Codice Civile art. 2437 ter - Criteri di determinazione del valore delle azioni (1).

Lorenzo Delli Priscoli

Criteri di determinazione del valore delle azioni (1).

[I]. Il socio ha diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso.

[II]. Il valore di liquidazione delle azioni (2) è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti (3), tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni.

[III]. Il valore di liquidazione delle azioni quotate in mercati regolamentati (2) è determinato facendo (4) riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero ricezione dell'avviso di convocazione dell'assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso. Lo statuto delle società con azioni quotate in mercati regolamentati può prevedere che il valore di liquidazione sia determinato secondo i criteri indicati dai commi 2 e 4 del presente articolo, fermo restando che in ogni caso tale valore non può essere inferiore al valore che sarebbe dovuto in applicazione del criterio indicato dal primo periodo del presente comma (5).

[IV]. Lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione.

[V]. I soci hanno diritto di conoscere (2) la determinazione del valore di cui al secondo comma del presente articolo nei quindici giorni precedenti alla data fissata per l'assemblea; ciascun socio ha diritto di prenderne visione e di ottenerne copia a proprie spese.

[VI]. In caso di contestazione da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso il valore di liquidazione è determinato entro novanta giorni dall'esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell'articolo 1349.

(1) V. nota al Capo V.

(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.

(3) Le parole «revisione contabile» sono state sostituite dalle parole «revisione legale dei conti» dall'art. 37, comma 20, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39.

(4) L'art. 20, comma 3, d.l. 24 giugno 2014 n. 91, conv., con modif., in l. 11 agosto 2014 n. 116, ha soppresso la parola «esclusivo».

(5) L'art. 20, comma 3, d.l. 24 giugno 2014 n. 91, , conv., con modif., in l. 11 agosto 2014 n. 116, ha aggiunto, in fine, le parole «Lo statuto delle società con azioni quotate in mercati regolamentati può prevedere che il valore di liquidazione sia determinato secondo i criteri indicati dai commi 2 e 4 del presente articolo, fermo restando che in ogni caso tale valore non può essere inferiore al valore che sarebbe dovuto in applicazione del criterio indicato dal primo periodo del presente comma».

Inquadramento

L'art. 2437-ter c.c. è dedicato ai criteri di determinazione del valore delle azioni. Tale norma (come del resto anche l'art. 2473, comma 3, c.c., in tema di s.r.l.) non prende in considerazione – come invece avveniva prima della riforma del 2003 – il bilancio ma la consistenza patrimoniale della società e le prospettive reddituali: il riferimento esclusivo al bilancio è stato infatti ritenuto eccessivamente penalizzante in quanto i criteri – di cui all'art. 2423-bis c.c. – di redazione dello stesso, sono, fra l'altro, orientati al principio della prudenza (cfr. i nn. 1, 2 e 4 dell'art. 2423-bis). I nuovi art. 2437-ter e 2473 c.c. sembrano invece permettere di prescindere dal bilancio, consentendo al socio di ottenere un valore di liquidazione tendenzialmente corrispondente a quello di mercato, e dunque avvicinando l'istituto del recesso alle esigenze del socio investitore, che non esce dalla società perché in dissenso dalla stessa ma solo perché avverte l'esigenza di dare un'altra destinazione al proprio denaro. Risponde alle stesse esigenze il disposto del comma 5 dell'art. 2437-ter c.c., che dispone che il valore della partecipazione debba essere effettuato prima della delibera eventualmente legittimante il recesso, in modo che il socio non abbia sorprese e si possa regolare circa la convenienza di effettuare il recesso (Calandra Buonaura, 316; Callegari, 1420).

Proprio in ragione di quest'ultimo aspetto della riforma, non è detto che per il socio la vendita delle azioni costituisca sempre lo strumento migliore e più agevole per tornare in possesso della liquidità investita in azioni, anche se la società è quotata sul mercato. Sotto questo punto di vista, il recesso si mostra spesso dunque, agli occhi del socio investitore, come un modo di uscita dalla società perfettamente equivalente all'alienazione della partecipazione (Delli Priscoli, 88).

Secondo Cass. I, n. 3770/1983, il socio receduto ha diritto alla liquidazione della quota in proporzione del patrimonio sociale risultante dall'ultimo bilancio di esercizio. Pertanto, anche qualora tale bilancio, per la mancanza nell'anno di concreti atti di esercizio, si limiti alla sola rappresentazione della situazione patrimoniale, è sulla sua base che si deve procedere alla liquidazione della quota spettante al socio receduto, senza alcuna possibilità per la società di riferirla ad un successivo bilancio ove, accanto alla situazione patrimoniale, è esposto anche il conto economico relativo allo svolgimento di attività d'impresa vera e propria. È in effetti molto frequente una divergenza anche significativa tra effettiva consistenza patrimoniale di una società e quanto invece risulta dal suo bilancio. Tanto è vero che nel vigore delle precedenti norme in tema di bilancio, che consentivano, per speciali ragioni, una deroga ai criteri di redazione del bilancio, era stato proposto di utilizzare questi stessi criteri in sede di liquidazione della quota del socio recedente. D'altra parte corrispondere valori superiori a quelli rappresentati dal bilancio significherebbe intaccare ulteriormente l'integrità del patrimonio sociale.

