Codice Civile art. 2487 - Nomina e revoca dei liquidatori; criteri di svolgimento della liquidazione (1).Nomina e revoca dei liquidatori; criteri di svolgimento della liquidazione (1). [I]. Salvo che nei casi previsti dai numeri 2), 4) e 6) del primo comma dell'articolo 2484 non abbia già provveduto l'assemblea e salvo che l'atto costitutivo o lo statuto non dispongano in materia, gli amministratori, contestualmente all'accertamento della causa di scioglimento, debbono convocare l'assemblea dei soci perché deliberi, con le maggioranze previste per le modificazioni dell'atto costitutivo o dello statuto, su: a) il numero dei liquidatori e le regole di funzionamento del collegio in caso di pluralità di liquidatori; b) la nomina dei liquidatori, con indicazione di quelli cui spetta la rappresentanza della società; c) i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; i poteri dei liquidatori, con particolare riguardo alla cessione dell'azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi; gli atti necessari per la conservazione del valore dell'impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo. [II]. Se gli amministratori omettono la convocazione di cui al comma precedente, il tribunale vi provvede su istanza di singoli soci o amministratori, ovvero dei sindaci, e, nel caso in cui l'assemblea non si costituisca o non deliberi, adotta con decreto le decisioni ivi previste. [III]. L'assemblea può sempre modificare, con le maggioranze richieste per le modificazioni dell'atto costitutivo o dello statuto, le deliberazioni di cui al primo comma. [IV]. I liquidatori possono essere revocati dall'assemblea o, quando sussiste una giusta causa, dal tribunale su istanza di soci, dei sindaci o del pubblico ministero. (1) V. nota al Capo VIII. InquadramentoL'art. 2487 disciplina in forma complessiva e completa, in primo luogo, lo snodo in cui si articola la vicenda societaria che segna il passaggio dalla fase gestoria in capo agli amministratori alla fase gestoria in capo ai liquidatori. Anche in questo caso l'organo cui è attribuito il potere (ma sarebbe meglio dire l'obbligo) di attivazione dei meccanismi procedimentali che portano all'insediamento in carica dei liquidatori è l'organo amministrativo: il quale, in realtà, svolge più che altro una funzione di impulso finalizzata a garantire (per la società, come per i soci, come per i terzi) che il processo in questione sia attuato in tempi estremamente brevi, ma non è titolare di poteri effettivi, come è giusto che sia. Ogni competenza spetta all'assemblea, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo o dello statuto. Al fine di garantire completezza al sistema, poi, la norma si premura di prevedere un potere suppletivo del tribunale, che si può esplicare su un doppio livello: da un lato, nel potere di disporre la convocazione dell'assemblea chiamata ad adottare le delibere in questione, nel caso in cui non vi abbiano provveduto gli amministratori; dall'altro lato, nel potere di adottare i provvedimenti che l'art. 2487, comma 1, riserva alla competenza dell'assemblea dei soci, per il caso in cui questa non si costituisca comunque o non riesca a deliberare. La disposizione dell'art. 2487, ad avviso di chi scrive, riveste grande importanza anche sotto il profilo dei criteri-guida cui il legislatore ha inteso ispirare la riforma in materia: il ruolo centrale attribuito all'assemblea (e già riconosciuto dall'art. 2484) con riguardo alla nomina, all'attribuzione dei poteri, alla determinazione dei criteri direttivi per la liquidazione, alla modifica degli stessi ed alla revoca dei liquidatori (nonché, a termini dell'art. 2487-ter, anche riguardo alla revoca dello stato di liquidazione), infatti, lascia intendere che, al di là del fatto che la gestione liquidatoria non possa evidentemente essere improntata a criteri che si rivelino dannosi per i creditori sociali, la disciplina attuale della liquidazione è posta soprattutto a presidio dell'interesse dei soci alla prosecuzione o meno (e nella forma che essi ritengano