Codice Civile art. 2419 - Azione individuale degli obbligazionisti (1).Azione individuale degli obbligazionisti (1). [I]. Le disposizioni degli articoli precedenti non precludono le azioni individuali degli obbligazionisti, salvo che queste siano incompatibili con le deliberazioni dell'assemblea previste dall'articolo 2415. (1) V. nota al Capo V. InquadramentoLa presenza del gruppo organizzato e del rappresentante comune chiamato ad agire nell'interesse del primo non impediscono, al singolo obbligazionista, di agire individualmente a tutela della posizione soggettiva correlata al prestito obbligazionario. Ciò anche quando entra in gioco l'interesse comune del gruppo, malgrado, in quest'ultimo caso, la relativa legittimazione trovi un limite insuperabile in eventuali scelte di segno opposto, assunte dall'assemblea, incompatibili con l'iniziativa tracciata dal singolo obbligazionista. In quest'ultimo caso, il singolo, anche se dissenziente, è infatti vincolato dalle scelte della maggioranza: la tutela riconosciuta all'obbligazionista, per quanto rafforzata (Brancadoro, 960), resta dunque residuale (Picardi, 900) ogni qualvolta si intersechi con profili che riguardino unitariamente il prestito, perché presuppone l'inerzia degli organi che rappresentano il gruppo. Se si vuole rinvenire una immediata concretizzazione del principio generale esposto dalla norma in commento si può fare riferimento, ad esempio, nel disposto dell'art. 2503-bis c.c., disposizione in virtù della quale i singoli obbligazionisti possono opporsi alla fusione, sempre che l'assemblea non ne abbia approvato il progetto. In quest'ultimo caso, al singolo dissenziente resta l'impugnazione della delibera assembleare non condivisa, essendogli preclusa la via dell'opposizione alla fusione. I mezzi di tutela a disposizione dell'obbligazionista, oltre a quelli propri di ogni creditore, trovano ulteriore supporto nel dato normativo correlato al rapporto di mutuo sotteso al prestito nonché nella tipica connotazione soggettiva del debitore: di qui il riferimento all'azione di nullità ex art. 2379 c.c.; a quelle di responsabilità exartt. 2394 e 2395 c.c.; all'opposizione ex art. 2445 c.c. o a quella già citata ex art. 2503-bis c.c. La legittimazione residuale in esame lascia aperti una serie di interrogativi. In primo luogo, occorre verificare se vi sono competenze che siano di esclusiva competenza del singolo obbligazionista. Parallelamente, va accertato se vi sono campi di azione per i quali, malgrado l'inerzia degli organi chiamati a deliberare ed agire nell'interesse comune, resta comunque preclusa ogni iniziativa del singolo obbligazionista. Ancora, va chiarito quale sia l'effetto della iniziativa autonoma del singolo ove si tratti di materia comunque attratta all'interesse del gruppo. Infine, va precisato se la preclusione legata alla residualità della legittimazione del singolo obbligazionista opera anche in relazione ad iniziative del rappresentante non precedute dall'autorizzazione in senso conforme resa dall'assemblea. Legittimazione individuale e iniziativa del gruppo organizzato.Procedendo progressivamente nell'affrontare i detti dubbi interpretativi, devono ritenersi estranee alla competenza dell'assemblea tutte le situazioni giuridiche definitivamente entrate nella sfera soggettiva del singolo possessore del titolo. E cosi, come ovvio, va esclusa ogni disponibilità assembleare avuto riguardo al diritto alla restituzione del capitale, una volta intervenuta la scadenza naturale del rapporto come prefissata dalla relativa delibera di emissione del prestito; o, ancora, alla percezione degli interessi già maturati, diritto che non può essere oggetto di rinunzia in conseguenza di una decisione assembleare che prevalga sulla volontà dissenziente del singolo obbligazionista di minoranza (mentre, per contro, deve ritenersi possibile una rimodulazione degli accessori del prestito non ancora venuti a scadenza). In linea di principio, per contro, non vi sono ambiti integralmente esclusi dallo spazio di azione riferibile all'autonoma iniziativa del singolo obbligazionista, ferme le decisioni assembleari di segno contrario, assunte nell'interesse comune dell'intero gruppo di obbligazionisti. Si pensi al momento nel quale meglio si incarna l'esigenza di unitarietà sottesa al gruppo organizzato degli obbligazionisti, quello della modifica delle originarie condizioni del prestito, rimessa, come è noto, alla competenza esclusiva della sola assemblea ex art. 2415 c.c. ed alla regola della maggioranza. Una negoziazione autonoma delle modifiche non è di per sé aprioristicamente inammissibile, diversamente da quanto sostenuto da alcuni in dottrina (Petitti, 37). Piuttosto, in ragione di quanto previsto dalla norma in commento, è destinata a rimanere priva di effetti nei confronti del gruppo, a meno che l'assemblea non decida di giovarsene. L'effetto di una tale singola contrattazione è invece quello della naturale fuoriuscita del singolo obbligazionista dal gruppo (Campobasso, 521), perché ormai portatore di una posizione di credito diversa da quella propria di tutti gli altri sottoscrittori. L'iniziativa di pertinenza del gruppo, attivata tuttavia dal singolo obbligazionista nella inerzia degli organi competenti, a differenza di quella esercitata collettivamente, è comunque destinata a produrre effetti solo nella sfera di quest'ultimo e non dell'intera massa degli obbligazionisti. Ciò salvo che l'azione sia ontologicamente in grado di produrre effetti in favore di tutti i creditori, così come accade in ipotesi di accoglimento dell'opposizione alla fusione o di nullità ex art. 2379 c.c. (Capolino, 558). Infine, una volta che si acceda alla idea della autonomia decisoria del rappresentate avuto riguardo ad iniziative intraprese in ambiti che non possono ritenersi di esclusiva pertinenza dell'assemblea, la valenza preclusiva prevista dall'articolo in commento va estesa anche alle azioni poste in essere, nell'interesse comune del gruppo, dal rappresentante ai sensi del comma 1 dell'art. 2418 c.c., non esecutive di un previo deliberato assembleare (Campobasso, 520). La legittimazione relativa alle domande di insinuazione al passivo fallimentare.Sul tema in questione, il quadro normativo di riferimento, offerto dalla norma in commento nonché dal comma 2 dell'art. 2418 c.c. e dall'art. 93l.fall., non è scevro da criticità e pone problemi di coordinamento tra disciplina fallimentare e previsioni codicistiche. Ne sono state date, dunque, letture alternative. La citata norma della legge fallimentare (al comma 8) prevede che la domanda di insinuazione possa (e, dunque, non debba) essere presentata dal rappresentante comune, anche per singoli gruppi di creditori. Ciò pare legittimare l'idea in forza della quale al rappresentante comune è data la mera possibilità di agire, unitariamente, nell'interesse degli obbligazionisti, o comunque anche nell'interesse di parte degli stessi, ferma restando la legittimazione, di ciascun creditore, ad agire in nome e per conto proprio. Ciò in linea, del resto, con le indicazioni generali previste una volta che sia divenuto attuale l'obbligo restitutorio per la intervenuta scadenza del relativo termine di durata del rapporto, nel caso anticipata dalla declaratoria di fallimento ex art. 58 l.fall. In dottrina non è mancato, tuttavia, chi (da ultimo, Di Girolamo, 1109) ha sottolineato che il fallimento della società emittente porta con sé un problema di tutela dell'interesse comune tale da giustificare una gestione unitaria della proposizione della domanda nell'interesse del relativo gruppo organizzato. Sotto questo versante, troverebbe adeguata giustificazione il disposto letterale del comma 2 dell'art. 2418 c.c., il quale prevede che il rappresentante, per la tutela degli interessi comuni, è munito della rappresentanza processuale degli obbligazionisti, tra l'altro, anche nel fallimento della società debitrice. Ciò, del resto, in coerenza con la medesima previsione, avuto riguardo alla partecipazione del rappresentante alle procedure concorsuali minori di concordato, fallimentare e preventivo, laddove il gruppo si interfaccia unitariamente con gli organi della procedura, sempre per il tramite del rappresentante comune. La lettura dell'art, 2418, combinata con il disposto dell'art. 2419 in commento, porterebbe dunque ad affermare che la legittimazione del singolo creditore scatterebbe solo in caso di inerzia del rappresentante e che quest'ultimo, in linea con quanto previsto dalla disposizione contenuta nella legge fallimentare, può anche agire nell'interesse dei soli obbligazionisti interessati a prendere parte al riparto fallimentare. Non vi sarebbe dunque contrasto con la formula adottata dal comma 8 dell'art. 93 l.fall.: al singolo obbligazionista sarebbe preclusa la autonoma proposizione della domanda di ammissione al passivo laddove tale iniziativa sia stata esercitata collettivamente dal rappresentante, conservando tuttavia sia il diritto di impedire al rappresentante comune di agire anche nel suo interesse, sia quello di agire autonomamente in caso di inerzia del primo. BibliografiaCampobasso, Le obbligazioni, in Tr. Colombo-Portale, Torino, 1994; Capolino, Sub art. 2419 c.c., Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da d'Alessandro, Padova, 2011; Di Girolamo, Le obbligazioni e gli altri titoli di debito nel fallimento dell'emittente, con uno sguardo alla riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2008, 1109; Picardi, Sub art. 2419 c.c., in Commentario al Codice civile, diretto da E. Gabrielli, 2005, 2005; Petitti, I titoli obbligazionari delle società per azioni, Milano, 1964. |