I criteri per la determinazione del valore di liquidazione delle azioni del socio receduto previsti nel secondo comma nell'art. 2437-ter c.c., derogabili solo nei limiti stabiliti dal comma quarto, costituiscono norme imperative la cui violazione comporta nullità della clausola statutaria di deroga, indipendentemente dalla natura di essa di patto volto ad escludere o a rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso (Trib. Roma 15 gennaio 2020, in Banca borsa tit. cred., 2021, 3, II, 362). Conseguentemente, è invalida la clausola statutaria per la quale le azioni del socio receduto debbano essere liquidate al valore nominale, anziché al valore effettivo. Lo statuto, infatti, pur potendo utilizzare “criteri diversi” rispetto a quelli indicati dall'art. 2437-ter, comma 2, c.c. per la determinazione del valore di liquidazione, non può del tutto prescindere dal valore reale delle azioni, e cioè dall'effettiva consistenza patrimoniale della società. Il medesimo arresto ha chiarito che i criteri per la determinazione del valore di liquidazione delle azioni del socio receduto si applicano anche in caso di recesso determinato da cause statutarie.  

Il termine di cui all'art. 2437-ter, comma 2, c.c. riguarda espressamente l'esercizio del recesso da parte del socio, e non anche la contestazione del valore di liquidazione; la previsione di un breve termine di decadenza anche per la contestazione, quando disgiunta dal recesso, non può quindi essere introdotta in via interpretativa (App. Torino 5 maggio 2020).

Alla clausola cd. "russian roulette", contenuta in un patto parasociale, non è applicabile analogicamente il principio di equa valorizzazione delle azioni, previsto, in caso di recesso del socio, dall'art. 2437-ter c.c., e in caso di riscatto delle azioni, dall'art. 2437-sexies c.c., in quanto detta clausola non costituisce in stato di soggezione il socio oblato rispetto a quello che la attiva, ma lascia al primo la facoltà di acquistare, allo stesso prezzo, la partecipazione del socio proponente (Cass. n. 22375/2023).

L'entità della liquidazione tendenzialmente corrispondente al valore di mercato delle azioni

La legislazione italiana si avvicina così a quella di altri paesi, ove pure vi è l'obiettivo di liquidare al socio uscente un fair value. Il criterio del valore del mercato è stato anche accolto dal d.lgs. 30 dicembre 2003, n. 394 – di attuazione della Direttiva 2001/65/CE sulle regole di valutazione per i conti annuali e consolidati di taluni tipi di società, nonché di banche ed altre istituzioni finanziarie – relativamente alla redazione del bilancio di esercizio e consolidato. Un altro riferimento al fair value è contenuto nell'art. 2427 c.c. – come modificato dal d.lgs. n. 6/2003 – nel momento in cui stabilisce che nella nota integrativa si debba indicare «la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni immateriali di durata indeterminata, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto determinabile, al loro valore di mercato...» (Delli Priscoli, 89).

La riforma del 2003, stabilendo, al comma 4, che lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione, ha affidato all'autonomia statutaria un criterio elastico costituito dalla possibilità di determinare autonomamente, in caso di recesso, il valore di liquidazione delle azioni. È possibile in particolare garantire l'uscita dalla società potenzialmente a valore pieno. Al momento della redazione dello Statuto, la società è dunque chiamata ad esercitare un'importante scelta strategica, da un punto di vista economico simile a quella circa il numero e la portata delle cause legittimanti il recesso: tanto maggiore sarà il valore di liquidazione per il socio uscente (così come tanto più numerose saranno le cause che attribuiscono la facoltà di recesso) quanto più facile sarà attrarre i finanziatori. Al contempo però sarà tanto più facile che la società possa subire una drastica e repentina riduzione del proprio patrimonio sociale (Calandra Buonaura, 317; Callegari, 1429).

Specie in caso di eventuali previsioni dello statuto in tema di criteri per la quantificazione della quota, ma anche solo prendendo in considerazione la disciplina piuttosto stringente dei commi 2 e 3, non sembra che gli amministratori dispongano di eccessiva discrezionalità nel determinare il quantum della partecipazione, in relazione alla possibilità, prevista dall'ultimo co. della norma in commento, della possibilità per il socio di contestare il valore di liquidazione della partecipazione, chiedendo una relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale (Calandra Buonaura, 318, Delli Priscoli, 89).

È discusso se la consistenza patrimoniale della società vada calcolata con riferimento al giorno in cui la società riceve la dichiarazione di recesso del socio (Delli Priscoli, 89) o al momento della deliberazione assembleare legittimante il recesso (Demuro, 139), perché in quest'ultimo caso il socio sarebbe irragionevolmente avvantaggiato, in caso di perdite da parte della società nei giorni compresi tra la delibera e il recepimento del recesso, in quanto potrebbe ottenere un valore della propria partecipazione superiore a quello effettivo; inoltre la decisione di recedere sarebbe comunque in ogni caso influenzata da eventuali variazioni di valore del patrimonio sociale.

Secondo la vecchia formulazione dell'art. 2437 c.c. il valore di liquidazione della quota del socio recedente si otteneva dal patrimonio sociale risultante dal bilancio dell'ultimo esercizio. Tale criterio, penalizzava sensibilmente il socio recedente in ossequio al disfavore del legislatore del 1942 per il recesso non permettendo tali criteri di attribuire al socio l'effettivo valore della sua partecipazione sociale: gli amministratori, quindi, dovranno procedere alla determinazione di tale valore: cfr. Trib. Milano, VIII, 30 aprile 2008, in Soc. 2010, 233. Ha coerentemente affermato la Cassazione (Cass. I, n. 15785/2010) che in caso di recesso la liquidazione della partecipazione spettante al socio va effettuata, a norma dell'art. 2437, comma 1, c.c. (nel testo precedente alla riforma attuata con il d.lgs. n. 6/2003), con riferimento alla situazione patrimoniale della società risultante dall'ultimo bilancio d'esercizio, per esso intendendosi, non già l'ultimo bilancio approvato, ma il bilancio relativo all'ultimo anno, conclusosi precedentemente al giorno del recesso, tenendo conto unicamente degli elementi che possono essere iscritti in tale bilancio, secondo i criteri enunciati dagli art. 2423 ss. c.c. (Cass. I, n. 17012/2004).

L'esperto nominato dal tribunale ai sensi dell'art. 2437-ter c.c. deve determinare il valore delle azioni del socio receduto secondo equo apprezzamento e la sua decisione può essere impugnata soltanto per iniquità o erroneità manifeste. In materia di determinazione del valore delle azioni del socio receduto da parte dell'esperto nominato dal tribunale ai sensi dell'art. 2437-ter c.c., l'erroneità consiste in un ragionamento caratterizzato da contraddittorietà tra premesse e conclusioni, fondato su dati di fatto manifestamente errati o inficiato da errori di calcolo evidenti e la manifesta iniquità consiste in un'obiettiva sproporzione tra prestazioni, tale da generare una lesione ultra dimidium (Trib. Torino 20 giugno 2022, in Foro it., 2022, 10, I, 3167. Nella specie, il tribunale ha rigettato le domande proposte dalla società e dall'azionista receduto tese alla rideterminazione del valore di liquidazione delle azioni di una società bancaria incorporata in altra società bancaria, rispetto a quello indicato dall'esperto nominato dal tribunale, affermando che i molteplici criteri adottabili per la valutazione di aziende e di azioni possono portare a risultati anche diversi, tutti astrattamente corretti, onde non è sufficiente, ai fini dell'impugnazione della relazione peritale, che adottando un diverso criterio di valutazione si possa giungere ad una diversa stima, reputata preferibile rispetto a quella fornita dal perito). Peraltro, la motivata scelta, da parte dell'esperto nominato ai sensi dell'art. 2437-ter, comma 6, c.c., di utilizzare un metodo di valutazione della partecipazione azionaria piuttosto che un altro non è indice di manifesta iniquità o erroneità della determinazione rilevanti ex art. 1349 (App. Torino 5 maggio 2020, in Foro it., 2020, 9, I, 2871). Quest'ultimo arresto giurisprudenziale ha anche precisato che alla contestazione ex art. 2437-ter, comma 6, c.c. del valore di liquidazione delle azioni, quando non contestuale alla dichiarazione di recesso, come nel caso di cessazione ex lege della partecipazione, non è applicabile per analogia il termine di decadenza di trenta giorni previsto dall'art. 2437-bis, comma 1, c.c. per l'esercizio del recesso.

L'esperto stimatore , nominato dal tribunale nell'ambito del procedimento di determinazione del valore delle azio ni del socio recedente, di cui all'art. 2437-ter, comma 6, c.c., va annoverato fra gli ausiliari del giudice, ai sensi dell'art. 68 c.p.c. mettendo egli a disposizione delle parti il risultato della propria opera di valutazione al fine della regolazione delle loro posizioni. Ne consegue che il relativo compenso deve essere determinato, secondo le modalità stabilite dal d.P.R. n. 115/2002, in base alla tariffa giudiziale prevista per tutti gli ausiliari del giudice e non, invece, in base alla tariffa professionale (Cass. I, n. 2152/2012).

Clausole di mero gradimento e liquidazione delle azioni

Il secondo comma dell'art. 2355-bis c.c., dettato in tema di società per azioni, stabilisce che «le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il recesso dell'alienante. Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'art. 2437-ter» (Meli, 363; De Nova, 333).

Tali norme hanno dunque legittimato la presenza di clausole — considerate inefficaci nella vigenza della disciplina anteriore alla riforma anteriore al 2003 (cfr. in questo senso Cass., n. 2365/1978, in Giur. comm., 1978, II, 639) — che sottopongono il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci, purché la clausola attribuisca al socio «una via di fuga». Come contropartita offerta al singolo socio viene infatti richiesta, per l'efficacia stessa della clausola, che sia prevista la possibilità di un'exit del socio: non importa il mezzo, che può essere scelto dalla società (acquisto da parte di quest'ultima o dei soci o procedura del recesso); interessa che il socio possa uscire dall'ente collettivo nel caso in cui quest'ultimo rifiuti il placet ad una sua richiesta di alienazione delle azioni o delle quote.

Deve in particolare sottolinearsi che la nuova disciplina delle clausole di mero gradimento pone, in alternativa al recesso, la possibilità che le azioni vengano acquistate dalla società o dagli altri soci, così evitando in quest'ultimo caso la depatrimonializzazione della società, permettendo al contempo di realizzare lo scopo di consentire l'exit al socio. Nel caso pertanto in cui la società preveda l'acquisto da parte degli altri soci, il rifiuto del placet potrà avvenire solo quando quest'ultimi dispongano dei mezzi necessari per il riacquisto delle partecipazioni del socio che vuole vendere la sua partecipazione (Daccò, 54; Delli Priscoli, 90).

Una situazione analoga si verifica nel corso del procedimento di liquidazione in seguito al recesso del socio (art. 2437-quater c.c.): prima che la società rimborsi le azioni al socio recedente viene attribuita la facoltà ai soci (e in alcuni casi anche ai terzi: quando gli amministratori riterranno, valutata la corrispondenza dell'operazione all'interesse sociale, che non vi siano pregiudizi dall'alterazione della composizione della compagine sociale) di acquistare le azioni del socio recedente: lo scopo è sempre quello di evitare, per quanto possibile, la perdita di risorse patrimoniali della società (Meli, 366).

Quanto alla possibilità di exit in ipotesi di introduzione delle clausole di mero gradimento, la riforma le equipara a quelle di gradimento non mero, stabilendo la facoltà di recesso, salvo una diversa previsione da parte dello statuto (cfr. l'art. 2437, comma 2, c.c., che facoltizza il recesso da parte del socio dissenziente da una decisione che introduce vincoli alla circolazione delle azioni). Nell'ipotesi poi in cui venga statutariamente introdotta la clausola che vieta il recesso per l'eventualità in cui dovesse successivamente essere inserita una clausola di mero gradimento, sarà in ogni caso (ovverosia senza possibilità di deroga statutaria: cfr. l'art. 2437 c.c. commi primo, lett. e, ed ultimo) consentito il recesso.

Occorre dunque tenere concettualmente distinte la facoltà di uscita del socio nel caso in cui la società neghi il gradimento al socio da un lato e la facoltà di recesso prevista in caso di introduzione della clausola di mero gradimento dall'altro, anche se poi in entrambi i casi è permesso l'exit (M. Stella Richterjr., 395).

Bibliografia

Calandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. comm. 2005, I, 317; Callegari, Commento all'art. 2437-ter c.c., in Il nuovo diritto societario, a cura di Cottino, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, II, 2, 1420; Daccò, Il recesso nelle s.p.a., in Le nuove s.p.a., diretto da Cagnasso e Panzani, Bologna, 2010; Delli Priscoli, L'uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Milano, 2005; Demuro, La determinazione della quota di liquidazione del socio receduto, in Giur. comm. 2011, II, 139; De Nova, Il diritto di recesso del socio di società per azioni come opzione di vendita, in Riv. dir. priv. 2004, 333; Di Cataldo, Il recesso del socio di società per azioni, in Il nuovo diritto della società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, 3, Torino, 2006; Meli, Commento all'art. 2355-bis c.c., in Società di capitali a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, I, Napoli, 2004, 363; Spolidoro, Questioni in tema di recesso dalle società di capitali a margine di un libro recente, in Riv. soc. 2012, 403; Stella Richter jr., Diritto di recesso ed autonomia statutaria, in Riv. dir. comm. 2004, I, 395.

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