I legami tra la rinuncia al ricorso per cassazione e la cessazione della materia del contendere

Andrea Penta
09 Ottobre 2018

Il principio enunciato da Cass. civ., ord., sez. VI-III, 27 luglio 2018, n. 19907, secondo cui la rinuncia al ricorso, ancorchè illegittima (perché proveniente da un procuratore che non è legittimato a disporre del diritto in contesa), fa cessare la materia del contendere per sopravvenuta carenza d'interesse del ricorrente (non essendo, invece, idonea a produrre l'effetto dell'estinzione del processo), è stato più volte affermato in passato dalla Cassazione.
La fattispecie concreta esaminata dalla Cassazione

La vicenda processuale che ha dato il là alla declaratoria di inammissibilità del ricorso pronunciata dalla Terza Sezione civile della Suprema Corte, con l'ordinanza del 27 luglio 2018, n. 19907 è estremamente lineare.

Anteriormente all'udienza camerale la ricorrente aveva depositato in Cancelleria dichiarazione di rinunzia al ricorso sottoscritta dal solo difensore, con dichiarazione di relativa accettazione della controparte sottoscritta sia dal difensore che dalla parte e con richiesta di compensazione delle spese.

Tuttavia, il Collegio rilevava che la procura rilasciata al difensore dalla parte in calce al ricorso non lo abilitava espressamente e specificatamente (anche) a disporre del diritto in contesa mediante la rinunzia in oggetto.

L'iter logico della decisione

I Giudici di legittimità hanno in più occasioni avuto modo di affermare che la legge non determina il contenuto necessario della procura, limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale (art. 82, comma 2, c.p.c.) ed a stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell'interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non siano ad essa espressamente riservati, mentre non può compiere atti che importino disposizione del diritto in contesa, se non ne abbia ricevuto espressamente il potere (art. 84 c.p.c.).

Orbene, alla procura alle liti, in assenza di specifica regolamentazione, si applica la disciplina codicistica sulla rappresentanza e sul mandato, avente un carattere generale rispetto a quella processualistica, ivi compreso in particolare il principio generale posto all'art. 1708 c.c., secondo cui il mandato comprende tutti gli atti necessari al compimento dell'incarico conferito (v. Cass. civ., Sez. Un., 14 marzo 2016, n. 4909; Cass. civ., 18 aprile 2003,n. 6264; Cass. civ., 4 aprile 1997, n. 2910; Cass. civ., 6 marzo 1979, n. 1392).

Pertanto, pur in presenza di una procura ad litem di contenuto scarno e generico, si è riconosciuto il potere del difensore di modificare la condotta processuale in relazione agli sviluppi e agli orientamenti della causa nel senso ritenuto più rispondente agli interessi del proprio cliente (v. Cass. civ., 4 febbraio 2002, n. 1439; Cass. civ., 3 luglio 1979, n. 3762), nonché di compiere, con effetto vincolante per la parte, tutti gli atti processuali non riservati espressamente alla stessa (come, ad esempio, consentire od opporsi alle prove avversarie e rilevarne l'utilità, rinunziare a singole eccezioni o conclusioni, ridurre la domanda originaria e rinunziare a singoli capi della domanda, senza l'osservanza di forme rigorose; v. Cass. civ., Sez. Un.,14 marzo 2016, n. 4909; Cass. civ., 24 settembre 2013, n. 21848; Cass. civ., 8 gennaio 2002,n.140; Cass. civ., 10 aprile 1998, n. 3734).

Nel caso di specie la procura alle liti era stata rilasciata al difensore con l'utilizzo di formule ampie e generiche («Conferisce procura speciale all'avv. A. F. C. del Foro di C. per rappresentarla e difenderla nel giudizio innanzi a Corte di Cassazione al fine di proporre ricorso per la cassazione della sentenza n. …/2017 emessa dalla Corte d'appello di C. il 28/02/2017, depositata in data ../../2017. Conferisce al predetto difensore ogni più ampio potere di legge»). Alla luce delle considerazioni che precedono, la Cassazione ha escluso che una siffatta procura consentisse al difensore di effettuare atti comportanti disposizione del diritto in contesa, come transazione, confessione, rinunzia all'azione o all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, rinunzia agli atti del giudizio (v. Cass. civ., Sez. Un.,14 marzo 2016, n. 4909; Cass. civ., 17 dicembre 2013, n. 28146; Cass. civ., 5 luglio 1991, n. 7413; Cass. civ., 28 ottobre 1988, n. 5859; Cass. civ., 7 gennaio 1984, n. 99; Cass. civ., 20 giugno 1978, n. 3033; Cass. civ., 2 agosto 1977, n. 3396).