più idonea) della vita sociale. La nomina dei liquidatori e il contenuto della delibera di nomina. Rilevanza delle previsioni statutarieAllorché sia accertato il verificarsi di una causa di scioglimento e l'assemblea conservi la sua normale funzionalità (il che, molto probabilmente, non si verificherà nell'ipotesi di cui all'art. 2484, comma 1, n. 3), l'atto con cui si avvia in concreto la fase di liquidazione sarà una deliberazione assembleare, da adottarsi con le maggioranze previste per le modificazioni dell'atto costitutivo: in questo caso, evidentemente, non vi sarà spazio per interventi esterni (giudiziari e non) ed ogni determinazione sarà rimessa alla volontà dei soci. È da notare preliminarmente, sul punto, che la riforma del 2003 è intervenuta in forma incisiva sulla disciplina previgente, tenuto conto che la corrispondente norma del codice civile del 1942 – cioè l'art. 2450 – si limitava a sancire il potere dell'assemblea straordinaria di fare luogo alla nomina dei liquidatori, laddove poi il successivo art. 2452 regolava obblighi e poteri dei liquidatori con un «pesante» richiamo alla relativa disciplina in materia di società di persone. In concreto, dunque, veniva lasciato pochissimo spazio all'autonomia privata. Oggi, invece, almeno sul piano delle aspettative normative, l'assemblea che apre la fase liquidatoria vera e propria si ritrova il potere, non solo di nominare i liquidatori, ma anche quello di fissare i criteri che dovranno ispirare la gestione in fase di liquidazione, così come quello di disciplinare analiticamente (ed, evidentemente, con stretto riguardo alle peculiari problematiche che la fattispecie concreta potrà prospettare) i poteri dei liquidatori, non solo in generale, ma anche con riguardo a specifiche attività. Il tutto però, beninteso, a condizione che «l'atto costitutivo o lo statuto non dispongano in materia», come sancisce nettamente l'art. 2487, comma 1: vi è dunque, forte, una gerarchia tra le diverse possibili fonti di investitura e di determinazione dei poteri dei liquidatori. L'assemblea, cioè, in tanto sarà chiamata a deliberare in materia, solo in quanto già non vi siano previsioni dello statuto o dell'atto costitutivo: anche in questo caso, dunque, potrebbe forse parlarsi di potere suppletivo, benché poi l'art. 2487, comma 4, sancisca, come si vedrà, un potere immanente dell'assemblea stessa di modificare anche le regole statutarie. In poche parole: - le fonti principali (o, forse meglio, originarie) regolamentari in materia sono lo statuto e l'atto costitutivo; - in difetto di previsioni di essi può deliberare l'assemblea; - in ogni caso, l'assemblea può incidere anche ex post con delibere modificative delle regole, anche di quelle originariamente fissate dallo statuto e dall'atto costitutivo. Come è stato osservato già in sede di primo commento della riforma, la ratio dell'art. 2487 risiede nella volontà del legislatore di indurre i soci ad attentamente considerare che i liquidatori, sciolti da «ferree regole» nella liquidazione, potrebbero con poche operazioni disperdere o dissipare l'intero patrimonio sociale e, dunque, l'investimento di essi soci. Il tema concernente l'individuazione della sede in cui si vanno a determinare i poteri dei liquidatori è di un certo interesse, soprattutto ove lo si esamini alla luce delle sue implicazione pratiche. In merito va considerato, anzitutto, che le relazioni tra soci (e, dunque tra componenti dell'organo assembleare) in generale sono ben diverse all'atto della stipulazione dell'atto costitutivo (e della formazione dello statuto) rispetto al momento in cui si verifica la causa di scioglimento: la sopravvenuta disgregazione della compagine societaria, anche ove non sia caratterizzata (come nella maggior parte dei casi avviene) da un contenzioso interno alla società, molto difficilmente registrerà rapporti distesi al punto da far rinvenire agevolmente intese di natura negoziale circa la regolamentazione della fase di liquidazione. A questo riguardo, la prassi insegna che