Codice Civile art. 2437 bis - Termini e modalità di esercizio (1).Termini e modalità di esercizio (1). [I]. Il diritto di recesso è esercitato mediante lettera raccomandata che deve essere spedita entro quindici giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima, con l'indicazione delle generalità del socio recedente, del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato. Se il fatto che legittima il recesso è diverso da una deliberazione, esso è esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio. [II]. Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale. [III]. Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se, entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società. (1) V. nota al Capo V. InquadramentoI primi due commi dell'art. 2437-bis stabiliscono che il diritto di recesso è esercitato mediante lettera raccomandata e che le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale. È confermata, rispetto alla disciplina previgente, la scelta della lettera raccomandata quale idoneo mezzo di comunicazione per la dichiarazione di recesso. Pare ammissibile la possibilità che il recesso venga dichiarato attraverso mezzi differenti dalla lettera raccomandata: la strada sembra aperta, quindi, a tutti quegli strumenti di comunicazione che siano forieri di garanzie di celerità e conoscibilità perlomeno eguali a quelle di cui è portatrice la lettera raccomandata (Bartolacelli, 336). Secondo il terzo e ultimo comma dell'art. 2437-bis c.c., la società può, per così dire, «ripensarci» e tornare indietro sulla decisione presa: ciò avverrà ad esempio in quei casi in cui la maggioranza abbia dapprima valutato come non attendibili le «minacce» del socio di minoranza di esercitare il diritto di recesso nel caso in cui fosse stata presa una certa decisione. Successivamente infatti, una volta adottata la delibera non gradita alla minoranza, quest'ultima potrebbe dare effettivo seguito alle «minacce» esercitando il suo diritto di recesso: a questo punto la maggioranza, per evitare il depauperamento della società, potrebbe decidere allora di revocare la delibera che aveva legittimato il recesso. Analoga disposizione è dettata dall'ultimo comma dell'art. 2473 c.c., in tema di s.r.l.: il recesso non può essere esercitato, e se già esercitato è privo di efficacia, se la società revoca la delibera che lo legittima. Tra le modifiche apportate dal legislatore della riforma sul tema, una delle più significative è proprio questa, in quanto permette alla società di revocare la delibera che ha fatto sorgere il diritto di recesso, rendendo inefficaci le dichiarazioni di recesso già prestate (Piscitello, 42). L'art. 2437-bis c.c. disciplina termini e modalità dell'esercizio del diritto di recesso da società per azioni, stabilendo al primo comma che il socio che intende recedere è tenuto a spedire una raccomandata entro 15 giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima, mentre al secondo comma la norma prevede il divieto di cessione delle azioni per le quali è esercitato il recesso nonché il loro deposito presso la sede sociale, senza espressa indicazione di alcun termine decadenziale per tale deposito. Non può, dunque, ritenersi in via interpretativa che il deposito delle azioni debba necessariamente avvenire entro 15 giorni, al pari di quanto indicato dal primo comma, essendo sufficiente che la formalità del deposito assicuri comunque l'effettività del divieto di cessione (Trib. Milano 12 giugno 2020). Il recesso come atto unilaterale recettizio e il diritto di ripensamento della societàLa giurisprudenza della Corte di Cassazione ritiene che il recesso del socio da una s.p.a. sia un atto unilaterale recettizio, cioè un atto che mutuando la disciplina prevista dall'art. 1373 c.c., in tema di recesso dal contratto, e dall'art. 1334 c.c., in tema di efficacia degli atti unilaterale determina l'immediata produzione degli effetti non appena giunga a conoscenza del destinatario (la società), momento dal quale deve essere considerato irrevocabile. Ha infatti dapprima affermato la Cassazione che l'atto col quale il socio dissenziente, in relazione a deliberazioni riguardanti il cambiamento dell'oggetto o del tipo di società o il trasferimento della sede sociale all'estero, esercita il diritto di recesso a norma dell'art. 2437 c.c. ha natura di atto unilaterale recettizio e, pertanto, produce i suoi effetti nel momento in cui viene portato a conoscenza della società, con la conseguenza che i termini di cui al citato art. 2437 c.c. potranno ritenersi rispettati solo se entro lo scadere di essi la dichiarazione di recesso sia stata portata a conoscenza della società e non soltanto inviata dal recedente, a nulla rilevando che, per la brevità del termine e per la prescrizione normativa richiedente la trasmissione della dichiarazione con raccomandata, l'esercizio del diritto di recesso da parte del socio dissenziente verrebbe ad essere oltremodo compresso, posto che la norma, pur prevedendo l'invio di raccomandata, non esclude che la trasmissione della dichiarazione di recesso avvenga attraverso altre forme (telegrafo, telex, notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario) che presentino le medesime (o maggiori) caratteristiche di certezza della raccomandata (Cass. I, n. 12/1998). La previsione dell'art. 10 l.fall., in forza della quale gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, non trova applicazione laddove la cancellazione di una società venga effettuata, non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente o a seguito del verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'attività, ma in conseguenza del trasferimento all'estero della sede, e quindi sull'assunto che detta società continui l'esercizio dell'impresa, sia pure in un altro Stato, atteso che un siffatto trasferimento (almeno nelle ipotesi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi, sul punto, con i principî desumibili dalla legge italiana) non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita, come è agevolmente desumibile dal disposto degli articoli 2437, comma 1, lett. c) e 2473, comma 1, c.c. (Cass. I, 10793/2018). Ha in seguito il Supremo Collegio ribadito che il recesso del socio da una società è un negozio unilaterale recettizio, destinato a perfezionarsi e a produrre i propri effetti sin dal momento in cui la dichiarazione che lo esprime sia pervenuta nella sfera di conoscenza della società destinataria; in caso di società per azioni, l'art. 2437 c.c., secondo comma (nel testo anteriore alle modifiche apportatevi dal d.lgs. n. 6/2003) ne subordina l'esercizio al rispetto di un breve termine di decadenza (tre giorni dalla data dell'assemblea che ha assunto la deliberazione da cui il diritto di recesso del socio dissenziente trae origine, o quindici giorni dall'iscrizione di detta deliberazione nel registro delle imprese se il socio non abbia partecipato all'assemblea). Da tanto consegue, per un verso, che non è configurabile un preannuncio (quasi in guisa di prenotazione) dell'atto di recesso, formulato nel rispetto del predetto termine di decadenza, in vista dell'esercizio di un diritto di recesso da far poi valere al di fuori del termine decadenziale; per l'altro verso, che l'atto di recesso, almeno a partire dal momento in cui sono scaduti i termini per eventuali analoghe dichiarazioni di altri soci assenti o dissenzienti dalla medesima deliberazione, non è suscettibile di revoca né può essere subordinato a condizioni che ne rendano incerti gli effetti nel tempo (Cass. I, n. 5548/2004). La Suprema Corte ha infine confermato che il recesso convenzionale, in quanto previsto dall'atto costitutivo, costituisce manifestazione della volontà negoziale, la quale può legittimamente disciplinarlo attraverso clausole che ne determinino il contenuto, ammettendo l'esercizio di tale facoltà in situazioni specifiche, ovvero limitandolo o subordinandolo alla sussistenza di determinati presupposti o condizioni, in particolare all'autorizzazione o all'approvazione del consiglio d'amministrazione o dell'assemblea dei soci. Tali clausole, volte a garantire il perseguimento dell'oggetto della società attraverso la conservazione dell'integrità della compagine sociale, attribuiscono ai predetti organi un potere discrezionale, che non può tuttavia essere esercitato in modo arbitrario, né tradursi in un rifiuto di provvedere o in un diniego assoluto ed immotivato dell'approvazione, i quali, oltre a contrastare con i principî di correttezza e buona fede, che vanno rispettati anche nell'esecuzione del contratto sociale, comporterebbero una sostanziale vanificazione del diritto di recesso, il cui esercizio, ai sensi dell'art. 2437, comma 3, c.c. (applicabile anche alle società cooperative), non può essere escluso o reso eccessivamente gravoso. La