Codice Civile art. 2500 octies - Trasformazione eterogenea in società di capitali (1).Trasformazione eterogenea in società di capitali (1). [I]. I consorzi, le società consortili, le comunioni d'azienda, le associazioni riconosciute e le fondazioni possono trasformarsi in una delle società disciplinate nei capi V, VI e VII del presente titolo. [II]. La deliberazione di trasformazione deve essere assunta, nei consorzi, con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consorziati; nelle comunioni di aziende all'unanimità; nelle società consortili e nelle associazioni con la maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato. [III]. La trasformazione di associazioni in società di capitali può essere esclusa dall'atto costitutivo o, per determinate categorie di associazioni, dalla legge; non è comunque ammessa per le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni del pubblico. Il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione è diviso in parti uguali fra gli associati, salvo diverso accordo tra gli stessi. [IV]. La trasformazione di fondazioni in società di capitali è disposta dall'autorità governativa, su proposta dell'organo competente. Le azioni o quote sono assegnate secondo le disposizioni dell'atto di fondazione o, in mancanza, dell'articolo 31. (1) V. nota al Capo X. InquadramentoL'articolo in commento disciplina l'ipotesi speculare rispetto a quella prevista dall'articolo precedente. È, dunque, espressamente riconosciuto che i consorzi, le società consortili, le comunioni d'azienda, le associazioni riconosciute e le fondazioni possano trasformarsi in società di capitali. Anche le regole specifiche dettate per le trasformazioni eterogenee «evolutive» o «progressive», in società di capitali, si limitano principalmente a stabilire le modalità per addivenire alla decisione di trasformazione, declinate questa volta diversamente a seconda dell'organismo coinvolto (Sarale, 2012, 1268). L'art. 2500-octies, dopo aver indicato, per ogni ente di partenza, le modalità di adozione della decisione, detta alcuni limiti alla trasformabilità riguardanti le associazioni e pone una prescrizione specificamente diretta alle fondazioni che ne completa il procedimento deliberativo e le modalità di assegnazione delle azioni o quote (Sarale, 2012, ivi). Secondo la dottrina (Maltoni, 3258; Franch, 353; Sarale, 2011, 374; Centoni, 2278), le trasformazioni prese in considerazione dalla norma in commento sono soggette a tre livelli di disciplina non alternativi tra loro, ma cumulativi: 1) norme generali sulla trasformazione (artt. 2498,2499,2500 e 2500-bis c.c.); 2) norme applicabili per espressa previsione normativa (art. 2500-novies) o in via analogica (art. 2500-ter comma 2 c.c., 2500-quater comma 1 c.c., 2500-quinquies comma 1 c.c.); 3) norme particolari proprie della fattispecie come quelle contenute nell'art. 2500-octies, comma 2. Sarà necessario predisporre una relazione di stima dell'ente che adotta la trasformazione ogni qualvolta che gli enti di partenza non siano soggetti alle medesime regole in tema di formazione e conservazione del capitale sociale della società di arrivo (Pasquini, 1442; Sarale, 2011, 376; Maltoni, 3259). Ciò porta ad escludere che siano soggette a tale obbligo le società consortile in forma di società di capitali o in forma di cooperativa. Peraltro, in applicazione analogica dell'art. 2500-quinquies c.c., qualora i partecipanti dell'ente da trasformare siano gravati da responsabilità illimitata per le obbligazioni assunte dall'ente, tale responsabilità illimitata permarrà anche a seguito della trasformazione (Maltoni, 3259; Franch, 366; Centoni, 2278). È dubbia, invece, l'applicabilità dell'art. 2500-quinquies, comma 2, c.c. al di fuori della trasformazione di società consortile di persone in società lucrativa di capitali: una parte della dottrina propende per la tesi affermativa (Civerra, 155), ma la maggioranza degli autori, pur tra alcune cautele, sembra orientata in senso negativo concludendo, quindi, che la liberazione potrà essere conseguita solo mediante consenso espresso di ogni singolo creditore e non mediante l'applicazione del principio del silenzio assenso (Maltoni, 3259; Centoni, 2278; Franch, 370). La trasformazione di consorzio.L'articolo in commento si limita a disciplinare il quorum necessario per la trasformazione dei consorzi in società di capitali, prevedendo che la deliberazione di trasformazione deve essere assunta, nei consorzi, con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consorziati e, nelle società consortili, con la maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato. Iniziando