Codice Civile art. 2447 - Riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale 1 2 3 .

Giuseppe Positano

Riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale 123.

[I]. Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dall'articolo 2327, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società.

 

[1] V. nota al Capo V.

[2] Con riferimento alle misure connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, v. le disposizioni temporanee in materia di riduzione di capitale di cui all’art. 6 d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv., con modif., in l. 5 giugno 2020, n. 40, come sostituito dall’art. 1, comma 266,  l. 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021).

[3]  Per la sospensione degli obblighi di cui al presente articolo vedi l'art. 8, comma 1, d.l. 24 agosto 2021, n. 118, conv. con modif., in l. 21 ottobre 2021, n. 147

Inquadramento

È opinione corrente che la norma in commento costituisca una species del genus della riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite di cui al precedente art. 2446 c.c. (Nobili, 336; Guerrera, 1207; Bertacchini, 456).

La norma, infatti, disciplina una particolare fattispecie in cui la perdita, oltre ad eccedere il terzo del capitale sociale (come nell'art. 2446 c.c.), ha anche ridotto quest'ultimo al di sotto del minimo legale di euro 50.000 fissato dall'art. 2327 c.c. (Stanghellini, 2732).

La circostanza che la norma in commento si ponga in rapporto di specialità con quella dell'art. 2446 c.c. determina, pertanto, l'applicabilità del medesimo procedimento ivi previsto (nel primo comma dell'art. 2446 c.c.), salvo per quanto riguarda la possibilità di «rinvio a nuovo» delle perdite che in questo caso è preclusa (Bertacchini, 456).

Infatti, non appena si verificano i presupposti di applicazione della norma (su cui v. infra), gli amministratori (o il consiglio di gestione, nel sistema dualistico) e, in caso di loro inerzia, il collegio sindacale (o il consiglio di sorveglianza), devono «senza indugio» (sulla portata della locuzione si rinvia al commento dell'art. 2446 c.c.) convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra almeno pari al minimo legale (aumento che deve intendersi a pagamento dato che l'esistenza di perdite esclude che vi siano riserve per poter operare un aumento gratuito: così Ginevra, 273), o la trasformazione (fusione o scissione) della società.

Benché la norma non contempli espressamente il collegio sindacale, non c'è dubbio che anche tale organo sia investito del potere di convocare l'assemblea dei soci nel caso di inerzia dell'organo di gestione, in forza del generale potere suppletivo che il legislatore gli riconosce all'art. 2406 c.c. (Campobasso, 519; Ferrarajr., Corsi, 717, nota 8).

Se l'assemblea non adotta una delle predette decisioni, la società si scioglie ed entra in stato di liquidazione (art. 2484, comma 1, n. 4, c.c.). Non è pertanto più possibile attendere i risultati dell'esercizio successivo (Campobasso, 520).

L'assemblea convocata dall'organo di gestione deve essere quella straordinaria (Campobasso, 519) in quanto tutte le possibili deliberazioni (modificazioni statutarie; nomina del liquidatore) rientrano nella sua competenza prevista dall'art. 2365 c.c. (Nobili, 336).

Pur nel silenzio della norma in commento, si ritiene comunemente che, in forza del principio di specialità sopra citato, gli amministratori sono tenuti anche in questo caso a sottoporre all'assemblea dei soci una relazione sulla situazione patrimoniale «aggiornata» della società (in ordine alla quale si rinvia al commento dell'art. 2446 c.c.) con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione (Bertacchini, 456; Guerrera, 1207).

La riduzione per perdite, da punto di vista operativo, si attua (come per l'art. 2446 c.c.) o con l'annullamento di un certo numero di azioni ovvero riducendo proporzionalmente il valore nominale delle azioni (Ferrarajr.Corsi, 716; Ginevra, 274).

I presupposti: riduzione del capitale al disotto del minimo legale e perdita oltre il terzo

Per l'applicazione dell'art. 2447 c.c. sono espressamente richieste due condizioni ovverossia la riduzione del capitale (cioè del patrimonio netto contabile) al disotto del minimo legale stabilito dall'art. 2327 c.c. e al tempo stesso (Nobili, 334) l'esistenza di una perdita eccedente il terzo del capitale (Stanghellini, 2732).

La norma, quindi, non trova applicazione quando il capitale scende al di sotto del minimo legale per effetto di una perdita che non supera il terzo del capitale sociale (Nobili, 335; Campobasso, 520, nota 75; Ferrara jr., Corsi, 717; Stanghellini, 2732; Bertacchini, 456).

Nello stesso senso della dottrina, si è espressa anche la giurisprudenza (cfr. Trib. Roma, 3 luglio 1989).

Secondo la Suprema Corte lo scioglimento della società per la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale si verifica, ove non siano adottati i provvedimenti previsti dall'art. 2447 c.c., solo quando la perdita di esercizio sia di consistenza superiore al terzo del capitale della società e determini la riduzione di questo al disotto del minimo stabilito dalla legge, mentre non si verifica quando la perdita, pur determinando la riduzione del capitale al disotto del minimo stabilito dalla legge, sia pari o inferiore al terzo del capitale medesimo. La Cassazione, sul punto, ha, infatti, precisato che, fino a quando la perdita di esercizio si contiene entro i limiti del terzo della misura di capitale scelta dai soci al momento in cui tale evento si verifica, anche se tale misura è quella (minima) imposta dalla legge per il modello societario adottato, non vi è obbligo per gli amministratori di convocare senza indugio l'assemblea per l'adozione di una delle decisioni indicate dall'art. 2447 cod. civ. e tale inerzia, ovvero una decisione assembleare diversa da quelle prescritte da tale articolo, non comporta conseguenze negative di sorta quanto alla vita della società. Invero, è solo la perdita di esercizio superiore al terzo del capitale e incidente sul suo ammontare minimo che determina, per volontà della legge lo scioglimento della società (Cass. I n. 4347/2022).

Secondo l'opinione ormai prevalente in dottrina (Campobasso, 517; Ginevra, 271; Stanghellini, 2715; Guerrera, 1201; Di Sabato, 457), la perdita rilevante ai sensi dell'art. 2446 c.c. e 2447 c.c. è quella calcolata al netto delle riserve che vanno impiegate prima di attaccare il capitale sociale del quale costituiscono naturale «cuscinetto» protettivo.

Sulla necessità di coprire le perdite con le riserve prima di intaccare il capitale sociale, si è espressa anche la giurisprudenza (Cass. n. 23269/2005; e Cass. n. 8221/2007, per la quale «in tema di società, le regole dettate dagli artt. 2446 e 2447 c.c., prevedenti, ai fini della riduzione del capitale sociale, le modalità con cui le disponibilità della società possono essere intaccate e la necessità del previo deposito della situazione patrimoniale aggiornata, sono strumentali alla tutela, non solo dell'interesse dei soci, ma anche dei terzi; è pertanto nulla la delibera di azzeramento e di reintegrazione del capitale sociale che sia stata adottata in base ad una situazione patrimoniale della società non aggiornata, e assunta sulla base di una determinazione delle perdite al lordo delle riserve»).

Invero, la giurisprudenza di legittimità più recente ha precisato che le riserve appostate al passivo dello stato patrimoniale di una società di capitali possono essere imputate a riduzione delle perdite (salvo diversa specifica previsione normativa) solo in un ordine di progressiva minore disponibilità, da ultimo residuando, in tal caso secondo le maggioranze dell'assemblea straordinaria, l'operazione di riduzione del capitale sociale; con la conseguenza che le c.d. riserve non distribuibili possono essere utilizzate per la copertura delle perdite solo dopo l'assorbimento di ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio (Cass. n. 15087/2022, che ha precisato che la riserva costituita, ai sensi dell'art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., dalle plusvalenze, derivanti dalla valutazione delle partecipazioni in imprese controllate secondo il criterio del patrimonio netto, ha natura di riserva non distribuibile, basandosi su un valore solo stimato e non ancora realizzato).

In dottrina, è stato autorevolmente affermato (Niccolini, 304) che la norma in commento trovi applicazione non solo nel caso in cui la perdita di oltre un terzo abbia intaccato il minimo legale previsto dall'art. 2327 c.c. (attualmente fissato in euro 50.000), ma anche quando abbia aggredito il capitale minimo previsto dalla legge per alcune categorie di società – come banche o SIM – quand'anche di ammontare superiore a quello dell'art. 2327 c.c. (contra, Stanghellini, 2723, per il quale «oggetto della norma in commento è solo la tutela del minimo legale di cui all'art. 2327 c.c.», mentre nelle ipotesi in cui sia previsto un capitale minimo superiore a quello ordinario, la riduzione al di sotto di tale (superiore) minimo, può al più determinare, secondo le regole della disciplina di settore, la perdita dell'autorizzazione ad operare ed il conseguente scioglimento della società ai sensi dell'art. 2484, comma 1, n. 2, c.c., per sopravvenuta impossibilità di conseguire l'oggetto sociale; Nobili, Spolidoro, 376, nota 9, suggeriscono, invece, una possibile distinzione di disciplina fra i casi in cui il capitale più elevato sia fissato direttamente dalla legge e quelli in cui esso sia stabilito in via regolamentare).