violazione di tale diritto, per inosservanza dei predetti principî, rende applicabile l'art. 1359 c.c., in virtù del quale la condizione si considera avverata, qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento. La necessità dell'autorizzazione non comporta infatti la trasformazione della fattispecie in un accordo, nell'ambito del quale la determinazione della società venga ad assumere la funzione di accettazione della proposta del socio, configurandosi pur sempre il recesso come un negozio unilaterale, corrispondente al diritto potestativo di uscire dalla società o di rinunciare a conservare lo stato derivante dal rapporto giuridico nel quale il socio è inserito, e rispetto al quale la deliberazione del consiglio di amministrazione o dell'assemblea opera come condizione di efficacia (Cass. I, n. 10135/2006). Trattandosi di una dichiarazione recettizia, la revoca del recesso è ammissibile solamente qualora giunga a conoscenza del destinatario (la società) prima della stessa dichiarazione di recesso. La status socii tuttavia permane fino a quando la società non abbia liquidato la partecipazione del socio. È evidente infatti che deve considerarsi socio colui al quale risulta riferibile una parte del capitale sociale, in relazione alla quale è titolare dei diritti sociali. Con la nuova disciplina lo status socii può venir meno anche senza la riduzione del capitale in quanto si verificherebbe anche attraverso il trasferimento della partecipazione del socio receduto a favore degli altri soci o di un terzo. Nel vigore della precedente disciplina invece la liquidazione poteva avvenire solo a carico della società a seguito della riduzione del capitale sociale, con la conseguenza che il socio continuava a rimanere tale fino al momento in cui ciò non si verificava (Galletti, 1560; Callegari, 1413; Carmignani, 887; Salafia, 419). Sull'applicabilità in via analogica della disciplina del recesso contrattualeEscluso che la disciplina del recesso costituisca un corpus normativo avente carattere eccezionale, sarebbe teoricamente lecito chiedersi se sia possibile prevedere statutariamente la facoltà di recedere ad nutum da una società di capitali, anche se costituita a tempo determinato, mediante applicazione in via analogica della disciplina del recesso contrattuale di cui all'art. 1373 c.c. Si ritiene invece che non sia possibile un'analogia interna: l'autonomia statutaria non può avere – in virtù del complessivo equilibrio della disciplina delle società di capitali e delle conseguenti esigenze di tutela del capitale sociale – un'estensione tale da consentirle di prevedere clausole di recessoad nutum, pure in relazione al fatto che la lettera delle norme in tema di recesso (artt. 2437 e 2473 c.c.) non detta limiti all'iniziativa privata nello stabilire nuove ipotesi di recesso e attribuisce altresì tale facoltà nelle società di capitali costituite a tempo indeterminato (Delli Priscoli, 121). Il legislatore ha in effetti già provveduto in materia di società di capitali a compiere un bilanciamento fra l'interesse del socio ad uscire nel più breve tempo possibile e quello della società ad essere avvertita con largo anticipo, stabilendo che il preavviso – in caso di recesso ad nutum – non possa essere inferiore a sei mesi. Così dispongono infatti gli artt. 2437, comma 2 e 2473, comma 2, c.c.: tale preavviso sarà pertanto necessario a maggior ragione nelle società con l'indicazione di un termine finale. Si vedrà inoltre nel capitolo successivo che la norma che stabilisce la possibilità di recedere ad nutum da una società non quotata costituita a tempo indeterminato non sembra suscettibile di applicazioni in via analogica; in ogni caso, qualora si volesse sostenere l'opinione opposta, si potrebbe pervenire all'analogia solo nell'ipotesi di società costituite per un tempo particolarmente lungo anche se determinato, in relazione alla medesima esigenza di attribuire una via d'uscita al socio contro il pericolo di vincoli perpetui, non anche genericamente per tutte le società che abbiano l'indicazione di un termine di durata. La disciplina del recesso contrattuale di cui all'art. 1373 c.c. non pone invece alcuna limitazione all'autonomia privata alla possibilità di concordare una facoltà di recesso: ci si potrebbe pertanto interrogare circa la possibilità di un preavviso anche inferiore ai sei mesi (Galletti, 1561). L'art. 1373 c.c. è la