raramente, al momento in cui l'ente societario viene costituito, i contraenti sono così prudenti e previdenti da preoccuparsi di regolamentare anche la fase di dissoluzione dell'ente (Rossi, 2193). Ed infatti, le previsioni statutarie sono sul punto estremamente vaghe (con la sola eccezione dei casi in cui la società nasca con un socio talmente forte da poter imporre, già in sede di pattuizioni originarie, ferree regole in materia di liquidazione), laddove, di solito, si preferisce rimettere ogni effettiva determinazione alla fase di liquidazione in senso proprio. Tuttavia, anche in sede di nomina dei liquidatori da parte dell'assemblea (salvo ancora il caso del socio che abbia la maggioranza per determinare la deliberazione di modificazione dell'atto costitutivo), non sarà facile trovare regole analitiche di funzionamento e di esercizio dei poteri da parte dei liquidatori, limitandosi la stessa deliberazione di cui all'art. 2487, comma 1, quasi sempre, alla semplice scelta del liquidatori o del collegio dei liquidatori. Non è secondario, però, considerare che, in questo panorama complessivo, i poteri dei liquidatori restano purtuttavia «originari», trovando essi espresso fondamento nell'art. 2489, comma 1. Questa disposizione vincola essi a compiere, benché «tutti», soltanto gli atti utili per la liquidazione della società. Il legislatore ha in sostanza dettato una disciplina generale (e del tutto compiuta) in cui l'ipotesi per cui l'assemblea dei soci ovvero l'atto costituivo non esercitino la facoltà di indirizzo consentita, confermando indirettamente come l'autonomia «negoziale» possa unicamente specificare competenze e poteri che trovano esclusiva origine nella legge. Per tali ragioni pare corretto ritenere pienamente valida una deliberazione di nomina che si limiti a designare i componenti dell'organo liquidativo senza ulteriori precisazioni, allo stesso modo di una clausola statutaria che nulla aggiunga alla previsione di un meccanismo di individuazione automatica dei medesimi» (Vaira, 2070). Rimedi suppletivi: l'intervento del giudice per il caso di inerzia della societàLa casistica La norma dell'art. 2487, comma 2, regola i poteri attribuiti, anche in questo ambito, all'autorità giudiziaria: purtroppo, anche in questa circostanza, il dettato legislativo non appare di immediata comprensione. Secondo lo schema testuale della disposizione in esame, infatti, l'intervento giudiziario dovrebbe articolarsi nelle seguenti fasi: - suo presupposto imprescindibile è rappresentato dalla omissione, da parte degli amministratori, della convocazione dell'assemblea destinata a deliberare sugli argomenti poco più sopra richiamati (primo fra tutti evidentemente quello concernente la nomina dei liquidatori); - per l'ipotesi appunto di ricorrenza di tale fattispecie omissiva, singoli soci od amministratori, nonché i sindaci, possono richiedere al tribunale che lo stesso provveda alla convocazione dell'assemblea; - nel caso in cui l'assemblea non si costituisca o non deliberi, il tribunale potrà adottare con decreto tutte le decisioni in ordine agli argomenti indicati dall'art. 2487, comma 1. I dubbi interpretativi ingeneratisi hanno investito diverse questioni che meritano di essere segnalate separatamente, non senza avere brevemente delineato le possibili fattispecie concrete che la previsione normativa astratta propone all'interprete. Ed in effetti la realtà concreta può proporre una casistica ben più articolata di quella che la semplice lettura della norma farebbe ritenere plausibile. Potrebbe infatti accadere alternativamente che: - nonostante l'indiscusso verificarsi della causa di scioglimento ed il relativo accertamento da parte degli amministratori, questi omettano la convocazione dell'assemblea; - pur a seguito della regolare convocazione da parte degli amministratori, l'assemblea non assuma alcuna deliberazione, per difetto dei relativi quorum, costitutivo o deliberativo; - pur regolarmente costituita, l'assemblea assuma una deliberazione in contrasto con l'accertamento effettuato dagli amministratori e, dunque, contesti la sussistenza di una causa di scioglimento, ovvero non riesca a deliberare positivamente. Come questa semplice schematizzazione rende evidente, ad ogni diversa situazione ipotizzabile corrispondono diverse possibili soluzioni e diverse problematiche. Peraltro, poiché, come sempre, la realtà supera sempre la fantasia, anche una superficiale indagine sulla giurisprudenza di merito lascia emergere casi che non è azzardato definire peculiari: come quello dell'amministratore che si induca a convocare l'assemblea solo dopo che sia stata denunziata la sua inerzia, con l'istanza indirizzata al tribunale; in questa eventualità si è ritenuto che la tardiva attivazione non integri causa di sopravvenuta cessazione della materia del contendere, soprattutto laddove si tratti di un'attivazione meramente apparente, comunque finalizzata a rallentare il percorso di insediamento dell'organo liquidatorio (Trib. Salerno, 21 marzo 2013, in Soc., 2013, 1099). Quel che è certo è che l'intervento dell'autorità giudiziaria è possibile sia con riguardo all'iniziativa avente ad oggetto la convocazione dell'assemblea, in sostituzione degli amministratori, sia con riguardo alla nomina dei liquidatori, in sostituzione dell'assemblea, sia con riguardo ad entrambi i detti eventi, in sostituzione e degli amministratori e dell'assemblea. Siffatto intervento, peraltro, inevitabilmente, a seconda delle diverse situazioni, presenta diverse caratteristiche. I presupposti per la richiesta di intervento del tribunale Uno dei temi che è stato oggetto di interrogativi, ancora una volta – come già accaduto in relazione alla fattispecie di cui all'art. 2485, comma 2 –, riguarda l'individuazione dei soggetti muniti di legittimazione attiva ai fini della formulazione dell'istanza al tribunale, sia che essa concerna la richiesta di convocazione dell'assemblea, sia che abbia ad oggetto la nomina dei liquidatori. Ad avviso di chi scrive, il problema della legittimazione dovrebbe essere risolto nei medesimi termini in cui è stato risolto in sede di esame dell'art. 2485, comma 2: tanto, per la semplice ragione che la formula legislativa è sostanzialmente identica nelle due disposizioni di legge, se si fa eccezione per una virgola inopportunamente inserita nell'art. 2487, comma 2, secondo cui il tribunale provvede «su istanza di singoli soci o amministratori, ovvero dei sindaci». Non pare potersi seriamente discutere il fatto che il legislatore, mentre ha espressamente attribuito ai soci ed agli amministratori una legittimazione individuale all'iniziativa (espressamente chiarendo che essi possono assumerla anche quali «singoli»), nel contempo ha fatto riferimento ai sindaci quali organo e, dunque, negando loro una legittimazione individuale. Così come accade con riguardo alla fattispecie regolata dall'art. 2485, comma 2, però, l'attribuzione della legittimazione non è di per sé sola sufficiente a rendere ammissibile l'istanza indirizzata all'autorità giudiziaria. Laddove, infatti, ci si rivolga al tribunale ai fini della convocazione dell'assemblea, sarà necessario dedurre e dimostrare che si siano già determinate le condizioni idonee ad integrare «l'accertamento della causa di scioglimento», accertamento che rappresenta il presupposto imprescindibile perché a carico degli amministratori insorga l'obbligo della convocazione dell'assemblea. Nel caso in cui, invece, si faccia richiesta al tribunale di procedere alla nomina dei liquidatori, si dovrà dedurre e comprovare, oltre che il già avvenuto accertamento della causa di scioglimento, anche l'omessa deliberazione dell'assemblea con riguardo alla suddetta nomina. Secondo lo schema che si è più sopra proposto è evidente che il tribunale potrebbe essere anche chiamato ad effettuare un doppio intervento: il primo per sostituirsi agli amministratori che abbiano omesso l'accertamento della causa di scioglimento e/o la consequenziale convocazione dell'assemblea; il secondo in sostituzione dell'assemblea che abbia omesso la nomina