Codice Civile art. 2500 septies - Trasformazione eterogenea da società di capitali (1).Trasformazione eterogenea da società di capitali (1). [I]. Le società disciplinate nei capi V, VI, VII del presente titolo possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni. [II]. Si applica l'articolo 2500-sexies, in quanto compatibile. [III]. La deliberazione deve essere assunta con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto, e comunque con il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata. [IV]. La deliberazione di trasformazione in fondazione produce gli effetti che il capo II del titolo II del Libro primo ricollega all'atto di fondazione o alla volontà del fondatore. (1) V. nota al Capo X. InquadramentoPrima della riforma del diritto societario, la trasformazione era concepita come modificazione dell'ordinamento societario e, precisamente, come strumento endosocietario con il quale una società adottava una forma organizzativa diversa. Rimaneva preclusa la possibilità di adottare, attraverso l'istituto in argomento, uno schema causale diverso da quello societario oppure variare lo scopo lucrativo della società. In tutti questi casi, dunque, era necessario procedere allo scioglimento dell'ente esistente con conseguente liquidazione del suo patrimonio ed alla successiva ricostituzione nell'ente di destinazione. La riforma del 2003, invece, ponendosi in linea di continuità con talune aperture della dottrina e della giurisprudenza (che aveva talvolta omologato datti di trasformazione atipica), ha introdotto la figura della trasformazione eterogenea, con la quale si consente il passaggio da società di capitali ad un diverso tipo di ente anche non societario ovvero anche societario ma con scopo diverso da quello lucrativo e viceversa, fino ad arrivare alla configurabilità della trasformazione da o in comunione di azienda (Pasquini, 1393). In altre parole, è stata consentita non solo una modificazione della forma organizzativa della società come in passato, ma anche una variazione della causa societaria ovvero dello scopo dell'ente. La trasformazione eterogenea.Come già evidenziato, con la trasformazione eterogenea si ottiene il passaggio da una società lucrativa ad un altro tipo di ente giuridico non societario ovvero con scopo diverso da quello lucrativo (o viceversa) fino al limite della comunione d'azienda: una società lucrativa viene a sostituirsi ad un ente societario e viceversa con la conseguenza che l'operazione non importa tanto un mutamento della struttura organizzativa di un ente, ma l'adozione di una causa associativa o di uno scopo diverso da quello originario (Pasquini, 1395). Tale ultima affermazione è resa plasticamente evidente dalla trasformazione in comunione di azienda laddove si ha un passaggio da un ente dotato di personalità giuridica ed autonomia patrimoniale contraddistinto da uno scopo lucrativo, ad una mera situazione di contitolarità statica priva di qualsivoglia soggettività giuridica e di autonomia patrimoniale, volta, in via esclusiva, al godimento di beni comuni e non già all'esercizio in comune di una attività economica finalizzata alla produzione ed alla suddivisione di utili (ancora, così, Pasquini, 1395). Le trasformazioni eterogenee sono regolate dall'art. in commento che regola i passaggi da società di capitali in altri enti o forme giuridiche di esercizio dell'attività di impresa; dall'art. 2500-octies c.c. che regola i passaggi opposti, sia pure con quale differenza in relazione ai passaggi previsti; dall'art. 2500-novies c.c. che disciplina, per tutte le trasformazioni eterogenee (quindi tanto quelle regolate dall'art. 2500-septies che quelle regolate dall'art. 2500-octies c.c.), le forme di tutela spettanti ai creditori sociali e, precisamente, il rimedio dell'opposizione dei creditori (Caruso, 2344). Nelle ipotesi di trasformazioni eterogenee - nella quale si assiste al passaggio da una società ad una comunione di godimento di azienda o comunque da una società ad una impresa individuale - si determina sempre un rapporto di successione tra soggetti distinti, perché persona fisica e persona giuridica si distinguono appunto per natura e non solo per forma, con la conseguenza che la nascita di una comunione indivisa tra due o più persone fisiche (cui l'ente collettivo trasferisca il proprio patrimonio) non preclude la dichiarazione del fallimento della società entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese (Cass. n. 16511/2019). Il procedimento deliberativo.Secondo l'articolo in commento, le società di capitali possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni. Quanto al procedimento decisione di una simile trasformazione, il comma 3 dell'art. 2500-septies dispone che la deliberazione deve essere assunta con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto, e comunque con il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata. Con riferimento alla prima parte della disposizione, è stato osservato come la norma sembrerebbe evocare la necessità di calcolare la maggioranza necessaria per teste e non per quote di capitale e, dunque, prescindendo da quest'ultimo (Corvese, 394). Sulla base della considerazione che, seguendo una simile interpretazione, si finirebbe per ammettere che la trasformazione potrebbe essere decisa da una minoranza del capitale, si ritiene che la maggioranza richiesta per l'adozione della deliberazione sia una ordinaria maggioranza per quote di capitali, richiedendo la norma il consenso di tanti soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale nominale (così, esattamente, Pasquini, 1402; Carraro, 125). Secondo altra dottrina, le delibere di trasformazione eterogene da parte di società di capitali, per effetto del richiamo all'art. 2500-sexies c.c., sarebbero soggette a due quorum distinti e concorrenti: quello ordinario per le modificazioni statutarie, da calcolare tenendo conto delle quote di partecipazione di ciascuno dei soci al capitale sociale, e quello basato su un voto capitario e, cioè, sul numero dei soci (Caruso, 3247 che giustifica una simile conclusione sulla base della radicale modificazione che si intende adottare con la deliberazione di trasformazione eterogenea; contra, Caruso, 126). Il quorum rafforzato, peraltro, trova applicazione anche in seconda convocazione, essendo l'art. in commento sul punto, norma eccezionale che prevale sulla disciplina generale (Maltoni, 202). Si ammettono, sulla base del richiamo all'art. 2500-sexies c.c., clausole derogative della maggioranza prevista da detto articolo: tuttavia, si ritiene che lo statuto possa soltanto elevare il quorum deliberativo necessario, non abbassarlo e ciò sulla base della considerazione che la norma in argomento richiede che l'operazione sia deliberata da un ampio consenso minimo quale quello ivi previsto (Pasquini, 1402; Consiglio notarile Milano, massima n. 54). La deroga in aumento al quorum dei due terzi può giungere sino alla previsione della unanimità: nella società a responsabilità limitata, tale conclusione può essere giustificata sulla base dell'ampia autonomia statutaria concessa ai privati; nella società per azioni, se, da una parte, sembra superata la «sacralità», nel senso di assoluta inderogabilità, del principio di maggioranza, dall'altra, non può negare ad ogni socio un potere interdittivo su di una deliberazione che stravolge completamente la causa e la struttura organizzativa del rapporto associativo: una deliberazione che in difetto di una esplicita norma autorizzativa mai avrebbe potuto lecitamente adottarsi, neanche all'unanimità, e che lo stesso legislatore riformista dichiara di ammettere per pragmatiche ragioni di economia di costi (Consiglio notarile Milano, massima n. 54). Il medesimo comma 3 dell'articolo in commento prevede «comunque» il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata. Il consenso sarebbe, dunque, necessario in caso di trasformazione: in società consortile di persone ed in caso di trasformazione in consorzio con attività interna, mentre non sarebbe necessario a fronte della trasformazione in consorzio con attività esterna (Pasquini, 1403). Si è osservato, con riguardo a tale ultima ipotesi che la responsabilità che i soci assumeranno in seguito alla trasformazione per le eventuali obbligazioni che il consorzio contrarrà per loro conto ai sensi dell'art. 2615, comma 2, c.c., non è infatti la responsabilità illimitata generica rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 2500-sexies, comma 1, c.c., bensì è la responsabilità propria e fisiologica del mandato senza rappresentanza, limitata a quanto richiesto dal consorziato al consorzio (Consiglio notarili Triveneto, massima K.A.12). La disciplina applicabile.Alle trasformazioni eterogenee, poi, si applica anche la disciplina generale della trasformazione e, quindi, il principio di continuità dei rapporti giuridici (art. 2498 c.c.) e quella attinente alla forma e contenuto dell'atto ed alla sua eventuale invalidità (Caruso, ivi). Quanto all'ulteriore disciplina della trasformazione eterogenea da società di capitali, l'art. in commento si limita a specificare l'applicabilità, nei limiti del giudizio di compatibilità, dell'art. 2500-sexies c.c. È, dunque, necessaria la redazione, da parte dell'organo amministrativo, della relazione illustrativa in ordine alle motivazioni ed agli effetti della trasformazione: tale relazione deve restare depositata in copia presso la sede sociale durante i trenta giorni anteriori alla relativa assemblea. Come già visto in sede di commento dell'art. 2500-sexies c.c., tale relazione è posta a tutela di interessi, non già generali, ma dei soci con la conseguenza che sarà rinunziabile all'unanimità dai consociati. Questi, peraltro, potrebbero rinunziare anche solo al deposito presso la sede sociale ovvero al termine di trenta giorni (Pasquini, 1405). Nel caso di trasformazione eterogenea, peraltro, le motivazioni dell'operazione non saranno coerenti con il mandato che gli amministratori hanno ricevuto di conseguire l'interesse sociale di tipo lucrativo: la relazione, dunque, dovrà dar conto delle ragioni (di altro tipo) che conducono la società ad abbandonare lo scopo lucrativo o allo scioglimento della società senza fase di liquidazione (Caruso, 3248). Si ritiene applicabile, in virtù del predetto rinvio, anche l'ultimo comma dell'art. 2500-sexies c.c.: pertanto, ove a seguito della trasformazione, tutti o alcuni soci assumono responsabilità illimitata, questi rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla trasformazione. Si ritiene, infatti, che tale norma – lungi dall'essere meramente riproduttiva dell'art. 2269 c.c. – costituisce il portato di un principio generale, immanente alla trasformazione, secondo il quale in ogni caso in cui nell'ente risultante dalla trasformazione vi sia una responsabilità illimitata inesistente nell'ente trasformando, essa si estende anche a tutte le obbligazioni pregresse (Pasquini, 1405 che evidenzia, dunque, come tale principio si applicherà anche in caso di trasformazione in comunione d'azienda). Dubbia la applicabilità, alla trasformazione eterogenea, della regola della proporzionalità (art. 2500-sexies c.c.). Si ritiene che tale regola venga in rilievo solo nel caso di trasformazione in società consortile ove, essendo l'ente di arrivo una società di persone o di capitali, può procedersi ad una proporzionale ripartizione tra i soci del relativo capitale nominale (Pasquini, 1406). Negli altri casi, il principio della proporzionalità non verrebbe neppure in rilievo. Le ipotesi previste. La trasformazione in consorzio e in società consortile.La prima ipotesi presa in considerazione dall'art. in commento riguarda la trasformazione di società in consorzi ed in società consortili. In ragione della natura dell'ente di arrivo, dotato di scopo mutualistico strumentale all'esercizio dell'attività di impresa, è necessario che i soci della società che opera la trasformazione siano tutti soci imprenditori ovvero che la deliberazione sia condizionata all'esercizio del recesso da parte dei soci che quella qualifica non rivestono (Caruso, 3250). È anche necessario che l'oggetto sociale della società trasformanda abbia natura di consortile: diversamente, sarà necessaria una contestuale deliberazione di modificazione dell'oggetto sociale (Pasquini, 1408; Consigli notarili Trivento, massima K.A.5). Prendendo in considerazione l'ipotesi di trasformazione in consorzio, occorre distinguere tra consorzi con attività interna e consorzi con attività esterna. Con riguardo ai primi, che sono privi di soggettività giuridica, si è evidenziata la vicinanza della trasformazione in essi con la trasformazione in comunione d'azienda. In tal caso, la società trasformanda si estingue senza liquidazione ed il patrimonio diverrà di proprietà comune dei consorziati pro quota (Pasquini, 1408). Da ciò discende che: 1) non trova applicazione l'art. 2500-sexies, comma 3, c.c. in tema di assegnazione proporzionale del capitale sociale dell'ente risultante (Pasquini, 1409 che evidenzia come nell'ente di arrivo non sussista alcun capitale da assegnare in quote ai consorziati e neppure un patrimonio autonomo di titolarità dell'ente); 2) occorre il consenso uti singuli di tutti i soci per l'assunzione di responsabilità illimitata, essendo il consorzio ad attività interna privo di qualsiasi autonomia patrimoniale (Pasquini, ivi); 3) è sufficiente un solo adempimento pubblicitario costituito dalla cancellazione della società trasformanda, non essendo il consorzio con attività interna sottoposto ad alcun regime pubblicitario. Secondo l'orientamento che appare preferibile, poi, dovrebbe trovare applicazione l'art. 2500-sexies, ultimo comma, c.c. secondo il quale i soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata, rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla trasformazione: si è già evidenziato, infatti, che tale norma non sembra meramente riproduttiva dell'art. 2269 c.c., ma espressione di un principio generale proprio di ogni trasformazione. Nel caso di trasformazione in consorzi con attività esterna, questi sono dotati di soggettività giuridica e, dunque, di un fondo di propria titolarità che risponde delle obbligazioni sociali. Conseguentemente: 1) è applicabile l'art. 2500-sexies, comma 3, c.c. dovendo attribuirsi a ciascun socio una quota di partecipazione al fondo consortile (Pasquini, 1410, che, peraltro, rileva come la quota di partecipazione potrà rilevare solo ai fini della liquidazione del fondo consortile in sede di scioglimento del consorzio e non anche ai fini del voto che è retto dal principio del voto per teste); sono necessari due adempimenti pubblicitari costituiti dalla cancellazione della società dal registro delle imprese e dal deposito di un estratto dell'atto di trasformazione presso il registro delle imprese della sede dell'ufficio di relazione con i terzi del consorzio risultante, ai sensi dell'art. 2612 c.c. (così Pasquini, 1411). Non sembra occorrere la prestazione del consenso uti singuli dei soci, in quanto il consorzio con attività esterna è dotato di un fondo comune che risponde delle relative obbligazioni; mentre per le obbligazioni contratte in nome del consorzio, ma per conto dei singoli consorziati non dovrebbe venire in rilievo l'art. 2500-sexies c.c. (Pasquini, 1410). Infatti, come osservato nella prassi notarile, con riguardo a tale ultima ipotesi che la responsabilità che i soci assumeranno in seguito alla trasformazione per le eventuali obbligazioni che il consorzio contrarrà per loro conto ai sensi dell'art. 2615, comma 2, c.c., non è infatti la responsabilità illimitata generica rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 2500-sexies, comma 1, c.c., bensì è la responsabilità propria e fisiologica del mandato senza rappresentanza, limitata a quanto richiesto dal consorziato al consorzio (Consigli notarili Triveneto, massima K.A.12). In senso contrario, si è osservato che, a seguito dell'operazione, si registra comunque un mutamento del regime di responsabilità tipico delle società di capitali e tale da dovere richiedere il consenso del socio in forza dell'introduzione dei nuovi obblighi patrimoniali posti a suo carico (Caruso, 3251). Quanto alla trasformazione in società consortile, si evidenzia come, in ragione della circostanza che l'art. in commento prende espressamente in esame una simile figura di trasformazione, il passaggio da società di capitali in società consortile costituisce una vera e propria trasformazione in senso tecnico e non solo una modificazione dell'oggetto sociale (Pasquini, 1412). Ai fini della adozione della decisione, è quindi necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi del capitale sociale; l'efficacia della deliberazione è sottoposta alla condicio iuris sospensiva del decorso del termine di sessanta giorni con possibilità per i creditori di proporre l'opposizione ai sensi dell'art. 2500-novies c.c. (Pasquini, ivi). Non è necessaria la perizia di stima del patrimonio della società trasformanda (Pasquini, 1414). Inoltre, nel caso di specie, saranno necessari due adempimenti pubblicitari, dovendo essere l'atto di trasformazione depositato presso il registro delle imprese della società trasformanda e presso il registro delle imprese della sede della società consortile risultante dalla trasformazione. Segue. La trasformazione in cooperativaLa trasformazione eterogenea in società cooperativa richiede la presenza di un numero di soci minimi per la costituzione di una cooperativa e la presenza dei requisiti soggettivi da parte dei soci in relazione all'oggetto sociale (Caruso, 3251). Si ritiene che a tale tipo di operazione sia applicabile il principio di assegnazione proporzionale delle partecipazioni (Caruso, ivi, secondo il quale trovano applicazione, altresì, tanto il primo quanto il comma 2 dell'art. 2525 c.c. dispongono, da un lato, che il valore nominale di ciascuna azione o quota non può essere inferiore a venticinque euro né per le azioni superiore a cinquecento euro e, dall'altro, che, ove la legge non preveda diversamente, nelle società cooperative nessun socio può avere una quota superiore a centomila euro, né tante azioni il cui valore nominale superi tale somma). Segue. La trasformazione in comunione d'aziendaLa trasformazione di società di capitali in comunione d'azienda può essere inquadrata come una alternativa, offerta dal legislatore, al procedimento di liquidazione della società, diversamente imperativo, attesa la circostanza che l'operazione si risolve in una attribuzione diretta dei beni ai soci (Caruso, 3252; Cetra, 186; Sarale, 2012, 1243). In tale caso, non è strutturalmente possibile ravvisare una modificazione del rapporto associativo che, invece, si estingue e vengono meno tanto la compagine associativa quanto lo stesso regolamento negoziale collettivo (Carraro, 114). Si segnala, infatti, che tale trasformazione costituisce un unicum caratterizzato dal passaggio da un ente caratterizzato da un patrimonio autonomo dotato di soggettività giuridica ad una situazione di contitolarità tra i soci su un insieme di beni e rapporti giuridici (Caruso, 3252). E, infatti, i tratti caratterizzanti la comunione d'azienda sono costituiti dall'assenza della soggettività giuridica e dalla incompatibilità con l'esercizio di una attività d'impresa, con la conseguenza che il presupposto indefettibile dell'operazione, che deve preesistere all'atto di trasformazione, è costituito dalla inesistenza dell'attività di impresa (Pasquini, 1419, spec. 1421). Secondo una parte della dottrina (Carraro, 114), la trasformazione in comunione d'azienda trova un doppio limite. Sotto un primo profilo, se i comunisti beneficiari della trasformazione eterogenea proseguissero senza soluzione di continuità nell'esercizio collettivo dell'impresa, l'operazione darebbe vita non già ad una comunione, ma ad una società di fatto (e, quindi, non già ad una trasformazione eterogenea, ma ad una trasformazione regressiva omogenea). Ciò porta alla conclusione che dopo la trasformazione, l'impresa non può essere esercitata direttamente dagli ex soci divenuti comunisti (Carraro, 115; così anche Caruso, 128 secondo il quale l'unanimità è resa palese dalla necessità che tutti gli azionisti, in quanto per definizione destinati ad assumere veste di comproprietari, diano il proprio individuale consenso al deliberato dell'assemblea). Sotto altro profilo, ove si cessasse del tutto l'esercizio dell'attività di impresa, non si avrebbe trasformazione in comunione d'azienda, ma una pura e semplice attribuzione di una massa di beni e, quindi, una violazione delle norme imperative sulla liquidazione (Carraro, ivi). Il combinarsi di tali due limiti porta tale dottrina ad evidenziare che la gestione dell'azienda caduta in comunione dovrà essere affidata ad un terzo (Carraro, ivi che segnala come l'unica eccezione a tale regola sarebbe costituita dalla continuazione dell'attività di impresa imputata all'impresa coniugale ex art. 177 lett. d; Pasquini, 1421 che evidenza come solo in tal modo è possibile che i comproprietari godano dell'azienda senza esercitare la relativa attività di impresa). Presupposto per la trasformazione in argomento diviene, dunque, la previa cessazione, da parte della società che effettua l'operazione, dell'attività di impresa, per effetto della concessione in affitto dell'azienda sociale (Pasquini, 1421; contra, Centoni, 2272). Comunque sia, anche a tale trasformazione si applicherà il principio della continuità dei rapporti giuridici di cui all'art. 2498 (Caruso, 3252; Pasquini, 1420). Anzi, è stato affermato che la comunione d'azienda potrebbe rivelarsi strumento utile per non disgregare l'organizzazione, pur mutando lo status dei «proprietari» del patrimonio destinato e le regole che presiedono alla sua utilizzazione: la scelta di attrarre tale passaggio all'area delle trasformazioni parrebbe allora giustificarsi proprio per assicurare il principio di conservazione delle situazioni giuridiche, ribadito oggi dall'art. 2498 c.c. (Sarale, 2012, 1266). Nella trasformazione in comunione d'azienda, è applicabile il criterio dell'assegnazione proporzionale di cui all'art. 2500-sexies c.c.: la deliberazione, peraltro, potrà disciplinare eventuale norme regolatrici della comunione ai sensi degli artt. 1100 ss. c.c. La deliberazione potrà essere assunta con la maggioranza dei due terzi, ma necessiterà del consenso, uti singuli, di tutti quei soci che assumeranno la responsabilità illimitata che caratterizza la comunione d'azienda (Pasquini, 1421 la quale, peraltro, evidenzia, al fine di escludere la necessità dell'unanimità, che la necessità di detto consenso non integra una condizione di validità della deliberazione ponendosi solo come requisito di efficacia della medesima. Sul punto, cfr., art. 2500-sexies, par. 3, c.c.). Trova, poi applicazione il comma 3 dell'art. 2500-sexies c.c.: gli amministratori devono predisporre una relazione che illustri le motivazioni e gli effetti della trasformazione; copia della relazione deve restare depositata presso la sede sociale durante i trenta giorni che precedono l'assemblea convocata per deliberare la trasformazione; i soci hanno diritto di prenderne visione e di ottenerne gratuitamente copia. I creditori della società troveranno la propria tutela nella responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci per tutti i debiti sociali, dovendo trovare applicazione l'ultimo comma dell'art. 2500-sexies c.c. secondo il quale i soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata, rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla trasformazione (Caruso, 3252; Pasquini, 1422 ss.). Peraltro, proprio in ragione della circostanza che tutti i soci assumono una responsabilità illimitata sarà necessario, secondo una parte della dottrina, raccogliere il consenso di tutti i soci (Caruso, ivi). Inoltre, i creditori sociali potranno valersi della tutela offerta dalla possibilità di proporre opposizione ai sensi dell'art. 2500-novies c.c. Trovano applicazione, nei limiti della compatibilità, anche le norme sulla cessione d'azienda di cui agli artt. 2555 ss. (Pasquini, 1423). Quanto agli adempimenti pubblicitari, l'atto di trasformazione va iscritto unicamente nel registro delle imprese della società trasformanda che verrà da tale registro cancellata. La trasformazione eterogenea di una società di capitali in comunione di azienda, ai sensi dell'art. 2500-septies c.c., non preclude la dichiarazione del fallimento della medesima società entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese, trattandosi pur sempre di un fenomeno successorio tra soggetti distinti (Cass. n. 16511/ 2019). Segue. La trasformazione in associazioneL'art. in commento poi ammette la trasformazione eterogenea regressiva da società di capitali in associazioni non riconosciute. In tal caso si ha un passaggio da un ente associativo dotato di personalità giuridica ed una autonomia patrimoniale perfetta caratterizzato da scopo lucrativo ad un diverso ente caratterizzato dalla causa associativa, ma dallo scopo altruistico (Pasquini, 1424 che, peraltro, evidenzia come simili enti possano esercitare una attività di impresa, essendo invece loro preclusa la distribuzione degli utili che vanno impiegati per la realizzazione dello scopo ideale). Il legislatore ha, quindi, inteso precludere la possibilità di trasformazione in associazione riconosciuta (mentre, all'art. 2500-octies c.c. ammette l'ipotesi inversa): tale esclusione, peraltro, si spiega in ragione della circostanza che il riconoscimento è frutto di un sistema concessorio che può essere attivato solo una volta intervenuta la costituzione dell'associazione e che presuppone la presentazione di una apposita domanda ex d.P.R. n. 361/2009 (Pasquini, 1424). Secondo una parte della dottrina, però, sarebbe possibile assumere una delibera di trasformazione in associazione non riconosciuta condizionata però al successivo riconoscimento e, dunque, all'ottenimento delle necessarie autorizzazioni da parte delle autorità competenti (Santosuosso, 236; Caruso, 3248). Ai sensi dell'art. 38, per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione. Si pone il problema dell'applicabilità alla trasformazione in argomento della necessità, in applicazione dell'ultimo comma dell'art. 2500-septies, del consenso di dei soci che assumono responsabilità illimitata. In realtà, si evidenzia che tale consenso non sembra necessario in quanto la responsabilità non è effetto del mutamento organizzativo, ma segue all'assunzione della carica che dovrà essere accettata dall'associato al momento di assumere la funzione (Caruso, 3248; Pasquini, 1425). È necessaria la predisposizione della relazione illustrativa delle motivazioni e degli effetti della trasformazione (art. 2500-sexies c.c. richiamato dall'art. 2500-septies, comma 2). Non è applicabile il principio di assegnazione proporzionale delle partecipazioni (Caruso, 3249). Anche in tal caso, quanto agli adempimenti pubblicitari, l'atto di trasformazione va iscritto unicamente nel registro delle imprese della società trasformanda che verrà da tale registro cancellata. Segue. La trasformazione in fondazioneL'ultimo comma dell'articolo in commento prevede che l'atto di trasformazione produce gli stessi effetti dell'atto di fondazione o della volontà del testatore. Secondo la dottrina, ciò significa che la volontà dei soci, espressa nella delibera assembleare, sarò comunque soggetta alla procedura di riconoscimento prevista dalla l. n. 366/2001 (Caruso, 3249). In altri termini, la deliberazione assembleare apre soltanto l'iter formativo della persona giuridica privata, che si completerà con l'espletamento degli adempimenti previsti dal libro I del codice civile (rectius, dall'art. 1 d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361) (Sarale, 2012, 1267). La trasformazione in fondazione è riconducibile ad un atto di disposizione patrimoniale, mediante «il quale i soci accantonano il programma negoziale comune e si spogliano in modo definitivo ed irrevocabile della contitolarità – sia pure mediata dalla personalità giuridica – del patrimonio sociale, per destinarlo ad uno scopo di pubblica utilità» (Carraro, 117). Con la deliberazione, i soci pongono in essere tanto un atto di fondazione, inteso come atto unilaterale di manifestazione della volontà di dar vita all'ente, quanto un atto di dotazione, con il quale l'ente viene così costituito e dotato di un patrimonio per il conseguimento dello scopo (Pasquini, 1426). I «fondatori» devono essere considerati i soci e non certo la società che, al contrario, è essa stessa che diviene fondazione (Carraro, 118 che precisa che proprio per tale ragione può parlarsi di gratuità dell'atto perdendo i soci in modo completo ed irreversibile il valore patrimoniale delle proprie azioni o quote ed i diritti anche amministrativi relativi alla contitolarità dell'impresa). Le trasformazioni atipiche.Non vi è dubbio che il legislatore della riforma abbia generalizzato l'istituto della trasformazione. Ciò nonostante, alcune ipotesi di trasformazione regressiva (o progressiva) non trovano esplicita regolamentazione all'interno del codice. È, quindi, assai controverso in dottrina se le ipotesi di trasformazione eterogenee previste e disciplinate dagli artt. 2500-septies e 2500-octies c.c. costituiscano un numero chiuso con conseguente inammissibilità di trasformazioni in (o da) soggetti diversi da quelli espressamente previsti dalle menzionate norme ovvero se, al contrario, il «catalogo» contenuto nel codice costituisca un sistema, sia pure entro certi limiti, aperto. Secondo un primo orientamento, i limiti del dettato normativo possono essere superati dall'interprete in via interpretativa. Tale indirizzo (Pasquini, 1397 ss.; Caruso, 3253; Pisani Massamormile, 929) considera attuabile la trasformazione oltre i casi espressamente previsti dalla legge essendo consentito all'autonomia privata espandersi al di là delle singole fattispecie di trasformazione eterogenea indicate dal legislatore. In particolare, si evidenzia che, superato il limite individuato dalla necessaria omogeneità causale, l'ammissibilità della trasformazione eterogenea atipica garantirebbe il principio di continuità nei rapporti giuridici ed il principio di economia degli atti negoziali secondo cui, se ad un determinato risultato può giungersi attraverso un procedimento indiretto, non può ritenersi illecito giungere al medesimo risultato attraverso un procedimento diretto. In questa prospettiva, la trasformazione andrebbe intesa come operazione tramite la quale si modificano le regole di organizzazione conservando il vincolo di destinazione impresso a un patrimonio per l'esercizio dell'attività: al centro dell'istituto della trasformazione starebbe l'omogeneità dell'impresa e non più l'omogeneità della causa. Peraltro, sempre secondo tale impostazione, la riconosciuta ammissibilità della trasformazione in comunione d'azienda segnerebbe il punto di rottura dal punto di vista della continuità soggettiva, in quanto la comunione d'azienda non dà luogo, ovviamente, a soggettività giuridica. Inoltre, gli interessi dei soggetti coinvolti, i soci ed i creditori sociali, sarebbero ampiamente garantiti, i primi, dall'esistenza di quorum rafforzati fino a richiedere l'unanimità e dal riconoscimento del diritto di recesso e, i secondi, dalla possibilità di proporre opposizione alla trasformazione (art. 2500-novies c.c.). Sotto altro profilo, la mancata indicazione di talune fattispecie di trasformazione eterogenea è spiegata sulla base della considerazione che la legge delega della riforma societaria era diretta in via esclusiva alla riforma della disciplina delle società di capitali e cooperative con la conseguenza che il legislatore delegato non poteva andare a disciplinare espressamente ipotesi diverse. In senso favorevole alla ammissibilità di ipotesi innominate di trasformazione eterogenea si è espressa, altresì, la prassi notarile (Consiglio notarile di Milano, massima n. 20). Questa impostazione ha trovato qualche seguito nella giurisprudenza di merito che ha affermato che è ammissibile la trasformazione eterogenea dell'associazione non riconosciuta in società di capitali (Trib. Bologna 16 giugno 2017, in Nuova giur. civ. comm. 2017, 1701). Secondo altro orientamento (in dottrina, Carraro, 149 ss.), deve essere preso in considerazione in primo luogo il dato letterale della norma: il legislatore, pur in presenza di un ampio dibattito sul punto già esistente prima della riforma del diritto societario ha previsto che sia l'art. 2500-septies che l'art. 2500-octies c.c. si articolino in una elencazione di casi ben definiti e tra di loro non esattamente speculari, non appena si consideri come la trasformazione eterogenea progressiva sia possibile solo da associazioni riconosciute ma non da associazioni non riconosciute che invece possono procedere a trasformazione eterogenea regressiva. Già tale scelta normativa, nell'ambito di un capo relativo alla trasformazione cioè ad un istituto di per sé eccezionale, induce a ritenere che il legislatore abbia voluto escludere, al di fuori dai casi espressamente regolamentati, che si possa procedere ad ulteriori trasformazioni (Trib. Piacenza 2 dicembre 2011, in Giur. comm. 2012, II, 1043 che ha negato la configurabilità della trasformazione di società di capitali in impresa individuale; nonché, App. Torino, 14 luglio 2010, in Giur. comm. 2012, II, 1043; Trib. Mantova 28 marzo 2006, in Vita not. 2006, 1434 che hanno negato l'ammissibilità della trasformazione eterogenea di una società di persone in impresa individuale, al pari di Cass. n. 496/2015). Né può ragionevolmente sostenersi che la mancata indicazione di talune fattispecie derivi dalla circostanza che il perimetro del legislatore della riforma era ristretto all'ambito delle società di capitali. Infatti, al fine di indagare se il legislatore abbia consentito o, al contrario, vietato la ricorribilità ad un determinato strumento, non ci si può limitare a prendere in considerazione l'attività di un determinato legislatore storico (nel caso di specie, quello della riforma del 2003), ma occorre riguardare, nel suo complesso, l'ordinamento giuridico ben potendo il legislatore intervenire in qualsiasi momento per disciplinare una determinata fattispecie. E va da sé che il mancato intervento del legislatore può essere spiegato come manifestazione di volontà di non estendere, oltre le ipotesi previste, l'operatività dell'istituto. Con riferimento alle altre considerazioni svolte dalla teoria più liberale, una parte della giurisprudenza di taluni giudici del registro (Giudice del registro Sassari 13 luglio 2010, in Giur. comm. 2012, II, 1043, avente ad oggetto una ipotesi di trasformazione da società in trust; Giud. Registro Roma, 20 luglio 2017, in Nuova giur. civ. comm. 2017, 1697), ha osservato che dall'esame degli enti in cui la società di capitali può trasformarsi (o dai quali può trasformarsi) emerge un tratto comune costituito dal fatto che tutte le figure indicate negli artt. 2500-septies e 2500-octies c.c. costituiscono modelli di svolgimento di attività con regole diverse da quelle individuali. Si può quindi ragionevolmente sostenere che la ratio della trasformazione eterogenea consista nella volontà di favorire l'impresa commerciale e, più in generale, il mantenimento delle formazioni organizzate anche solo per la destinazione di un patrimonio ad uno scopo, come nel caso delle fondazioni, ovvero nella comunione d'azienda, dove la presenza del profilo organizzativo è data da una attività comune avente ad oggetto i beni aziendali. Nelle trasformazioni eterogenee non si ha un mero mutamento della struttura organizzativa di un ente, ma l'adozione di una modificazione della stessa causa associativa e del relativo scopo dell'ente. L'eccezionalità dell'operazione costituisce, dunque, il portato della volontà del legislatore di limitare la possibilità della trasformazione eterogenea alle sole ipotesi tipiche e ritenute meritevoli di tutela, in un ponderato bilanciamento tra la tutela dell'impresa commerciale (nelle forme della società di capitali e degli enti espressamente indicati negli artt. 2500-septies e 2500-octies c.c.) e dei soggetti che potrebbero astrattamente subire un pregiudizio, come dimostra la circostanza che il legislatore ha anche espressamente previsto i rimedi azionabili dai soggetti che potrebbero essere astrattamente pregiudicati da quell'operazione. La trasformazione consente alla società di modificare radicalmente la propria struttura senza procedere allo scioglimento ed è evidente che l'istituto viene utilizzato proprio al fine di evitare gli effetti della liquidazione. È chiaro allora che la previsione della trasformazione tutela in via principale l'interesse della società a compiere un profondo riassetto organizzativo nella maniera più veloce ed efficiente, mentre in questo contesto gli interessi dei creditori dei soci e dei terzi in generale divengono secondari e per questo motivo ricevono una tutela specifica e diversa rispetto a quella garantita dai rimedi ordinario. Ed è proprio questa argomentazione che porta a ritenere che il legislatore non abbia volutamente inteso estendere la possibilità di trasformazione eterogenea oltre i limiti indicati, proprio perché assolutamente consapevole che una limitazione della tutela dei terzi e creditori potesse essere giustificata solo in casi particolari e non in maniera generalizzata (così, ancora, Giudice del registro Sassari, 13 luglio 2010, cit.). Sulla trasformazione di società in impresa individuale, si rinvia al commento dell'art. 2498 c.c. (par. 4). Sempre secondo questo orientamento, dovrebbe negarsi l'ammissibilità della trasformazione eterogenea in impresa individuale (Cass. n. 496/2015; Trib. Piacenza, 2 dicembre 2011 e App. Torino, 14 luglio 2010, entrambe in Giur. comm. 2012, II, 1043; Trib. Mantova, 28 marzo 2006, in Vita not. 2006, 1434) e della trasformazione della società in trust liquidatorio (Giudice del registro Sassari, 13 luglio 2010 in Giur. comm. 2012, II, 1043). Giud. Registro Roma 20 luglio 2017 (in Nuova giur. civ. comm. 2017, 1697) ha ritenuto non «riconoscibile» per l'ordinamento giuridico l'operazione di trasformazione eterogenea regressiva da società a responsabilità limitata in liquidazione in trust liquidatorio (su tale ultima operazione, Carraro 153 ss.). BibliografiaCampi, La trasformazione di società, Milano, 2013; Caruso, Sub art. 2500-septies, in Le società per azioni, a cura di Abbadessa, Portale, Milano, 2016; Carraro, Trasformazione eterogene di società di capitali, in Trasformazione, fusione, scissione, a cura di Serra, Bologna, 2014; Cavanna, La trasformazione della società, in Tr. Res., 16, 2, Torino, 2008; Centoni, Sub artt. 2498-2500-novies, in Abriani (a cura di), Codice delle società, Torino, 2016; Cetra, Le trasformazioni «omogenee» ed «eterogenee», in Il nuovo diritto delle società. 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