Tale atto denotava, peraltro, la sopravvenuta carenza d'interesse al ricorso, giacché la dichiarazione di rinunzia, come nel caso di specie, sprovvista dei requisiti di cui all'art. 390, comma 2, c.p.c., non era idonea a produrre l'effetto dell'estinzione del processo per avvenuta rinunzia ai sensi del combinato disposto dagli artt. 390 e 391 c.p.c., ma si palesava idonea a rivelare il sopravvenuto difetto d'interesse del ricorrente a proseguire il processo stesso e a determinare così la cessazione della materia del contendere (v. Cass. civ., 15 gennaio 2015, n.963; Cass. civ., 11 ottobre 2013, n. 23161; Cass. civ., 15 settembre 2008, n. 23685; Cass. civ., 6 dicembre 2004, n. 22806).

I recenti interventi riformatori degli artt. 390 e 391 c.p.c. (cenni)

Con le modifiche agli artt. 390 e 391 (rispettivamente lettere h) e i)) c.p.c., apportate con d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. dalla l. 25 ottobre 2016, n. 197 (in G.U. 29/10/2016, n. 254), si sono ampliati i termini per rinunciare al ricorso e si è coordinato il codice con la soppressione dall'art. 375, n. 3), c.p.c..

In particolare, premesso che, a norma del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito in l. 25 ottobre 2016, n. 197, le disposizioni novellate si applicano, sul piano del diritto intertemporale, ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell'udienza pubblica o dell'adunanza camerale sia stato adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della detta legge di conversione (vale a dire, dal 31 agosto 2016), il riformatore, all'art. 390 c.p.c., prendendo atto che ormai il modulo decisorio principale, nei giudizi di legittimità, è diventato quello camerale, ha individuato, in siffatta evenienza, quale dies ad quem per la rinuncia al ricorso (principale o incidentale), la data dell'adunanza camerale.

Con riferimento ai moduli decisori, il primo comma dell'art. 391 c.p.c., mentre in precedenza prevedeva che sulla rinuncia (e nei casi di estinzione del processo disposta per legge) la Corte provvedesse con sentenza, quando doveva decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento, o con decreto presidenziale, negli altri casi, attualmente gli stessi sono tre:

a) sulla rinuncia e nei casi di estinzione del processo disposta per legge, la Corte provvederà con ordinanza in camera di consiglio;

b) qualora debba decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento fissati per la pubblica udienza, la stessa Corte provvederà con sentenza;

c) se non è stata ancora fissata la data della decisione, provvederà il presidente, con decreto (cfr. in tal senso, tra le tante, Cass. civ., Sez. Un., 30 agosto 2018, n. 21434, in un caso in cui era stato depositato rituale atto di rinuncia al ricorso prima della fissazione della udienza di discussione).

Quanto alle ipotesi sub a), è opportuno chiarire che l'art. 391, comma 1, c.p.c. (nel testo sostituito dall'art. 15 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), alludendo ai "casi di estinzione del processo disposta per legge", si riferisce sia alle ipotesi in cui l'estinzione del processo è disposta direttamente dalla legge, senza necessità di comportamenti diretti ad integrare la fattispecie estintiva, sia a quelle in cui tali comportamenti siano necessari poiché l'effetto estintivo è previsto dalla norma in ragione del verificarsi all'esterno del processo di cassazione di determinati fatti che poi devono essere rappresentati e fatti constare. Ne consegue che, ricorrendone i presupposti di legge e salvo che si debba necessariamente pronunciare sentenza ovvero ordinanza camerale ai sensi degli artt. 375, n. 3, e 380-bis c.p.c., in entrambi i casi è possibile procedere alla dichiarazione di estinzione (Cass. civ., Sez. Un., sent., n. 19980/2014).

Ai sensi del novellato art. 391, comma 1, c.p.c., la decisione della Corte di cassazione sull'estinzione per rinuncia intervenuta dopo la comunicazione della fissazione della trattazione in pubblica udienza, deve essere assunta, all'esito di quest'ultima, con ordinanza, in quanto detta disposizione prevede che questa sia la veste formale "ordinaria" della pronuncia di estinzione, ove la Corte non debba decidere su altri ricorsi contro lo stesso provvedimento (Cass. civ., Sez. Un., ord., n. 19169/2017; Cass. civ., Sez. Un., 30 luglio 2018, n. 20167).

Questo approccio potrebbe, peraltro, in futuro essere sottoposto a revisione critica, atteso che la convinzione secondo cui l'estinzione del processo va dichiarata con ordinanza è maturata in un'epoca in cui tale era la forma di decisione collegiale prevista dall'art. 375, n. 3, c.p.c. per provvedere in ordine all'estinzione in ogni caso diverso dalla rinuncia (Cass. civ., sez. III, ord., n. 1878/2011; cfr. Cass. civ., sez. II, ord., n. 14922/2015).

Da ultimo, non risultando modificato il terzo comma, tuttora soltanto il decreto presidenziale ha efficacia di titolo esecutivo, tenuto presente che l'art. 474 c.p.c. richiede l'espressa previsione dell'efficacia esecutiva per i provvedimenti diversi dalle sentenze.

L'orientamento formatosi in sede di legittimità sulla rinuncia al ricorso per cassazione

Il principio enunciato da Cass. civ., ord., sez. VI-III, 27 luglio 2018, n. 19907, secondo cui la rinuncia al ricorso, ancorchè illegittima (perché proveniente da un procuratore che non è legittimato a disporre del diritto in contesa), fa cessare la materia del contendere per sopravvenuta carenza d'interesse del ricorrente (non essendo, invece, idonea a produrre l'effetto dell'estinzione del processo), è stato più volte affermato in passato dalla Cassazione.

In particolare, come precedenti conformi possono segnalarsi, senza pretese di esaustività, Cass. civ.,Sez. Un., 14 marzo 2016, n. 4909; Cass. civ., 15 gennaio 2015, n. 963; Cass. civ., 15 gennaio 2014, n. 693; Cass. civ., 17 dicembre 2013, n. 28146; Cass. civ., 11 ottobre 2013, n. 23161; Cass. civ., 15 settembre 2008, n. 23685; Cass. civ., 6 dicembre 2004, n. 22806; Cass. civ., 5 luglio 1991, n. 7413; Cass. civ., 28 ottobre 1988, n. 5859; Cass. civ., 7 gennaio 1984, n. 99; Cass. civ., 20 agosto 1978, n. 3033; e Cass. civ., 2 agosto 1977, n. 339.

A ben vedere, la pronuncia riproduce pedissequamente il ragionamento logico più di recente già contenuto in Cass. civ., sez. III, ord., n. 14281/2017, a mente della quale, appunto, ove la dichiarazione di rinunzia al ricorso per cassazione non sia stata sottoscritta dalla parte di persona, ma esclusivamente dal suo difensore nominato, senza che quest'ultimo risulti munito di mandato speciale a rinunziare, l'atto, siccome sprovvisto dei requisiti di cui al secondo comma dell'art. 390 c.p.c., non appare idoneo a produrre l'effetto dell'estinzione del processo per avvenuta rinunzia, ai sensi del combinato disposto del medesimo art. 390 e dell'art. 391 c.p.c., ma si palesa idoneo a rivelare il sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente a proseguire il processo stesso, segnatamente quando la controparte non si sia neppure costituita, e di determinare così la cessazione della materia del contendere, con conseguente inammissibilità del ricorso stesso.

