Codice Civile art. 2473 bis - Esclusione del socio (1).Esclusione del socio (1). [I]. L'atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio. In tal caso si applicano le disposizioni del precedente articolo, esclusa la possibilità del rimborso della partecipazione mediante riduzione del capitale sociale. (1) V. nota al Capo VII. InquadramentoLa riforma del diritto societario ha consentito all'autonomia privata di introdurre nello statuto la possibilità per la società di escludere il socio, così evidenziando di volere, conformemente ai principî espressi nella legge delega, attraverso la valorizzazione della centralità del socio e dei rapporti contrattuali tra soci, imprimere una impronta personalistica alla società a responsabilità limitata, come, d'altra parte, si evince anche dalla Relazione al d.lgs. n. 6/2003. E, infatti, in una società di capitali ove il rapporto tra socio e quota si pone in termini proprietari, l'istituto dell'esclusione non costituisce, a differenza del modello delle società di persone, un elemento naturale del rapporto sociale (Salvatore, 427; Piscitello, 734): da qui, la necessità della preventiva e specifica determinazione delle cause di esclusione nell'atto costitutivo. Anche in giurisprudenza, l'art. 2473-bis appare coerente con la ratio della riforma societaria di cui al d.lgs. n. 6/2003 che, sotto il profilo dei rapporti interni, avvicina la società a responsabilità limitata alle società di persone; a differenza di quanto avviene nelle società personali, tuttavia, l'esclusione non costituisce un elemento naturale del rapporto sociale, poiché è necessaria un'apposita previsione nell'atto costitutivo che non può limitarsi ad autorizzare genericamente l'esclusione per giusta causa, rimettendo la decisione alla discrezionalità della maggioranza dei soci, ma deve espressamente contemplarne i motivi (Trib. Bologna, 11 aprile 2017). L'indubbia impronta personalistica che caratterizza l'istituto ha spinto parte della dottrina a ritenere possibile, al fine di colmare le lacune della disciplina di cui all'art. 2473-bis, l'applicazione analogica dei principî e delle norme dettate in materia di società di persone (in questo senso, Petrazzini, 266). Sebbene sia indubbio che la previsione in commento si spiega con la spiccata natura personalistica della s.r.l., i profili di similitudine con la regolamentazione dell'esclusione del socio nelle società di persone, di cui agli artt. 2286 ss., sono solo apparenti, poiché quello in esame non è un rimedio del regime legale, come lo è invece delle società di persone, ma la disciplina di una possibile opzione di auto-organizzazione societaria in punto di tecniche rimediali (Rinaldi, § 3). Una simile considerazione comporta, con riferimento alla disciplina applicabile, che le questioni poste dall'art. 2473-bis non possono essere risolte con l'applicazione analogica tout court delle norme previste per le società di persone, dovendosi ricorrere alla autointegrazione della disciplina e ricercare, di volta in volta, la soluzione nell'ambito del sistema delle s.r.l. (Annunziata, 535; Tanzi, 1554; Cian, 501; Rinaldi, ivi). È dubbio se l'introduzione durante societate, in sede di modificazione dell'atto costitutivo, della clausola di esclusione del socio richieda l'unanimità dei consensi ovvero se possa avvenire a maggioranza. A favore della prima soluzione, si evidenzia che il diritto alla permanenza in società è intangibile (Cian, 506, secondo il quale la clausola approvata a maggioranza resta inefficace nei confronti dei soci che non ne hanno approvato l'introduzione). La dottrina maggioritaria ritiene, tuttavia, che possano applicarsi i principî generali, secondo i quali è consentito modificare lo statuto a maggioranza (art. 2479, comma 2, n. 4, c.c.; art. 2479-ter, comma 3, c.c.) ove la garanzia per i soci deve essere ricercata nella inderogabilità del metodo assembleare (art. 2479, comma 4) (Ghionni Crivelli Visconti, 1772; Annunziata, 541; Zanarone, 865). Al di fuori dell'ipotesi prevista dalla norma in commento, l'unica fattispecie legislativamente disciplinata di esclusione di un socio dalla società è, invece, rappresentata dall'art. 2466 c.c., nell'ambito della quale essa costituisce la sanzione per il caso di mancata esecuzione di conferimenti. Proprio la caratterizzazione in termini personalistici dell'istituto non consente, secondo l'orientamento prevalente, l'applicazione, in via analogica, dell'art. 2473-bis c.c. alle società per azioni. Le cause statutarie di esclusione. Specificità e giusta causa.L'atto costitutivo può prevedere «specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio»: l'esclusione del socio, dunque, è possibile solo ove ricorrano due circostanze e, cioè, che l'atto costitutivo predetermini, in modo specifico, le cause di esclusione e che tali ipotesi convenzionali siano tutte riconducibili al genere della «giusta causa». Quanto alla specificità delle ipotesi di esclusione, si osserva che l'atto costitutivo deve contenere un vero e proprio «catalogo», avendo la legge optato per la natura «causale» dell'esclusione: non basta la volontà della maggioranza per provocare la risoluzione del singolo rapporto sociale, ma occorre un motivo, corrispondente ad un catalogo statutario (Piscitello, 736; Annunziata, 538). Possono essere ritenute specifiche le clausole dotate di un «grado di determinazione che vada oltre il mero riferimento alla giusta causa» (Galletti, 1917; Zanarone, 860), il che si verifica quando i soci (ed i terzi) abbiano la effettiva possibilità di individuare, ex ante e con chiarezza, i fatti qualificati come giusta causa di esclusione e quando tali fatti costituiscano parametri suscettibili di effettivo controllo anche in sede giudiziale (Annunziata, 538; Zanarone, 860; Ghionni Crivelli Visconti, 1779, il quale precisa che non sono concepibili né una regolamentazione per clausole generali o per concetti indeterminati, né categorie sintetiche come, ad es., danneggiare moralmente o materialmente la società o fomentare dissidi tra soci). Consegue da una simile impostazione che le cause stabilite nell'atto costitutivo non possono essere interpretate in maniera estensiva o analogica (Cian, 505; Ghionni Crivelli Visconti, 1780, secondo il quale tale conclusione discende dall'applicazione dell'art. 1365). È, quindi, illegittima una clausola generica di esclusione che faccia riferimento a gravi inadempienze del socio, in quanto, come osservato dalla dottrina (Galletti, 1917; Piscitello, 736), l'organo competente alla valutazione dei presupposti dell'esclusione del socio si vedrebbe assegnato un potere insuscettibile di adeguato controllo. Inoltre, sarebbe nulla la clausola che rimettesse al mero apprezzamento degli altri soci la sussistenza dei fatti legittimanti l'esclusione (Zanarone, 861). Si precisa, peraltro, che non sembra che la norma imponga una specificazione tale da escludere qualsiasi discrezionalità nel giudizio di sussunzione, purché non si rimetta all'organo titolare del potere di esclusione il compito di determinare a posteriori l'accadimento rilevante (Cian, 505). Peraltro, la preventiva identificazione dei casi di esclusione non solo tutela i singoli soci, ma anche i creditori sociali, i quali vengono resi edotti, tramite il registro delle imprese, delle circostanze in cui possono veder diminuita la garanzia rappresentata dal patrimonio sociale (Zanarone, 858). La sola specificità delle condizioni legittimanti l'esclusione non è, tuttavia, sufficiente ai fini della validità della clausola, essendo invece necessario che le ipotesi determinate nello statuto siano inquadrabili nel concetto di giusta causa. In via del tutto generale, tale concetto può essere interpretato come condizione che non consente la prosecuzione, neppure in via provvisoria, del rapporto (Zanarone, 862, il quale precisa che il requisito va concepito in senso rigorosamente oggettivo, in quanto al fine di configurare come «giusta» la