Decreto legislativo - 24/02/1998 - n. 58 art. 123 - Durata dei patti e diritto di recesso.Durata dei patti e diritto di recesso. Art. 123 1. I patti indicati nell'articolo 122, se a tempo determinato, non possono avere durata superiore a tre anni e si intendono stipulati per tale durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza. 2. I patti possono essere stipulati anche a tempo indeterminato; in tal caso ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di sei mesi. Al recesso si applica l'articolo 122, commi 1 e 2. 3. Gli azionisti che intendono aderire a un'offerta pubblica di acquisto o di scambio promossa ai sensi degli articoli 106 o 107 possono recedere senza preavviso dai patti indicati nell'articolo 122. La dichiarazione di recesso non produce effetto se non si è perfezionato il trasferimento delle azioni. InquadramentoLa regolazione dei patti di tipo parasociale si inquadra nella più ampia disciplina degli «assetti proprietari» delle società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione Europea (art. 119 TUF). La disciplina in questione, come del resto tutta quella degli «assetti proprietari», è incentrata sulla trasparenza (in buona parte di fonte comunitaria), anche se non mancano alcuni aspetti di sostanza (durata, recesso) regolati da norme tipicamente nazionali. Nelle scelte del legislatore è presente una mediazione tra la necessità di tutelare e garantire i soci in merito alla funzionalità e alla certezza necessaria per svolgere l'attività sociale, anche tramite lo strumento del controllo nel procedimento assembleare, e la finalità di favorire un adeguato livello di contendibilità dell'azionariato rilevante delle società emittenti, secondo una logica concorrenziale del mercato. A tal fine, gli obblighi di trasparenza, principalmente tramite regole di pubblicità ex ante corredate da sanzioni di tipo civilistico (validità del voto, nullità dei patti), perseguono lo scopo di bilanciare e comporre la molteplicità di interessi, anche contrastanti, che riguardano l'esercizio del controllo, la gestione societaria e la tutela delle minoranze. In una nota comunicazione interpretativa della Consob può leggersi che «in un'ottica di tutela degli investitori e degli azionisti di minoranza» si è inteso garantire, tramite le previsioni sulla pubblicità, sulla durata e sul recesso, «l'assoluta trasparenza degli assetti proprietari e di controllo delle società quotate» e allo stesso tempo «valorizzare la contendibilità del controllo attraverso una giusta mediazione tra l'interesse degli azionisti imprenditori ad organizzare maggioranze stabili» e «la necessità di evitare la cristallizzazione di posizioni di potere nelle mani di soci che non detengono individualmente la maggioranza del capitale» (Comunicazione n. 29486 del 18 aprile 2000). Fino alla riforma del diritto societario del 2003, che ha introdotto il regime civilistico dei patti parasociali per le società non quotate(artt. 2341-bis e 2341-ter c.c.), gli artt. 122 e 123 TUF hanno rappresentato il principale punto di riferimento per gli interpreti, in seguito all'abrogazione delle previgenti disposizioni relative alle offerte pubbliche di acquisto (contenute nella l. n. 149/1992), che per prima aveva dato rilievo normativo al fenomeno. Come riporta efficacemente la Relazione illustrativa della riforma del 2003, «la disciplina codicistica differisce da quella del testo unico per la diversa durata dei patti, che per le società non quotate non può essere superiore a cinque anni, oltre che per le diverse modalità della loro pubblicità, che è peraltro prevista solo per i patti parasociali relativi a società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio» e dunque – vista la presenza per le quotate della disciplina speciale del TUF – per le sole società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante. Gli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c., tuttavia, non si applicano ai patti parasociali previsti all'art. 122 TUF per espressa previsione del relativo comma 5-bis, introdotto proprio dalla riforma poc'anzi richiamata. In entrambi i casi si deve inoltre segnalare la presenza di clausole antielusive che estendono