La riduzione facoltativa del capitale per perdite: rinvio.

La riduzione del capitale sociale, immediata o differita (art. 2446 c.c.), oppure sempre immediata (art. 2447 c.c.), è obbligatoria solo se le perdite superano di un terzo il capitale sociale, cioè, solo quando la società abbia subito perdite che ne abbiano ridotto il patrimonio netto al di sotto dei due terzi della cifra del capitale sociale (Stanghellini, 2712).

Nel caso in cui le perdite non superano tale limite, la società non è obbligata a ridurre il capitale sociale, ma ha la facoltà di farlo (nel senso della piena legittimità della riduzione del capitale in presenza di perdite inferiori al terzo del capitale, cfr. Cass. n. 543/2006).

In tal caso, si parla di riduzione «facoltativa» del capitale perché la relativa decisione non è obbligata, ma è rimessa alla discrezionalità degli organi sociali (Guerrera, 1202; Campobasso, 517; Stanghellini, 2719; Di Sabato, 458; Nobili, 328, per il quale il fatto che la Riforma del 2003 abbia eliminato nell'art. 2445 c.c. il requisito della «esuberanza» del capitale sociale, e quindi ampliato la libertà della società di ridurre volontariamente il capitale stesso, costituisce ulteriore conferma della legittimità di una riduzione facoltativa del capitale per perdite inferiori al terzo).

Con riferimento alla questione relativa all'applicabilità alla riduzione facoltativa del capitale per perdite inferiori al terzo del procedimento previsto dall'art. 2445 c.c. con conseguente riconoscimento ai creditori sociali del diritto di proporre opposizione (su cui Nobili, 328 s.; Ginevra, 274; contra, Campobasso, 518), si rinvia al commento dell'art. 2446 c.c.

La riduzione parziale del capitale per perdite.

È opinione prevalente che la perdita superiore al terzo del capitale, che abbia intaccato il minimo legale dell'art. 2327 c.c., debba essere «totalmente» eliminata (Guerrera, 1207). Non è ammissibile, quindi, una riduzione parziale del capitale finalizzata a coprire solo in parte le perdite, in modo cioè da farle scendere al di sotto di un terzo del capitale sociale (Di Sabato, 457; Ginevra, 272). Per la disamina delle ragioni sottese a questa impostazione condivisa da dottrina e giurisprudenza, si rinvia al commento dell'art. 2446 c.c.

Certamente ammissibile è, invece, il ripianamento delle perdite mediante versamenti dei soci ovvero rinuncia dei soci a corrispondenti crediti nei confronti della società (Ferrarajr., Corsi, 717; Guerrera, 1205).

In giurisprudenza è stato, infatti, affermato che «in tema di società di capitali, non viola il principio di limitazione di responsabilità dei soci la delibera assembleare assunta a maggioranza che, perseguendo l'obiettivo di evitare lo scioglimento della società, deliberi di ripianare le perdite eccedenti il capitale mediante versamento di somme di denaro da parte dei soci» (Trib. Verona, 21 marzo 2012), così come «la rinuncia ad un credito da parte del socio vale ad incrementare il patrimonio netto ed è pertanto astrattamente idonea a concorrere al venire meno della situazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale prevista dall'art. 2447 c.c.» (Trib. Milano, 1° aprile 2011).

L'aumento del capitale in pendenza di perdite: rinvio

È controverso in dottrina ed in giurisprudenza se l'assemblea possa deliberare un aumento di capitale senza aver preventivamente ripianato le perdite (ad esempio, con versamenti a fondo perduto) oppure ridotto il capitale in misura corrispondente.