dei liquidatori. In dottrina, già in sede di primo commento alla norma, si era rilevata la possibilità di siffatta linea interpretativa, tuttavia escludendone l'opportunità, soprattutto per ragioni di economia funzionale nell'ambito della società (Vaira, 2077). Forse, più semplicemente, senza scadere nel semplicismo, siffatto orientamento dottrinale (obiettivamente più coerente con la realtà degli affari commerciali) potrebbe essere accreditato anche alla luce della considerazione che la costruzione testuale della norma mira a considerare sia l'eventualità dell'omissione dei soli amministratori, sia l'eventualità dell'omissione della sola assemblea, sia entrambe siffatte eventualità: da ciò l'uso della congiunzione «e» che non pare voler significare che sempre e comunque si ponga come necessario un passaggio assembleare su convocazione giudiziale, ma, molto più semplicemente, che l'intervento del tribunale possa determinarsi e per una fattispecie e per l'altra. Peraltro, secondo certi orientamenti giurisprudenziali di merito, siffatto doppio intervento da parte del tribunale potrebbe non essere sufficiente, essendosi ritenuto che, in caso di regolare convocazione dell'assemblea da parte degli amministratori e di omessa deliberazione della stessa in punto nomina dei liquidatori, il tribunale che ricevesse l'istanza dal soggetto legittimato, non potrebbe comunque fare luogo direttamente alla nomina dei liquidatori, ma dovrebbe necessariamente passare attraverso una nuova convocazione dell'assemblea (Trib. Milano, 25 febbraio 2005, in Società, 2005, 1149): colpisce, nella motivazione del provvedimento in questione, l'esaltazione dell'elemento letterale (rappresentato dalla congiunzione «e») che, probabilmente, enuncia una lettura eccessivamente formalistica della norma in esame. L'estensione dei poteri del tribunale Altro tema di grande interesse è rappresentato dalla estensione dei poteri del tribunale. La questione in particolare si incentra sul rapporto fra la previsione dell'art. 2487, comma 1 e quella dell'art. 2487, comma 2: tale ultima norma, infatti, testualmente attribuisce al tribunale, in sede di nomina dei liquidatori tutti i poteri decisionali che la disposizione precedente riconosce all'assemblea dei soci. Sennonché, non pare pacifico che il tribunale possa andare oltre la semplice nomina e spingersi sino a stabilire anche i criteri di svolgimento della liquidazione, con la determinazione dei poteri dei liquidatori. Anzi, l'orientamento maggioritario in dottrina è nel senso che, in apparente contrasto con la lettera della norma, i poteri del tribunale debbano ritenersi limitati alla semplice nomina dei liquidatori, dovendosi rimettere all'autonomia interna alla struttura societaria, ogni attribuzione circa le regole di funzionamento della procedura liquidatoria e l'assetto dei poteri dei liquidatori. Secondo tale orientamento, dovrebbe privilegiarsi la natura eccezionale e suppletiva del potere giurisdizionale, in una materia che resta affidata all'autonomia negoziale: con la conseguenza che il decreto del tribunale dovrebbe limitarsi alla sola nomina dei liquidatori, senza spingersi sino alla regolamentazione dei poteri di essi e, comunque, senza poter acquisire l'ampiezza della decisione assembleare di cui all'art. 2487, comma 1 (Vaira, 2077). A chi scrive pare invece che gli argomenti addotti a sostegno della tesi della estrema limitatezza dei poteri del tribunale non abbia pieno fondamento né testuale né logico, in quanto: - il dato testuale è chiaro nell'attribuire al giudice, in sede di adozione del provvedimento di cui all'art. 2487, comma 2, tutti i poteri riconosciuti all'assemblea dall'art. 2487, comma 1; - il fatto che l'assemblea possa in qualunque tempo modificare le regole di liquidazione è certo la coerente riaffermazione della preminenza dell'autonomia privata, nella materia in esame, che però, altrettanto certamente, non contrasta con il potere suppletivo giudiziario in presenza di un'assemblea inerte; - giammai comunque il tribunale