dalla trasformazione di consorzi in società consortili, la norma manifesta un certo favor del legislatore per l'evoluzione della cooperazione imprenditoriale verso forme di società di capitali: espressione di questo favore è la circostanza che la norma pone una deroga alla regola generale prevista dall'art. 2607 c.c. (secondo la quale è richiesta l'unanimità dei consensi per le modificazioni del contratto di consorzio) richiedendo la sola maggioranza assoluta dei consorziati (Pasquini, 1449). Si ritiene, peraltro, che, pur nel silenzio della legge, sia ammissibile che l'atto costitutivo del consorzio preveda, per la deliberazione di trasformazione, quorum più elevati rispetto a quello indicato dal legislatore (Franch, 376; Pasquini, 1449). Nell'ambito della trasformazione in argomento, occorre poi distinguere il caso in cui l'ente trasformando sia un consorzio con attività interna dal caso in cui esso sia un consorzio con attività esterna. Secondo una opinione manifestata in dottrina, i consorzi a mera attività interna non potrebbero trasformarsi in società di capitali in quanto detti consorzi avrebbero una organizzazione comune limitata alla sola regolamentazione dei rapporti tra i consorziati (Cetra, 143). La dottrina maggioritaria, tuttavia, è di contrario avviso ed ammette la trasformazione eterogenea progressiva da consorzio con attività interna in società di capitali sulla base delle seguenti considerazioni: 1) il legislatore ammette la trasformazione della comunione d'azienda in società di capitali e, dunque, ammette il passaggio da un ente caratterizzato dall'assenza di una autonoma struttura organizzativa e privo di soggettività giuridica; 2) l'art. 2500-octies si riferisce genericamente ai «consorzi» così che non pare possibile escludere un determinato tipo di consorzi; 3) nulla esclude che un consorzio ad attività interna istituisca un ufficio di relazione con i terzi, divenendo così consorzio con attività esterna, e poi proceda alla trasformazione in società di capitali (così, Pasquini, 1450; Santosuosso, 236; Bertolotti, 176). Con riguardo ai consorzi con attività esterna, sulla base della circostanza che essi sono dotati di soggettività giuridica e di un fondo di propria titolarità distinto da quello dei consorziati, non sussistono dubbi sulla operatività del principio di continuità (Pasquini, 1451 che sottolinea che, nella trasformazione, viene comunque operato un radicale mutamento dello scopo e della causa dell'ente trasformando). Con riguardo alla trasformazione di società consortili in società, l'articolo in commento prevede che l'operazione debba essere deliberata con la maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato. Ai fini della individuazione del quorum concretamente richiesto, e sempre che l'atto costitutivo non disciplini espressamente l'operazione, occorre verificare il tipo della società consortile che opera la trasformazione e, dunque, verificare la disciplina applicabile a quel determinato tipo (Bertolotti, 178; Pasquini, 1452). L'operazione è soggetta al diritto di opposizione dei creditori sociali ai sensi dell'art. 2500-novies c.c. L'articolo in commento nulla dispone in ordine alla necessità o meno della relazione di stima del patrimonio sociale dell'ente trasformando. Si ritiene però che essa si richiesta quando «la forma giuridica consortile di partenza e quella lucrativa di arrivo già non condividano le medesime regole in tema di formazione e di tutela del capitale sociale» (Bertolotti, 179; Pasquini, 1453; Maltoni, 3261). Pertanto, essa sarà necessaria ove una società consortile costituita in forma di società personale si trasformi in società di capitali, ma non quando una società consortile di capitali si trasformi in società lucrativa. Tale ultima posizione è fatta propria dalla prassi notarile secondo la quale nel caso di trasformazione eterogenea di società consortile a responsabilità limitata in società di capitali avente scopo lucrativo non è necessaria la relazione di stima redatta a norma dell'art. 2343 c.c. ovvero dell'art. 2465 c.c., non trovando applicazione la previsione dell'art. 2500-ter, comma 2, c.c. (Consigli notarili triveneto, massima K.A.25). La trasformazione di comunione d'azienda.L'art. in commento, poi, ammette la trasformazione di una comunione d'azienda in società di capitali, prevedendo, dunque, dal punto di vista funzionale, una alternativa al conferimento (Maltoni, 3262). L'ipotesi si verifica, normalmente, nei casi di successione ereditaria dell'imprenditore individuale a favore di una pluralità di eredi che, operando la trasformazione, possono continuare la gestione senza divenire imprenditori e, quindi, soci di una società di fatto (Maltoni, ivi; Bertolotti, 167). La circostanza che non vi sia un patrimonio autonomo importa che l'atto di trasformazione sia costituito da un vero e proprio contratto (e non già da una deliberazione) per il perfezionamento del quale serve la volontà unanime di tutte le parti contitolari (Maltoni, 3262; Pasquini, 1465; Sarale, 2011, 385): tale contratto costituirà al contempo anche l'atto costitutivo della società risultante dalla trasformazione con la conseguenza che dovrà contenere tutti gli elementi richiesti dalla legge per il relativo tipo sociale (Franch, 381). Conseguentemente, il contratto dovrà anche prevedere la ripartizione delle azioni o delle quote, nel rispetto della regola di cui all'art. 2500-quater comma 1 c.c. secondo il quale ciascun socio ha diritto all'assegnazione di un numero di azioni o di una quota proporzionale alla sua partecipazione (Bertolotti, 168). Se, peraltro, dalla fonte della comunione non risultasse l'entità delle quote di partecipazione ad essa, queste si dovrebbero presumere uguali (art. 1101 comma 1 c.c.) con la conseguenza che altrettanto uguali sarebbero anche le quote di partecipazione alla società (Bertolotti, 168; Franch, 382; Pasquini, 1466; Santosuosso, 238). Sarà, pertanto, necessaria la redazione della perizia di stima attestante il valore effettivo del patrimonio aziendale, essendo in tal caso applicabile analogicamente l'art. 2500-ter c.c. (Maltoni, 3262; Bertolotti, 169). Si discute se sia applicabile, altresì, la disciplina del trasferimento d'azienda. Rimasto isolato l'orientamento che, negando che l'operazione in questione configuri una vera e propria trasformazione in senso tecnico, riteneva doveroso applicare la disciplina degli artt. 2556 ss. c.c. (Pavone La Rosa, 5), la dottrina maggioritaria ritiene che l'operazione, in quanto vera e propria trasformazione, sia soggetta alla sola disciplina che il legislatore ha configurato come speciale con esclusione della possibilità di applicare quella propria del trasferimento d'azienda e della circolazione dei singoli beni che la compongono (Maltoni, 3263; Cetra, 185). La trasformazione di associazione.L'art. in commento prende in considerazione soltanto le associazioni riconosciute tacendo su quelle non riconosciute. Il tenore letterale della norma, dunque, ha portato una parte della dottrina ad escludere l'ammissibilità della trasformazione eterogena progressiva da associazione non riconosciuta in società. In questa prospettiva si sottolinea la diversità tra l'art. in argomento e l'art. 2500-septies c.c. che, espressamente, prende in considerazione la trasformazione di società di capitali in associazione non riconosciuta; l'impossibilità di svolgere gli adempimenti pubblicitari da cui far decorrere il termine per l'opposizione dei creditori ed il fatto che le associazioni riconosciute offrirebbero la garanzia di una accertata consistenza patrimoniale (Civerra, 144; Santosuosso, 237). Secondo altro orientamento, invece, dovrebbero ritenersi consentite anche le ipotesi di trasformazione eterogenea non espressamente previste (Maltoni, 3263; Pisani Massamormile, 120; Pasquini, 1467; Sarale, 2011, 359) evidenziando, in particolare, come non sembra decisivo l'argomento fondato sulla necessaria soggezione dell'ente di partenza a pubblicità in quanto l'ordinamento ha ammesso la trasformazione di consorzi con attività interna e di comunioni di azienda, rispetto ai quali la legge non prescrive alcun onere pubblicitario (Maltoni, ivi; Franch, 334; Centoni, 2281). Questo secondo indirizzo è fatto proprio dalla prassi notarile secondo la quale, nonostante la circostanza che l'art. 2500-octies contempli espressamente la sola trasformazione di associazioni riconosciute in società di capitali, si deve tuttavia ritenere legittima – ai sensi dell'art. 1322 c.c. – ogni ulteriore trasformazione di associazioni riconosciute in enti diversi dalle società di capitali, i quali ultimi possano comunque derivare dalla trasformazione di una società di capitali: secondo tale indirizzo, sarebbe infatti conforme ai principî dell'ordinamento porre in essere un singolo negozio che raggiunga direttamente il medesimo effetto giuridico che è possibile ottenere con una serie di negozi tipici. Così se una associazione riconosciuta può legittimamente trasformarsi in una società di capitali e questa a sua volta può legittimamente trasformarsi in una società di persone, sarà altresì legittimo che una associazione riconosciuta si trasformi direttamente in una società di persone. Le facoltà di trasformazione espressamente concesse ad una associazione riconosciuta devono ritenersi attribuite anche ad una associazione non riconosciuta, sempre ai sensi dell'art. 1322 c.c. L'ordinamento ha infatti già valutato positivamente, all'art. 2500-octies, la possibilità di trasformare enti privi di personalità giuridica, ovvero non soggetti ad alcuna forma di pubblicità (ad es. le comunioni di azienda e i consorzi con attività interna) (così, Consigli notarili Triveneto, massima K.A.28). L'art. in commento ammette espressamente che la trasformazione di associazioni in società di capitali può essere esclusa dall'atto costitutivo (oltre che, per determinate categorie di associazioni, dalla stessa legge e, comunque, per le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni del pubblico). Si evidenzia, sul punto, che la regola statutaria va intesa come espressione del diritto degli associati al perseguimento di scopi ideali e ad essa va ascritto un significato organizzativo volto alla necessità di ottenere il consenso unanime degli associati per addivenire alla trasformazione (Maltoni, 3264; Franch, 399; Sarale, 2011, 286). Peraltro, l'art. 223-octies disp. att. c.c. prevede che la trasformazione prevista dall'art. in commento è consentita alle associazioni e fondazioni costituite prima del 1° gennaio 2004 soltanto quando non comporta distrazione, dalle originarie finalità, di fondi o valori creati con contributi di terzi o in virtù di particolari regimi fiscali di agevolazione. Nell'ipotesi di fondi creati in virtù di particolari regimi fiscali di agevolazione, la trasformazione è consentita nel caso in cui siano previamente versate le relative imposte (sul punto, Sarale, 2012, 1270). L'adozione della deliberazione di trasformazione da associazione in società richiede la maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato: pertanto, sulla base del disposto di cui all'art. 21, ultimo comma, sarà richiesta l'espressione di voto favorevole da parte dei tre quarti degli associati. Il quorum può essere modificato dall'atto costitutivo, ma solo in senso accrescitivo (Maltoni, 3266). Ai soci non assenzienti alla deliberazione di trasformazione spetta il diritto di recesso (Pasquini, 1469 secondo la quale la spettanza del diritto di recesso non deriva ex art. 24 dalla disciplina speciale in materia di associazione, ma in forza della disciplina generale in tema di trasformazione laddove è enucleabile un principio, altrettanto generale, secondo il quale la possibilità di adottare la deliberazione a maggioranza deve essere controbilanciata con l'assegnazione del diritto di recesso a coloro che non sono favorevoli ad una simile operazione: pertanto, l'Autore conclude evidenziando come il recesso ha efficacia immediata e non efficacia differita ai sensi dell'art. 24; così anche Maltoni, 3266; Centoni, 2283). Il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione è diviso in parti uguali fra gli associati, salvo diverso accordo tra gli stessi (art. 2500-octies comma 3): si tratta, pur sempre, di una applicazione del principio di proporzionalità, in quanto, nelle associazioni, gli associati hanno uguali diritti con la conseguenza che il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione spetterà ad essi in quote uguali (Pasquini, 1469; Bertolotti, 173). È necessaria la redazione della relazione di stima del patrimonio dell'associazione che dovrà costituire il capitale ed il patrimonio della società risultante dalla trasformazione: la relazione andrà redatta ai sensi dell'art. 2343 c.c. ove la società risultante dalla trasformazione sia una società per azioni ed ai sensi dell'art. 2465 c.c. ove sia una società a responsabilità limitata (Pasquini, 1470). Nella trasformazione in argomento si assiste ad un mutamento della causa e dello scopo dell'ente che pone in essere l'operazione: si passa, infatti, da una associazione, ente associativo a scopo altruistico e comunque non lucrativo ad un ente contraddistinto da scopo lucrativo ed egoistico dotato di personalità giuridica ed autonomia patrimoniale. Si applica, comunque, il principio di continuità (Pasquini, 1468). Peraltro, può rendersi necessaria una modifica della natura dell'attività svolta dall'associazione trasformanda (e, dunque, dell'oggetto sociale) essendo necessario che la società risultante abbia ad oggetto l'esercizio di una attività di impresa (Pasquini, ivi). Quanto agli obblighi pubblicitari, si evidenzia che, in caso di trasformazione da associazione riconosciuta, occorrerà provvedere al deposito dell'atto presso il registro delle persone giuridiche (per la cancellazione della associazione da esso) e presso il registro delle imprese della società risultante dalla trasformazione; in caso di associazione non riconosciuta (ove si ammetta l'operazione), occorrerà provvedere al solo deposito dell'atto di trasformazione presso il registro delle imprese della società di arrivo (sul punto, Pasquini, 1470). In giurisprudenza, si osserva che, in caso di trasformazione eterogenea di associazione riconosciuta in società per azioni, va disposta la cancellazione immediata dell'associazione dal registro delle persone giuridiche senza necessità di previa liquidazione (Trib. Vicenza, 13 luglio 2007, in Giur. it. 2008, 665). La trasformazione di fondazione.L'articolo in commento prende espressamente in considerazione anche la trasformazione da fondazione in società la quale determina, ovviamente, un mutamento tanto del modello organizzativo quanto dello scopo dell'ente. Anche per le fondazioni vale il limite dettato dall'art. 223-octies disp. att. c.c.: le fondazioni costituite prima del 1 gennaio 2004 possono trasformarsi soltanto quando ciò non comporti distrazione, dalle originarie finalità, di fondi o valori creati con contributi di terzi o in virtù di particolari regimi fiscali di agevolazione, salvo che siano previamente versate le relative imposte. La trasformazione in società di capitali è comunque preclusa alle fondazioni bancarie. Non è, invece, esteso alla trasformazione della fondazione il divieto posto dall'art. 2500-octies per la trasformazione delle associazioni riconosciute che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni del pubblico. Il procedimento di trasformazione è incardinato su due atti: il primo che costituisce un presupposto propulsivo è espressione dell'organizzazione della fondazione; il secondo, che determina la modificazione strutturale e funzionale dell'ente, ha natura amministrativa (Maltoni, 3266). Prescrive, infatti, l'art. in commento che la trasformazione di fondazioni in società di capitali è disposta dall'autorità governativa, su proposta dell'organo competente. Secondo l'orientamento maggioritario, la trasformazione in argomento risulta essere una vicenda prodotta da un atto assunto unilateralmente dalla pubblica amministrazione che realizza una riqualificazione autoritativa ed amministrativa dell'ente (Maltoni, ivi; Franch, 394): in altre parole, la pubblica amministrazione non approva un atto di autonomia privata; la trasformazione della fondazione non è effetto dell'atto dell'organo dell'ente, ma solo del provvedimento amministrativo (Sarale, 2011, 384) con la conseguenza che la pubblica amministrazione conserva piena discrezionalità nel valutare anche l'opportunità della trasformazione (Maltoni, 3266). Da ciò discende che non è necessaria la redazione in forma di atto pubblico della proposta di trasformazione proveniente dall'organo dell'ente (Maltoni, 3267; Pasquini, 1471; contra, Franch, 396 secondo il quale la delibera dell'organo della fondazione dovrebbe essere assunta in forma pubblica sia perché si tratterebbe di modifica dello statuto della fondazione ex art. 14 sia in applicazione dell'art. 2500 c.c. che prevede che l'atto di trasformazione sia sottoposto alla disciplina che presiede alla costituzione della società di capitali risultante). Sarà necessaria la relazione di stima del patrimonio della fondazione (Maltoni, 3267; Pasquini, 1471). La competenza a proporre la trasformazione spetta all'organo amministrativo (Pasquini, 1471; Maltoni, 3268; Franch, 295 che, comunque, ammettono che la decisione possa essere deferita alla competenza dell'assemblea nelle fondazioni cd. di partecipazione a base associativa). Si ritiene, peraltro, legittima la clausola statutaria posta dal fondatore che vieta la trasformazione. Le azioni o le quote sono assegnate secondo le disposizioni dell'atto di fondazione o, in mancanza, dell'art. 31 e, dunque, su indicazione della autorità governativa in favore di altri enti aventi fini analoghi (Pasquini, ivi; Bertolotti, 175). La soluzione per certi versi attenua la frattura con il passato, segnando la riorganizzazione della fondazione nel guscio di una struttura societaria lucrativa un allontanamento dalle finalità istituzionali dell'ente originario su un piano squisitamente formale. Infatti, se è vero che la trasformazione comporta una modificazione dello scopo proprio della fondazione e che il patrimonio destinato verrà impiegato in funzione lucrativa, è altrettanto vero che gli utili rivenienti dall'attività della società continueranno a essere indirizzati al perseguimento di scopi ideali e altruistici analoghi a quelli originari (così, Sarale, 2012, 1270). 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