Prevale in dottrina l'opinione che l'aumento di capitale in presenza di perdite sia consentito solo nell'ipotesi di riduzione facoltativa per perdite prevista dal primo comma dell'art. 2446 c.c., rientrando negli «opportuni provvedimenti» ammessi dalla legge (Belviso, 137), mentre sarebbe precluso nei casi di riduzione obbligatoria del capitale di cui all'art. 2446, comma 2, c.c. e art. 2447 c.c., per i quali le esigenze di informazione sottese alla disciplina non consentirebbero di mascherare la situazione reale della società (Di Sabato, 457).

In senso favorevole, si è di recente espresso il Consiglio Notarile di Milano (Massima n. 122 del 18 ottobre 2011), affermando che «la presenza di perdite superiori al terzo del capitale, anche tali da ridurre il capitale ad un importo inferiore al minimo legale previsto per le s.p.a. e le s.r.l., non impedisce l'assunzione di una deliberazione di aumento del capitale che sia in grado di ridurre le perdite ad un ammontare inferiore al terzo del capitale e di ricondurre il capitale stesso, se del caso, a un ammontare superiore al minimo legale».

In argomento, v. Stanghellini, 2725 s.

Medesima problematica si è posta a proposito della riduzione del capitale per perdite disciplinata dall'art. 2446 c.c., al cui commento si rinvia per ulteriore approfondimento.

L'azzeramento e la ricostituzione del capitale sociale.

L'art. 2447 c.c. trova applicazione sia nell'ipotesi in cui le perdite, sempre superiori al terzo, abbiano ridotto il capitale al di sotto del minimo legale, sia nell'ipotesi in cui il capitale sia andato interamente perduto o le perdite siano addirittura superiori all'ammontare del capitale, con conseguente valore contabile «negativo» del patrimonio netto (Guerrera, 1207; Campobasso, 520).

Secondo una autorevole, ma oramai risalente, dottrina (Graziani, 744 ss.; Ascarelli, 748 ss.) la deliberazione di riduzione a zero e contestuale ricostituzione del capitale sociale doveva essere adottata all'unanimità, perché lesiva del diritto del singolo azionista alla conservazione della sua qualità di socio. L'azzeramento del capitale, infatti, porterebbe con sé l'azzeramento del valore nominale delle azioni, con l'inevitabile effetto che il socio che non sottoscrive l'aumento verrebbe «espropriato» di ogni diritto sul patrimonio sociale, benché questo possa presentare ancora un'eccedenza attiva rispetto ai valori di bilancio.

La dottrina dominante e più recente ritiene, invece, che anche la delibera di azzeramento e di ricostituzione del capitale sociale possa essere presa a maggioranza dei soci al pari delle altre modifiche statutarie (Di Sabato, 459; Campobasso, 521; Guerrera, 1207; Ginevra, 273, nota 56; Stanghellini, 2733).

I dati normativi a disposizione dell'interprete, infatti, non offrono argomenti per ritenere che, in caso di azzeramento del capitale, l'interesse del singolo socio allo scioglimento della società prevalga su quello della maggioranza alla conservazione dell'attività d'impresa (Di Sabato, 459). D'altra parte, il singolo socio viene in ogni caso tutelato attraverso il riconoscimento del diritto di opzione sulle azioni di nuova emissione, di modo che la perdita della qualità di socio, per mancata sottoscrizione dell'aumento, è pur sempre imputabile ad una sua libera scelta (Campobasso, 521). Il socio, inoltre, potrà anche cedere il diritto di opzione dietro corrispettivo ove la società presenti un valore patrimoniale «reale» netto di segno positivo (Nobili, Spolidoro, 394; Guerrera, 1208) e così monetizzare il proprio status di socio.

Certamente l'operazione nel suo complesso può prestarsi a facili abusi ai danni della minoranza, ma in tal caso altri devono essere i rimedi esperibili contro i comportamenti fraudolenti della maggioranza, quali l'impugnazione della delibera per violazione del principio di correttezza e buona fede o per abuso di potere (Campobasso, 521; Di Sabato, 460; Stanghellini, 2740).

Anche la giurisprudenza corrente è orientata nel senso di ritenere sufficiente una delibera assunta a maggioranza dei soci secondo le regole ordinarie (Cass. n. 2513/1951; Cass. n. 4089/1980; Cass. n. 8928/1994), tanto più alla luce del nuovo art. 2487-ter c.c. che ha previsto la revocabilità a maggioranza dello stato di liquidazione della società.

L'opinione prevalente in dottrina ritiene però che in tali casi l'assemblea possa a maggioranza soltanto limitare, ma non escludere, il diritto di opzione riconosciuto ai singoli soci (Presti, Rescigno, 209; Campobasso, 521, nota 78; ritengono al contrario ammissibile anche l'esclusione del diritto di opzione Nobili, Spolidoro, 397; Nobili, 337, il quale a sostegno dell'assunto osserva come la disciplina della s.p.a. non recepisca norme analoghe a quella – disposta dall'art. 2482-quater c.c. per le s.r.l. – che esclude in tutti i casi di riduzione del capitale sociale per perdite ogni modificazione delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci).

Anche la giurisprudenza ritiene che la delibera di azzeramento del capitale per perdite e ricostituzione dello stesso assunta con esclusione del diritto di opzione si traduca in una inammissibile espropriazione della qualità di socio foriera di recare danno [Cass. n. 4089/1980; Cass. n. 133/1987, secondo la quale «la delibera dell'assemblea di una società per azioni, che privi il socio della possibilità di partecipare alla vita sociale (nella specie, escludendone il diritto di opzione, dopo la decisione di azzeramento per perdite del capitale sociale e ricostituzione dello stesso), integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al socio medesimo. Questi, pertanto, nel caso d'invalidità della suddetta delibera, ha la facoltà di chiedere una pronuncia di condanna generica della società al risarcimento del danno»].

Nella specie, come precisato da ultimo dalla Suprema Corte, deve considerarsi valida la delibera assembleare che, a seguito di riduzione del capitale sociale per perdite, decida l'azzeramento ed il contemporaneo aumento, anche ad una cifra superiore al minimo, del menzionato capitale sociale mediante la sottoscrizione immediata e per intero del socio presente, purché ai soci assenti o impossibilitati alla sottoscrizione immediata sia consentito esercitare, nel termine stabilito dall'art. 2441 c.c., il diritto di opzione per l'acquisto delle partecipazioni sottoscritte in misura eccedente la quota di spettanza dell'originario sottoscrittore, dal momento che l'esercizio postumo del diritto di opzione opera come condizione risolutiva e rimuove "pro quota" e retroattivamente gli effetti dell'originaria sottoscrizione (Cass. n.11234/2022).

Nell'ipotesi di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale per perdite, secondo l'opinione prevalente non è necessaria la contestuale sottoscrizione dell'aumento, nemmeno nei limiti del minimo legale dell'art. 2327 c.c., dovendosi pur sempre rispettare il termine minimo previsto dall'art. 2441 c.c. per l'esercizio del diritto di opzione (Busi, 91; Nobili, Spolidoro, 403; Stanghellini, 2736. Contra, Nobili, 139; Rordorf, 1278).).

Nello stesso senso, in giurisprudenza, App. Roma, 21 gennaio 1999; Trib. Napoli, 7 gennaio 1999; Trib. Grosseto, 12 ottobre 2001 (ma, contra: Cass. n. 4089/1980; Trib. Roma, 16 giugno 1998; Trib. Rimini, 14 ottobre 2002).

Nello stesso senso è orientata più di recente la Corte di cassazione, per la quale «nell'ipotesi, prevista dall'art. 2447 c.c., di ricostituzione del capitale sociale ridottosi, per la perdita di oltre un terzo dello stesso, al di sotto del minimo legale, non è imposta l'immediata – in considerazione dell'urgenza connessa all'altrimenti automatico scioglimento della società – sottoscrizione del capitale medesimo (almeno nei limiti del minimo legale) contestualmente alla delibera assembleare di ricostituzione, così che il socio non possa in alcun modo dolersi della mancata, prima della sottoscrizione, fissazione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione spettantegli: infatti l'automatico scioglimento della società, ai sensi dell'art. 2448 [ora 2484], n. 4, c.c., si produce salvo il verificarsi, con efficacia retroattiva, della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale (o dalla trasformazione della società) ai sensi dell'art. 2447 cit., sicché non la perdita del capitale in quanto tale e la sua riduzione al di sotto del minimo legale costituiscono la causa dello scioglimento, bensì la mancata reintegrazione del capitale stesso al minimo legale (o la mancata trasformazione della società), mentre la legge non impone la predetta contestualità, limitandosi, invece, il richiamato art. 2447 a richiedere che gli amministratori provvedano a convocare senza indugio l'assemblea per le deliberazioni dallo stesso previste» (Cass. n. 23262/2005).

