni inerenti l'affare, il creditore può agire verso gli accomandatari solo dimostrando l'infruttuosità tanto del patrimonio sociale quanto di quello destinato. Finanziamenti dedicatiLa norma in rassegna, oltre ai patrimoni separati, consente altresì di «convenire che, nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare, al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i proventi dell'affare stesso, o parte di essi». Nel rinviare al commento dell'art. 2447-decies c.c. l'analisi della disciplina dei cd. finanziamenti destinati ad uno specifico affare è tuttavia utile segnalare quei profili che accomunano tale istituto a quello dei patrimoni destinati. In via sommaria, si può agevolmente osservare che gli istituti del patrimonio e del finanziamento dedicati ad uno specifico affare condividono anzitutto il vincolo di destinazione, nel senso che, rispetto al complesso delle attività sociali, una parte di proventi e di «beni» vengono allocati ad una o più attività specificamente individuate e destinati a soddisfare esclusivamente le esigenze produttive delle stesse e a garantire creditori e investitori coinvolti. Pure comune e rilevante, la circostanza che entrambi gli istituti consentono la partecipazione di terzi all'affare. Si spiega probabilmente così la scelta del legislatore di disciplinare secondo regole comuni, almeno parzialmente, patrimoni e finanziamenti dedicati ad uno specifico affare, i quali, come del resto è stato ben osservato dalla dottrina, possono coesistere, seppure trattasi di «convivenza» naturalmente problematica, in ragione della conflittualità fra creditori degli uni e degli altri (Comporti, 955; Santagata De Castro, 81; Manes, 59). Nei «finanziamento dedicati», la separazione interessa i proventi relativi allo svolgimento dello specifico affare. Si tratta, dunque, di una tecnica di finanziamento che origina non già da un atto interno di carattere organizzativo, bensì da un contratto che la società stipula con uno o più finanziatori al fine di raccogliere risorse per un affare specifico. A garanzia del rimborso stanno i flussi reddituali generati dallo svolgimento dello specifico affare e dunque, diversamente da quanto accade con riferimento ai patrimoni separati, la tutela del ceto creditorio si realizza non nella dimensione statica dei beni, ma in quella dinamica dell’affare tramite essi esercitato, e dunque , per effetto della loro redditività (vedi infra sub art. 2447-decies c.c.). Si discute sul significato da attribuire alla locuzione «affare». La funzione degli istituti in rassegna induce a non dare eccessiva enfasi all'esegesi di tale locuzione e di considerare, piuttosto, che oggetto di separazione potranno essere una o più operazioni, un singolo affare ovvero una o più specifiche attività. In sostanza, «affare» è certamente un termine mutuato dalla prassi commerciale, e suscettibile di assumere diversi significati, che sta ad indicare atti e attività riferibili all'impresa (in senso analogo, Comporti, 962; Niutta, 48). Con la conseguenza, allora, che l'affare deve essere incluso nell'oggetto sociale e deve essere specificamente individuato e delimitato, anche con riferimento alle modalità di svolgimento e (eventualmente) di realizzazione dello stesso (v. infra, subart. 2447 ter c.c.) Questo implica che si devono menzionare, nella delibera costitutiva, gli elementi caratterizzanti quali, i fattori produttivi necessari e, più in generale, le risorse necessarie e lo scopo da realizzare. La necessaria specificità dell'affare è funzionale alla redazione del «piano economico finanziario», richiesto ai sensi dell'art. 2447-ter, lett. c), il quale è necessario al fine di comprovare la congruità delle risorse rispetto alla realizzazione dell'affare. Uno spunto interessante è quello che, facendo leva sul dettato letterale dell'art. 2447-novies c.c., che si riferisce alla «realizzazione dell'affare», ritiene che esso debba avere una durata limitata nel tempo (Colombo, 31 e ss.). Limite «quantitativo»I patrimoni destinati non possono costituirsi per un valore complessivamente (intendendosi tutti i patrimoni destinati eventualmente costituiti dalla società) superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società. Si tratta all'evidenza di previsione a carattere imperativo con finalità di tutela per i creditori sociali (pur derogata, tuttavia, dal legislatore per il patrimonio destinato “Rilancio” di Cassa Depositi e Prestiti, su cui v. Zoppini 1 e Minervini, passim). Pertanto, si potrebbe di primo acchito ritenere che tale limite sia da applicare non solo in fase costitutiva, ma anche in tutta la fase di svolgimento dell'affare. Tuttavia, siffatta soluzione, oltre a comportare una potenziale restrizione allo sviluppo dell'affare, è anzitutto contraria alla formula adottata nel comma secondo della norma in rassegna, che si riferisce soltanto al momento costitutivo e in quest'ultimo senso si esprime anche la maggior parte della dottrina, che ritiene che il limite del dieci percento trovi applicazione in sede di costituzione dei patrimoni separati (Colombo, 33; Comporti, 966; R. Santagata, 73; Manes, 65). Se dunque, come pare corretto ritenere, la valutazione del limite quantitativo va fatta nel momento genetico (quello, cioè, della costituzione dei patrimoni separati), ne consegue che