potrebbe legittimamente adottare provvedimenti di regolamentazione della liquidazione in contrasto con l'atto costitutivo e lo statuto, tenuto conto che l'art. 2487, comma 1, sotto tale profilo limita persino i poteri dell'assemblea. Né, in tutta franchezza, parrebbe coerente con i principî generali e con gli stessi interessi della società, dei creditori di essa e dei soci, limitare in forma ingiustificata i poteri del tribunale, con il rischio di dare luogo ad un procedimento di liquidazione che, in concreto, non possa procedere oltre. Un conto è il fatto che, anche in questa materia, il legislatore abbia inteso attribuire sovranità assoluta all'autonomia privata, altro conto è la constatazione della necessità di alcuni interventi suppletivi dell'autorità giudiziaria che, evidentemente, per aver senso, debbono essere accompagnati dall'attribuzione di poteri effettivi. Il che dovrebbe condurre alla conclusione che il giudice, chiamato a sostituire l'assemblea che sia rimasta inerte rispetto alla deliberazione di cui all'art. 2487, comma 1, potrà spingersi oltre la semplice nomina dei liquidatori, tenendo sempre come limite insuperabile il dettato dell'atto costitutivo e dello statuto e considerando comunque che si deve trattare di un intervento «discreto», proprio perché effettuato in una materia riservata alla regolamentazione privata: le decisioni del giudice dovranno dunque avere ad oggetto soltanto particolari problematiche liquidatorie che siano poste alla sua attenzione dalle parti del procedimento che culmina con la nomina dei liquidatori e dovrà essere ispirato alla necessità di assolvere a quella funzione suppletiva, senza l'esercizio della quale l'attività liquidatoria potrebbe risultare paralizzata. Ciò non toglie, peraltro, che, in qualunque tempo, l'assemblea, anche nell'esercizio del potere di cui all'art. 2487, comma 4, potrà adottare diverse regole di liquidazione, con le maggioranze prescritte per le modificazioni dell'atto costitutivo. Il conflitto registrato in dottrina sembra riproporsi nelle pronunce giurisprudenziali sull'argomento. Si trovano, infatti, sia pronunce che riconoscono poteri al tribunale che travalicano la semplice nomina dei liquidatori, sia pronunce che, invece, in nome della preminenza dell'autonomia privata, ritengono che il ruolo suppletivo si sostanzi sempre e soltanto nella possibilità di nomina dei liquidatori. Nel primo senso si veda Trib. Nocera 6 maggio 2008, inedita; nel secondo senso, Trib. Roma 20 gennaio 2006, in Foro it., 2006, I, 2954. Probabilmente la linea interpretativa più corretta sta nel mezzo e potrebbe individuarsi nel riconoscimento al tribunale, in linea di principio, di un potere che non si limiti alla sola nomina dei liquidatori, a condizione che tale potere sia esercitato nel rispetto della ampia autonomia privata riconosciuta in materia e, dunque, solo nella misura in cui l'intervento suppletivo, da un lato, non si ponga in contrasto con previsioni statutarie e, dall'altro lato, rischi di essere vanificato ove si riducesse alla sola nomina dei liquidatori. Poteri modificativi dell'assembleaL'importanza della previsione dell'art. 2487, comma 3, è già stata sottolineata in più passaggi, anche nel paragrafo precedente: si tratta della norma che ribadisce la persistenza, anche nella fase di liquidazione, nella sua forma più ampia, del potere di partecipazione dei soci alla vita della società di capitali, attribuendo loro un potere di intervento assai incisivo anche nella fase liquidatoria, se non in senso gestorio vero e proprio, quanto meno nel senso della determinazione delle relative regole. Con lo stabilire, infatti, che l'assemblea può sempre modificare le regole della gestione liquidatoria, l'art. 2487, comma 3, attribuisce ai soci che rappresentino una maggioranza sufficiente per le modificazioni dell'atto costitutivo un potere immanente di intervenire sulle regole di liquidazione, anche in contrasto con, o comunque in modificazione de: - le previsioni originarie dello statuto e dell'atto costitutivo; - le