Codice Civile art. 2481 - Aumento di capitale (1).

Guido Romano

Aumento di capitale (1).

[I]. L'atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, determinandone i limiti e le modalità di esercizio; la decisione degli amministratori, che deve risultare da verbale redatto senza indugio da notaio, deve essere depositata ed iscritta a norma dell'articolo 2436.

[II]. La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti.

(1) V. nota al Capo VII.

Inquadramento

L'art. 2481 ed i successivi due articoli disciplinano l'aumento di capitale nella s.r.l. che costituisce una particolare ipotesi di modificazione dell'atto costitutivo. L'aumento del capitale sociale può essere realizzato con due diverse operazioni che realizzano il medesimo effetto di accrescere la posta del patrimonio netto denominata capitale sociale (Speranzin, 473). L'aumento del capitale può essere: 1) reale o a pagamento, allorquando la società acquisisce nuovi elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica (art. 2481-bis); 2) nominale o gratuito, allorquando la società imputa a capitale, mediante una operazione contabile, talune riserve o fondi disponibili con la conseguenza che non viene incrementato l'attivo patrimoniale della società ed i soci non sopportano alcun esborso vedendosi, però, aumentato il valore nominale della loro partecipazione.

La competenza a deliberare le operazioni sul capitale appartiene, in via generale, all'assemblea dei soci che delibera nel rispetto del metodo collegiale (Giannelli, 289), come si ricava dall'art. 2479, comma 2, secondo il quale le modificazioni dell'atto costitutivo sono riservate alla competenza dei soci e dall'art. 2479, comma 4, c.c. che dispone che le decisioni dei soci debbono essere adottate mediante deliberazione assembleare ai sensi dell'art. 2479-bis c.c. qualora riguardino le modificazioni dell'atto costitutivo ovvero il compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.

Il rispetto del metodo collegiale è previsto in funzione di una maggiore tutela dei soci in quanto ad essi compete, almeno in linea di principio assumere decisioni di tipo organizzativo che, da un lato, determinano l'ammontare del capitale di rischio incidendo sulla distribuibilità dell'utile e, dall'altra, siano suscettibili di ridistribuire le percentuali di partecipazione e, quindi, in definitiva, di determinare un nuovo assetto degli equilibri endosocietari (Giannelli, 289).

In questa cornice, si inserisce la norma che consente all'atto costitutivo e, dunque, all'autonomia privata, di conferire una eccezionale delega agli amministratori di provvedere all'assunzione della decisione di aumentare il capitale sociale: si tratta di una novità introdotta dalla riforma che ha esteso alle società a responsabilità limitata una facoltà già presente nelle società azionarie. L'eccezionalità del potere conferito all'organo gestorio consente di spiegare perché la norma disponga che l'atto costitutivo deve determinare i limiti e le modalità di esercizio.

La norma ha lo scopo di consentire una più efficace programmazione e realizzazione di ulteriori investimenti (Guerrera-Rescio, 890; Galletti, 464).

È, però, dubbio se la delega ricomprenda anche la facoltà di escludere o limitare il diritto di sottoscrizione spettante ai soci (art. 2481-bis comma 1). In generale, la dottrina è orientata per la negativa sulla base della considerazione che l'esclusione o la limitazione non costituiscono mere modalità di esercizio, ma profili autonomi e distinti rispetto alla decisione di aumentare il capitale (Zanarone, 1502; Bartalena, 1656; contra,Galletti, 469). Si rinvia per ulteriori approfondimenti al commento dell'art. 2481-bis.

La decisione di aumento assunta dall'organo gestorio deve essere poi verbalizzata da un notaio e depositata per l'iscrizione nel registro delle imprese, con conseguente assoggettamento di essa al controllo di legalità sostanziale da parte del notaio ed a quello di legalità formale da parte dell'ufficio del registro.

La delega agli amministratori.