l'applicabilità anche alle società controllanti. Come noto, i patti parasociali sono convenzioni atipiche di natura contrattuale, di tipo plurilaterale, tra soci o tra soci e terzi (talvolta anche con la società quotata emittente le azioni) con i quali le parti contraenti si obbligano a tenere una determinata condotta nella società o verso la società. Tali accordi hanno forma libera, ma per le società quotate sono soggetti ad un regime di pubblicità obbligatoria (ulteriormente integrata da previsioni regolamentari della Consob). I patti parasociali attengono al piano dei rapporti interindividuali tra titolari di partecipazioni societarie, e non a quello organizzativo dell'ordinamento sociale (proprio ad esempio dell'atto costitutivo). Come tali hanno efficacia meramente obbligatoria tra le parti contraenti (anche se talvolta è previsto il deposito di tutte le azioni presso un unico gestore). Pertanto, la violazione degli stessi, anche tramite atti interni all'organizzazione societaria (es. voto assembleare) in senso contrario al patto, comporta unicamente un obbligo di risarcimento del danno in capo al soggetto inadempiente. La diffusione dei patti parasociali tra le società con azioni quotate è ancora elevata sebbene vi sia stata una riduzione negli ultimi anni. Come si evince da un rapido confronto tra la Relazione per l'anno 2003 e la Relazione per l'anno 2017 della Consob, nel primo caso «nel corso del 2003 sono stati pubblicati 205 annunci di patti parasociali relativi a 163 società quotate. In 154 casi si è trattato di variazioni di patti già comunicati, mentre in 51 casi si è trattato di nuovi patti» (p. 127); mentre nel secondo caso «nel corso del 2016 sono state effettuate circa 140 comunicazioni relative a patti parasociali [...] con riferimento a 68 società quotate. Nell'ambito delle comunicazioni ricevute, in linea con l'anno precedente, poco più della metà sono relative a variazioni di patti parasociali già esistenti, mentre sono lievemente diminuite sia le comunicazioni relative alla stipula di nuovi patti parasociali (da 50 a 46) sia le comunicazioni relative allo scioglimento o venir meno degli scopi previsti nel patto stesso (da 35 a 22)» (p. 99). La principale esenzione dagli obblighi di trasparenza relativa ai patti – riguardante quelli che non superano le soglie di cui all'art. 120, comma 2 (5% per le PMI; 3% per le altre) e prevista direttamente dalla legge (art. 122, comma 5-ter, inserito nel 2009) – conferma la relazione esistente con la disciplina sulle partecipazioni rilevanti. La relazione tra la disciplina in questione e quella (appartenente alla medesima materia degli “assetti proprietari”) sulle partecipazioni rilevanti (art. 120 TUF e norme regolamentari esecutive) attuativa della Direttiva Transparency (n. 109/2004, come modificata nel 2013) è confermata dalla presenza, nella menzionata Direttiva, di norme che impongono forme di trasparenza sui patti e sulla “catena di controllo” degli aderenti per i patti che attengono all'esercizio del diritto di voto (voto vero e proprio, comma 1; consultazione e influenza dominante, comma 5, lett. a e d). La normativa italiana di cui all'art. 122 TUF è sovrabbondante rispetto a tali obblighi, salvo qualche aspetto limitato integrato dalla Consob in via regolamentare in attuazione dell'art. 120 TUF (con l'art. 120 Regolamento Emittenti). Si veda in proposito il commento sub art. 120. Per quanto riguarda la possibilità di esenzione dagli obblighi di trasparenza (anche sui patti) prevista dall'art. 124 per gli emittenti italiani quotati in altri paesi dell'Unione Europea, essa è sostanzialmente inapplicata. Maggior rilievo assumono, invece, gli interventi regolamentari (su cui si torna oltre) che hanno reso irrilevanti per l'OPA obbligatoria fenomeni coalizionali analoghi ai patti parasociali, interventi compiuti dalla Consob in attuazione della delega relativa all'esclusione di determinate fattispecie dalle ipotesi di «concerto» prevista dall'art. 101-bis TUF. I patti parasociali: elementi generaliLa meritevolezza di tutela dei «patti parasociali», quali accordi atipici tra soci (e tra soci e terzi) per regolare una condotta nella società con azioni quotate o nelle società che ne esercitano il controllo, che per tanto tempo ha costituito oggetto di dubbi dal punto di vista giuridico, è ormai un punto fermo. Come è stato detto in dottrina, essi si caratterizzano per essere contratti allo stesso tempo distinti e collegati al contratto sociale (fra gli altri, Pinnarò). Il primo passo nella direzione del riconoscimento della meritevolezza è stato compiuto dalla giurisprudenza, con decisioni che hanno superato i dubbi preesistenti. Fra queste si segnalano Cass. n. 9975/2005 e varie sentenze della Corte d'appello di Milano (si vedano, ad es., App. Milano 2 febbraio 2003, in Giur. it., 2003, 1875 e App. Milano 20 dicembre 2007, in Giur. comm., 2009, II, 77), che hanno fra l'altro anticipato la necessità, poi prevista ex lege, che, in caso di patti a tempo indeterminato, vi sia il riconoscimento di un diritto di recesso per aversi meritevolezza di tutela del contatto da parte dell'ordinamento. Il passo immediatamente successivo lo ha compiuto il legislatore che per la prima volta con il TUF nel 1998 ha disciplinato il fenomeno dei patti parasociali, dettando – per le società con azioni quotate e loro controllanti – regole essenzialmente di trasparenza ma anche attinenti alla durata e al recesso. Successivamente, con la riforma dei diritto societario del 2003/2004 il legislatore ha dettato una disciplina più generale sui patti parasociali nelle società per azioni (artt. 2341- bis e 2341-terc.c.) che non riguarda le società con azioni quotate (per le quali valgono le citate norme speciali) e contiene regole su durata e recesso nonché sulla trasparenza applicabili soltanto alle società con azioni diffuse. Entrambe le previsioni legislative – quella generale e quella speciale per le quotate – adottano una tecnica di delimitazione del fenomeno di natura casistico-esemplificativa, piuttosto che definitoria. Nel fenomeno regolato e riconosciuto rientrano pertanto tutti i patti elencati (su cui si torna fra poco), il cui contenuto di dettaglio è rimesso all'autonomia privata delle parti. È prevista anche una completa libertà delle forme («in qualunque forma stipulati») che in realtà svolge una funzione soprattutto anti-elusiva nei confronti della stipulazione i patti non dichiarati, essendo possibile per le Autorità di vigilanza dedurre in sede di enforcement l'esistenza del patto da comportamenti concludenti che – insieme ad altri indizi «gravi precisi e concordanti» – consentano di presumere l'esistenza di un accordo non dichiarato. Peraltro, l'evoluzione interpretativa e normativa successiva all'emanazione del TUF ha parzialmente dato spazio anche ad aspetti definitori. Infatti, l'art. 2341-bis c.c. affianca, all'elencazione dei patti rilevanti, l'indicazione che essi siano stipulati «al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società». Si tratta di un'espressione tratta da un orientamento interpretativo assunto dalla Consob (la Comunicazione n. 29486 del 18 aprile 2000), con il quale la Commissione ha affrontato il problema dell'appartenenza o non appartenenza – a determinate condizioni – al novero dei patti parasociali, rilevanti come presupposto di obblighi di trasparenza e talvolta di obblighi gravosi come l'OPA obbligatoria (v. oltre), di accordi stipulati secondo prassi di mercato ed aventi natura oggettivamente diversa, come ad esempio gli accordi di lock-up conseguenti ad operazioni di collocamento di strumenti finanziari. Con tale Comunicazione – ma pure con interventi di vigilanza volti ad individuare patti non dichiarati, anche muovendo dalla circostanza che, come detto, rilevano per la normativa in commento «in qualunque forma» siano stati stipulati e talvolta anche se «nulli» – la Consob ha seguito un approccio sostanzialistico, che ha inteso valorizzare la funzione propria dei patti parasociali giudicando equivalenti gli accordi che «producano gli effetti indicati nella medesima norma» (così ancora la Comunicazione n. 29486 del 18 aprile 2000) e qualificando – pur con la prudenza dovuta al necessario rispetto del dato letterale – come estranei al contesto accordi non aventi effetti di quel tipo. In altri termini, a parere della Consob, rientrano nell'art. 