determinazioni assunte dalla medesima assemblea, a norma dell'art. 2487, comma 1, al momento dell'apertura della fase di liquidazione; - (persino) le decisioni assunte dall'autorità giudiziaria, a norma dell'art. 2487, comma 2. Per il resto, la norma può considerarsi quasi «in bianco», nel senso che essa nulla sancisce con riguardo all'ambito su cui possano incidere le modificazioni deliberate dall'assemblea. Con ciò stesso lasciando un margine di operatività pressoché illimitato a tali delibere. Previsione, questa, opportuna, poiché mette in conto la necessità che, in corso di liquidazione, emergano problematiche non considerate in atti e/o provvedimenti assunti in epoca anteriore all'apertura di essa, e dunque dota le società di un meccanismo in grado di apportare opportune modifiche anche «in corsa». La revoca dei liquidatori. Profili processualiL'art. 2487 si chiude con una previsione, contenuta nel quarto comma, che regolamenta la revoca dei liquidatori: anche in questo caso si è in presenza di una disciplina che potrebbe definirsi a doppio binario, nel senso che la revoca, così come la nomina dei liquidatori, può essere tanto volontaria quanto giudiziale. Per ciò che attiene alla revoca volontaria, la norma non fissa alcun presupposto a sua giustificazione: essa, dunque, può essere adottata liberamente – e potrebbe dirsi «immotivatamente» – dall'assemblea (cui l'art. 2487, comma 4, attribuisce potere esclusivo in materia). Il legislatore non ha previsto nulla di specifico circa le maggioranze prescritte per l'adozione di siffatta delibera: l'orientamento maggioritario in dottrina (non si registrano precedenti giurisprudenziali in materia) è nel senso che, così come la delibera originaria di nomina, anche quella di revoca si debba ritenere avere sostanzialmente ad oggetto materia di modificazione dell'atto costitutivo, con la conseguente necessità che essa sia assunta con le relative maggioranze (Niccolini, 1748; Pasquariello, 1583; Vaira, 2078). Maggiori problematiche sembra proporre la revoca di natura giudiziale, soprattutto, ma non solo, alla luce delle modificazioni processuali apportate dalla l. n. 69/2009. Come sempre, sul punto, è opportuno in primo luogo esaminare il tema della legittimazione attiva alla proposizione della richiesta di revoca. Anche questa norma appare chiara nell'attribuire tale legittimazione ad ogni singolo socio (così sembra doversi necessariamente intendere l'espressione secondo cui il tribunale pronuncia «su istanza di soci», del tutto prescindendo dunque sia dal numero di essi sia dalle capacità rappresentative di quote di capitale) ovvero dell'organo di controllo («dei sindaci», ancora una volta intesi quali struttura organica) ovvero ancora del pubblico ministero. L'utilizzo dell'espressione “dei sindaci” impone una precisazione. Mentre per alcuni, la scelta della predetta espressione non implicherebbe una legittimazione in capo ai sindaci individualmente considerati, che dovrebbero quindi sempre essere considerati in qualità di “organo” (SANZO, 1707), secondo altra parte della dottrina la legittimazione attiva spetterebbe anche ai singoli sindaci (DIMUNDO, 82), nonché, ai sensi dell'art. 223 septies disp. trans., anche agli organi di controllo nei sistemi di amministrazione monistico e dualistico (BARTOLOMUCCI, 73). Quanto alle problematiche processuali, va osservato che l'art. 33 d.lgs. n. 5/2003 sul rito societario includeva l'art. 2487, comma 4, tra le norme con riguardo alle quali trovava applicazione il cosiddetto «procedimento camerale in confronto di più parti»: quel procedimento, cioè, che, instaurato nelle forme del procedimento camerale, risultava potenzialmente idoneo a «trasformarsi» in un processo a cognizione ordinaria – sia pure a rito speciale –, in quanto tale capace di produrre una decisione con efficacia di giudicato. Dopo che la l. n. 69/2009 ha abrogato, tra gli altri, anche l'art. 33, così come tutte le norme sul rito camerale societario, si è posto, con riguardo ai procedimenti promossi a partire