Regolamento - 8/10/2001 - n. 2157 art. 91. La SE è disciplinata: a) dalle disposizioni del presente regolamento: b) ove espressamente previsto dal presente regolamento, dalle disposizioni dello statuto della SE; o c) per le materie non disciplinate dal presente regolamento o, qualora una materia lo sia parzialmente, per gli aspetti ai quali non si applica il presente regolamento: I) dalle disposizioni di legge adottate dagli Stati membri in applicazione di misure comunitarie concernenti specificamente le SE; II) dalle disposizioni di legge degli Stati membri che si applicherebbero ad una società per azioni costituita in conformità della legge dello Stato membro in cui la SE ha la sede sociale; III) dalle disposizioni dello statuto della SE, alle stesse condizioni previste per una società per azioni costituita conformemente alla legge dello Stato membro in cui la SE ha la sede sociale. 2. Le disposizioni di legge adottate dagli Stati membri specificamente per la SE devono essere conformi alle direttive applicabili alle società per azioni indicate nell'allegato I. 3. Se la natura delle attività svolte da una SE è disciplinata da disposizioni specifiche delle normative nazionali, queste ultime sono integralmente applicate alla SE. InquadramentoLe istituzioni europee hanno sperimentato la creazione di un diritto societario sovranazionale, disciplinando mediante regolamenti imprese o gruppi di imprese operanti in più Stati membri, al fine di costituire una forma giuridica uniformemente regolata, almeno negli aspetti generali. Si tratta di un obiettivo del tutto distinto da quello del ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia societaria, anche se le due vie si affiancano, non solo perché il ravvicinamento delle legislazioni nazionali, che si va attuando progressivamente con le direttive sull'armonizzazione dei diritti societari nazionali, non potrà mai arrivare all' eliminazione di tutte le loro differenze, ma anche perché, pur ipotizzando il raggiungimento di questo risultato, resterebbe sempre lo spazio per un tipo di società con connotati spiccatamente europei, regolata da una disciplina non solo armonizzata, ma uniforme in tutti gli ordinamenti degli Stati membri. Il percorso è tuttavia difficile e ricco di ostacoli, determinati dalle profonde differenze ordinamentali esistenti tra i diversi Paesi, progressivamente – ma ancora parzialmente – erose dall'opera di armonizzazione. In questa sede viene esaminata la figura della Società Europea (SE), mentre in un altro capitolo verrà analizzata la Società Cooperativa Europea (SCE), dovendo darsi atto che è oramai stato abbandonato il progetto di costituzione della Società Privata Europea (SPE) e che sono ancora allo stadio iniziale i lavori avviati per la creazione della Societas Unius Personae europea (SUP). Descritte le caratteristiche essenziali di tale categoria di società, l'attenzione si incentrerà sulla verifica del raggiungimento o meno dell'obiettivo dell'unificazione normativa, funzionale all'attuazione della libertà di stabilimento. Le fonti normative.La Società Europea è stata istituita con il Regolamento (CE) n. 2157/2001, che espressamente rinvia alla Direttiva 2001/86/CE, per la parte relativa al coinvolgimento dei lavoratori nella gestione della società, a cui l'Italia ha dato attuazione con il d.lgs. 19 agosto 2005, n. 188. Al principio, la Società Europea era stata ideata perché svolgesse la funzione di « ammiraglia» del diritto societario europeo, ma, al termine di un lunghissimo e tortuoso processo legislativo, è risultata sensibilmente ridimensionata (Ghetti, 535). Dalla lettura dei «considerando» del Regolamento (CE) n. 2157/2001, si evince chiaramente la consapevolezza della necessità, per il completamento del mercato interno e per il miglioramento della situazione economica e sociale nell'Unione, di una ristrutturazione dei fattori produttivi in dimensioni adeguate a quelle dell'Unione, essendo indispensabile che le imprese, la cui attività non è limitata al soddisfacimento di esigenze puramente locali, possano progettare, e attuare, la riorganizzazione delle loro attività su scala europea. Viene infatti evidenziato che, per il raggiungimento di tale fine, non è sufficiente assicurare la libertà di circolazione, tenuto conto che le legislazioni nazionali, nonostante le misure adottate per il loro ravvicinamento, rimangono ancora difformi e che comunque, in questo modo, la dimensione giuridica delle imprese resta pur sempre confinata nell'ambito nazionale (v. in particolare il «considerando 1»). È così sentita fortemente l'esigenza che l'unità economica e l'unità giuridica delle imprese siano il più possibile tra loro corrispondenti, in modo tale che sia possibile costituire, modificare o fondere le organizzazioni imprenditoriali, senza che vi siano ostacoli nelle diverse legislazioni nazionali, che ne governano le regole (v. il «considerando 6»). Il legislatore europeo dà quindi atto che, rispetto all'originario progetto del 1970, i lavori di ravvicinamento del diritto nazionale delle società hanno fatto notevoli progressi e perciò, nei settori in cui il funzionamento della Società Europea non esige norme comunitarie uniformi, ha ritenuto possibile operare un rinvio alla legislazione sulle società per azioni dello Stato membro in cui essa ha la sede sociale (v. «considerando 9»). Come rilevato tuttavia da attenta dottrina, l'utilizzazione di regole nazionali degli Stati membri per far funzionare la Società Europea non consente il perseguimento del'obiettivo di una vera unificazione normativa, perché le norme degli Stati membri non sono ancora oggetto di unificazione generalizzata, essendo allo stato il processo di armonizzazione incompleto, sicché la forma giuridica, che nel complesso si ricava della Società Europea, presenta un basso livello di autonomia rispetto al diritto nazionale di ciascun diverso Stato membro (Ghetti, 536). Sebbene dunque l'unificazione del diritto applicabile, nel Regolamento, sia indicata come la finalità primaria, tale unificazione non è stata raggiunta, perché il legislatore europeo ha fatto amplissimo utilizzo sia del rinvio al diritto nazionale, sia dei regimi opzionali rimessi alla discrezionalità dei singoli Stati membri. In base al Regolamento, la Società Europea è infatti disciplinata in via sussidiaria – per quanto non previsto dal Regolamento o (se consentito dal Regolamento) dalle disposizioni dello statuto sociale – dalle norme dello Stato membro, in cui la Società Europea ha la sede, alle stesse condizioni previste per una società per azioni costituita conformemente alla legge di tale Stato (art. 9). Vi è dunque una disciplina normativa a diversi livelli. Vi sono innanzitutto le regole comuni, effettivamente oggetto di unificazione, quali quella sul nome (art. 1 e 11), sulla divisione del capitale in azioni e sulla personalità giuridica (art. 1), sulla denominazione in euro (art. 4), sulle modalità di costituzione (artt. 2,17 e ss.), sulla struttura generale del sistema di amministrazione e controllo, che può essere monistico o dualistico (art. 38 e ss.). Per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori, elemento caratterizzante la Società Europea, la disciplina non è però contenuta nel Regolamento, ma in una direttiva ad hoc (Direttiva 2001/86/CE), a cui il Regolamento rinvia (art. 1), il cui adattamento in ogni Stato membro è dunque oggetto di armonizzazione e non di vera e propria unificazione. Sono poi oggetto di richiamo norme nazionali, che sono già state armonizzate in altre occasioni (si veda ad esempio il rinvio residuale alla normativa nazionale per la disciplina del capitale, della fusione e dei conti annuali, rispettivamente agli artt. 4 e 5, agli artt. 18, 24 e 25 e all'art. 61). Si fa infine riferimento a regole nazionali che non sono state armonizzate (è il caso, ad esempio, della responsabilità degli amministratori all'art. 51, della possibilità per le persone giuridiche di partecipare agli organi di amministrazione e controllo all'art. 47, delle competenze dell'assemblea o delle maggioranze richieste per la modifica dello statuto agli artt. 52 ss.). Interamente regolata dalla normativa nazionale è poi la disciplina relativa allo scioglimento, alla liquidazione ed all'insolvenza, di cui all'art. 63. Oltre ai rinvii alla legislazione nazionale, è poi lasciata una significativa autonomia agli Stati membri nell'adattare anche le stesse disposizioni del Regolamento, come ad esempio per l'identificazione delle categorie di operazioni soggette all'autorizzazione dell'organo di vigilanza nel sistema dualistico (art. 48). Spetta infine ai soci, nell'elaborare lo statuto della società (art. 9), scegliere tra le numerose opzioni lasciate aperte dal Regolamento (Ghetti, 536). Le caratteristiche essenziali.In base al menzionato Regolamento, la Società Europea deve far precedere o seguire la sua denominazione sociale dalla sigla «SE» (art. 4). Ha personalità giuridica (art. 10), che acquista con l'iscrizione nel registro designato dalla legge dello Stato membro della sua sede sociale, una volta esaurite le procedure previste dalla Direttiva 2001/86/CE sul coinvolgimento dei lavoratori nella gestione (art. 12). Per l'iscrizione, come pure per la cancellazione, è prevista, quale forma di pubblicità informativa (non costitutiva), anche la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (art. 14). Delle operazioni e degli atti compiuti in nome della Società Europea prima della sua iscrizione, qualora gli obblighi che ne derivano non siano stati assunti dalla stessa dopo l'iscrizione, rispondono solidalmente e illimitatamente le persone fisiche, le società o le altre entità giuridiche che li hanno compiuti, ma è ammessa la possibilità di convenire diversamente (art. 16). Il capitale sociale è suddiviso in azioni e ciascun azionista risponde soltanto nei limiti del capitale sottoscritto (art. l). È previsto un capitale minimo pari a € 120.000, ma, se la legge di uno Stato membro prescrive la sottoscrizione di un capitale più elevato per le società che esercitano determinati tipi di attività (si pensi, ad esempio, alle società che operano nel settore bancario e finanziario), tale misura più elevata si applica anche alle Società Europee che hanno la loro sede sociale in detto Stato (art. 11). In via generale, e fatte salve le disposizioni del Regolamento, la Società Europea è comunque trattata in ciascuno Stato membro come una società per azioni costituita in conformità alla legge dello Stato in cui essa ha la sede (art. 10). I modi di costituzione.Il Regolamento concepisce la Società Europea come una sorta di «società di secondo grado», perché può avere luogo solo ad opera di altre preesistenti imprese, appartenenti all'Unione europea e non operanti solo a livello locale, secondo cinque diverse modalità tassativamente previste. In primo luogo può costituirsi per fusione. Tale ipotesi ricorre allorché la Società Europea sia generata dalla fusione di più società per azioni, appartenenti a diversi ordinamenti. Il procedimento – che ai sensi dell'art. 17 può avvenire tanto nelle forme della fusione per incorporazione, nel qual caso è l'incorporante ad assumere la forma di Società Europea, quanto attraverso la costituzione di una nuova Società Europea – è oggetto di un'articolata disciplina (artt. 2, 17 e ss.), volta ad assicurare un'adeguata pubblicità dell'iniziativa ed una soddisfacente tutela dei molteplici interessi generalmente coinvolti in ogni operazione di fusione (in particolare, la corretta determinazione del rapporto di cambio, cui si deve pervenire per tramite di una puntuale valutazione del patrimonio delle società partecipanti, e l'efficace tutela dei terzi creditori, degli obbligazionisti e dei portatori di strumenti finanziari). La seconda ipotesi è quella della costituzione di una Società Europea holding da parte di almeno due società di capitali (società per azioni o società a responsabilità limitata), che, soggette alla legge di almeno due Stati membri differenti, od aventi da almeno due anni un'affiliata o una succursale soggetta alla legge di un diverso Stato membro, intendano in tal modo sottoporsi ad una direzione unitaria. È previsto l'avvio del procedimento per iniziativa degli organi di direzione o di amministrazione di ciascuna delle società coinvolte che, per mezzo di un apposito progetto reso noto nelle forme di legge, propongono ai rispettivi soci di scambiare le loro partecipazioni sociali con azioni della futura Società Europea holding. I soci sono liberi di aderire o meno alla proposta, la quale non potrà comunque ritenersi approvata se non abbia riscosso il consenso dei soci detenenti almeno il 50% delle partecipazioni sociali aventi il diritto di voto in assemblea (artt. 2, 32 e ss.). La terza ipotesi è quella della costituzione di una Società Europea affiliata da parte di società o di altri enti di diritto pubblico o privato, costituiti in conformità alla legge di uno Stato membro e che abbiano sede in esso (artt. 2, 35 e ss.). L'iniziativa, che a differenza delle precedenti è connotata dalla eterogeneità dei soggetti coinvolti, presuppone che questi siano comunque sottoposti alla legge di almeno due diversi Stati membri o abbiano da almeno due anni un'affiliata soggetta ad una diversa legge o una succursale ubicata in un diverso Stato membro. La quarta ipotesi è quella della costituzione di una Società Europea affiliata da parte di una Società Europea (art. 3). La quinta ed ultima ipotesi è infine quella della trasformazione di una società per azioni in Società Europea (artt. 2 e 37). Posto che la nascita della Società Europea non può avere luogo in assenza di un qualche elemento di internazionalità, il Regolamento precisa che una società per azioni può trasformarsi in Società Europea nel solo caso in cui essa abbia da almeno due anni un'affiliata soggetta alla legge di un diverso Stato membro, disciplinando il relativo procedimento. In particolare, prevede non solo che il relativo progetto debba chiarire e giustificare gli aspetti giuridici ed economici dell'iniziativa, indicando espressamente le conseguenze che ne deriverebbero per gli azionisti ed i lavoratori, ma anche (per evitare abusi in danno di questi ultimi) che i singoli Stati membri possano stabilire che la trasformazione debba essere approvata con il voto unanime dei membri dell'organo presso cui è organizzata la partecipazione dei lavoratori. I requisiti di accesso alla Società Europea denunciano con chiarezza l'obiettivo connesso alla creazione di questo istituto, che, come già evidenziato, è stato quello di accompagnare e, per quanto possibile, favorire l'acquisizione e il rafforzamento di una dimensione transfrontaliera alle imprese (vuoi mediante la forma organizzativa della singola entità giuridica multinazionale, vuoi mediante la forma organizzativa a gruppo transnazionale di società), consentendo il superamento di ostacoli sia di natura “politica” e “sociale” (quali, in ipotesi di consolidamento transnazionale tra due o più “campioni nazionali”, la perdita della nazionalità di origine, a favore non già di una “superiore” cittadinanza sopranazionale, bensì della nazionalità di un altro Stato membro) sia tecnico giuridici (quali gli ostacoli che, almeno fino alla decisione della Corte di giustizia sul caso «Sevic» – Corte giustizia CE, 13 dicembre 2005, causa n. C-411/03, – e comunque fino all'approvazione della Direttiva 2005/56/CE sulle fusioni transfrontaliere, si opponevano in molti ordinamenti nazionali a tali riorganizzazioni societarie). La sede sociale e la mobilità transfrontaliera.Come sopra evidenziato, in generale e fatte salve le disposizioni del Regolamento, la Società Europea è trattata in ciascuno Stato membro come una società per azioni, costituita in conformità alla legge dello Stato in cui essa ha la sede (art. 10). È pertanto di grande importanza tenere presente che, per poter determinare con certezza la legge nazionale applicabile, il Regolamento prevede che la sede sociale debba essere situata all'interno dell'Unione, nello stesso Stato membro in cui è posta l'amministrazione centrale, lasciando poi la facoltà ai singoli Stati membri di imporre alle Società Europee registrate nel loro territorio anche l'obbligo di far coincidere l'ubicazione dell'amministrazione centrale con quella della sede sociale (art. 7). In mancanza di una espressa indicazione nel Regolamento, si deve ritenere che l'«amministrazione centrale» debba essere individuata nel luogo in cui è situato il centro direttivo, gestionale e amministrativo delle operazioni sociali, al quale si rivolgono i terzi per entrare in rapporto con la società (Arnò e Cancarini, 27). In altre parole, il Regolamento impone che la sede legale e quella operativa siano nello stesso Stato. Si consideri inoltre che, sempre in base al Regolamento, qualora la società non soddisfi più tale obbligo di far corrispondere la sede legale con quella amministrativa, lo Stato membro, in cui la stessa ha la sede sociale, è autorizzato ad adottare le misure appropriate per obbligarla, entro un determinato termine, a ristabilire la propria amministrazione centrale nello Stato membro della propria sede, oppure a procedere al trasferimento di quest'ultima e, se la Società Europea omette di regolarizzare la propria situazione, può essere sottoposta a liquidazione (art. 64). Non può, a questo punto, farsi a meno di rilevare come la disciplina appena illustrata risulti oramai limitante rispetto a quanto consentito, in via generale, alle società costituite nei diversi Stati membri secondo le rispettive leggi nazionali, a seguito delle numerose pronunce della Corte di giustizia, la quale, come evidenziato nel commento all'art. 2507 c.c. (Corte giustizia CE, 9 marzo 1999, causa C-212/97, caso «Centros»; ma già Corte giustizia CE, 10 luglio 1986, causa C-79/85, caso «Segers», e poi Corte giustizia UE, 25 ottobre 2017, causa C-106/16, caso «Polbud»), ha affermato che gli Stati ospitanti non possono imporre alle società, che si avvalgono della libertà di stabilimento, di osservare criteri di collegamento ulteriori rispetto a quelli dello Stato di origine, come lo svolgimento effettivo dell'attività nel paese di costituzione, né possono impedire che la sede secondaria, costituita in uno Stato diverso da quello della sede legale, sia anche la sede amministrativa dell'impresa. È di fondamentale importanza la disciplina prevista per lo spostamento della sede della Società Europea da uno Stato membro all'altro. Il Regolamento prevede infatti un articolato processo per il trasferimento della sede in un altro Stato membro (art. 8), volto a contemperare l'esigenza di mobilità transfrontaliera della società con gli interessi contrapposti, prevedendo espressamente – e questo è importantissimo – che il trasferimento non dia luogo allo scioglimento della società, né alla costituzione di una nuova personalità giuridica. A determinate condizioni dunque, lo spostamento della sede sociale può essere effettuata, senza operare la messa in liquidazione nel Paese di origine e la ricostituzione in quello di destinazione. Tale disciplina ha trovato il consenso di gran parte della dottrina, che ne ha riconosciuto l'importanza, ai fini della concreta attuazione della libertà di stabilimento, perché supera gli ostacoli troppe volte frapposti dagli ordinamenti nazionali al trasferimento della sede di società straniere. I soci possono infatti insediare o trasferire la Società Europea nello stato che offre la disciplina più vantaggiosa riguardo ai numerosi aspetti non disciplinati uniformemente dal Regolamento, in primo luogo il trattamento fiscale, così accentuando la competizione tra gli ordinamenti nazionali. Anche in questo caso, si deve tuttavia rilevare che l'utilità della previsione appena richiamata è oramai ridimensionata, a seguito del consolidato orientamento della Corte di giustizia UE, che – sia pure con riferimento a fattispecie non perfettamente identiche – ha ritenuto contrarie agli artt. 49 e 54 TFUE le legislazioni nazionali che trattano in modo differenziato le trasformazioni transfrontaliere rispetto alle trasformazioni interne, in particolare imponendo la corrispondenza della nuova sede legale con quella operativa o la messa in liquidazione della società nello stato di origine (v. Corte giustizia UE, 12 luglio 2012, Causa C-378/10, caso «Vale», e Corte giustizia UE, 25 ottobre 2017, causa C-106/16, caso «Polbud»). Gli organi, la gestione e il coinvolgimento dei lavoratori.La struttura interna della Società Europea si caratterizza per la necessaria presenza dell'assemblea dei soci. L'amministrazione e i controlli possono essere organizzati secondo il sistema dualistico oppure secondo quello monistico. Il sistema dualistico, di ispirazione tedesca, prevede la presenza di un organo di vigilanza e di uno di direzione (artt. 39 e 42). I componenti dell'organo di vigilanza sono nominati dall'assemblea generale, ma una parte di essi può essere nominata dai dipendenti della società, se lo prevedono gli accordi per il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione. L'organo di direzione gestisce la società sotto la propria responsabilità, anche se lo statuto può prevedere che la realizzazione di alcune categorie di operazioni siano preventivamente autorizzate dall'organo di vigilanza. Il sistema monistico prevede solo un organo di amministrazione, a cui è attribuita la gestione della società. I suoi componenti sono nominati e revocati dall'assemblea, salvo che gli accordi sul coinvolgimento dei lavoratori nella gestione prevedano che alcuni membri siano nominati dai dipendenti. Anche se il Regolamento non prevede la costituzione, in seno all'organo, di un comitato per il controllo sulla gestione, in virtù del richiamo operato nel Regolamento, per le Società Europee con sede in Italia si deve fare riferimento alla disciplina del sistema monistico della società per azioni, che lo prevede. Come già accennato, la responsabilità dei componenti degli organi è disciplinata dalle disposizioni in tema di società per azioni dello Stato in cui la società ha la propria sede, che viene richiamata anche in tema di redazione, controllo e pubblicità del bilancio (art. 61). Per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione, l'obiettivo principale della relativa disciplina (Direttiva 2001/86/CE, attuata in Italia con il d.lgs. 19 agosto 2005 n. 188) è quello di impedire che la Società Europea venga impiegata per eludere i diritti di partecipazione alla gestione d'impresa, che alcuni Stati membri (ad es. la Germania) riconoscono ai dipendenti. Tale coinvolgimento può essere attuato in forme tutte diverse. Può consistere in un obbligo di informazione e consultazione e può anche tradursi in un potere di nomina da parte dei lavoratori di alcuni dei componenti degli organi di gestione o di controllo della società. È stato già evidenziato che la concreta determinazione delle modalità di coinvolgimento dei lavoratori è rimessa, ove possibile, agli accordi tra i rappresentanti dei lavoratori e gli organi della società, al momento della costituzione di quest'ultima. La Corte di giustizia UE, adita ex art. 267 TFUE, ha comunque precisato che l'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell'8 ottobre 2001, che completa lo statuto della società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori, deve essere interpretato nel senso che l'accordo sulle modalità relative al coinvolgimento dei lavoratori applicabile a una società europea (SE), costituita a seguito di trasformazione di una società di diritto nazionale, deve mantenere la votazione distinta al fine di eleggere, alla carica di rappresentanti dei lavoratori all'interno del consiglio di sorveglianza della SE, la quota dei candidati proposti dai sindacati, quando il diritto nazionale applicabile impone una siffatta votazione distinta. Nell'ambito di tale votazione, inoltre, deve essere rispettata la parità di trattamento tra i lavoratori di detta SE, delle affiliate e delle dipendenze di quest'ultima, nonché tra i sindacati ivi rappresentati (Corte giustizia UE, 18 ottobre 2022, causa C-677/20). I limiti del processo di unificazione per il tramite della Società Europea.Quasi tutta la dottrina è concorde nel ritenere che il tentativo di creare forme societarie normativamente autonome, mediante la creazione della Società Europea (e della Società Cooperativa Europea) non ha avuto successo. L'unificazione normativa presuppone la sostituzione delle disposizioni di ciascun paese con regole comuni, pretende completezza su tutti gli aspetti del tipo, richiedendo pertanto uno sforzo superiore rispetto a quello di semplice armonizzazione. La società esaminata non rispetta queste caratteristiche e non può quindi dirsi ad oggi genuinamente europea. Nelle società venute ad esistenza, e riservate, nei fatti, allo svolgimento di attività di impresa di rilevanti dimensioni, si possono isolare ben tre fonti normative distinte: oltre alle norme unificate, sopravvivono le regole armonizzate dalle direttive ad hoc o da altre direttive e norme non armonizzate. Ciò comporta che, rimanendo applicabile il diritto nazionale, armonizzato o meno, le permanenti differenze fanno venire alla luce sì un tipo sociale teoricamente unico, che fa però troppo frequentemente ricorso alla tecnica del rinvio a norme a loro volta di origine diversa. Questo complesso collage normativo, fortemente eterogeneo tanto nella forma quanto nei contenuti, conduce inevitabilmente ad individuare, all'interno del modello delle singole società europee, diverse forme societarie a seconda dell'ordinamento di riferimento (Ghetti, 549). In altre parole, si è in questo modo creato, non un solo modello di Società Europea, comune a tutti i paesi dell'UE, ma un modello di Società Europea per ciascuno degli Stati a cui il Regolamento è applicabile (Lamandini, 2017, 615). L'effetto che ne è conseguito è stato quello di ampliare la scelta delle forme societarie che possono assumere le imprese nei diversi Stati membri, mediante l'introduzione di un elemento aggiuntivo di concorrenza tra ordinamenti, e al tempo stesso di arbitraggio normativo, ulteriore rispetto a quelli già esistenti (Lamandini, 2017, 615). Deve poi tenersi presente che, come già illustrato, la Società Europea, al momento in cui è stata ideata, poteva presentarsi appetibile, per i vantaggi operativi che offriva ai fini della libertà di stabilimento, in particolare con riferimento alla disciplina prevista in tema di fusioni transfrontaliere e di trasferimenti delle sedi sociali da uno Stato all'altro. Tuttavia, prima la giurisprudenza della Corte di giustizia UE e poi l'adozione della «Decima Direttiva» in materia societaria hanno risolto il problema delle fusioni transfrontaliere, almeno per le società di capitali, costituite in conformità alla legge nazionale di ciascuno Stato membro. Inoltre, con riguardo alla mobilità della sede sociale, non possono non considerarsi le già menzionate pronunce della Corte di giustizia UE (v. Corte giustizia UE, 12 luglio 2012, Causa C-378/10, caso «Vale», e Corte giustizia UE, 25 ottobre 2017, causa C-106/16, caso «Polbud»), che, sia pure con riferimento alle similari ipotesi di trasformazioni transfrontaliere, hanno dato applicazione al principio della libertà di stabilimento, peraltro senza imporre la corrispondenza tra sede effettiva e sede legale, come invece richiede il Regolamento esaminato. BibliografiaAa.Vv., Percorsi di diritto societario europeo, a cura di Pederzini, Torino, 2016; Aa.Vv., La società europea. Fonti comunitarie e modelli nazionali, a cura di Corapi, Pernazza, Torino, 2017; Arnò, Cancarini, La società europea, Milano, 2007; Capriglione, La nuova disciplina della società europea, Padova, 2008; Caterino, Il regolamento sulla società europea e la connessa direttiva sul coinvolgimento dei lavoratori, in Giur. comm., 2002, 479; Enriques, Zorzi, Armonizzazione e arbitraggio normativo nel diritto societario europeo, in Riv. soc. 2016, 775; Fiorio, Lo statuto della società europea: la struttura della società ed il coinvolgimento dei lavoratori, in Giur. it., 2003, 1020; Ghetti, Il problema delle forme societarie europee tra unificazione, armonizzazione e arbitraggio normativo nel diritto societario europeo, in Riv. soc. 2016, 521; Lamandini, Società europea, in Enc. dir., Annali, Milano, 2011, 114; Lamandini, La Società Europea, in Diritto societario europeo e internazionale, diretto da Benedettelli e Lamandini, Assago, 2017; Petrelli, Lo stabilimento delle società comunitarie in Italia, in Riv. not. 2004, 343; Sardelli, Il tortuoso percorso della società europea tra armonizzazione e «forum shopping», in Annali (Università degli Studi del Molise), 2013, 735. |