D'altra parte, sulla medesima questione si erano già in passato pronunciate le Sezioni Unite, statuendo che l'atto di rinuncia al ricorso per cassazione, in assenza dei requisiti di cui all'art. 390, ultimo comma, c.p.c. (notifica alle parti costituite o comunicazione agli avvocati delle stesse per l'apposizione del visto), sebbene non idoneo a determinare l'estinzione del processo, denota il definitivo venire meno di ogni interesse alla decisione e comporta, pertanto, l'inammissibilità del ricorso (Cass. civ., Sez. Un.,sent., n. 3876/2010; cfr. Cass. civ., sez. VI-V, ord., n. 14782/2018), salvo che la controparte manifesti la volontà di ottenere, comunque, la pronuncia sull'oggetto del contendere (Cass. civ., sez. III, sent., n. 2259/2013).

Peraltro, i giudici di legittimità hanno manifestato ulteriori aperture di veduta, stabilendo che la rinuncia al ricorso per cassazione, potendo avvenire fino a che non sia cominciata la relazione (in base alla formulazione anteriore della norma, applicabile ratione temporis) e, quindi, anche direttamente in udienza, risulta perfezionata nel caso in cui la controparte ne abbia comunque avuto conoscenza prima dell'inizio di quest'ultima, benchè non le sia stata notificata, e, trattandosi di atto unilaterale recettizio, produce l'estinzione del processo a prescindere dall'accettazione, che rileva solo ai fini delle spese (Cass. civ., sez. I, ord., n. 17187/2014).

Più in generale, la rinuncia al ricorso per cassazione produce l'estinzione del processo anche in assenza di accettazione, in quanto tale atto non ha carattere "accettizio" (non richiede, cioè, l'accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell'interesse a contrastare l'impugnazione, rimanendo, comunque, salva la condanna del rinunciante alle spese del giudizio (Cass. civ., sez. VI-L, sent., n. 3971/2015).

È opportuno evidenziare che, nel caso di procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 380-bis c.p.c., ove la parte che ha proposto ricorso per cassazione vi rinunci, alla manifestazione di tale volontà abdicativa segue la declaratoria di estinzione, anche se sussista una causa di inammissibilità dell'impugnazione evidenziata dal relatore nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., ord., 16 luglio 2008, n. 19514).

Osservazioni critiche sulla pronuncia in commento

Per quanto la pronuncia sia autorevole, la stessa si presta almeno ad una puntualizzazione.

Traspare tra le maglie della motivazione il rischio di una possibile confusione di piani nel momento in cui sembra assimilarsi la declaratoria di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse a quella di cessazione della materia del contendere.

La cessazione della materia del contendere - che, se si verifica in sede d'impugnazione, giustifica non l'inammissibilità dell'appello o del ricorso per cassazione, bensì la rimozione delle sentenze già emesse, perché prive di attualità - si ha per effetto della sopravvenuta carenza d'interesse della parte alla definizione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestato l'effettivo venir meno dell'interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito, senza che debba sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni originarie nel giudizio, perché altrimenti non vi sarebbero neppure i presupposti per procedere all'accertamento della soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese, che invece costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia, quando non siano le stesse parti a chiedere congiuntamene la compensazione delle spese (Cass. civ., sez. I, sent., n. 10553/2009). In quest'ottica, ad esempio, Cass. civ., sez. I, sent., n. 19160/2007, in una fattispecie di impugnativa di delibera assembleare, ha preso atto che, anche alla stregua dei documenti prodotti ex art. 372 c.p.c., una società per azioni aveva revocato le delibere - con gli effetti di cui all'art. 2377, ultimo comma, c.c., nel testo anteriore al d.lgs. n. 6/2003 - in conformità alle censure del socio che nel frattempo erano state accolte dalle sentenze di merito, ed ha accertato, ai fini di stabilire la soccombenza, l'illegittimità delle clausole modificative dello statuto oggetto di impugnativa. Si pensi alla conciliazione della lite tra dipendenti e datore di lavoro in sede sindacale.

Nel caso, invece, di rinuncia al ricorso per cassazione non è detto che tra le parti siano venute meno le ragioni di contrasto che erano insorte.

Evidentemente, la Suprema Corte ha inteso aderire ad una concezione allargata della cessazione della materia del contendere, secondo cui la stessa si verifica solo quando nel corso del processo sopravvenga una situazione che elimini una posizione di contrasto tra le parti, producendo la caducazione dell'interesse delle stesse ad agire e a contraddire e, quindi, facendo venir meno la necessità della pronunzia del giudice (Cass. civ., sez. III, sent., n. 23289/2007). Peraltro, anche in siffatta evenienza non può ritenersi cessata la materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse delle parti se non quando i contendenti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi (Cass. civ., sez. III, sent., n. 11813/2016), laddove nel caso in esame, come si è visto, potrebbe anche essere sufficiente la rinuncia non seguita da espressa accettazione di controparte. Si pensi all'ipotesi in cui nel giudizio di cassazione venga prodotto un atto di rinuncia non sottoscritto da tutti i litisconsorti, nel qual caso non può essere dichiarata l'estinzione del giudizio, ma, ove sia allegato un atto di trasmissione della lite sottoscritto anche da coloro che non hanno sottoscritto la rinuncia, risultando documentata una situazione di sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente a coltivare il giudizio, il ricorso va dichiarato inammissibile per cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra le parti contratte (Cass. civ., sez. III, ord., n. 5679/2006).

Il rilievo che precede appare ancora più assorbente, nell'ambito di un giudizio di legittimità, il ricorrente accetti la rinunzia all'azione e al diritto espressa, nel corso di quel giudizio, dalla parte controricorrente vittoriosa nel giudizio di merito. Invero, anche in questa ipotesi la Suprema Corte è dell'avviso che sulla dichiarazione di estinzione del giudizio di legittimità per rinunzia al ricorso per cassazione implicata dalla detta accettazione prevalga la inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse essendo cessata la materia del contendere (Cass. civ., sez. I, sent., n. 28180/2005; cfr. Cass. civ., sez. I, sent., n. 4846/2007). Peraltro, su tale questione si assiste, a ben vedere, ad un contrasto di vedute, se si considera che le Sezioni Unite hanno affermato che, in tema di giudizio di cassazione e di procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 380-bis c.p.c., ove la parte che ha proposto ricorso per cassazione vi rinunci, alla manifestazione di tale volontà abdicativa segue la declaratoria di estinzione, anche se sussista una causa di inammissibilità dell'impugnazione evidenziata dal relatore nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., ord., n. 19514/2008; cfr. Cass. civ., sez. I, ord., n. 1083/2012).

Infine, anche un argomento di tipo processuale depone a favore dell'impostazione che si è inteso avallare. Invero, la cessazione della materia del contendere (a differenza della rinuncia) deve essere dichiarata dal giudice anche d'ufficio e dà luogo ad una pronuncia di carattere processuale, inidonea ad acquistare efficacia di giudicato (Cass. civ., sez. I,sent., n. 14194/2004), sicchè tale fattispecie può configurarsi quando sopravvenga una situazione che elimini la ragione del contendere delle parti, facendo venir meno l'interesse ad agire e contraddire, che consiste nell'esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, da accertare avendo riguardo all'azione proposta ed alle difese svolte dal convenuto.

In definitiva, l'approccio maggiormente corretto dovrebbe essere che solo quando nel corso del giudizio di legittimità intervenga un fatto che determini il venir meno, con la materia controversa, di qualsiasi posizione di contrasto tra le parti, ma non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o alla pretesa sostanziale, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, essendo venuto meno l'interesse alla definizione del giudizio, e, quindi, ad una pronuncia nel merito (Cass. civ., sez. L, sent., n. 20860/2005). Ugualmente, quando nel corso del giudizio di legittimità intervenga una transazione, è ravvisabile una causa di inammissibilità del ricorso, sia pure sopravvenuta - in ogni caso, idonea a consentire, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., la produzione del documento che ne comprovi la sussistenza - per essere venuto meno l'interesse della parte ricorrente ad una pronuncia sul merito dell'impugnazione (Cass. civ., sez. I, sent., n. 13565/2005; Cass. civ., sez. I, sent., n. 14250/2005).

Ulteriori profili processuali connessi alla rinuncia

In primo luogo, la norma dell'art. 334, comma 2, c.p.c. - secondo cui, ove l'impugnazione principale sia dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale tardiva perde efficacia - non trova applicazione nell'ipotesi di rinuncia all'impugnazione principale; poiché, infatti, la parte destinataria della rinuncia non ha alcun potere di opporsi all'iniziativa dell'avversario, l'ipotetica assimilazione di tale ipotesi a quelle dell'inammissibilità e dell'improcedibilità dell'impugnazione principale finirebbe per rimettere l'esito dell'impugnazione incidentale tardiva all'esclusiva volontà dell'impugnante principale (Cass. civ., Sez. Un., sent., 19 aprile 2011, n. 8925).