La possibilità conferita ai soci di introdurre clausole statutarie che attribuiscano agli amministratori la decisione in ordine all'aumento di capitale costituisce una novità introdotta dalla riforma che ha esteso alle società a responsabilità limitata una facoltà già presente nelle società azionarie. Si tratta di una disposizione a carattere generale che contempla ogni ipotesi di aumento di capitale e, dunque, tanto quello a pagamento quanto quello gratuito (Giannelli, 291; parzialmente diverso Guerrera-Rescio, 894 secondo i quali si dovrebbe quantomeno esigere una espressa indicazione in tal senso nella delibera assembleare di delega e, in assenza di essa, ritenere che l'organo amministrativo non sia facultato a decidere l'imputazione di riserve e fondi a capitale sociale). In senso contrario, si osserva che il passaggio di riserve a capitale incide direttamente sulla posizione partecipativa dei soci, alterando il regime della disponibilità delle corrispondenti aliquote di patrimonio netto e la destinazione finale dei risultati (Bartalena, 1655; Zanarone, 1490).

La delega agli amministratori in ordine alla facoltà di aumentare il capitale sociale deve essere contenuta nell'atto costitutivo con la conseguenza che, ove non prevista, la sua introduzione richiede una modificazione dell'atto costitutivo, ancorché deliberata a maggioranza (Giannelli, 292; Guerrera-Rescio, 893, che evidenziano come il socio di s.r.l. non goda di una protezione assoluta rispetto alla decisione di aumento del capitale ed al conseguente rischio di diluizione del valore intrinseco e del peso amministrativo della propria partecipazione).

Essa, però, non attribuisce all'organo gestorio una competenza esclusiva, permanendo, pur sempre, una competenza concorrente dell'assemblea potendo sempre i soci deliberare l'aumento (Zanarone, 1494; Benatti, 689; Revigliono, 881; Consigli notarili Triveneto, massima I.G.18; parzialmente diverso Spolidoro, 466 che ammette la possibilità di una clausola che attribuisca agli amministratori un potere «esclusivo» in materia). Si esclude, però, che la decisione di aumentare il capitale sociale possa essere attribuita ad un socio quale «diritto particolare» ai sensi dell'art. 2468 comma 3 (Guerrera-Rescio, 900).

Ai sensi dell'art. 2475 u.c., la competenza a deliberare l'aumento di capitale delegato è attribuita, in ogni caso, all'organo amministrativo (Giannelli, 293; Guerrera-Rescio, 900) ciò che rende impossibile l'attribuzione della decisione al solo amministratore delegato. La delega, tuttavia, è ammissibile anche qualora tale organo sia costituito da un amministratore unico (Bartalena, 1657; Spolidoro, 467; Giannelli, 294). Nel caso di amministrazione pluripersonale, con adozione del metodo collegiale, la competenza spetterà al consiglio di amministrazione che provvederà anche a maggioranza, senza possibilità di delega interna (Benatti, 696). Si ritiene, peraltro, che la decisione potrà essere presa anche mediante consultazione scritta o con l'espressione per iscritto del consenso (Benatti, 696). Al contrario, non è ammissibile una decisione assunta dai singoli amministratori pur quando la società segua un modello di amministrazione disgiuntiva (Spolidoro, ibidem).

La delega deve determinare i limiti e le modalità di esercizio da parte degli amministratori, non potendo risolversi in una mera delega in bianco (Benatti, 690; Giannelli, 292) che, qualora presente nell'atto costitutivo, sarebbe comunque inefficace. Sebbene l'art. 2443 dettato per la società azionaria non possa trovare applicazione analogica alla società a responsabilità limitata, utili indicazioni per una comprensione del contenuto dei limiti e delle modalità di esercizio potranno venire dall'analisi di quell'articolo (Benatti, ibidem). In generale, si ritiene che devono essere previsti a pena di invalidità della clausola dell'atto costitutivo: il periodo di attribuzione della facoltà (anche superiore ai cinque anni, ma comunque limitato nel tempo); l'ammontare massimo di aumento del capitale; il prezzo della sottoscrizione delle partecipazioni o, comunque, l'indicazione dei criteri da utilizzare (Speranzin, 494; Giannelli, 292; Guerrera-Rescio, 898). Inoltre, la delega potrebbe prevedere altri importanti criteri e modalità dell'aumento, quali: il numero delle volte in cui, entro il limite quantitativo e temporale prefissato, la delega può essere esercitata e la sua divisione in traches; la scindibilità o meno dell'aumento di capitale (che, nel silenzio della delega, dovrebbe considerarsi inscindibile ex art. 2481-bis comma 3); la possibilità di collocare le quote inoptate presso singoli soci o terzi disponibili alla sottoscrizione (Guerrera-Rescio, 898, i quali, ulteriormente, precisano che la delega potrà contenere anche altre indicazioni di natura sostanziale o procedimentale volte a limitare o indirizzare l'esercizio del potere dell'organo amministrativo, quali ad es., la previa redazione di un piano economico-finanziario, la formulazione di specifica motivazione etc.).