L'assemblea dei soci potrebbe, per contro – date le urgenti necessità di ricostituire il capitale andato perduto – imporre la sottoscrizione immediata dell'aumento del capitale solo a condizione però che la sottoscrizione avvenga con modalità tali da consentire a tutti i soci (anche agli assenti) di esercitare il diritto di opzione e la prelazione sulle eventuali azioni inoptate ai sensi dell'art. 2441, comma 3, c.c. (Stanghellini, 2737; Guerrera, 1208).

Ipotesi che ricorre quando, ad esempio, i soci presenti in assemblea sottoscrivono le azioni di nuova emissione sotto condizione risolutiva dell'esercizio del diritto di opzione da parte dei soci assenti (per la legittimità di questa prassi, cfr. Cons. Notarile Milano, Massima n. 38 del 19 novembre 2004).

Anche la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto «legittima la delibera assembleare che, avvenuta in assemblea la sottoscrizione del capitale ricostituito sino alla misura del minimo legale ad opera dei soci presenti, assegni ugualmente ai soci che ne abbiano diritto un termine per l'esercizio del diritto di opzione, quando tale assegnazione del termine sia accompagnata dalla previsione, integrante una condizione risolutiva, che l'esercizio del diritto rimuove l'acquisto da parte dei soci originari sottoscrittori del capitale ricostituito: infatti tale delibera, per quanto non contenga la fissazione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione dei soci (artt. 2439, comma 2 e 2441 c.c.), tuttavia non viola il predetto diritto (nel suo contenuto di diritto di prelazione, quale garanzia del mantenimento della misura della partecipazione del socio alla società), in funzione del quale soltanto è prevista la fissazione preventiva del termine per la sottoscrizione, essendo, invece, tale diritto salvaguardato mediante la previsione dell'esercizio postumo (e retroattivo) rispetto all'avvenuta integrale sottoscrizione del capitale da parte degli altri soci» (Cass. n. 23262/2005; Cass. n. 15614/2007).

Opinione condivisa anche dalla più recente giurisprudenza di merito per la quale «in sede di assemblea straordinaria convocata per deliberare l'azzeramento del capitale sociale e il suo contestuale aumento con sovrapprezzo, deve ritenersi lecita  la  prassi consistente nella  sottoscrizione immediata e per intero del capitale ad opera dei soli soci presenti, ove ai soci assenti o impossibilitati all'immediata sottoscrizione sia comunque riconosciuto il diritto di opzione, il cui esercizio postumo opera come condizione risolutiva della precedente sottoscrizione totalitaria, rimuovendone pro quota e retroattivamente gli effetti» (Trib. Milano, 28 aprile 2016).

Nel caso in cui per effetto delle perdite il patrimonio netto abbia raggiunto un valore negativo, l'azzeramento del capitale non è da solo sufficiente a coprire le perdite residue (Stanghellini, 2739; Guerrera, 1208). In tale ipotesi, è prassi diffusa quella di deliberare una riduzione a zero del capitale sociale seguita da un aumento con soprapprezzo in misura idonea a coprire le perdite residue (Nobili, Spolidoro, 392 s., per i quali si avrebbe in questo caso un utilizzo peculiare, ma legittimo, dell'istituto del soprapprezzo delle azioni di cui all'art. 2431 c.c.). In tal modo, le perdite vengono interamente coperte dal soprapprezzo versato dai sottoscrittori presenti, nel pieno rispetto del diritto di opzione degli assenti, i quali ove intendano esercitare tale diritto, dovranno versare l'intero prezzo di emissione delle azioni (Guerrera, 1209).

Per la legittimità di questa prassi si è espressa anche la giurisprudenza (Cass. 7 marzo 1992, n. 2764; contra, Trib. Trieste, 26 novembre 1993).

Altra modalità operativa ritenuta legittima per far fronte a questa situazione, è quella dei versamenti a fondo perduto effettuati al fine di eliminare le perdite residue (Trib. Napoli, 25 febbraio 1998; Trib. Alba, 28 novembre 1995).