122 TUF tutti gli accordi posti in essere dalle parti allo «scopo di dare un indirizzo unitario all'organizzazione e alla gestione sociale (ad es. attraverso accordi sul voto ovvero obblighi di preventiva consultazione) e [allo] scopo di “cristallizzare” determinati assetti proprietari (ad es. attraverso accordi blocco, di prelazione o di covendita)». Ambito di applicazione: sindacati di voto, di consultazione, di blocco, di prelazione, di covendita, altri patti.Venendo all'elenco dei patti rilevanti, in primo luogo il comma 1 fa riferimento ai c.d. «sindacati di voto», vale a dire accordi che hanno ad oggetto l'esercizio congiunto del diritto di voto al fine di garantire e ottenere una maggioranza stabile e consolidata. In secondo luogo, il comma 5 elenca ulteriori tipologie di accordi rilevanti: (i) che istituiscono obblighi di preventiva consultazione per l'esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano (c.d. «patti di preventiva consultazione»); (ii) che stabiliscono limiti al trasferimento delle azioni o di strumenti finanziari che attribuiscono diritti o impongono obblighi di acquisto o di sottoscrizione delle stesse (c.d. «patti di blocco», «patti di prelazione» o «patti di co-vendita»); (iii) che prevedono l'acquisto di azioni o degli strumenti finanziari sopra indicati (c.d. patti di consolidamento»); (iv) che hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante sulle società con azioni quotate e nelle società che le controllano (c.d. «patti di controllo»); (v) volti a favorire o contrastare il conseguimento degli obiettivi di un'offerta pubblica di acquisto o di scambio, ivi inclusi gli impegni a non aderire ad un'offerta (categoria quest'ultima aggiunta in occasione del recepimento in Italia con d.lgs. n. 229/2007 della Direttiva OPA n. 2004/25). Dall'elenco può dedursi – al di là degli elementi comuni attinenti all'indirizzo unitario della gestione o alla cristallizzazione degli assetti proprietari di cui si è detto, fondati su elementi causali comuni alle varie fattispecie indicate dalla norma – che vi sono anche accordi da cui – in quanto non inclusi nell'elenco – non consegue l'applicazione della disciplina in esame. Ad esempio, in dottrina si sono ipotizzate esclusioni relative ai patti di consultazione facoltativa, qualora però non configurino un'influenza dominante (Zanchi). Ugualmente, non vi rientrerebbero i patti tra soci di minoranza sulle condizioni per l'esercizio congiunto dei relativi poteri (Santoni), quali – ad esempio – richiedere informazioni e esercitare le prerogative in termini di voice, monitoring ed exit. Inoltre, si era pervenuti anche in dottrina a ritenere esclusi gli accordi volti ad impedire che le parti pongano in essere operazioni sulle azioni relative alla società quotata (c.d. «accordi di lock-up») in ragione della specifica prescrizione in base ai regolamenti di mercato (Caterino). Estremamente ampia è, peraltro, la categoria di cui all'art. 122, comma 5, lett. d), dei patti aventi «ad oggetto» e «ad effetto» l'esercizio anche congiunto dell'influenza dominante che possono dare rilievo – in una logica finalistica ed ancora una volta anti-elusiva – a vari accordi. Fornisce un rilevante contributo di riduzione dell'ampiezza dei patti rilevanti per gli obblighi di trasparenza la norma che li esclude (comma 5.ter dell'art. 122, inserito nel 2009) per tutti i patti, stipulati con qualunque forma e contenuto, «aventi ad oggetto partecipazioni complessivamente inferiori alla soglia indicata all'articolo 120, comma 2», vale a dire il 5% per le PMI e il 3% per tutte le altre società. In un'ottica di semplificazione, il legislatore ha ritenuto di non imporre gli oneri di pubblicità e di comunicazione tempestiva (entro cinque giorni) per accordi che riguardano partecipazioni inferiori alle soglie indicate per gli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti (comma 5-ter). Ciò, del resto, coerentemente con l'impostazione topografica della Sezione I sugli «assetti proprietari» di cui l'art. 122 è parte. I patti parasociali e il concerto nelle offerte pubbliche di acquisto e scambioNella parte del TUF dedicata alle offerte pubbliche di acquisto e scambio è