dal 4 luglio 2009, il tema delle modalità processuali con cui far valere la legittimazione a richiedere la revoca dei liquidatori in sede giudiziaria. Ad avviso di chi scrive, la riforma processuale inevitabilmente, a causa della sua profonda incisività, riporta le cose nello stato in cui esse si trovavano in epoca anteriore alla riforma del 2003. Sulla questione è forse opportuno ricordare preliminarmente che il testo dell'art. 2450, comma 4, nella versione originaria del codice civile, disciplinava la revoca dei liquidatori con una norma molto simile all'attuale art. 2487, comma 4, secondo la seguente testuale previsione: «i liquidatori possono essere revocati dall'assemblea con le maggioranze prescritte per l'assemblea straordinaria o, quando sussiste una giusta causa, dal tribunale su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero». Per quanto riguarda la c.d. “giusta causa”, che deve sussistere affinché intervenga il tribunale, è bene chiarire che essa si ravvisa ogni volta in cui i liquidatori abbiano trasgredito ai doveri loro imposti dalla legge, dallo statuto, dall'atto costitutivo o dalla deliberazione assembleare di nomina, ovvero abbiano operato con imperizia, negligenza o dolo. Inoltre, la giusta causa può sussistere tutte le volte in cui vi sia una circostanza soggettiva rilevante – anche non necessariamente imputabile alla volontà del liquidatore – tale da ostacolare il corretto ed efficace svolgimento del ruolo che gli spetta (si pensi, ad esempio, ad una grave malattia). Ancora, così come osservato dalla dottrina, la giusta causa determinante la revoca sussiste tutte le volte in cui tra i liquidatori si crei un'acredine tale da intralciare lo svolgimento della liquidazione (NICCOLINI, Scioglimento, 582); oppure, da ultimo, nel caso in cui mutino le modalità operative per procedere alla liquidazione senza che il liquidatore abbia più le competenze necessarie per farvi fronte. (FRÈ, 871). Su tale diposizione si erano formati orientamenti diretti ad escludere l'applicabilità del rito camerale, sulla base del convincimento che la sussistenza di una giusta causa di scioglimento del rapporto fosse oggetto di una valutazione tipicamente contenziosa (Trib. Milano, 23 gennaio 1998, in Società, 1998, 818). Dovrebbe dunque ritornarsi a questi orientamenti, escludere l'utilizzabilità del rito camerale e, ovviamente, ipotizzare anche la possibilità di ricorso a strumenti cautelari (quale la previsione dell'art. 700 c.p.c.) per conseguire la revoca immediata del liquidatore, in attesa dell'esito del giudizio di merito. È interessante soffermarsi, infine, sulle connessioni che esistono tra la liquidazione e il procedimento di cui all'art. 2409 c.c. L'orientamento maggioritario ritiene ammissibile la denuncia al tribunale, con conseguente revoca del liquidatore ai sensi dell'art. 2409 c.c. per gravi irregolarità compiute nell'adempimento dei suoi doveri (App. Milano 6 dicembre 1990; App. Milano 28 luglio 1990). BibliografiaBartolomucci, I liquidatori: nomina, poteri, doveri e responsabilità, in Bartolomucci, Mandrioli, Pollio, Viotti, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, Milano, 2004; Dimundo, sub art. 2487, in AA.VV., Gruppi, trasformazione, fusione e scissione, scioglimento e liquidazione, società estere, in Lo Cascio, La riforma del diritto societario, IX, Milano, 2003; Frè, Società per azioni, in Comm. Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1982; Niccolini, Sub art. 2487, in Aa.Vv., Società di capitali: commentario, a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, II, Napoli, 2004; Id., Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Tratt. Colombo, Portale, VII, 3, Torino, 1997; Pasquariello, Sub art. 2487, in Aa.Vv., Commentario breve al diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Milano, 2017; Sanzo, Scioglimento e liquidazione, in Le nuove s.p.a., diretta da Cagnasso, Panzani, II, Bologna, 2010; Vaira, Art. 2487, in Aa.Vv., Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, III, Bologna, 2004. |