Si giudica, invece, illegittima quella particolare tecnica di copertura delle perdite e di ricostituzione del capitale c.d. ad «altalena» o a «fisarmonica» attuata cioè tramite una serie di deliberazioni di riduzione e di aumento del capitale collegate fra loro in sequenza (su cui cfr. Busi, 475). Tale modalità operativa, infatti, si reputa in contrasto con l'art. 2436 c.c. che subordina all'iscrizione nel registro delle imprese l'efficacia delle deliberazioni di modifica dello statuto e quindi tutte le riduzioni e tutti gli aumenti in sequenza (Nobili, 320, nota 69). È pertanto dubbio che si possa ridurre il capitale prima che il suo aumento sia divenuto efficace ai sensi dell'art. 2436 c.c. (Stanghellini, 2740; Guerrera, 1209, per quale una possibile soluzione potrebbe essere quella di assoggettare i singoli deliberati di riduzione e aumento alla condizione sospensiva dell'iscrizione nel registro delle imprese, cosicché verificatasi la condizione, la prima riduzione diverrà efficace e conseguentemente anche tutte le altre, secondo l'ordine di approvazione).

La trasformazione regressiva. La fusione e la scissione

In alternativa alla ricostituzione del capitale sociale ed al fine di evitare lo scioglimento della società (art. 2484, comma 1, n. 4, c.c.), l'assemblea (straordinaria) può deliberare la trasformazione regressiva in un tipo per il quale sia previsto un capitale minimo inferiore (Ginevra, 273).

La società potrà, quindi, deliberare la trasformazione in una s.r.l. se il suo patrimonio netto sia almeno pari ad euro 10.000 (art. 2463 c.c.) e secondo l'opinione prevalente anche se il suo patrimonio netto sia almeno pari ad un euro (Marasà, 1093; Cagnasso, 10), in forza del novellato art. 2463, comma 4, c.c., il quale ha riconosciuto che pure la s.r.l. ordinaria (e non solo quella «semplificata» di cui all'art. 2463-bis c.c.) possa costituirsi con un capitale di un euro (s.r.l. a «capitale marginale»).

Ci si è chiesti se sia possibile procedere alla trasformazione di una società che versi in una situazione che imporrebbe la riduzione obbligatoria del capitale, senza prima procedere alla riduzione medesima. Per ragioni prudenziali, tende a prevalere in dottrina la soluzione negativa: in caso di perdite oltre il terzo, quindi, prima della trasformazione è preferibile coprire integralmente le perdite medesime (così Nobili,Spolidoro, 325; Simonetto, 153).

La società può inoltre trasformarsi in una società di persone, e in tal caso è discusso se possa farlo anche quando il patrimonio netto abbia valore negativo (per la soluzione affermativa cfr. Cons. Notarile dei Distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, Orientamento 6/2008).

In senso contrario, tuttavia, parte della giurisprudenza edita (App. Brescia, 30 marzo 1990).

Contraria pure una parte della dottrina (Cabras, 158).

Anche se la legge nulla prevede al riguardo, deve ritenersi pacifico (Stanghellini, 2742 s.) che la società possa in alternativa alla trasformazione, deliberare una fusione (art. 2501 c.c.) o una scissione (art. 2506 c.c.) al fine di evitare lo scioglimento (art. 2484, comma 1, n. 4).

Per una disamina delle prassi operative e degli orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia di fusione e scissione di società in presenza di perdite superiori al terzo del capitale sociale, si rinvia allo Studio n. 3658/2001 e al Quesito di impresa n. 151-2011/I del CNN.

Lo scioglimento della società

È opinione prevalente che la causa di scioglimento della società per azioni prevista dall'art. 2484, comma 1, n. 4, c.c., per perdite superiori al terzo del capitale (che lo abbiano ridotto al di sotto del minimo legale), si realizzi solo a seguito della mancata assunzione da parte dell'assemblea dei provvedimenti di ricostituzione del capitale o di trasformazione (fusione o scissione) previsti dall'art. 2447 c.c. (Di Sabato, 548, in analogia con quanto previsto dall'art. 2484, comma 1, n. 2, c.c., a proposito dell'oggetto sociale).

Si discute, invero, se la ricostituzione del capitale sociale operi come condizione risolutiva della liquidazione con effetto ex tunc (Guerrera, 1208; Nobili, 336 s.; prima della Riforma, Nobili,Spolidoro, 377) ovvero se lo scioglimento debba intendersi sottoposto alla condizione sospensiva della mancata adozione dei predetti provvedimenti (Ferrarajr., Corsi, 964; Campobasso, 520; prima della Riforma, Niccolini, 310 s.). Indubbiamente, la circostanza che il novellato art. 2484, comma 3, c.c., subordini l'efficacia dello scioglimento alla iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione di accertamento degli amministratori, indurrebbe oggi a propendere per la tesi dello scioglimento sospensivamente condizionato.