presente una categoria più ampia i cui i patti parasociali sono una parte: quella delle «persone che agiscono di concerto». Oltre ad essere definita, tale categoria assume rilievo per l'applicazione di regole di trasparenza e correttezza a cui sono tenuti, oltre all'offerente o alla società emittente titolo oggetto di offerta, i soggetti agenti di concerto con loro, e, ai sensi dell'art. 109 TUF, per l'applicazione degli obblighi di offerta previsti dagli artt. 106 e ss. dello stesso TUF. La nozione di concerto ha subito un'evoluzione simile a quella già descritta per i patti parasociali, passando, sulla base delle previsioni contenute nella Direttiva OPA, da una mera elencazione di casi di rilevanza iuris et de iure, previsti nel TUF sin dal 1998, ad una definizione di ordine generale, con ipotesi esemplificative di rilevanza e possibili casi di esenzione. Dopo il recepimento in Italia della Direttiva OPA, la nozione è contenuta nell'art. 101-bis, comma 4, del TUF, secondo cui: «Per “persone che agiscono di concerto” si intendono i soggetti che cooperano tra di loro sulla base di un accordo, espresso o tacito, verbale o scritto, ancorché invalido o inefficace, volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società emittente o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un'offerta pubblica di acquisto o di scambio». Inoltre, in base al comma 4-bis, vi sono dei casi di presunzione assoluta di concerto. In base a tale norme: «Sono, in ogni caso, persone che agiscono di concerto: a) gli aderenti a un patto, anche nullo, previsto dall'articolo 122, comma 1 e comma 5 lettere a ), b ), c ) e d ); b) un soggetto, il suo controllante, e le società da esso controllate; c) le società sottoposte a comune controllo; d) una società e i suoi amministratori, componenti del consiglio di gestione, o di sorveglianza o direttori generali». La mancata menzione dell'art. 122, comma 5, lett. d-bis, appare un mero difetto di coordinamento, essendo fra l'altro i patti ivi previsti il tipo di patti più strettamente connessi allo svolgimento delle offerte. È poi previsto (comma 4-ter) che la Consob individui con regolamento casi in cui vi sia una presunzione relativa, invece che assoluta, di concerto e casi «nei quali la cooperazione tra più soggetti non configura un'azione di concerto ai sensi del comma 4». In attuazione di tale delega la Consob, ha, fra l'altro, con il comma 2 dell'art. 44-quater del Regolamento Emittenti, previsto che: «I seguenti casi di cooperazione tra più soggetti non configurano di per sé un'azione di concerto ai sensi dell'articolo 101-bis, comma 4, del Testo unico: a) il coordinamento tra azionisti al fine di esercitare le azioni e i diritti loro attribuiti dagli articoli 2367,2377,2388,2393-bis, 2395,2396,2408,2409 e 2497 del codice civile ovvero dagli articoli 126-bis, 127-ter e 157 del Testo unico; b) gli accordi per la presentazione di liste per l'elezione degli organi sociali ai sensi degli articoli 147-ter e 148 del Testo unico, sempreché tali liste candidino un numero di soggetti inferiore alla metà dei componenti da eleggere ovvero siano programmaticamente preordinate all'elezione di rappresentanti della minoranza; c) la cooperazione tra azionisti per contrastare l'approvazione di una delibera di assemblea straordinaria o di una delibera di assemblea ordinaria avente ad oggetto: 1) i compensi dei componenti degli organi sociali, le politiche di remunerazione o i piani di compensi basati su strumenti finanziari; 2) operazioni con parti correlate; 3) autorizzazioni ai sensi dell'articolo 2390 del codice civile o dell'articolo 104 del Testo unico; d) la cooperazione tra azionisti per: 1) favorire l'approvazione di una delibera assembleare avente ad oggetto la responsabilità dei componenti degli organi sociali o di una proposta all'ordine del giorno ai sensi dell'articolo 2367 del codice civile o dell'articolo 126-bis del Testo unico; 2) far confluire voti su una lista che candidi un numero di soggetti inferiore alla metà dei componenti da eleggere o sia programmaticamente preordinata all'elezione di rappresentanti della minoranza, anche tramite la sollecitazione di deleghe di voto finalizzata alla votazione di tale lista». Come è evidente, i casi di esenzione rispondono tutti al medesimo principio: quello di consentire il coordinamento dei soci di minoranza per esercitare i poteri loro riconosciuti dall'ordinamento. Oneri pubblicitariGli aderenti al patto parasociale sono solidalmente obbligati a darne comunicazione, entro cinque giorni dalla stipulazione, alla Consob, dopo aver adempiuto alla pubblicazione per estratto sulla stampa quotidiana completa delle informazioni essenziali (art. 122, comma 1, TUF e artt. 127 e 130, Regolamento Emittenti). Allo stesso modo, la Consob è tenuta a ricevere anche le comunicazioni relative alle modifiche del patto e le variazioni dei diritti di voto, oltre che la notizia del rinnovo e dello scioglimento del patto (art. 128, Regolamento Emittenti). In tal modo, si garantisce alla Consob un adeguato flusso informativo che permette una adeguata attività di vigilanza su tali accordi (fermi i poteri di richiesta di cui all'art. 115, comma 2, TUF, che possono essere esercitati anche nei confronti di aderenti a patti parasociali). Si ricorda che i patti parasociali assumono particolare rilievo anche per l'applicazione di altre normative, a partire da quella già menzionata sulle offerte pubbliche di acquisto (OPA) obbligatorie conseguenti ad «acquisti di concerto» di cui agli artt. 106 e 109 del TUF. A completare il ciclo di pubblicità e informazioni, l'art. 122 TUF impone che gli aderenti al patto diano comunicazione per estratto dell'accordo alla società con azioni quotate, che ne cura la diffusione al pubblico (tendenzialmente tramite uno SDIR), e depositino copia integrale del patto presso il registro delle imprese del luogo dove la società quotata ha la sede legale. Durata e recessoAl fine di evitare sindacati che «congelino» la partecipazione con carattere di immutabilità, il legislatore ha optato per inserire un termine massimo di legge, pari a tre anni (cinque per le società chiuse in base all'art. 2341-bis c.c.), che può essere tuttavia rinnovato a scadenza. In tal modo, pur preservando la continuità, è stato introdotto un meccanismo per incentivare una revisione e rivalutazione dell'accordo entro un termine massimo di legge che si applica secondo il canone dell'inserzione automatica di clausole imperative ai sensi dell'art. 1339 c.c. È però possibile che il patto abbia durata indeterminata; in tal caso opera il diritto di recesso (exit) degli aderenti al patto, con preavviso di sei mesi, previsto dal comma 2 dell'art. 123. Anche in caso di recesso si applicano gli oneri di pubblicità connessi alle variazioni soggettive e oggettive del patto. Infine, l'art. 123, comma 3, TUF precisa, a tutela del procedimento dell'offerta pubblica o di scambio (ai sensi dell'art. 106 e 107 TUF), che gli azionisti che intendono aderirvi possono recedere dai patti parasociali senza preavviso, posto che la relativa dichiarazione rimane condizionata al perfezionamento del trasferimento delle azioni. SanzioniIn base all'art. 122, comma 4, TUF, l'ordinamento sanziona l'omessa comunicazione alla Consob, unitamente alle ulteriori prescrizioni di pubblicità e trasparenza, con la sospensione del potere di esercitare il diritto di voto inerente alle sole azioni per cui non sono stati adempiuti gli obblighi. Inoltre, le deliberazioni o i diversi atti adottati con il voto, o comunque con il contributo determinante, delle azioni per le quali sono stati violati gli obblighi di comunicazione e dichiarazione richiamati, possono essere impugnati anche dalla Consob secondo le modalità previste dal codice civile, nel termine di sei mesi dalla deliberazione o dall'iscrizione della stessa nel registro delle imprese, in forza del richiamo indicato all'art. 14, comma 6, TUF. A lato della sospensione del voto, l'art. 122, comma 3, TUF sancisce anche la nullità dei patti parasociali resi in violazione dei richiamati obblighi di comunicazione e deposito. Ciò a riprova del disvalore che l'ordinamento attribuisce a condotte in violazione delle esigenze collettive di pubblicità e trasparenza per la categoria dei patti in esame. La dottrina si è quindi interrogata sulla natura di tale nullità (peraltro non priva di effetti, come nel caso dell'art. 109 TUF sull'acquisto di concerto, laddove ai fini della considerazione unitaria degli azionisti rileva la stipula di un patto, anche nullo) e sull'eventuale sanabilità della nullità, in conseguenza del tardivo adempimento degli obblighi di legge. In merito a quest'ultimo aspetto, si è concluso in senso negativo (Pinnarò), in ragione del carattere imperativo della disciplina, della specialità e della pervasività rispetto alla disciplina sia societaria che finanziaria. I rapporti tra patto nullo e patto che lo rende trasparente, nello stesso tempo estinguendolo e rinnovandolo, sono esaminati in una Comunicazione Consob, ove può leggersi che «una delle ipotesi più semplici in cui tale pieno riconoscimento può verificarsi è proprio quella della ripetizione del patto nullo, con la quale le parti accettano che il precedente negozio fra loro concluso era irrimediabilmente viziato e ne stipulano un altro del medesimo contenuto; il patto nullo non esiste più ed è sostituito da un patto valido, sempre che siano adempiuti gli obblighi di pubblicità. Le ragioni giustificatrici del divieto di voto vengono meno nel momento in cui il vecchio patto cessa di esistere e non è più in grado di produrre effetti non trasparenti sulla gestione della società» (Comunicazione n. 75252 del 12 ottobre 2000). Venendo alle sanzioni amministrative, in materia di informazione societaria, l'art. 193, comma 2, TUF dispone nei confronti di società, enti o associazioni sanzioni reputazionali (name-and-shame), misure amministrative (chase-and-desist) e sanzioni pecuniarie, da adottarsi secondo il canone ermeneutico della proporzionalità. In particolare, si prevede che per sindaci, revisori legali e società di revisione legale «nei casi di omissione [...] dei patti parasociali [... ai sensi dell'art. 122, commi 1, 2 e 5], nonché di violazione dei divieti previsti [... all'art. 122, comma 4...]» si applica una delle seguenti sanzioni amministrative: «a) una dichiarazione pubblica indicante il soggetto responsabile della violazione e la natura della stessa, quando questa sia connotata da scarsa offensività o pericolosità e l'infrazione contestata sia cessata; b) un ordine di eliminare le infrazioni contestate, con eventuale indicazione delle misure da adottare e del termine per l'adempimento, e di astenersi dal ripeterle, quando le infrazioni stesse siano connotate da scarsa offensività o pericolosità; c) una sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila a euro dieci milioni, ovvero fino al cinque per cento del fatturato quando tale importo è superiore a euro dieci milioni e il fatturato è determinabile ai sensi dell'articolo 195, comma 1-bis». Per le persone fisiche, invece, ferme restando le sanzioni di cui alle lett. a) e b), sopra richiamate, il successivo comma 2.1 mitiga la relativa sanzione amministrativa pecuniaria per un ammontare «da euro diecimila a euro due milioni». Alle medesime sanzioni soggiacciono anche i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo, nonché il personale, che ha posto in essere una condotta che ha contribuito a determinare la violazione da parte della società emittente, a condizione che (i) l'inosservanza sia conseguenza della violazione di doveri propri o dell'organo di appartenenza e che (ii) la condotta abbia inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali, ovvero abbia provocato un grave pregiudizio per la tutela degli investitori o per la trasparenza, l'integrità e il corretto funzionamento del mercato (come previsto dall'art. 193, comma 2.2, TUF, che richiama espressamente le condizioni indicate all'art. 190-bis, comma 1, lettera a), TUF). Le sanzioni, inoltre, possono subire ulteriori aumenti (fino al doppio) qualora l'ammontare del vantaggio ottenuto dall'autore della violazione come conseguenza della violazione stessa è superiore ai limiti massimi edittali indicati (art 193, comma 2.4 TUF). Infine, si segnala che, a differenza di quanto previsto per l'art. 120 TUF, per le violazioni di cui all'art. 122 TUFnon è prevista la possibilità del pagamento in misura ridotta, ai sensi dell'art. 194-quinquies TUF. 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