l'eventuale superamento di tale limite in un momento successivo non integra una violazione dell'art. 2447-bis, comma 2, c.c. Pure si deve ritenere, allora, nonostante l'assenza di una specifica previsione in tal senso, che occorra redigere una situazione patrimoniale apposita in vista dell'adozione della deliberazione costitutiva dei patrimoni separati. Questione centrale è naturalmente quella della individuazione del limite del dieci percento del patrimonio netto, rispetto la quale si registrano opinioni discordanti in dottrina. Secondo una dottrina autorevole occorrerebbe sottrarre il valore delle passività destinate da quello delle attività destinate e dunque considerare il valore netto del patrimonio di destinazione (Colombo, 30; Giannelli, 1220) e ciò al fine di bilanciare attività e le passività e costituire patrimoni destinati proporzionali rispetto al peso del netto e rispetto al capitale dei terzi. Per questa via, sarebbe anche possibile che, al momento della costituzione, il valore netto del patrimonio separato sia negativo a causa, per esempio, di passività della società connesse a rapporti compresi nella destinazione. Questa impostazione è stata criticata da chi ha ritenuto preferibile fare riferimento alle sole attività, anche al fine di coordinare la disciplina di costituzione dei patrimoni separati con quella della riduzione volontaria del capitale sociale: i creditori generali anteriori alla costituzione dei patrimoni separati non subirebbero il trasferimento del debito dalla società al patrimonio separato senza il loro previo consenso (Maffei Alberti, 1680). In entrambi i casi, se, come dai più si ritiene e diversamente da quanto qui si è sostenuto, non occorre la redazione della situazione patrimoniale ad hoc, per calcolare il rispetto del limite occorrerà fare riferimento all'ultimo bilancio approvato. In dottrina è stato altresì sostenuto che l’apporto di terzi, ove presente, non va conteggiato ai fini del rispetto di tale limite, data la funzione di garanzia attribuita a tale limitazione e considerato che l’apporto di terzi arricchirebbe il patrimonio destinato senza privare di alcuna garanzia i creditori sociali (Santagata De Castro, 72 e 118; Rubino de Ritis, 852; Brighenti, 123); che la legge non impone alcuna prescrizione in ordine al rapporto che debba intercorrere tra il valore del patrimonio endosocietario separato e quello apportato da terzi (sicché il limite del dieci per cento imposto dalla norma sarebbe per questa via agevolmente aggirabile: Rubino de Ritis, 858; Manes, 82); e che anzi il limite del dieci per cento, già ampiamente criticato in dottrina al momento dell’introduzione della normativa e additato come una delle principali ragioni del suo insuccesso pratico (Maffei Alberti, 1679; Di Sabato, 15), sarebbe di per sé obsoleto e inutile e che il legislatore dovrebbe, dunque, semplicemente rimuoverlo (così da ultimo Guerreri, 670), anche tenuto conto del fatto che oggi l’ordinamento consente società di capitali a responsabilità limitata con capitale sociale di 1 euro soltanto e che la vera tutela dei creditori risiederebbe allora, più che nell’osservanza delle regole sul capitale, nel (più intenso) requisito qui posto di congruità del patrimonio allo scopo e nella prescrizione di un piano economico-finanziario dettagliato, soggetto a verifica da parte degli organi di controllo (Brighenti, 128). Limite «qualitativo»La legge vieta di costituire patrimoni destinati al fine di svolgere attività che sono riservate sulla base di leggi speciali. Ne consegue che la società, se intende costituire un patrimonio destinato ad uno specifico affare eventualmente attinente ad un'attività riservata, dovrà essere previamente autorizzata allo svolgimento di tale attività (Comporti, 968; Maffei Alberti, 1681). A tale proposito si segnala che l'art. 114-terdecies del d.lgs. n. 11/2010, relativo ai sistemi di pagamento, ha integrato la disciplina del TUB ed ha previsto l'obbligo, per istituti di pagamento che svolgono anche attività d'impresa diverse dalla prestazione di servizi di pagamento ai sensi dell'art. 114 novies, comma 4, c.c., di costituire un patrimonio destinato per le prestazioni relative ai servizi di pagamento e per le attività accessorie o strumentali. La finalità è quella di rafforzare la separazione ed agevolare la destinazione esclusiva a favore degli utenti di servizi di pagamento o di attività a tali servizi accessorie le quali consistono verosimilmente in attività finanziarie. La giurisprudenza non ha avuto molte occasioni di pronunciarsi sull’istituto in rassegna e le pronunce di merito restano invero assai rare (cfr. in partic. (Trib. Parma, 13 ottobre 2003, in Trusts 2004, 73; Trib. Firenze, 2 luglio 2005, in Trusts 2005, 89; Trib. Milano, 20 luglio 2009; Trib. Sassari, 20 febbraio 2015, n. 271). BibliografiaAngeloni, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, Torino, 2005; Arlt, I patrimoni destinati ad uno specifico affare: le protected cell companies italiane, in Contr. impr.,2004, I, p. 323 ss.; Brighenti, Oltre la scissione subsocietaria: i patrimoni destinati costituiti esclusivamente mediante apporti di terzi, in Ricerche Giuridiche, 2019, VIII, n. 2, 115 ss.;M. Cardi, Cassa Depositi e Prestiti e Bancoposta. 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