norma che disciplina il recesso dai contratti, permettendo che su accordo delle parti possa essere attribuito ad una o più di loro, la facoltà di liberarsi unilateralmente dal vincolo contrattuale. La funzione che il recesso convenzionale svolgerebbe in campo societario sarebbe quella di consentire ai soci di sciogliersi da un rapporto rispetto al quale hanno perso interesse senza dover dimostrare né l'eventuale perdita dell'affectio societatis né qualsiasi altra cosa. Gli artt. 2285,2473 e 2437 c.c. disciplinano le cause e le modalità del recesso rispettivamente dalla società di persone, dalla società a responsabilità limitata e da quella per azioni. Tali norme peraltro prevedono la facoltà di recedere nel caso in cui si verifichino determinati presupposti, ma non contemplano né escludono la possibilità che, pur nella loro assenza, ad uno o a più soci venga convenzionalmente attribuita la facoltà di recedere (Delli Priscoli, 121). Costituisce principio generale quello secondo cui, dopo che il contratto si sia perfezionato, i contraenti non possono sciogliersi unilateralmente da esso. A tale riguardo l'art. 1372 c.c. dispone che «il contratto ha forza di legge tra le parti», sottolineando così la nascita di un vincolo giuridico fra le parti in conseguenza di una manifestazione di volontà delle parti stesse. Lo stesso art. 1372 c.c. dispone che il contratto può essere sciolto «per mutuo consenso», ovverosia per volontà di tutti i contraenti. Anche l'art. 2272 c.c., n. 3, dettato in tema di società di persone, prevede che il contratto di società si scioglie per volontà di tutti i soci (e quindi viene utilizzata una formula che ha lo stesso significato di «mutuo consenso»). L'art. 1372 c.c. prevede anche che il contratto si può sciogliere per altre cause previste dalla legge. Una di queste è prevista dal successivo art. 1373 c.c., che come si è accennato ritiene valido l'accordo diretto ad attribuire a tutte o soltanto ad alcune delle parti di un contratto il diritto di recedere unilateralmente da esso. Mentre secondo il primo comma dell'art. 1373 nei contratti ad esecuzione istantanea il recesso non può essere esercitato dopo che il contratto abbia avuto un principio di esecuzione, il secondo comma dello stesso articolo stabilisce che nei contratti ad esecuzione continuata o periodica la facoltà di recesso può essere esercitata anche successivamente rispetto all'inizio dell'esecuzione del contratto, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite. Sotto questo punto di vista dunque l'istituto del recesso è perfettamente compatibile con un rapporto di durata qual è quello societario, in cui è massima l'esigenza di conservazione delle situazioni già consolidatesi, a tutela dei terzi e dell'efficienza della società in generale (M. Stella Richterjr., 128). Dalla disciplina complessiva degli artt. 1372 e 1373 c.c. sembrerebbe evincersi che occorre una specifica previsione diretta ad autorizzare il recesso unilaterale. Quest'ultimo pertanto non sarebbe una normale facoltà delle parti contraenti, ma costituirebbe un rimedio di natura eccezionale, derogatorio rispetto al principio dell'intangibilità del contratto (Cass. I, n. 98/1990, in Notiz. giur. lav. 1990, 440). Sembrerebbe allora in astratto che nessun ostacolo si frapponga alla possibilità di attribuire ad uno o più soci un diritto potestativo di recessoexart. 1373 c.c., anche se la società non è a tempo indeterminato (Demuro, 177; Presti, 89). In senso contrario tuttavia Delli Priscoli, 222; Galletti, 443: poiché con la società di capitali si dà luogo ad una struttura organizzativa che agisce all'esterno e che prescinde dall'eventuale contratto originario, e poiché dunque nel caso di recesso da una società sono coinvolti anche interessi di terzi, non è possibile ritenere senz'altro lecito che i soci – nel libero esplicarsi della loro autonomia contrattuale – si attribuiscano un diritto di recesso. Esigenze di affidamento dei terzi e garanzie di solvibilità della società, fanno infatti sì che lo statuto non possa tendenzialmente prevedere clausole di recesso ad nutum a favore di uno o più soci senza alcun onere a carico di questi, perché pattuizioni del genere rischierebbero di impoverire la società, costringendola al rimborso della partecipazione del socio recedente, e comunque ne minerebbero fortemente la credibilità all'esterno non disponendo più di fatto la società di un patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori sociali. Anche a seguito della riforma infatti il capitale sociale mantiene un ruolo centrale (cfr. art. 3, comma 2, lett. f), della legge delega n. 366/2001 per la riforma delle società di capitali per la s.r.l.; art. 4, comma 8, lett. d), della stessa legge per la s.p.a.), ai fini non solo della tutela dei terzi ma anche dell'integrità della stessa struttura societaria. Riconoscere alle parti la facoltà di sciogliersi ad nutum significherebbe vanificare di fatto il principio secondo cui il capitale sociale corrisponde ad una cifra fissa, potendo lo stesso essere suscettibile di modifiche di continuo. Occorre infatti tenere presente che la società è un centro catalizzatore degli interessi non solo del gruppo dei soci, ma anche dei terzi in generale (lavoratori, potenziali investitori, creditori). Nelle società di capitali dunque occorre avere riguardo non solo all'interesse espresso nel contratto di società dai soci, ma anche all'interesse sociale dell'impresa, con la conseguenza che la posizione di socio non rappresenta una posizione contrattuale, ma esclusivamente di partecipazione all'organizzazione societaria. L'impresa infatti agisce all'esterno, contrae obbligazioni, crea posti di lavoro e suscita affidamento alla loro conservazione. Si spiegano così istituti come l'amministrazione controllata o l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi che nella gran parte dei casi non hanno portato al risanamento dell'impresa ma hanno consentito la conservazione, sia pure temporanea, di posti di lavoro. Peraltro gli interessi organizzativi della società non possono penalizzare eccessivamente quelli del socio, perché allora altrimenti per esempio non dovrebbero mai essere distribuiti utili ai soci (Gambino, 112). È vero infatti che il momento organizzativo è strumentale rispetto allo svolgimento del rapporto contrattuale: «la mediazione del momento organizzativo si attua nella realizzazione, non nel sacrificio del momento contrattuale» (Oppo, 31) e che con il superamento dell'impostazione corporativa propria del codice civile del 1942, l'art. 41 della Costituzione non impone affatto di perseguire l'interesse superiore della produzione: va pertanto negata una concezione diretta a istituzionalizzare l'impresa, immaginandola portatrice di interessi superiori e distinti da quelli dei soci. D'altra parte non può negarsi che esiste anche l'interesse della società, che può esigere il sacrificio del diritto dei soci in alcuni casi, come nel caso dell'aumento del capitale sociale senza diritto di opzione (Delli Priscoli, 122); nello stesso senso Di Sabato, 502, che ricorda che dal contratto nasce un'organizzazione che produce effetti nei confronti dei terzi e pertanto la libertà dei soci viene ristretta proprio in quanto il contratto estende la sua rilevanza diretta anche oltre questi ultimi. BibliografiaBartolacelli, Brevi note su forma e modalità dell’esercizio del diritto di recesso, in Giur. comm., 2005, I, 334; Callegari, Commento all’art. 2437-bis, in Il nuovo diritto societario, a cura di Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, 1413; Carmignani, Commento all’art. 2437-bis, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, 887; Delli Priscoli, L’uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Milano, 2005; Demuro, Il recesso, in Aa.Vv., La nuova s.r.l. Prime letture e proposte interpretative, a cura di Farina, Ibba, Racugno e Serra, Milano, 2003, 177; Di Sabato, Autonomia privata e tipicità delle società, in Riv. dir. impr., 2003, 502; Galletti, Sub art. 2437-bis, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005, 1560; Gambino, Manuale di diritto commerciale, Impresa e società di persone, Torino, 2015; Oppo, Eguaglianza e contratto nelle società per azioni, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975; Piscitello, Recesso del socio, in Riv. dir. soc., 2008, 42; Presti, Questioni in tema di recesso nelle società di capitali, in Giur. comm., 1992, I, 89; Salafia, Il recesso dei soci nelle società di capitali, in Soc., 2006, 419; Spolidoro, Questioni in tema di recesso dalle società di capitali a margine di un libro recente, in Riv. soc., 2012, 403; Stella Richter jr, Il tempo nei contratti sociali e parasociali, in La rilevanza del tempo nel diritto commerciale, a cura di Morera, Olivieri, Stella Richter jr., Milano, 2000. |