causa di esclusione non è sufficiente la qualificazione in tali termini nell'atto costitutivo, ma occorre la sua «misurabilità» anche in sede giudiziaria alla stregua dei valori dell'ordinamento). Il riferimento alla nozione di giusta causa impone, poi, che la specifica ipotesi statutariamente prevista di esclusione debba fare riferimento ad un comportamento serbato dal socio che assuma, da un lato, il carattere di inadempimento rispetto ad obblighi previsti dalla legge o dallo statuto e, dall'altro, una gravità tale da compromettere il rapporto sociale (Cian, 502; Perrino, 144). In questa prospettiva, possono giustificare l'esclusione (Cian, 502 ss.): a) la violazione dell'obbligo di conferimento in ipotesi diverse da quelle prese in considerazione dall'art. 2466, come ad es., la mancata prestazione dell'opera conferita, pur nel perdurare della garanzia assicurativa o bancaria, l'evizione del bene conferito, i vizi dello stesso (sul punto, Annunziata, 549; Tanzi, 1550); b) la violazione di obblighi nascenti dal rapporto societario, quali l'assunzione di comportamenti ostruzionistici, la divulgazione di dati significativi sull'impresa acquisiti nell'esercizio del diritto di controllo, l'astensione dall'esercizio dei diritti sociali; c) altri comportamenti assunti dal socio non direttamente inerenti al rapporto sociale, come l'esercizio di una attività concorrente o l'instaurazione di rapporti giuridici con determinati soggetti. Possono, poi, essere prese a parametro circostanze che riguardino direttamente la persona del socio, come il venire meno di particolari requisiti soggettivi (fallimento, condanne penali, interdizione, inabilitazione, iscrizione ad un determinato albo, etc.) (Cian, 503; Piscitello, 737; Ghionni Crivelli Visconti, 1784). È dubbio, invece, se possa giustificare l'esclusione una mera situazione giuridica del socio – tanto più quando essa sia pregressa all'ingresso nella società – che non abbia incidenza sui fini sociali o, comunque, sul rapporto tra socio e società, non potendo giustificare il provvedimento di esclusione comportamenti che non assumano un qualche riflesso su quei rapporti (Annunziata, 539). In definitiva, il contenuto delle clausole di esclusione previste nell'atto costitutivo e/o nello statuto (nella sua configurazione originaria o modificata nel corso della vita sociale) deve avere: a) attinenza con la persona del socio; b) rilievo organizzativo, nel senso che il prodursi di quella causa specifica può costituire un pregiudizio per l'efficiente svolgersi dell'attività sociale (Rinaldi, ivi). In giurisprudenza, la possibilità che lo statuto di una società a responsabilità limitata preveda la facoltà dei soci di escludere uno di essi è, quindi, subordinata alla specifica predeterminazione di fattispecie tipizzate di giusta causa, allo scopo di evitare che la decisione di esclusione possa volta per volta esser riempita con una valutazione discrezionale della maggioranza in merito alla ricorrenza della giusta causa stessa (Trib. Milano, 23 luglio 2015; Lodo arbitrale, 31 gennaio 2006; Trib. Roma, 6 ottobre 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it, secondo la quale, oltre che specifiche e preindividuate nell'atto costitutivo o nello statuto, le cause di esclusione devono essere connotate da giusta causa, che costituisce un elemento ulteriore, non già ricompreso nella specificità della fattispecie, volto a tipizzare ed a selezionare, fra tutti quelli astrattamente possibili, gli atti e i fatti ritenuti rilevanti a giustificazione dell'esclusione, in quanto tali da arrecare pregiudizio alla società ovvero a rendere impossibile o difficoltoso lo svolgimento dell'attività comune ed il perseguimento dell'oggetto sociale). In questa prospettiva, la previsione statutaria in forza della quale sia ammessa l'esclusione del socio che «si renda gravemente inadempiente alle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale o, in qualsiasi modo, causi discredito commerciale alla società o leda il rapporto di fiducia con gli altri soci» risulta priva del requisito della specificità richiesto dall'art. 2473-bis ed è, pertanto, nulla (Trib. Milano, 5 settembre 2014; Trib. Milano, 7 novembre 2013). Essa, infatti, lasciando indeterminata l'area dei comportamenti che potranno essere valutati dalla maggioranza ai fini di imporre l'exit a un membro della compagine, disattende in sostanza la ratio della previsione normativa (Trib. Milano, 3 luglio 2014, in Soc., 2014, 1273). Del pari nulla è la clausola che consenta l'esclusione in caso di assunzione, da parte del socio, di comportamenti da parte del socio che compromettano il corretto funzionamento della società (Trib. Milano, 12 giugno 2016). È stata, invece, ritenuta valida la clausola che consente l'esclusione in ipotesi di svolgimento, da parte del socio, di attività imprenditoriale in concorrenza con la società (Trib. Milano, 24 maggio 2007, in Giur. it., 2008, 1433; contra, però, Trib. Milano, 23 luglio 2015, in ragione della circostanza che siffatta situazione potrebbe riconnettersi non a nuovi comportamenti tenuti dal socio, bensì ad iniziative della società, come, nella specie, ipotizzabili a seguito di un allargamento dell'oggetto sociale). Parimenti valida la clausola, la quale preveda l'esclusione del socio che riveli a terzi notizie attinenti l'attività sociale, la cui diffusione possa arrecare danno all'immagine ed all'andamento dell'impresa gestita dalla società o che, avvalendosi di dette notizie, svolga o tenti di svolgere attività in concorrenza con la società (Trib. Roma, 6 ottobre 2015, cit.). Ancora, il Tribunale di Milano ha ritenuto valida, sotto il profilo in argomento, l'ipotesi di esclusione del socio che non abbia partecipato «senza giustificato motivo» alla decisione dei soci di approvazione del bilancio, evidenziando in particolare che la partecipazione dei soci alle assemblee costituisce non solo un diritto, ma anche un dovere del socio essenziale per il regolare funzionamento della società ovvero che «con la sua condotta renda impossibile il funzionamento dell'assemblea» ovvero ancora che «abbia assunto obbligazioni in nome e per conto della società senza averne i poteri» (Trib. Milano, 31 gennaio 2006, in Soc., 2006, 1403). Meno condivisibile la medesima pronunzia nella parte in cui ha ritenuto parimenti valida la clausola di esclusione del socio «che abbia commesso gravi inadempienze che non solo impediscano il raggiungimento dello scopo sociale ma che abbiano inciso negativamente sulla situazione della società rendendone meno agevole il perseguimento del fine». Il provvedimento di esclusione e la tutela dell'escluso.La norma in commento non disciplina il procedimento di esclusione: spetta, dunque, all'interprete individuare l'organo societario al quale competa la decisione ed il procedimento da seguire per l'esclusione. Con riferimento al primo aspetto, secondo una parte della dottrina, il silenzio deve intendersi nel senso che viene delegato ai soci, in sede di redazione dell'atto costitutivo (Cian, 507; Annunziata, 541; Tanzi, 1553), stabilire che la competenza a decidere sull'esclusione spetti ai soci ovvero all'organo amministrativo (propende per la competenza degli amministratori, Galletti, 1919). In questo secondo caso i soci recepirebbero un modello assai diffuso tra le cooperative, ma estraneo alla tradizione delle società lucrative. Altro orientamento, sulla base della considerazione che l'esclusione comporta «una rilevante modificazione» dei diritti del socio, ritiene che la relativa deliberazione sia di competenza dell'assemblea dei soci ai sensi dell'art. 2479-bis c.c. (Rivolta , 692). Si evidenzia, in questa prospettiva, che la decisione di esclusione incide sui profili strutturali della società risolvendosi in una modifica degli assetti proprietari e, dunque, su una sfera riservata alla valutazione dei soci stessi (Annunziata, 542). Anzi, si dubita, proprio in virtù del