In secondo luogo, sul piano del regime giuridico, il decreto di cui all'art. 391, comma 1, c.p.c. ha la medesima funzione (di pronuncia sulla fattispecie estintiva) e il medesimo effetto (di attestazione che il processo di cassazione deve chiudersi perché si è verificato un fenomeno estintivo) che l'ordinamento processuale riconosce alla sentenza o all'ordinanza, con la differenza che, mentre nei confronti dei suddetti provvedimenti è ammessa solo la revocazione ex art. 391-bis c.p.c., avverso il decreto presidenziale l'art. 391, comma 3, c.p.c., individua, quale rimedio, il deposito di un'istanza di sollecitazione alla fissazione dell'udienza (collegiale) per la trattazione del ricorso. Tale istanza - che, non avendo carattere impugnatorio, non deve essere motivata - va depositata nel termine, da ritenersi perentorio (salva la generale possibilità di rimessione in termini prevista dall'art. 153, comma 2, c.p.c., aggiunto dall'art. 45, comma 19, della legge 18 giugno 2009, n. 69; cfr. Cass. civ., sez. V, sent., n. 16625/2015), di dieci giorni dalla sua comunicazione del decreto (Cass. civ., Sez. Un., sent., 23 settembre 2014, n. 19980), indipendentemente dal fatto che quest'ultimo rechi o meno una pronuncia sulle spese.

Ove sia dichiarata l'estinzione del processo con decreto presidenziale, ex art. 391 c.p.c., ancorché per causa relativa solo al ricorso precedentemente depositato e non al ricorso successivo iscritto in seno al precedente, l'istanza per la fissazione dell'udienza di trattazione del ricorso non coinvolto nella fattispecie estintiva soggiace al termine di dieci giorni di cui al comma 3 del citato articolo, decorrente dalla comunicazione del decreto al difensore e, in mancanza di essa, dall'effettiva conoscenza dell'avvenuta estinzione del giudizio di cassazione (Cass. civ., sez. VI-III, ord., n. 4553/2018, in un caso in cui tale conoscenza era stata fatta coincidere con la presa visione del fascicolo da parte del difensore costituito).

Ciò non esclude che sull'istanza di fissazione dell'udienza proposta ai sensi dell'art. 391, comma 3, c.p.c. possa essere disposta la trattazione del ricorso in camera di consiglio, per essere riservata alla pubblica udienza la decisione delle sole questioni di diritto aventi rilievo nomofilattico (Cass. civ., sez. VI-III, ord., n. 2647/2018).

Peraltro, ove il decreto presidenziale ex art. 391 c.p.c. determini un'estinzione soggettivamente parziale, concernendo esclusivamente alcune delle parti, l'istanza per la fissazione dell'udienza di trattazione del ricorso presentata da uno dei soggetti non coinvolti nella fattispecie estintiva non soggiace al termine perentorio di dieci giorni, in quanto non volta a contestare l'effetto estintivo, ma a far constatare l'esigenza che il processo non estinto nei confronti di alcune delle parti abbia il suo ordinario corso (Cass. civ., sez. V, sent., n. 23751/2015).

In terzo luogo, la rinuncia al ricorso formulata dal ricorrente, ancorché espressa in via subordinata, determina senz'altro una pronuncia di estinzione del giudizio, in quanto pregiudiziale anche rispetto alla declaratoria di inammissibilità del medesimo ricorso (Cass. civ., sez. VI-III, ord., n. 25824/2014).

Guida all'approfondimento
  • C. Consolo, Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di “svaporamento”, in Corriere giuridico 10/2012, 1133 ss.;
  • G. Costantino, Giudizio in cassazione, in Libro dell'anno del Diritto 2015;
  • B. Sassani, La logica del giudice e la sua scomparsa in cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc. 2, 2013, 639;
  • G. Trisorio liuzzi, Il ricorso in cassazione, Le novità introdotte dal d.l. 83/2012, in www.judicium.it, 2017.

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