Codice Civile art. 2498 - Continuità dei rapporti giuridici (1).

Guido Romano

Continuità dei rapporti giuridici (1).

[I]. Con la trasformazione l'ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione.

(1) V. nota al Capo X.

Inquadramento

L'art. 2498 introduce la disciplina della trasformazione, profondamente innovando il sistema precedente alla riforma del diritto societario. In passato, infatti, la trasformazione era considerata un istituto tipicamente societario essendo espressamente regolata soltanto la trasformazione di una società in nome collettivo o in accomandita semplice in società di capitali (Campobasso, 642; Cabras, 26). Se, peraltro, da una parte si riteneva possibile ogni passaggio dall'uno all'altro delle società lucrative, dall'altro, non si intravedeva una trasformazione nel passaggio da un ente non societario ad una società e viceversa (Campobasso, 643). Pertanto, in tali ultimi casi, non operando il principio di continuità, era necessario procedere, dapprima, allo scioglimento dell'ente ed alla liquidazione del relativo patrimonio e, quindi, alla costituzione del nuovo soggetto giuridico. Un simile meccanismo, però, escludeva in radice la conservazione in capo al medesimo soggetto dei diritti e degli obblighi già assunti.

Oggi, la nuova disciplina ha rimosso gran parte delle limitazioni previgenti, con la conseguenza che viene ad essere superata la nozione di trasformazione come modifica del contratto realizzabile nel rispetto della causa originaria (Cetra, 133). La trasformazione consiste nel mutamento del tipo societario o nel passaggio da una società di capitali ad altro tipo di ente giuridico o comunione d'azienda.

Come è stato affermato, l'art. 2498 è norma di disciplina, non di definizione della fattispecie (Maltoni, 1251), in quanto si limita ad affermare il principio di continuità nei rapporti giuridici senza però spiegare, dal punto di vista giuridico, in cosa consiste la trasformazione. La trasformazione è una delle operazioni che offrono alle imprese societarie, e oggi più in generale alle organizzazioni economiche, la possibilità di coniugare esigenze di cambiamento strutturale con istanze di semplificazione e di economicità degli atti giuridici (Sarale, 1234).

Nozione di «trasformazione»

La trasformazione è il cambiamento di tipo di società o il passaggio da una società di capitali ad altro tipo di ente giuridico o comunione d'azienda e viceversa (Campobasso, 642). È stato correttamente osservato che al termine di trasformazione non è ascrivibile un significato univoco sotto il profilo descrittivo della fattispecie e della disciplina applicabile e ciò in ragione della disomogeneità funzionale e strutturale delle situazioni di partenza rispetto a quelle di arrivo (Maltoni, 1252). Le varie ipotesi di trasformazione presentano in comune il risultato perseguito, costituito dall'avvicendamento tra enti, con la conseguenza che la trasformazione è stata definita come qualsiasi vicenda tramite la quale ad un ente, comunque, qualificato, succeda un altro ente, diversamente qualificato dal punto di vista strutturale o sotto il profilo funzionale (così, testualmente, Maltoni, 1252).

Così concepita, la trasformazione diviene uno strumento che consente non solo uno scioglimento senza liquidazione (e, dunque, un fenomeno estintivo seguito da uno ricostitutivo) unito a un effetto di salvaguardia della continuità dei rapporti, ma anche una modalità di mutamento delle regole di imputazione delle attività organizzate che travalica sia il limite della persistenza del contratto originario, sia quelli dell'omogeneità causale e della conservazione della soggettività degli enti (Sarale, 1237).

Trasformazione omogenea e trasformazione eterogenea.

Come già evidenziato, l'art. in esame è norma di disciplina e non di definizione della fattispecie (Maltoni, 1251) limitandosi a stabilire la regola della continuità dei rapporti giuridici, ma senza definire il presupposto di essa.

La trasformazione omogenea è il passaggio dall'uno all'altro delle società lucrative. In tali ipotesi, la fattispecie viene ad essere inquadrata alla stregua di una modificazione dell'atto costitutivo che consente ai soci di adeguare e rendere funzionale la struttura organizzativa societaria alle mutate necessità di un determinato periodo storico senza dovere passare attraverso lo scioglimento, la liquidazione del patrimonio e la costituzione di un nuovo ente societario. È così possibile la trasformazione da società di persone in società di capitali e viceversa (artt. 2500-ter e 2500-sexies). Pacificamente si ammette la trasformazione da un tipo all'altro di società di persone.

Quanto alle società cooperative, è espressamente vietata la trasformazione di una società cooperativa a mutualità prevalente in società lucrativa anche se deliberata all'unanimità (art. 14 l. 17 febbraio 1971, n. 127) (Campobasso, 644). È, invece, oggi consentita la trasformazione delle altre società cooperative in società lucrative o consorzi (artt. 2545-decies e 2545-undecies).

Con l'espressione trasformazione eterogenea si intende, invece, la trasformazione che interviene tra società ed enti che non assumono la forma societaria, quali associazioni, fondazioni, comunioni d'azienda, società consortili e viceversa. La possibilità che la trasformazione avvenga in o da tali enti non societari è resa manifesta dal disposto dell'art. 2498 il quale utilizza la dizione «ente trasformato». L'art. 2500-septies prevede espressamente, configurandola come trasformazione eterogenea, la trasformazione di società di capitali in società cooperative.

La trasformazione in impresa individuale.

È discusso se siano possibili trasformazioni eterogenee diverse da quelle espressamente regolate dal legislatore. Secondo l'orientamento negativo, devono, infatti, considerarsi eccezionali le norme che consentono il passaggio da un tipo di società o di ente con scopo istituzionalmente incompatibile con quello originariamente prescelto (Campobasso, 644 che precisa che la nuova disciplina consente soltanto alcune, ben individuate trasformazioni eterogenee; nell'ambito di questo indirizzo, sia pure con qualche distinguo, Palmieri, 103 ss.).

Quanto alla possibilità di trasformazione di società in impresa individuale, una parte della dottrina evidenzia come non sia ravvisabile «alcun isomorfismo con una od altra delle figure nominate degli art. 2500-septies c.c. e 2500-octies c.c.» e neppure con la fattispecie della comunione d'azienda in quanto 1) l'imprenditore individuale, se tale è, non può che esercitare attualmente l'impresa; la comunione d'azienda, al contrario, non può che costituire oggetto di godimento soltanto indiretto da parte dei comunisti (diversamente si ricadrebbe nella fattispecie dell'art. 2247); 2) nella trasformazione eterogenea di comunione d'azienda, oggetto di trasformazione non è tanto l'impresa, né l'azienda «bensì la comunione come forma d'imputazione della contitolarità»; 3) se «la fattispecie dell'impresa individuale sostanzia un comportamento imputabile all'imprenditore, la fattispecie della comunione non è un comportamento, ma semplicemente una relazione proprietaria intersoggettiva» (Carraro, 1045). D'altra parte, se dovesse essere ritenuta ammissibile la trasformazione di società in impresa individuale dovrebbe essere, a rigore di logica, ammessa anche l'ipotesi inversa. Tuttavia, l'ordinamento pone a disposizione dell'imprenditore, persona fisica, lo strumento della costituzione per atto unilaterale della società di capitali, mediante conferimento in natura dell'azienda già in proprietà individuale: strumento che si presenta, nella forma (cfr. art. 2500, comma 1, c.c.) e nella sostanza, come concretamente indiscernibile per struttura e per effetti da un ipotetico atto di trasformazione. Non può essere, dunque, consentito che l'identico effetto si consegua per trasformazione in quanto, in tal modo, l'autore dell'operazione si svincolerebbe dagli effetti che l'ordinamento ricollega alla fattispecie attraverso la disciplina dei conferimenti (Carraro, ivi).

Altra parte della dottrina (Maltoni, 1258 ss e, in part., 1262; Guerrera, 3153; Santagata, 746; Pisani Massamormile, 2017, 930 ss.; Pisani Massamormile, 2008, 65 ss.) muove dal presupposto che la trasformazione è uno strumento di soluzione di conflitti in operazione caratterizzate dal cambiamento delle forme giuridiche di gestione dell'impresa a condizione che questa continui immutata nella sua componente soggettiva ed oggettiva (Sarale, 1274) e giunge alla conclusione che non sussistono ragioni per imporre a colui che esercita l'impresa in forma di società di liquidare integralmente i rapporti e far cessare l'attività quando intenda continuarne l'esercizio come impresa individuale. Nell'ambito di tale orientamento, taluni autori precisano, peraltro, che le trasformazioni atipiche sono ammissibili a condizione che non contrastino con norme inderogabili e non ledano gli interessi di soci e terzi ovvero interessi generali sottesi a tali prescrizioni (Santagata, 746).

La giurisprudenza sembra attestarsi sull'orientamento negativo. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'operazione di trasformazione presuppone che si passi da un «ente» ad un altro «ente» e, quindi, non è una trasformazione in senso tecnico quella di una società unipersonale in impresa individuale; piuttosto in tal caso si avrebbe lo scioglimento della società «trasformata» e l'assegnazione del patrimonio all'unico socio (Cass. n. 496/2015; ma già Cass. n. 1593/2002; Cass. n. 3670/2007). Nel medesimo arresto, quindi, viene precisato che la nascita di un'impresa individuale, cui quella collettiva trasferisce il proprio patrimonio, non preclude la dichiarazione di fallimento della società entro un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese e siffatta vicenda non integra una trasformazione in senso tecnico ex art. 2498, riferito alla trasformazione di una società tra soggetti distinti, distinguendosi per natura e per forma giuridica, ma un semplice conferimento dell'azienda sociale al socio unico superstite, dovendosi prescindere dalla mera intestazione dell'atto notarile «trasformazione». Questo orientamento è ripreso anche dalla giurisprudenza di merito che negato l'ammissibilità di una trasformazione eterogenea di una società di capitali unipersonale in impresa individuale (Trib. Piacenza, 2 dicembre 2011, in Giur. comm., 2012, II, 1043); ha ritenuto non configurabile la trasformazione eterogenea di una società di persone in impresa individuale (App. Torino, 14 luglio 2010, in Giur. comm., 2012, II, 1043; Trib. Mantova, 28 marzo 2006, in Vita not. 2006, 1434); ha ritenuto non «riconoscibile» per l'ordinamento giuridico l'operazione di trasformazione eterogenea regressiva da società a responsabilità limitata in liquidazione in trust liquidatorio (Giud. Registro Roma, 20 luglio 2017 in Nuova giur. civ. comm. 2017, 1697). In altre parole, la trasformazione eterogenea introdotta con la riforma del diritto societario, la quale consente la trasformazione di società di capitali in enti diversi e viceversa, è attuabile esclusivamente nelle ipotesi espressamente previste dall'art. 2500-septies c.c., ipotesi che non possono essere estese in via analogica ad altre fattispecie.

Secondo altro orientamento, pure presente nella giurisprudenza di merito, però, è ammissibile la trasformazione eterogenea dell'associazione non riconosciuta in società di capitali (Trib. Bologna, 16 giugno 2017, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1701).

Il principio di continuità

L'art. in commento – prevedendo che, con la trasformazione l'ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione – esprime il principio di continuità che, nell'ambito della disciplina della trasformazione assume centralità sistematica e ricostruttiva (Guerrera, 3149; Cavanna, 196). La continuità va intesa «come assenza di novazione soggettiva dei rapporti compendiati in un patrimonio dato e di circolazione degli stessi, nonostante l'avvicendarsi di qualificazioni organizzativamente e funzionalmente eterogenee dell'ente che ne è titolare o il subentro di enti a contitolarità o di contitolarità ad enti sempre con riguardo ad un patrimonio dato» (Spada, 3894; Maltoni, 1273; Mosca, 22). La società resta, dunque, il medesimo ente con la medesima compagine sociale e con tutti i diritti e gli obblighi che a questa fanno capo: rimangono, dunque, riferibili alla società senza soluzione di continuità i rapporti di lavoro, di locazione, di affitto ed i rapporti negoziali intrattenuti con i terzi.

In questa prospettiva, è stato correttamente affermato che il principio in argomento implica la inapplicabilità delle regole di circolazione dei beni, anche quelle relative all'azienda (Maltoni, 1273 che spiega tale inapplicabilità in ragione dell'assenza, nella trasformazione, dei conflitti che le norme sulla circolazione mirano a comporre attraverso la disciplina dei contratti di scambio; Tantini, 816; Cesaroni, 2456) e, precisamente, delle regole dettate per i mutamenti soggettivi nelle posizioni contrattuali (Guerrera, 3150 che esclude che la trasformazione produca un effetto novativo ovvero modificativo sui rapporti contrattuali o obbligatori): e ciò avviene anche quando la trasformazione riguarda non solo il passaggio da un tipo all'altro di struttura organizzativa, ma anche la sostituzione dell'ente con una diversa situazione giuridica (così, Serra, 10 che menziona il caso di trasformazione di società in comunione d'azienda).

Nella trasformazione, il conflitto può esistere tra i soci ed i creditori sociali, ma è risolto con norme specifiche che non interferiscono con la regola della continuità (Centoni, 2239).

La trasformazione di una società di capitali in una società di persone non si traduce nell'estinzione di un soggetto giuridico e nella creazione di uno diverso, ma integra una mera mutazione formale di organizzazione, che sopravvive alla vicenda della trasformazione senza soluzione di continuità e poiché l'atto di trasformazione, non comportando il trasferimento del diritto immobiliare da un soggetto ad un altro, non è, come tale, soggetto a trascrizione, ne consegue che la società di persone risultante dalla trasformazione non può rivendicare la qualità di terzo acquirente ai fini di quanto previsto dall'art. 2652, n. 6, c.c., in tema di salvezza dei diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad un atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale (Cass. n. 21961/2010).

La trasformazione di una società da uno ad un altro dei tipi previsti dalla legge ancorché dotato di personalità giuridica, non si traduce nell'estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di un altro soggetto, in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo; l'art. 2948 dispone, infatti, il principio di continuità dei rapporti giuridici a seguito della trasformazione della società, consentendo che il soggetto titolare dell'impresa conservi i diritti e gli obblighi ad essa precedenti nonché prosegua i rapporti sostanziali e processuali (Cass. n. 10598/2013; Cass. n. 13467/2011; Cass. n. 3269/2009; Cass. n. 23019/2007).

L'atto di trasformazione di una società da un tipo ad un altro non è suscettibile di trascrizione nella conservatoria dei registri immobiliari, in quanto non comporta alcun effetto circolatorio per il patrimonio della società trasformata (Cass. n. 11180/1997).

È soggetto a trascrizione l'atto di trasformazione di una società di fatto in società regolare ove contenga il conferimento di beni immobili di proprietà dei soci (Trib. Messina, 13 maggio 1992, in Giust. civ. 1993, I, 1660).

Il principio di continuità opera anche in ambito processuale. In particolare, la trasformazione non determina l'interruzione dei giudizi pendenti e la necessità della loro riassunzione o prosecuzione (Guerrera, 3152; Maltoni, 1274), in conformità con la disciplina delle altre operazioni straordinarie.

La giurisprudenza, concorde sul punto, precisa che non vi è necessità di rinnovare la procura conferita per la costituzione in giudizio (Cass. n. 3638/1998); inoltre, la società potrà proporre ricorso per cassazione sia pure avendo, in caso di contestazioni, l'onere di allegare e dimostrare la propria legittimazione all'impugnazione (Cass. n. 16080/2008; Cass. n. 1597/2008).

Bibliografia

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