disposto della norma da ultimo richiamata, della legittimità di clausole statutarie che attribuiscano la competenza in materia all'organo amministrativo (Piscitello, 740). La decisione di esclusione sarà poi adottata, nel caso di attribuzione della competenza ai soci, secondo il paradigma di cui agli artt. 2479 e 2479-bis (Cian, 507), ovvero, nel caso di attribuzione della competenza agli amministratori, di cui all'art. 2475 (Annunziata, 543; Cian, 508, il quale evidenzia che, in caso di adozione del regime di amministrazione disgiuntiva, il potere spetta individualmente a ciascun amministratore; contra, su tale ultimo punto, Tanzi, 1553 secondo il quale il potere dovrebbe essere esercitato in sede consiliare). La deliberazione di esclusione deve essere, comunque, motivata a pena di invalidità, in quanto, diversamente, sarebbe precluso il controllo giudiziario su di essa. È dubbio, poi, se il socio da escludere possa concorrere alla decisione. In linea generale si ritiene che egli debba essere convocato all'assemblea avendo diritto di intervento in tale sede (in particolare l'Orientamento I.B.2 del Comitato Triveneto dei Notai ritiene illegittima «la clausola che impedisca al socio – di cui si vuole deliberare l'esclusione – la partecipazione all'assemblea relativa»). Per la formazione del quorum necessario per l'assunzione della determinazione, in assenza di espressa disciplina – contrariamente a quanto previsto in tema di società di persone dall'art. 2287, comma 1, c.c. – la dottrina è divisa tra chi reputa che il socio da escludere non debba partecipare alla deliberazione (così Galletti, 1920) e chi reputa che la sua partecipazione non possa essere interdetta ai fini dell'assunzione della decisione. Nella giurisprudenza di merito, si è osservato che, in relazione all'esclusione di un socio di una società a responsabilità limitata da parte degli altri soci, se da una parte può trovare applicazione analogica l'art. 2287 c.c., in forza del quale nella maggioranza necessaria non si computa la quota posseduta dal socio da escludere, non potrà tuttavia impedirsi al socio la partecipazione all'assemblea relativa, ove prevista come organo competente all'adozione della delibera di esclusione; detto socio non avrà, invero, il diritto di voto, ma avrà indubbiamente il diritto di impugnare la delibera: la mancata convocazione del socio in relazione all'assemblea che ha adottato la delibera impugnata comporta, ove il socio non abbia comunque partecipato all'assemblea, la nullità della decisione (Trib. Roma, 4 novembre 2010). Parimenti, qualora lo statuto di una s.r.l. nulla preveda in tema di esclusione dei soci, in considerazione del fatto che l'art. 2473-bis c.c. dispone che l'atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa, senza stabilire a chi spetti la decisione in merito all'esclusione, deve trovare applicazione, in assenza di contraria previsione statutaria, in via analogica, l'art. 2287 c.c., dettato in tema di società di persone. Così, se la società a responsabilità si compone di due soci, la legittimazione a proporre la domanda giudiziale di esclusione del socio inadempiente ricade solo sull'altro socio e non anche sulla società in persona del legale rappresentante (Trib. Cosenza, 21 novembre 2007). Sembra poi precluso alla società deliberare l'esclusione del socio, una volta che la società medesima sia entrata nella fase di liquidazione, in applicazione analogica della regola dettata per il recesso all'art. 2474, comma 5, giusto il richiamo dell'art. 2473-bis alla norma sul recesso (Trib. Torino, 3 marzo 2015; contra, però, in dottrina, Annunziata, 547 che evidenzia come il richiamo anche al quinto comma dell'art. 2473 sia frutto di un difetto di coordinamento). Inoltre, la decisione, comunque assunta in assenza del socio, gli dovrà essere comunicata in modo tale che possa essere consentito all'escluso di reagire sul piano giudiziario. La comunicazione al socio escluso della deliberazione di esclusione dalla società non richiede la adozione di specifiche formalità o mezzi di trasmissione, essendo sufficiente un qualsiasi atto o fatto idoneo a portare a conoscenza dell'interessato la deliberazione medesima: la sua eventuale incompletezza non incide sulla validità ed operatività del provvedimento, ma può spiegare rilievo solo al diverso fine di consentire un'opposizione tardiva o non specifica ove giustificata da detta incompletezza (così Delli Priscoli, 516). L'art. non regolamenta il procedimento giudiziale attraverso il quale contestare l'esclusione. È certo che, qualora l'esclusione venga decisa dall'assemblea, il socio possa impugnare, ai sensi dell'art. 2479-ter c.c., la relativa deliberazione, demandando così al tribunale l'accertamento della sussistenza del presupposto fattuale tipico. Ove, invece, la competenza a deliberare l'esclusione sia attribuita agli amministratori, l'escluso potrà reagire secondo i rimedi previsti dall'art. 2388 c.c., ovvero, qualora non si ritenga applicabile tale ultima disposizione alla società a responsabilità limitata, mediante l'instaurazione di un giudizio ordinario nei confronti della società (in quest'ultimo senso, Galletti, 1921). Nel giudizio, la prova del fatto legittimante l'esclusione è a carico della società (Cian, 510). È stato in tal senso osservato che, in assenza di esplicita previsione statutaria, il socio escluso da una s.r.l. con deliberazione dell'assemblea può opporsi all'esclusione impugnando la deliberazione nel termine di novanta giorni previsto dall'art. 2479-ter c.c. (Trib. Napoli, 24 dicembre 2009; Trib. Milano, 7 novembre 2013). Anche secondo Trib. Milano, 28 febbraio 2014 (in Soc., 2014, 751), la decisione di esclusione deve essere impugnata nel termine di novanta giorni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci (ex art. 2479-ter), non risultando applicabili in via analogica i più brevi termini dettati dagli artt. 2287 e 2533 c.c. relativi all'impugnativa della decisione di esclusione nelle società di persone e nelle cooperative, trattandosi di norme recanti termini di decadenza e come tali non suscettibili di applicazione al di fuori della specifica ipotesi regolata. La liquidazione della quota.Con riferimento al procedimento di liquidazione della quota dell'escluso, l'art. in commento rinvia all'art. 2473 c.c., che disciplina la fattispecie nell'ipotesi di recesso del socio, escludendo, tuttavia, la possibilità del rimborso della partecipazione mediante riduzione del capitale sociale: l'escluso, quindi, avrà diritto ad ottenere il rimborso della sua partecipazione al capitale sociale in proporzione del patrimonio sociale e determinata secondo il valore di mercato di essa. Il rinvio all'art. 2473 c.c. vale ad attivare il procedimento sulla base del quale prima deve tentarsi la vendita ai soci o ai terzi graditi della quota dell'escluso e soltanto dopo è possibile fare ricorso alle risorse disponibili con contestuale accrescimento proporzionale delle quote esistenti. È vietato il ricorso alla riduzione del capitale: appare evidente che l'interesse dei soci alla estromissione di uno di esse dall'impresa comune è, a differenza di quanto non accada per il recesso, postergato rispetto a quello dei creditori e alla salvaguardia dell'organismo produttivo. Si è, però, osservato come l'obiettivo di tutela dei creditori perseguito dalla impossibilità di procedere al rimborso della quota mediante riduzione del capitale sociale è raggiunto solo parzialmente, in quanto nessuna tutela ricevono i creditori nell'ipotesi di depauperamento del patrimonio conseguente al rimborso della quota mediante l'utilizzo di riserve disponibili (Zanarone, 858 secondo il quale detto obiettivo è perseguito, altresì, dalla conoscibilità ex ante delle clausole contenenti gli specifici motivi di esclusione). Il rimborso deve avvenire entro 180 giorni dalla comunicazione dell'esclusione (Cian, 511; contra, Petrazzini, 287, che àncora il termine di 180 giorni al momento in cui è decorso il termine per l'opposizione). Dubbi sorgono nel caso in cui la società deliberi l'esclusione non provvedendo poi al pagamento della quota ovvero in difetto delle disponibilità necessarie per procedere alla liquidazione. Mentre in caso di recesso subentra lo scioglimento della società, nell'ipotesi di esclusione, la norma nulla prevede espressamente. Secondo un primo orientamento, l'esclusione perderebbe efficacia con conseguente conservazione da parte dell'escluso dello status socii (Galletti, 1923; Annunziata, 546); secondo altri, la società si scioglie ed il socio partecipa alla liquidazione (Piscitello, 74; Petrazzini, 285; Tanzi, 1555, per il quale tuttavia l'escluso perde comunque la qualità di socio e deve attendere il riparto finale per essere soddisfatto). Quest'ultima soluzione responsabilizzerebbe la società. sebbene potrebbe anche legittimare comportamenti ostruzionistici della maggioranza. Sembra però da preferire in quanto l'assenza di fondi disponibili per la liquidazione del socio escluso costituisce un avvenimento successivo alla decisione di esclusione ed esterno ad essa, sicché lo scioglimento rappresenta una conseguenza della decisione di escludere il socio e non un presupposto della decisione stessa. È stato correttamente osservato in giurisprudenza che è annullabile la deliberazione di modificazione dell'atto costitutivo che preveda criteri di liquidazione della quota del socio escluso in senso peggiorativo rispetto a quelli legali (Trib. Milano, 24 maggio 2007; così anche, in dottrina, Salvatore, 423). Tuttavia, parte della dottrina ha assunto un orientamento possibilista che tende a valorizzare il ruolo centrale dell'autonomia statutaria (Stella Richter, 410; Pisctello, 731; Petrazzini, 289, la quale fonda il proprio convincimento sulla base della equiparabilità dell'esclusione alle ipotesi convenzionali di recesso, «essendo entrambi istituti rimessi alla libera autonomia negoziale dei soci, per cui come questi ultimi sono liberi di prevedere o meno specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa, allo stesso modo essi possono stabilire criteri di liquidazione anche peggiori per il socio stesso»). BibliografiaAnnunziata, Sub art. 2473-bis, in Società a responsabilità limitata, Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, a cura di Bianchi, Milano, 2008; Petrazzini, L'esclusione del socio nella s.r.l., in Le nuove s.r.l., a cura di Sarale, Bologna, 2008; Cian, L'esclusione del socio, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011; Delli Priscoli, Sub art. 2473-bis c.c., in Della Società - Dell'Azienda - Della Concorrenza, a cura di D.U. Santosuosso, III, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015; Galletti, Sub art. 2473-bis, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005; Ghionni Crivelli Visconti, Selezione ed operatività delle cause di esclusione del socio di s.r.l., in Società, banche e crisi d'impresa, Liber amicorum Abbadessa, Torino, 2014; Guizzardi, L'esclusione del socio, in La nuova società a responsabilità limitata, a cura di Bione, Guidotti e Pederzini, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, Padova, 2012; Perrino, L'esclusione del socio, in Codice delle società, a cura di Abriani, Torino, 2016, 1923; Piscitello, Recesso ed esclusione nella S.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, Torino, 2006; Rinaldi, Clausole statutarie di esclusione del socio dalla s.r.l.: i requisiti di specificità e giusta causa, in Giustiziacivile.com; Rivolta, Profili della nuova disciplina della società a responsabilità limitata, in Banca borsa tit. cred. 2003, 692; Salvatore, Sub art. 2473-bis, in Società a responsabilità limitata, Bologna, 2014; Stella Richter, Diritto di recesso e autonomia statutaria, in Riv. dir. comm. 2004, 410; Tanzi, Art. 2473-bis, in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004; Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Comm. S., Milano, 2010. |