Codice Civile art. 2490 - Bilanci in fase di liquidazione 1 .

Salvatore Sanzo

Bilanci in fase di liquidazione 1.

[I]. I liquidatori devono redigere il bilancio e presentarlo, alle scadenze previste per il bilancio di esercizio della società, per l'approvazione all'assemblea o, nel caso previsto dal terzo comma dell'articolo 2479, ai soci. Si applicano, in quanto compatibili con la natura, le finalità e lo stato della liquidazione, le disposizioni degli articoli 2423 e seguenti.

[II]. Nella relazione i liquidatori devono illustrare l'andamento, le prospettive, anche temporali, della liquidazione, ed i principi e criteri adottati per realizzarla.

[III]. Nella nota integrativa i liquidatori debbono indicare e motivare i criteri di valutazione adottati.

[IV]. Nel primo bilancio successivo alla loro nomina i liquidatori devono indicare le variazioni nei criteri di valutazione adottati rispetto all'ultimo bilancio approvato, e le ragioni e conseguenze di tali variazioni. Al medesimo bilancio deve essere allegata la documentazione consegnata dagli amministratori a norma del terzo comma dell'articolo 2487-bis, con le eventuali osservazioni dei liquidatori.

[V]. Quando sia prevista una continuazione, anche parziale, dell'attività di impresa, le relative poste di bilancio devono avere una indicazione separata; la relazione deve indicare le ragioni e le prospettive della continuazione; la nota integrativa deve indicare e motivare i criteri di valutazione adottati.

[VI]. Qualora per oltre tre anni consecutivi non venga depositato il bilancio di cui al presente articolo, la società è cancellata d'ufficio dal registro delle imprese con gli effetti previsti dall'articolo 24952 .

 

[1] V. nota al Capo VIII.

[2] Per la semplificazione delle procedure di cancellazione dal registro delle imprese e dall'albo degli enti cooperativi, vart. 40, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv., con modif, in l. 11 settembre 2020, n. 120, con entrata in vigore il 15 settembre 2020.

Inquadramento

L'art. 2490 rappresenta una novità assoluta, introdotta con la riforma del diritto societario del 2003, rispetto alla struttura normativa originaria del codice civile del 1942: quest'ultima, infatti, non conteneva alcuna previsione in materia di redazione ed approvazione dei bilanci in corso di liquidazione. Si potrebbe forse dire che il legislatore del 2003, onde evitare gli equivoci interpretativi che la disciplina originaria del codice aveva finito con il provocare, abbia inteso enunciare con chiarezza principî, disposizioni e sanzioni che, probabilmente, dovevano ritenersi far già parte del sistema del codice, ma che la prassi aveva finito con il rendere inapplicabili alla fase di liquidazione.

È infatti convincimento pressoché unanime fra i commentatori della riforma, che, ad esempio, l'obbligo di deposito dei bilanci annuali in fase di liquidazione fosse principio già esistente nel precedente sistema, benché del tutto disapplicato, per un malinteso senso di soluzione di continuità fra la gestione contabile dell'esercizio dell'impresa normalmente in funzione e la gestione dell'impresa in liquidazione.

Vi è da dire, peraltro, che il nuovo sistema, al di là di quel che si possa o si voglia pensare del precedente, ha conosciuto oggi importanti modificazioni, sostanziatesi soprattutto nella soppressione del divieto di nuove operazioni e nell'attribuzione ai liquidatori del potere di compiere, in via ordinaria, tutti quegli atti che si rivelino anche soltanto utili ai fini della liquidazione.

Un simile mutamento della disciplina dei poteri di gestione dei liquidatori inevitabilmente produce riflessi anche su quella che è poi la necessaria «rendicontazione» che essi liquidatori debbono effettuare del proprio operato: in quest'ottica, paiono molto opportune le scelte legislative operate nel 2003, che si sono indirizzate, per un verso, nel sancire in maniera espressa la persistenza (ovviamente sempre facendo salvo il limite della compatibilità), anche in fase di liquidazione, di alcuni obblighi di condotta tipici della gestione ordinaria e, per altro verso, hanno fissato – sia pure in forma estremamente generale, quasi generica – le linee guida cui debbono attenersi i liquidatori in sede di formazione dei bilanci.

La disciplina del bilancio nella fase di liquidazione è oggi strutturata dal legislatore in due argomenti distinti oggetto di disciplina in tre diverse norme: da un lato, la disciplina dei bilanci in corso di liquidazione (contenuta per intero nell'art. 2490), dall'altro lato, la disciplina del bilancio di chiusura della liquidazione (contenuta negli artt. 2492 e 2493).

I bilanci in corso di liquidazione

L'art. 2490 rappresenta, sul piano della disciplina formale, certamente la novità più rilevante nella materia avente ad oggetto il bilancio nel corso della liquidazione.

Il legislatore del 2003 ha sancito in maniera netta e chiara, nell'art. 2490, comma 1, che:

- sussista l'obbligo («i liquidatori devono...») di fare luogo alla redazione del bilancio di esercizio (e dunque con cadenza annuale) anche per la società in liquidazione;

- tale obbligo vada adempiuto, secondo i principî generali in materia di tempi di redazione del bilancio, in relazione alla durata dell'esercizio prevista dall'atto costitutivo e/o dallo statuto. Si stabilisce, dunque, una vera e propria «continuità» tra la gestione ordinaria e quella liquidatoria, in materia di predisposizione dei bilanci. Il che, peraltro, pone comunque un problema di natura «transitoria», che concerne l'esercizio all'interno del quale si apre la fase di liquidazione: le modalità di soluzione vengono offerte dalla combinazione fra il disposto dell'art. 2490 e quello dell'art. 2487-bis, comma 3. Al momento del passaggio di consegne, infatti, gli amministratori uscenti predisporranno (ed evidentemente consegneranno ai liquidatori) una situazione dei conti «alla data di effetto dello scioglimento», nonché un rendiconto (sostanzialmente un bilancio infrannuale) che fotografa la situazione gestoria con riguardo al periodo che va dalla chiusura dell'ultimo esercizio sino al momento del passaggio di consegne: competerà dunque ai liquidatori redigere il loro primo bilancio annuale, che «sintetizzerà» la gestione parziale degli amministratori e quella propria, bilancio al quale (a norma dell'art. 2490, comma 4, seconda parte) dovrà essere allegata tutta la documentazione consegnata dagli amministratori uscenti ai liquidatori, i quali ultimi dovranno formulare eventuali osservazioni in merito;

- il bilancio vada sottoposto, nei termini di legge e di statuto, all'approvazione dell'assemblea. Una difficoltà potrebbe porsi nel caso in cui la società sia entrata in liquidazione proprio a causa dell'impossibilità di funzionamento dell'assemblea, poiché in tale eventualità è probabile che, anche in fase di liquidazione, permanga la situazione di «paralisi». Il legislatore nulla dice circa il comportamento che i liquidatori debbano assumere, ove ciò si verificasse, ma sembra plausibile ritenere che, anche alla luce della previsione della norma dell'art. 2490, comma 6, essi debbano comunque fare luogo al deposito presso il registro delle imprese di quello che – in difetto di approvazione da parte dell'assemblea – dovrebbe comunque considerarsi un progetto di bilancio;

- per ciò che concerne i principî cui attenersi in sede di redazione del documento contabile, i liquidatori debbano uniformarsi (secondo la previsione espressa dell'art. 2490, comma 1) alle diposizioni di cui agli artt. 2423 ss., in quanto compatibili. Il richiamo «in blocco» alle norme sulla redazione dei bilanci, con il solito limite della compatibilità, consente di ritenere che, in un sistema che può registrare anche una gestione della società in liquidazione molto prossima a quella ordinaria, in linea generale i liquidatori siano tenuti a rispettare rigorosamente le regole di redazione di bilancio prescritte per la società pienamente operativa adeguandole allo stato di liquidazione e, dunque, derogando ad esse quando siano non compatibili con la finalità liquidatoria.

Altra regola generale di condotta è quella sancita dall'art. 2490, comma 2, secondo cui la relazione di accompagnamento al bilancio annuale di liquidazione non può ignorare lo stato di liquidazione in cui versa la società, sicché i liquidatori son tenuti a fornire, specifiche indicazioni:

- sia circa l'andamento e le prospettive della liquidazione, nel valutare i quali debbono esplicitare anche una prognosi in ordine ai tempi entro cui si completerà il procedimento liquidatorio;

- sia circa i principî ed i criteri alla stregua dei quali essi intendano impostare (o proseguire) l'attività di liquidazione.

Tipico esempio di problematica che attiene alla compatibilità, è la previsione dell'art. 2490, comma 3, secondo cui, nella nota integrativa di accompagnamento al bilancio annuale, i liquidatori debbono illustrare e specificamente motivare i criteri di valutazione adottati: si tratta di previsione che probabilmente si sarebbe dovuta ritenere implicita nel richiamo ai principî generali in materia di bilancio, ma la cui reiterazione vuol sottolineare evidentemente la necessità di riflessione circa un mutamento dei criteri di valutazione nel passaggio dalla fase operativa ordinaria alla fase liquidatoria.

Il primo bilancio annuale di liquidazione ed il bilancio in caso di continuazione dell'attività

Al sistema generale disegnato dall'art. 2490, commi 1, 2 e 3 si accompagnano le regole peculiari dettate in materia di bilanci annuali di liquidazione fissate dai commi successivi, secondo cui, in sede di redazione del primo bilancio annuale di liquidazione (ex art. 2490, comma 4, prima parte), i liquidatori saranno tenuti a segnare la linea di demarcazione, sotto il profilo contabile, tra la gestione operativa ordinaria in continuità aziendale e quella liquidatoria. Essi infatti debbono:

- indicare in qual modo abbiano ritenuto di apportare variazioni nei criteri di valutazione adottati dagli amministratori nell'ultimo bilancio oggetto di approvazione. Obbligo, evidentemente, tanto più incisivo quanto più la gestione liquidatoria si distacchi da quella ordinaria: ma certo obbligo immanente, poiché non è ipotizzabile una liquidazione che non segni una cesura rispetto all'ordinaria operatività. Con questa previsione, il legislatore ipotizza che l'ultimo bilancio approvato dalla società fosse improntato al principio di continuità aziendale: sicché pone i liquidatori di fronte alla necessità di illustrare specificamente le linee guida alla stregua delle quali sono stati modificati i criteri di valutazione;

- illustrare le ragioni e le conseguenze di tali variazioni: e, dunque, dare conto sia della motivazione del loro operato, sia degli effetti che tale operato produce sul documento contabile e sulla valorizzazione patrimoniale della società sottoposta a liquidazione. Elemento, questo, di importanza decisiva, considerato che l'attività dei liquidatori ha una finalizzazione specifica, indirizzata alla migliore valorizzazione dei patrimonio;

- la relazione di accompagnamento al bilancio annuale di liquidazione non può ignorare lo stato di liquidazione in cui versa la società, sicché i liquidatori, come poco sopra ricordato, son tenuti a fornire (ex art. 2490, comma 2), specifiche indicazioni:

- circa l'andamento e le prospettive della liquidazione, nel valutare i quali debbono esplicitare anche una prognosi in ordine ai tempi entro cui si completerà il procedimento liquidatorio;

- circa i principî ed i criteri alla stregua dei quali essi intendano impostare (o proseguire) l'attività di liquidazione.

Si tratta di regole evidentemente «stringenti» che sono ispirate alla finalità di consentire, da un lato, una corretta e compiuta informativa ai soci circa le modalità con cui si giungerà alla liquidazione del patrimonio della società partecipata e, dall'altro lato, una costante verifica, da parte dei creditori, dello stato della società, onde evitare che, in un sistema in cui l'assoggettabilità a fallimento non è più un automatismo conseguente al tipo societario, si protraggano per tempi indefiniti operazioni di liquidazione di società che versano in uno stato di insolvenza non appalesato dai liquidatori;

Per il caso in cui, poi, la fase liquidatoria si caratterizzi per una sorta di esercizio provvisorio dell'impresa, i liquidatori debbono, ai sensi dell'art. 2490, comma 5:

- appostare autonomamente, nel bilancio, le risultanze di esercizio provvisorio;

- indicare nella relazione di accompagnamento sia le motivazioni che giustificano la prosecuzione dell'attività ordinaria, sia le prospettive della stessa, in stretta correlazione, evidentemente, con le finalità liquidatorie;

- indicare e motivare, nella nota integrativa, i criteri di valutazione adottati.

Anche in questo caso i rigorosi obblighi informativi e di motivazione posti a carico dei liquidatori hanno come destinatari sia i soci sia i creditori e risultano particolarmente stringenti nella misura in cui l'attività liquidatoria sembra staccarsi nettamente dalle finalità sue proprie.

Sul tema, va segnalata una recente pronuncia di merito, chiamata a valutare la legittimità di un bilancio in corso di liquidazione redatto espressamente secondo criteri di continuità aziendale alla stregua della motivazione secondo cui il miglior risultato dell'attività liquidatoria lo si sarebbe potuto conseguire solo grazie alla prosecuzione nel tempo dell'attività di impresa: il giudice adito ha ritenuto in radice illegittimo un bilancio formato secondo simili criteri, nella misura in cui la prosecuzione dell'attività, in fase di liquidazione, assume, comunque, un'accezione differente da quella ordinaria, poiché resta una continuazione sempre finalizzata al realizzo delle attività allo scopo di pagare le passività dell'ente societario (Trib. Milano, 3 luglio 2017, inedita).

La cancellazione d'ufficio dal registro delle imprese

L'art. 2490, comma 6, regola una autonoma fattispecie sulla cancellazione della società, contenuta (un po' singolarmente) non nell'art. 2495, specificamente destinato a regolare la cancellazione (molto probabilmente per il fatto che essa si riconnette all'obbligo, a carico dei liquidatori, di fare luogo, ad ogni chiusura di esercizio alla formazione del bilancio annuale di liquidazione).

Si tratta di una norma – non molto applicata nella prassi – che contempla la cancellazione automatica («d'ufficio»), da parte del registro delle imprese, nei confronti delle società che per tre anni non abbiano fatto luogo al deposito del bilancio annuale di liquidazione («il bilancio di cui al presente articolo»): l'ultima precisazione appare importante, perché lascia chiaramente intendere che non si possa, ai fini del computo del triennio, sommare l'eventuale omissione nel deposito dei bilanci registrata in epoca anteriore alla iscrizione nel registro delle imprese della nomina dei liquidatori. Ciò comporta che il triennio decorrerà dalla data di chiusura del primo esercizio seguente all'assunzione della carica da parte dei liquidatori; la scadenza del triennio è poi da far coincidere con il giorno successivo allo spirare del termine per il deposito del terzo bilancio di competenza dei liquidatori (Trib. Brindisi 21 luglio 2010, in Soc. 2011, 399).

La norma ha un carattere singolare soprattutto perché non prevede, a differenza di altri sistemi europei, il cosiddetto interpello della società: sicché, ove, come è accaduto in alcuni casi nel nostro sistema, i liquidatori, nel passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina, abbiano – quasi inconsapevolmente – reiterato la vecchia prassi di non depositare i bilanci annuali di liquidazione, potrebbero trovarsi di fronte ad una cancellazione di ufficio in forma del tutto sorprendente.

Appare ancor più singolare il fatto che la norma, pur disciplinando una cancellazione «coatta», non si premuri di disciplinare, neppure in forma minimale, le conseguenze patrimoniali di tale cancellazione.

Sul tema, in dottrina si è ipotizzata la possibilità di configurare, sul piano «attivo», una specie di trasformazione regressiva del patrimonio sociale in comunione tra soci, con l'applicazione delle norme poste dagli artt. 1101 ss.; dal lato dei rapporti passivi, invece, si è prospettata come conseguenza di siffatta cancellazione una responsabilità parziale dei soci limitata alla quota di pertinenza di ciascuno della massa attiva risultante al momento della estinzione della società (Rossi, 2255).

Sulla questione è certamente rilevante il tema, cui si è accennato più sopra, circa la possibilità per i liquidatori (soprattutto nei casi in cui la liquidazione si sia determinata per impossibilità di funzionamento dell'assemblea e l'apertura della fase liquidatoria non sia riuscita ad ovviare alla paralisi dell'organo rappresentativo dei soci) di depositare anche soltanto il proprio progetto di bilancio che l'assemblea non sia stata in condizione di approvare, per inerzia o per divergenze, non rileva.

L'ammissibilità di una simile prassi nascerebbe dall'esigenza di evitare che la società sia assoggettata al rischio di cancellazione (con eventuale pregiudizio anche per i terzi creditori) in conseguenza dell'inerzia o comunque di un fatto imputabile ai soci.

Una questione analoga si è posta in materia concorsuale, con l'introduzione del nuovo art. 161 l. fall., che contempla l'obbligo, per l'accesso al cd. concordato prenotativo, del deposito degli ultimi tre bilanci, in un contesto in cui la giurisprudenza maggioritaria reputa che (nella peculiare materia concorsuale) la nozione di bilancio sia parificabile a quella di situazione contabile. In quella materia, però, la deroga pare più facilmente ammissibile, nella misura in cui il documento assolve alla funzione di dimostrare al giudice adito la ricorrenza dei presupposti per l'accesso alla procedura di concordato preventivo.

Nell'ambito della norma dell'art. 2490, una simile deroga parrebbe più difficile da ammettere: ed infatti, secondo principî risalenti nel tempo, si ritiene che, sul piano civilistico, un bilancio non esista neppure se non è stato approvato dall'assemblea. Con la conseguenza che i liquidatori non potrebbero depositare puramente e semplicemente il proprio progetto, allo scopo di evitare la cancellazione d'ufficio. D'altronde, se, come si è chiarito da più parti, le nuove norme sulla liquidazione riportano nell'alveo degli interessi dei soci il sistema nel suo complesso, evidentemente resta un fatto di rilievo proprio per quell'interesse che la società resti in vita o meno.

 Nell'ipotesi di cui all'art. 2490, ultimo comma, c.c. l'estinzione della società presuppone che il Conservatore del Registro delle imprese verifichi l'inesistenza di elementi indicativi della continuazione dell'attività liquidatoria prima di richiedere al Giudice del Registro la cancellazione della società (Trib. Milano, 18 gennaio 2019).

In tema cancellazione d'ufficio dal registro delle imprese, la giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito come detta attività, derivante dall'omesso deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi, non possa essere idonea a ritenere rinunciato da parte della società un proprio credito, né tantomeno ritenere operata una remissione del debito (Cass. n. 13534/2021).

La cancellazione dal registro delle imprese dopo la legge di conversione del Decreto Semplificazioni

L'art. 40 della L. 11 settembre 2020, n. 120, di conversione del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, c.d. Decreto Semplificazioni, ha disciplinato il procedimento di cancellazione dal Registro delle Imprese e ha previsto quanto segue: “il provvedimento conclusivo delle procedure d'ufficio disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 2004, n. 247, dall'articolo 2490, sesto comma, del codice civile, nonché ogni altra iscrizione o cancellazione d'ufficio conseguente alla mancata registrazione obbligatoria a domanda di parte nel registro delle imprese, è disposto con determinazione del conservatore”. In sostanza, il predetto articolo ha previsto che il provvedimento conclusione di cancellazione dal Registro delle Imprese, in relazione alla cancellazione sia delle imprese individuali, delle imprese artigiane e delle società di persone (in base d.P.R. 23 luglio 2004, n. 247), sia delle società di capitali (in base al sesto comma della norma in commento), è disposto con determinazione del conservatore.

 

In particolare, ha disposto che per le società di persone, il conservatore verifichi, tramite accesso alla banca dati dell'Agenzia delle Entrate, che nel patrimonio della società da cancellare non rientrino beni immobili. In caso contrario, infatti, è tenuto a sospendere il procedimento e a rimettere gli atti al Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 3, comma 3, d.P.R. 23.7.2004, n. 247.

 

Ma non solo, la l. n. 120/2020 ha previsto altre fattispecie nelle quali si verifica una causa di scioglimento senza liquidazione delle società di capitali per l'omesso deposito dei bilanci di esercizio per cinque anni consecutivi o per il mancato compimento di atti di gestione, ove all'inattività e all'omissione concorrano almeno una delle seguenti circostanze: a) il permanere dell'iscrizione nel registro delle imprese del capitale sociale in lire; e b) l'omessa presentazione all'ufficio del Registro delle imprese dell'apposita dichiarazione per integrare le risultanze del registro delle imprese a quelle del libro soci, limitatamente alle società a responsabilità limitata e alle società consortili a responsabilità limitata.

 

Con riguardo al procedimento, poi, la Legge ne ha previsto lo sviluppo nei seguenti passaggi:

 

- una volta verificata la causa di scioglimento, il conservatore iscrive d'ufficio nel registro delle imprese la propria determinazione e la comunica agli amministratori iscritti;

 

- agli amministratori iscritti è assegnato un termine di sessanta giorni entro i quali possono presentare formale e motivata domanda di prosecuzione dell'attività;

 

- in seguito alla presentazione della predetta domanda, il conservatore iscrive d'ufficio la revoca del provvedimento di accertamento della causa di scioglimento senza liquidazione, nel Registro delle imprese. In caso contrario, decorso il suddetto termini di sessanta giorni, il conservatore del Registro Imprese, verificata altresì l'eventuale cancellazione della P. IVA della società e la mancanza di bei iscritti in pubblici registri, provvede con propria determinazione alla cancellazione della società dal registro medesimo;

 

- ogni determinazione del conservatore del registro delle imprese è comunicata agli interessati entro otto giorni dalla sua adozione;

 

- contro le determinazioni del conservatore, gli interessati possono ricorrere, entro quindici giorni dalla comunicazione, al giudice del Registro delle imprese.

 

Le determinazioni del conservatore non opposte, le decisioni del giudice del Registro delle Imprese adottate ai sensi dell'art. 2189 c.c. e le sentenze del tribunale in caso di ricorso ai sensi dell'art. 2192 c.c. sono iscritte nel Registro delle imprese con comunicazione unica d'ufficio al fine della trasmissione immediata all'Agenzia delle Entrate, all'lNPS, all'lNAIL, ed agli altri enti collegati.

 

Si segnala che la legge di conversione del Decreto Semplificazioni è infine intervenuta anche sulle modalità di cancellazione delle start-up innovative, delle piccole e medie imprese innovative oltre che delle cooperative.

Bibliografia

Rossi, Sub art. 2487, in Aa.Vv., Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005.

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