Ci si chiede, poi, se la delega agli amministratori ricomprenda anche quella di escludere o limitare il diritto di sottoscrizione previsto dall'art. 2481-bis, comma 1, c.c.. La maggioranza degli autori propende per la negativa evidenziando, in particolare, la riserva (art. 2479 n. 5, c.c.) in capo all'assemblea delle decisioni comportanti una rilevante modificazione dei diritti dei soci, in ciò risolvendosi l'esclusione o la limitazione del diritto di sottoscrizione (Giannelli, 312 il quale evidenzia, altresì, come l'art. 2481-bis attribuisce il diritto di recesso al socio che non ha consentito alla decisione, norma che presuppone come necessaria la partecipazione dei soci alla decisione di escludere il diritto di sottoscrizione; Zanarone, 1501; Postiglione, 2079). Secondo altri, invece, l'esclusione o la limitazione del diritto di sottoscrizione non sarebbero altro che «modalità di esercizio» della decisione di aumento del capitale sociale come tali determinabili dall'atto costitutivo in sede di affidamento agli amministratori della decisione di aumento del capitale (Spolidoro, 474; De Marchi-Santus-Stucchi, 1155; Guerrera-Rescio, 894, 899, secondo i quali, a volere ammettere tale possibilità, la delibera assembleare dovrebbe contenere almeno un principio di motivazione circa la necessità o opportunità di sacrificare l'opzione legale e un criterio equo e razionale di determinazione del prezzo di emissione delle quote riservate ai terzi, in modo tale da prevenire abusi a danno dei soci).

La liberazione dei precedenti conferimenti.

Ai sensi del secondo comma, la decisione di aumentare il capitale non può essere attuata fino a quando i conferimenti precedentemente dovuti non siano stati integralmente eseguiti.

Tale norma trova il suo fondamento nell'esigenza di garantire l'effettività del capitale sociale e, precisamente, nel garantire che il capitale non sia solo sottoscritto, ma anche compiutamente versato onde evitare l'ostentazione verso i terzi di una garanzia patrimoniale costituita, anche solo prevalentemente, da crediti verso i sottoscrittori di non facile realizzazione (Zanarone, 1513; Bartalena, 1657). La norma che fa divieto di aumentare il capitale sociale fino alla avvenuta integrale esecuzione dei conferimenti precedentemente dovuti ha natura imperativa essendo posta in funzione della posizione dei terzi (Zanarone, 1518).

A differenza della previgente disciplina, l'art. in commento vieta l'attuazione dell'aumento di capitale e non già di assumere la relativa decisione. Conseguentemente, pur in presenza di non integrale esecuzione dei conferimenti, la deliberazione di aumento potrà essere assunta, restando preclusa esclusivamente l'esecuzione di essa (Revigliono, 882).

Dibattuta è la circostanza se il comma in commento debba applicarsi anche agli aumenti gratuiti di capitale. In senso negativo, si è osservato che soltanto con riferimento all'aumento a pagamento può parlarsi di una fase di esecuzione dei conferimenti (Galletti, 471; Spolidoro, 478; Benatti, 686; Bartalena, 1655; Postiglione, 2076). A favore della soluzione positiva, tuttavia, milita tanto l'argomento testuale quanto quello sistematico. Si evidenzia, da una parte, che la soluzione negativa si scontra con il dato testuale della norma che non autorizza distinzioni tra le due ipotesi e, dall'altra, che la ratio della norma consiste nella necessità di impedire il reperimento di nuove risorse finanziarie quando i soci non hanno ancora eseguito interamente i conferimenti promessi, fondamento normativo che ha ragion d'essere anche per l'aumento gratuito (Zanarone, 1491; Revigliono, 880).

Il divieto di attuare l'aumento di capitale in presenza di precedenti conferimenti non integralmente eseguiti presenta delle interferenze con la disciplina dei conferimenti d'opera o di servizi, interrogandosi gli interpreti sul momento in cui questi ultimi possono considerarsi «integralmente eseguiti». Per la dottrina, il conferimento d'opera deve considerarsi liberato non già per effetto della materiale esecuzione della prestazione conferita, ma per il solo fatto dell'assunzione dell'obbligo da parte del socio prestatore d'opera, unita alla prestazione della polizza fideiussoria (De Marchi-Santus-Stucchi, 1171; Revigliono, 882). D'altra parte, una diversa soluzione (secondo la quale oggetto del conferimento sarebbe proprio la prestazione dell'opera o del servizio che non potrebbero dirsi integralmente liberati fino alla loro totale esecuzione) rischierebbe di bloccare sine die la possibilità per la società di ottenere nuovo capitale di rischio: pertanto, il requisito dell'integrale esecuzione dei conferimenti precedentemente dovuti deve ritenersi soddisfatto con la prestazione di una polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria idonea a garantire l'integrale valore del conferimento d'opera o di servizi (Zanarone, 1516; Giannelli, 304, secondo il quale tale conclusione trova conforto anche nell'art. 2466 u.c., che equipara la scadenza o la sopravvenuta inefficacia della polizza assicurativa o della garanzia bancaria alla mancata esecuzione del conferimento per applicare la disciplina della vendita coattiva della quota ovvero di esclusione del socio e di riduzione del capitale).

Le conseguenze delle violazioni.

La decisione di aumentare il capitale sociale assunta dagli amministratori in assenza di una clausola statutaria che preveda la delega in argomento è radicalmente inefficace (Zanarone, 1510; Spolidoro, 477) ed il notaio non può procedere all'iscrizione nel registro delle imprese.

Analogo rifiuto dovrebbe essere opposto dal notaio nel caso di una deliberazione degli amministratori che si presenti in contrasto con i limiti previsti dalla clausola di delega contenuta nell'atto costitutivo. Qualora, tuttavia, una decisione in tal senso viziata dovesse essere comunque iscritta nel registro, non vi è certezza sulle conseguenze e sui rimedi. Autorevole dottrina ha, sul punto, evidenziato che quando la decisione degli amministratori ha lo stesso oggetto di quella assembleare (come nel caso di specie, potendo essere l'aumento di capitale deliberato dall'assemblea ovvero, nel caso di clausola statutaria di delega, anche dagli amministratori), la disciplina dei vizi deve necessariamente coincidere con quella disegnata per le deliberazioni assembleari (Zanarone, 1509). Sulla base di tale premessa, quindi, la delibera di aumento del capitale sarebbe invalida per illiceità dell'oggetto in quanto adottata in violazione della norma imperativa che assegna alla decisione dei soci le modifiche dell'atto costitutivo (Zanarone, ibidem).

Qualora, invece, l'aumento sia stato deliberato in violazione del divieto di cui al secondo comma, da taluni si è proposto di applicare analogicamente l'art. 2438 dettato per la società per azioni con la conseguenza che, ferma la responsabilità degli amministratori, rimangono salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione e ciò in quanto il divieto graverebbe solo sugli amministratori, unici competenti per la fase di attuazione dei conferimenti (Cerrato, 804). Altra dottrina, muovendo dalla inapplicabilità analogica di una norma di carattere eccezionale come l'art. 2438, conclude per l'inefficacia temporanea del contratto di sottoscrizione delle quote eseguita in sede di aumento del capitale fino all'avvenuto integrale versamento dei conferimenti precedentemente dovuti: in questa prospettiva, l'integrale versamento dei conferimenti precedenti costituirebbe una condicio iuris sospensiva della sottoscrizione (Zanarone, 1523; Giannelli, 301; Spolidoro, 479).

Bibliografia

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