A favore della prima soluzione sembrerebbe orientata la giurisprudenza che, pur con riferimento a fatti verificatisi prima della Riforma del 2003, quando le cause di scioglimento operavano ipso iure (cfr. invece il novellato art. 2484, comma 3, c.c.), sotto il profilo sostanziale già riconosceva il rilievo non tanto della perdita del capitale in sé, quanto piuttosto della sua mancata reintegrazione da parte dell'assemblea (Cass. n. 23262/2005, per la quale «[...] l'automatico scioglimento della società, ai sensi dell'art. 2448 [ora 2484], n. 4, c.c., si produce salvo il verificarsi, con efficacia retroattiva, della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale (o dalla trasformazione della società) ai sensi dell'art. 2447 cit., sicché non la perdita del capitale in quanto tale e la sua riduzione al di sotto del minimo legale costituiscono la causa dello scioglimento, bensì la mancata reintegrazione del capitale stesso al minimo legale (o la mancata trasformazione della società) [...]»; Cass. n. 9252/1997; contra, App. Bari, 6 settembre 2006, per la quale «se, a seguito della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale per effetto di perdite, la società non vi provvede nei modi previsti dalla legge, si verifica una causa di scioglimento il cui accertamento compete agli amministratori»).

Le speciali deroghe previste per le start-up e PMI innovative e per le società in crisi: rinvio

Ai sensi dell'art. 26, comma 1, d.l. n. 179/2012, nelle start-upinnovative l'assemblea convocata senza indugio può, in deroga all'articolo in commento, rinviare ogni decisione alla chiusura dell'esercizio successivo. Inoltre, in base al dettato dell'art. 4, comma 9, d.l. n. 3/2015, tale deroga trova applicazione anche nelle PMI innovative.

Ancora, ai sensi dell'art. 182-sexies l. fall. (r.d. n. 267/1942), la disciplina in commento resta sospesa dalla data del deposito della domanda di concordato preventivo (anche con riserva o in bianco), o della domanda per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis l.fall. ovvero della proposta di accordo presentata ai sensi del comma 6 del predetto articolo, e sino alla omologazione.

Sulla ragioni sottese alla introduzione delle predette deroghe e sul loro ambito di applicazione, si rinvia al commento dell'art. 2446 c.c.

La sospensione prevista dal Decreto Liquidità per fronteggiare l'emergenza Covid-19.

Il d.l. n. 23/2020, conv., con modif. in l. n. 40/2020 (c.d. decreto liquidità), ha introdotto delle "Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale" per le quali si rinvia al commento all’art. 2446.    

Bibliografia

Ascarelli, in Riv. soc. 1959, 748; Belviso, Le modificazioni dell'atto costitutivo nella s.p.a., in Tr. Res. XVIII, Torino, 1985; Bertacchini, in Diritto Commerciale, a cura di De Angelis, I, Padova, 2017; Busi, Azzeramento e ricostituzione del capitale nelle s.p.a., Padova, 1998; Cagnasso, Le novità relative alla s.r.l., in Il Nuovo diritto delle società, n. 9/2015, 7; Cabras, Le trasformazioni, in Tr. Colombo-Portale, VII, t. 3, 1997; Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2009; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2005; Ferrara jr., Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2006; Ginevra, in Diritto commerciale, a cura di Cian, II, Torino, 2013; Graziani, in Foro it., 1955, I, 744; Guerrera, in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, II, Napoli, 2004; Marasà, Considerazioni sulle nuove s.r.l.: s.r.l. semplificate, s.r.l. ordinarie e start up innovative prima e dopo la L. n. 99/2013 di conversione del D.L. n. 76/2013, in Soc. 2013, 1086; Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Tr. Colombo,- Portale, VII, t. 3, Torino, 1997; Nobili, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Torino, 2007; Nobili, Problemi in tema di riduzione del capitale, Milano, 1984; Nobili, Spolidoro, La riduzione del capitale, in Tr. Colombo-Portale, VI, Torino, 1993; Presti, Rescigno, Corso di diritto commerciale. Società, II, Bologna, 2011; Rordorf, Esclusione dell'opzione e ricostituzione del capitale, in Soc. 1988, 1276; Simonetto, Trasformazione e fusione delle società, in Comm. S. B., Bologna-Roma, 1984; Stanghellini, in Le società per azioni, diretto da Abbadessa e Portale, II, Milano, 2016.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario