Codice Civile art. 2615 ter - Società consortili (1).

Lorenzo Delli Priscoli

Società consortili (1).

[I]. Le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell'articolo 2602.

[II]. In tal caso l'atto costitutivo può stabilire l'obbligo dei soci di versare contributi in denaro.

(1) Articolo inserito dall'art. 4 l. 10 maggio 1976, n. 377.

Inquadramento

Prima della riforma del 1976 era dibattuto in dottrina il problema se l'art. 2620 c.c. (prevedendone l'estensione dei controlli pubblicistici) si riferisse alle società formalmente conformi al tipo adottato, ma che perseguissero indirettamente scopi consortili (Guglielmetti, 400) oppure, potesse avallare una prassi ormai consolidata di utilizzazione diretta dei tipi societari per realizzare scopi consortili (Ferri, 381).

L'introduzione dell'art. 2615-ter sembra aver risolto il problema in funzione della seconda alternativa, infatti la norma consente esplicitamente che taluni tipi societari assumano quale oggetto statutario un'attività consortile, cioè un'attività di carattere mutualistico e quindi incompatibile con la causa lucrativa (produzione di utili in senso stretto) delle società (almeno quando l'attività venga svolta secondo le regole della mutualità c.d. pura) rendendo peraltro inutile l'inserimento nell'atto costitutivo o nello statuto di clausole concernenti il conseguimento, la ripartizione e la distribuzione degli utili (opinione prevalente: per tutti Marasà, 235; Galgano, 18).

Si afferma dunque, sotto il profilo organizzativo, che rispetto alla fattispecie società-organo del consorzio, nelle tre configurazioni di organo giuridico, organo economico, doppia società (Ascarelli, 114) l'unica figura normativamente contemplata è quella della società-consorzio in senso stretto, ovvero la costituzione di una “unica” società che ha come oggetto sociale gli scopi previsti dall'art. 2602 c.c. (Marasà, 90).

La dottrina prevalente sostiene l'ammissibilità di società consortili c.d. miste, ovvero con la partecipazione anche di soci “non” imprenditori ma la cui presenza sia ritenuta strumentale alla realizzazione delle finalità consortili, quali ad es.: i soci “sostenitori” od anche le associazioni rappresentative di categorie imprenditoriali (Galgano, 18).

In tema di società consortili, qualora un soggetto (nella specie, ente pubblico territoriale, in persona della regione Marche) assuma una partecipazione al capitale di una società consortile per azioni (nella specie, con legge regionale) «secondo le norme del c.c.», concedendo a quest'ultima finanziamenti a titolo di contributo (nella specie, per le spese di acquisizione delle aree necessarie allo svolgimento dell'attività sociale ed alla progettazione ed esecuzione dei relativi manufatti), tale contributo (che costituisce una forma di finanziamento della società) non genera alcun obbligo di remunerazione o di restituzione, dovendosi nettamente distinguere dai prestiti sociali, ed assimilarsi, invece, ai “versamenti a fondo perduto”, con la conseguenza che, fallita la società consortile, nessun diritto all'ammissione al passivo può essere legittimamente vantato dal finanziatore (Cass. I, n. 11081/2004).

In materia di società consortile costituita secondo il tipo delle società di capitali (nella specie, s.r.l.), la causa consortile può comportare la deroga delle norme che disciplinano il tipo adottato ove la loro applicazione sia incompatibile con profili essenziali del fenomeno consortile, fermo restando che siffatta deroga non può giustificare lo stravolgimento dei principî fondamentali che regolano il tipo di società di capitali scelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale; tra i principî inderogabili rientra quello recato dall'art. 2472, comma 1, c.c., in virtù del quale nella s.r.l., per le obbligazioni sociali, risponde soltanto la società con il suo patrimonio – fatta eccezione del caso disciplinato dall'art. 2497, comma 1, c.c. – con conseguente inapplicabilità alla società consortile a responsabilità limitata dell'art. 2615, comma 2, c.c., che prevede la responsabilità solidale dei singoli consorziati con il fondo consortile per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio. Tale disposizione, tuttavia, non costituisce espressione di una regola generale, poiché la normativa speciale in tema di appalti pubblici (artt. 21, ultimo comma, della l. n. 584/1977, e 23, comma 7, del d.lgs. n. 406/1991), ha previsto la responsabilità illimitata e solidale dei consorziati per le obbligazioni assunte verso i terzi dalla società consortile nei confronti dell'ente appaltante, e, quindi, con l'art. 13, comma 2, della l. n. 109/1994, anche nei confronti di subappaltanti e fornitori (Cass. I, n. 7473/2017).

La società consortile può svolgere una distinta attività commerciale con scopo di lucro ed è questione di merito accertare i rapporti tra la società stessa e i consorziati nell'assegnazione dei lavori o servizi per stabilire la necessità del “ribaltamento” integrale o parziale di costi e ricavi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto; in caso di differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato alla società consortile, il consorziato ha l'onere di provare — nel rispetto dei principî di certezza, effettività, inerenza e competenza — che la differenza stessa non integri suoi ricavi occulti ovvero che essa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo (Cass. S.U., n. 12190/2016).

Alla società consortile a responsabilità limitata costituita per l'esecuzione delle opere pubbliche appaltate alle imprese consorziate, pur se già riunite in raggruppamento temporaneo di imprese, si applica la regola dettata dall'art. 2472, comma 1, c.c., in virtù della quale nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. Invero, in caso di consorzio costituito in forma di società di capitali, la causa consortile giustifica la deroga delle norme che disciplinano il tipo di società scelto, ma non anche a quelle che fissano le regole fondamentali del tipo; e la personalità giuridica propria delle società di capitali costituisce un diaframma tra i singoli soci e i terzi creditori della società, che è il tratto essenziale della disciplina in subiecta materia (Cass. I, n. 7734/2016).

È stato affermato che l'introduzione, nello statuto di una società consortile per azioni, di una clausola che ponga a carico dei consorziati l'obbligo di eseguire nuovi conferimenti in caso di perdite non può avvenire con deliberazione adottata a maggioranza, occorrendo allo scopo il consenso di ciascun consociato  (Cass. I, n. 2623/2018).

Sull'applicabilità della disciplina delle società di capitali alle consortili

Premesso che la società consortile è una fattispecie mista (struttura organizzativa societaria e funzione consortile) la dottrina prevalente ritiene che sia applicabile, almeno tendenzialmente, la disciplina societaria (Campobasso, 275).

L'adozione, all'interno del fenomeno consortile, del modello organizzativo societario comporta necessariamente una scelta sul piano strutturale tra gli istituti di riferimento. Conseguentemente alla società consortile non è applicabile l'art. 1721 c.c. ai fini del riconoscimento della prededuzione sulle somme pagate dalla Regione alla società-socia (consorziata) dichiarata fallita, in quanto, anche se al socio è possibile applicare il modello giuridico del mandato quando contratta con i terzi, considerato l'esplicito riferimento ad esso dell'art. 2609 c.c. (benché con gli adattamenti in tema di responsabilità previsti dall'art. 2615 c.c.), il modello del mandato è invece inapplicabile qualora sia stata scelta la formula societaria (società consortile ex art. 2615-ter) che con il mandato non ha alcuna affinità (Cass. I, n. 77/2001).

Circa l'assoggettamento ad Irpeg dei proventi dell'appalto di un'opera pubblica, la presenza di una società consortile costituita nelle forme di società di capitali, non determinando alcuna modificazione nella titolarità dei rapporti con il committente, non esclude la riferibilità alle singole società socie delle attività poste in essere per il suo tramite, con la conseguenza che a queste ultime restano imputabili, tra i ricavi, i corrispettivi dovuti dal committente, essendo invece riferibili alla società consortile, tra i costi, le spese sostenute per l'esecuzione unitaria dei lavori, e, tra i ricavi, i contributi versati pro quota dalle società socie a copertura di tali spese (Cass. I, n. 13582/2001).

Considerata la causa consortile, devono ritenersi inapplicabili le norme societarie coerenti alla causa lucrativa, oppure, contrastanti con la funzione consortile (ad es. distribuzione degli utili) anzi, sembra ipotizzabile che oltre la disciplina societaria esplicitamente connessa alla causa lucrativa, la funzione consortile-mutualistica consenta di “piegare” e far regredire a mero significato dispositivo anche varie altre norme societarie normalmente inderogabili, ma a condizione che la norma imperativa societaria non sia correlata alla tutela di interessi di terzi (Marasà, 122).

Alla società consortile non si applica l'art. 2615, comma 2 c.c., dunque delle obbligazioni sociali risponde solo il patrimonio sociale (Volpe Putzolu, 345; contra, Guglielmetti, 374).

  La giurisprudenza di legittimità ha, in proposito, precisato che, qualora un consorzio assuma veste societaria, come consentito dall'art. 2615-ter c.c., la responsabilità per le obbligazioni assunte segue la disciplina tipica della forma societaria adottata. In presenza di una società consortile a responsabilità limitata, dunque, i soci non possono essere chiamati a rispondere delle obbligazioni assunte dalla società, trovando applicazione l'art. 2472, comma 1, c.c., e non già l'art. 2615 c.c., dal momento che l'inserimento della causa consortile in una certa struttura societaria può comportare la deroga delle norme che disciplinano il tipo adottato ove la loro applicazione sia incompatibile con profili essenziali del fenomeno consortile, ma non può giustificare lo stravolgimento dei connotati fondamentali del tipo legale prescelto, tra cui rientra, nel caso di società a responsabilità limitata, la regola per cui delle obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (Cass. V, n. 15863/2020).

Sembra, inoltre, derogabile la regola per cui il socio, oltre al conferimento, può essere obbligato ad effettuare solo delle prestazioni accessorie, infatti, potrebbero essere compatibili alla causa mutualistica anche vari tipi di obblighi consortili disciplinati come obblighi sociali (Marasà, 123).

Anche la regola della libera circolazione dei titoli azionari, oltretutto dispositiva, può essere agevolmente derogata tramite clausole statutarie che prevedano (come vincolante e condizione di efficacia) ad es.: l'attualità della qualifica imprenditoriale, od anche, l'appartenenza ad una determinata categoria imprenditoriale, oppure, in via collaterale, una deroga al diritto di opzione, dunque clausole destinate ad agevolare una “mutualità aperta” con l'allargamento della base sociale (Volpe Putzolu, 444).

I contributi in denaro

L'eventuale obbligo dei soci di versare contributi in denaro (comma 2) si riferisce ai contributi successivi, in quanto i contributi iniziali sono assorbiti dall'obbligo del conferimento, la norma deroga pertanto ad una prescrizione inderogabile per le società lucrative (desumibile dagli artt. 2253,2345 e 2478 c.c.) ovvero, che il conferimento fissa la misura massima dell'obbligo pecuniario del socio (Volpe Putzolu, 436).

La possibilità di imporre contributi ulteriori ed aggiuntivi al conferimento (fissi o variabili) è funzionale agli organismi mutualistici, nei quali non è determinabile a priori il costo di gestione del servizio, dunque la necessità di stabilire criteri di ripartizione variabili nel tempo, anche in relazione alla rispettiva “misura” di fruizione del servizio da parte di ciascun consorziato (Marasà, 116).

Il legislatore ha rimesso all'autonomia delle parti la scelta tra la regola di limitazione del rischio al conferimento (propria del tipo società) e l'esigenza di rendere duttile il finanziamento dell'attività comune (propria del tipo consorzio), ma ha altresì evitato possibili abusi determinati dall'incertezza, stabilendo che l'obbligo, in concreto, di versare contributi in denaro, sussiste solo qualora sia previsto nell'atto costitutivo, escludendo, implicitamente, che se non previsto possa essere introdotto a maggioranza. Si conviene peraltro, che l'atto costitutivo debba indicare, almeno, i criteri per la ripartizione dei contributi, ma salvo ciò, sembrerebbe compatibile ed ammissibile anche la previsione statutaria che commisurasse l'entità dei contributi dovuti al totale delle perdite della gestione mutualistica (Volpe Putzolu, 436).

In ogni caso, le due attività (quella di produzione tipica della società per la quale sono previsti i conferimenti e quella di erogazione tipica del consorzio per la quale sono previsti i contributi) dovrebbero rimanere distinte a livello contabile, perché altrimenti risulterebbe notevolmente difficile la determinazione del contributo per il finanziamento delle spese mutualistiche. Infatti vi sarebbe confusione tra attività con i terzi e attività con i soci consorziati e questi si potrebbero veder costretti a contribuire senza limiti a una copertura a fondo perduto delle perdite dell'impresa, ancorché avessero scelto per l'esercizio della attività un regime di responsabilità limitata (Ferri, 598).

Cooperative consortili

La norma si riferisce a tutti i tipi societari caratterizzati dalla causa lucrativa e soggetti ad iscrizione, infatti non sono ricomprese nel rinvio legislativo né la società semplice, né la cooperativa; per quanto concerne il mancato richiamo della società semplice, si ritiene che la ratio debba rintracciarsi nella volontà del legislatore di impedire che tramite la società semplice consortile possa venire eluso l'obbligo di iscrizione previsto per i consorzi con attività esterna, più complessa e dibattuta la questione per quanto concerne la cooperativa (Marasà, 108).

Parte della dottrina ritiene che il silenzio della norma sul punto vada interpretato quale inammissibilità dell'utilizzazione del tipo cooperativa, in quanto, vi sarebbe una notevole distinzione tra mutualità cooperativa (risparmio di spesa e/o incremento di salario) e mutualità consortile (incremento di profitto), distinzione che giustifica anche l'incompatibilità strutturale tra i due tipi, potendo essere derogate nei consorzi anche le stesse regole del principio democratico (voto per teste e porta aperta) (Volpe Putzolu, 348).

Altra tesi evidenzia lo sviluppo della normativa agevolativa ritenendola, nel suo complesso, una deroga alla regola generale dell'incompatibilità tra “scopo” consortile e “modello” cooperativo (Marasà, 300) per cui, ormai, potrebbero delinearsi le seguenti regole: i grandi imprenditori commerciali (salvo non siano essi stessi delle cooperative) possono usare solo il tipo consorzio; i soggetti non imprenditori possono usare solo il tipo cooperativa, i piccoli e medi imprenditori, anche non commerciali, possono adottare, indifferentemente, sia il tipo consorzio che il tipo cooperativa (Marasà, 115).

Il contratto di consorzio di cui all'art. 2602 c.c. non comporta l'assorbimento delle imprese contraenti in un organismo unitario, con creazione di un rapporto di immedesimazione organica tra il consorzio e le imprese consorziate ma unicamente la costituzione di una organizzazione comune per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive attività dei contraenti, avente essa stessa carattere strumentale rispetto a quella delle imprese consorziate. Ne consegue che il consorzio di cooperative ammesso ai pubblici appalti, soggetto alla disciplina speciale dettata dall'art. 27-bis del d.lgs.C.p.S. 14 febbraio 1947, n. 1577, non è solidalmente responsabile nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte da un'impresa consorziata nell'esecuzione di un contratto di appalto a quest'ultima assegnato dal consorzio, trovando applicazione il generale principio di cui all'art. 1372, comma 2, c.c., e ciò, a maggior ragione, nel caso in cui il consorzio sia costituito in forma di società cooperativa a r.l., attesa l'intensa autonomia di cui sono dotate le società di capitali, la quale esclude che le vicende dei rapporti facenti capo ai singoli soci possano ripercuotersi sulla società (Cass. I, 1636/2014).

Occorre comunque tenere presente che il socio può erogare somme di denaro in favore della società a vario titolo (conferimenti, finanziamenti o contributi ex art. 2615 ter, comma 2, c.c.), sicché, per ritenere esistente il diritto alla restituzione e verificare la fondatezza dell'eccepita prescrizione, occorre qualificare giuridicamente i versamenti effettuati, previa interpretazione della volontà delle parti, tenendo conto che la prescrizione breve, prevista dall'art. 2949 c.c., riguarda solo quei diritti derivanti da relazioni fra i soggetti dell'organizzazione sociale che dipendono dal contratto sociale o da deliberazioni societarie, esclusi tutti gli altri diritti fondati su ordinari rapporti giuridici che la società può instaurare al pari di qualsiasi altro soggetto (Cass. I, 3628/2021).

Trasformazione

Deve ritenersi ammissibile la trasformazione di un consorzio in società “ordinaria” consortile, in quanto si avrebbe solo trasformazione della struttura senza mutamento della causa; sembra anche potersi ammettere anche la trasformazione di una società “lucrativa” in società consortile (ovvero, anche l'ipotesi inversa) precisando che in tal caso, trattandosi di un mutamento della causa, la trasformazione deve essere decisa all'unanimità, pur se non necessariamente con delibera assembleare poiché non suppone una modifica dell'atto costitutivo (Marasà, 131).

Rapporti con l'associazione temporanea d'imprese

In tema di appalto di lavori pubblici, l'art. 23-bis della legge 8 agosto 1977, n. 584, introdotto dalla legge n. 687/1984 (art. 26 d.lgs. n. 406/1991), ha la esclusiva portata di legittimare la società consortile nei confronti dell'ente appaltante nella esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto a carico dell'Associazione Temporanea d'Imprese, ma non ne comporta la sostituzione, sia perché la norma fa riferimento ad un «subentro» nella esecuzione totale o parziale del contratto e non ad una successione nel rapporto giuridico sorto con la convenzione con l'ente appaltante; sia perché la norma esclude in modo assoluto – «ad alcun effetto» – che ciò determini subappalto o cessione di contratto, tant'è che espressamente prevede che non siano necessarie autorizzazioni o approvazioni; sia, infine, perché permane la responsabilità delle imprese riunite, come regolata dall'art. 21 l. n. 584/1977. Il regime dell'associazione temporanea d'imprese è diverso da quello della società consortile, che sia stata successivamente costituita, facendo capo l'uno alla riunione d'imprese regolata dagli artt. 17, 18 ss. l. n. 584/1977, nella quale si instaura tra la capogruppo e le altre un rapporto di mandato, gratuito ed irrevocabile (art. 20, comma 1, e 22 l. n. 584/1977, il cui tenore è stato trasfuso nell'art. 23, comma 8, d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, che ha attuato la Direttiva comunitaria n. 89/440 in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici e dalla cui entrata in vigore ha cessato di operare la legge n. 584) e l'altro (avuto riguardo al rinvio dell'art. 2615-ter) alle norme codicistiche consortili e societarie, per le quali la società consortile opera in forma fortemente aggregata, delibera con il criterio e le regole proprî degli organismi associativi (e cioè con le maggioranze stabilite in relazione all'oggetto) ed è gestita attraverso organi che hanno poteri rappresentativi ed amministrativi ed assumono responsabilità nei confronti dei consorziati, secondo la generale disciplina dell'art. 2392 c.c. D'altra parte l'adozione, all'interno del fenomeno consortile, del modello organizzativo societario comporta necessariamente una scelta sul piano strutturale tra gli istituti di riferimento. Conseguentemente se anche al consorzio – nella sua forma più semplice – è possibile applicare il modello giuridico del mandato, nel momento in cui contratta con i terzi, considerato l'esplicito riferimento ad esso dell'art. 2609 cpv. c.c., sia pure con gli adattamenti in tema di responsabilità previsti dall'art. 2615 c.c., quel modello si appalesa impraticabile allorché si sia di fronte alla scelta della formula societaria, che con il mandato non ha alcuna affinità (Cass. I, n. 77/2001).

In tema di associazione temporanea di imprese, l'art. 13, comma 2, l. n. 109/1994, nel prevedere una responsabilità illimitata e solidale dei consorziati per le obbligazioni assunte dalla società consortile  nei confronti dei terzi, oltre che nei confronti dell'ente appaltante, anche nei confronti dei subappaltatori e dei fornitori, costituisce una norma speciale che non può essere interpretata estensivamente, né essere applicata a soggetti terzi, quali i fideiussori del fornitore o il subappaltatore. Di conseguenza, il cessionario dei crediti del fornitore o il soggetto surrogato nei diritti di credito del cedente, in virtù di fideiussione, non può avvalersi della responsabilità illimitata dei consorziati, ex art. 13 cit. (App. Milano, sez. IV, 4 aprile 2018, n. 1691).

Bibliografia

Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino 2016; Galgano, Le fasi dell'impresa nei consorzi fra imprenditori, in Giur. it. 1986, 17; Genco, Contributi obbligatori dei soci nelle cooperative. Prestazioni accessorie e regime della responsabilità sociale, in Giur comm., 2017, 630; Guglielmetti, La concorrenza e i consorzi, in Tr. Vas., Torino, 1970; Marasà, Le società senza scopo di lucro, Milano, 1984; Montonato, I contributi consortili: tra estensione del rischio di impresa e criteri di applicazione, in Banca borsa tit. cred., 2020, 568; Seminara, L'introduzione di clausole di "ribaltamento delle perdite" nello statuto di società consortili organizzate in forma capitalistica, in Giur. comm., 2020, 845;  Volpe Putzolu, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Tr. Gal., IV, Padova, 1981, 344.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario