Codice Civile art. 2511 - Società cooperative (1).Società cooperative (1). [I]. Le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico iscritte presso l’albo delle società cooperative di cui all’articolo 2512, secondo comma, e all’articolo 223-sexiesdecies delle disposizioni per l’attuazione del presente codice (2). (1) V. nota al Titolo VI. (2) Articolo modificato dall'art. 10, comma 1, l. 23 luglio 2009, n. 99, che ha aggiunto, dopo le parole "scopo mutualistico", le parole "iscritte presso l’albo delle società cooperative di cui all’articolo 2512, secondo comma, e all’articolo 223-sexiesdecies delle disposizioni per l’attuazione del presente codice". InquadramentoL'art. 2511 definisce la società cooperativa sulla base di tre elementi: 1) lo scopo mutualistico; 2) la variabilità del capitale; 3) l'iscrizione all'albo. Occorre evidenziare come la definizione prescinda dalla scelta compiuta dalla singola società cooperativa di strutturarsi secondo il modello della società per azioni ovvero di quello della società a responsabilità limitata e sia dal carattere prevalente o meno della mutualità. In particolare, attraverso lo scopo mutualistico la società cooperativa esprime la sua funzione sociale (di rilevanza costituzionale dal momento che, secondo l'art. 45 Cost., «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità») (Farenga , 501; Santagata, 830) e si distingue dalla società lucrativa. La funzione sociale della cooperativa, fondata sullo scopo mutualistico e sulla mancanza di fini di speculazione privata, consiste nel rendere possibile ai soci cooperatori la realizzazione dei loro bisogni anche attraverso la riduzione dei costi ed il miglioramento dei servizi ed è sorretta proprio dal riconoscimento costituzionale (art. 45 Cost.) e da una legislazione di sostegno e di agevolazione fiscale (Ceccherini -Schirò, 4; Santagata , ivi). La funzione sociale delle cooperative, correlata al perseguimento dello scopo mutualistico, all'assenza in esse di fini di speculazione ed alla loro struttura fondata sull'uguaglianza, è un requisitodell'intero fenomeno e ciò vale con riferimento alla distinzione tra cooperazione «costituzionalmente riconosciuta» (o «a mutualità prevalente) e cooperazione «diversa da quella costituzionalmente riconosciuta» (o «a mutualità non prevalente»), nel senso che anche le cooperative diverse da quelle «costituzionalmente riconosciute», se conformi alle regole e al modello legale, devono possedere una funzione sociale, un valore intrinseco e una meritevolezza particolare che le distingue dalle imprese ordinarie lucrative (Bassi, Principi generali, 34). Sia le società lucrative che quelle mutualistiche possono essere accomunate per ciò che attiene lo scopo-mezzo consistente nell'esercizio in comune di una determinata attività economica, ma devono essere nettamente distinte per quanto attiene lo scopo-fine che, nelle società lucrative, è rappresentato dalla produzione di utili da distribuire ai soci, nelle società cooperative dallo scopo mutualistico (Bonfante, 283). Lo scopo mutualisticoNel codice civile non si trova una definizione di scopo mutualistico. La scelta del legislatore della riforma del 2003 fu proprio quella di non definirlo al fine di evitare la trasformazione di un mero scopo in un obbligo in capo alla società e di un diritto per i soci, il che avrebbe potuto innescare equivoci e contenzioso giudiziario senza fine tra ente e aderenti (BASSI, Principi generali, 32). Dello scopo mutualistico, però, si possono trovare cenni già nella Relazione al codice del 1942 (n. 1095) nella quale il legislatore collegava lo scopo mutualistico all'attività di fornire beni e servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri della organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato, ossia alla cd. «gestione di servizio», con la quale i soci non perseguono gli interessi di un ipotetico gruppo di terzi estranei alla società, bensì l'interesse proprio, ossia non l'interesse della categoria, ma un interesse di categoria (Casale, 11). Infatti, per perseguire lo scopo mutualistico, il legislatore richiede un particolare modo di organizzazione e di svolgimento dell'attività di impresa caratterizzata dalla «gestione di servizio» a favore dei soci. Questi ultimi sono i destinatari elettivi (ma non esclusivi) dei beni o servizi prodotti dalla cooperativa, ovvero delle possibilità di lavoro e della domanda di materie prime dalla stessa create. Il che consente, come già precisato, di ottenere condizioni più vantaggiose rispetto a quelle di mercato. Quindi la gestione di servizio va intesa come la tendenziale destinazione ai soci dei beni e servizi prodotti dalla cooperativa (SANTAGATA, 833). Nel processo di produzione e/o distribuzione vengono infatti eliminati l'intermediazione di altri imprenditori e il relativo profitto (FARENGA, 500). Pertanto,, anche i soci di una cooperativa mirano a realizzare un risultato economico ed un proprio vantaggio patrimoniale, attraverso lo svolgimento di un'attività di impresa. Il risultato economico perseguito non è però la più elevata remunerazione possibile del capitale investito (lucro soggettivo). È invece quello di soddisfare un comune preesistente bisogno economico (Campobasso, 605; Oppo, L'essenza, 369). Recentemente è stato sottolineato come jl fine mutualistico consista nel conseguimento di un particolare vantaggio economico che richiede la “coincidenza” soggettiva tra gli organizzatori dell'attività imprenditoriale e i fruitori dei beni o servizi prodotti dall'impresa stessa, presupponendo quindi lo svolgimento di quella che viene comunemente chiamata “impresa per conto proprio”, nel senso che i beni o servizi realizzati dall'impresa mutualistica non sono offerti a tutti il mercato ma sono destinati esclusivamente, prevalentemente, o, almeno, parzialmente agli stessi partecipanti, cioè ad un mercato più limitato. Se la fruizione da parte dei terzi non è prevista si parla di impresa mutualistica pura, altrimenti di impresa mutualistica spuria (Marasà, L'imprenditore, 22-23). In particolare, il vantaggio mutualistico che si realizza con la «gestione di servizio» si compone dell'elemento della prestazione di beni o servizi, che la cooperativa fornisce ai soci tramite l'attività di scambio con loro intercorrente per la soddisfazione di un preesistente bisogno, e del beneficio economico, che deriva ai soci da tale prestazione, sotto forma di risparmio di spesa o di aumento di remunerazione rispetto alle condizioni correntemente praticate sul mercato in considerazione della mancanza dell'intermediazione capitalistica (Presti-Rescigno, 599), oppure come possibilità per i soci di trarre dalla partecipazione alla cooperativa e dall'attività di scambio con questa posta in essere la concreta disponibilità di un bene o di un servizio, a volte indispensabile per lo svolgimento delle loro attività economiche individuali; beni o servizi che altrimenti, in assenza del rapporto mutualistico, essi non potrebbero conseguire (Ceccherini-Schirò, 17-18). Un diverso orientamento ritiene che le cooperative perseguano uno scopo di lucro, come le società lucrative, dalle quali si differenziano non sotto il profilo causale, ma sul piano organizzativo e per un diverso modo di distribuzione degli utili (G. Ferri, 1049). Secondo altra dottrina, invece, caratteristica essenziale della cooperativa è il suo collegamento funzionale con una categoria sociologica sottostante, caratterizzata da forti vincoli di appartenenza, con la conseguenza che la cooperativa tende a conseguire non tanto un interesse di categoria, quanto piuttosto l'interesse istituzionale della categoria sociologica di riferimento (Verrucoli, 71). Sulla base della legge di riforma 31 gennaio 1992, n. 59, in dottrina si è fatta distinzione tra mutualità «strutturale», mirata non alla massimizzazione dei profitti ma alla minimizzazione dei costi, e mutualità «individuale», finalizzata soddisfare l'interesse del socio a fruire dei prodotti della cooperativa (Buttaro, 16), pervenendosi così a ipotizzare una doppia anima della cooperazione, una rivolta a soddisfare i bisogni degli associati e una finalizzata alla promozione di interessi economici e imprenditoriali (Oppo, Futuro della cooperativa, 9). Questa distinzione è stata ripresa dalla legge delega per la riforma del diritto societario (l. 3 ottobre 2001, n. 366, art. 5, comma 1, lett. b), e art. 6, comma 1), che ha previsto la distinzione tra cooperazione costituzionalmente riconosciuta e cooperazione diversa da quella costituzionalmente riconosciuta, anche se il d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 di attuazione della legge delega ha notevolmente ridimensionato tale distinzione (v., oltre, il commento all'art. 2512). Secondo un altro autore (Marasà, Problemi, 48), la mutualità esterna, o altruistica o di sistema, realizzata attraverso la costituzione dei fondi mutualistici per lo sviluppo della cooperazione e la destinazione a loro favore di una percentuale di utili (artt. 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n. 59), è divenuta elemento causale essenziale della cooperativa. La dottrina ha fatto riferimento anche alla c.d mutualità indiretta o mediata, ossia a quelle forme di mutualità nelle quali il rapporto mutualistico non si instaura direttamente tra la cooperativa e il socio, ma può essere comunque ricondotto allo scambio mutualistico in ragione dei collegamenti tra la cooperativa e il soggetto che entra in rapporto con il socio. È il caso delle società di mutuo soccorso, nelle quali, secondo la previsione dell'art. 3 della l. 15 aprile 1886, n. 3818, come modificato dall'art. 23 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, si qualifica come rapporto mutualistico mediato quello che il socio persona fisica di una società di mutuo soccorso intrattiene con una diversa società di mutuo soccorso, a cui sia associata quella di cui è direttamente socio. Un altro caso è quello della erogazione del servizio mutualistico al socio non direttamente dalla struttura aziendale della cooperativa, ma per il tramite di società partecipate dalla cooperativa, legate a questa da vincolo societario o convenzionale/contrattuale (Vella-Genco-Morara, 34-35). Secondo la Corte costituzionale ( Sent. n. 408/1989) la protezione costituzionale della cooperazione si fonda sulla funzione sociale che caratterizza l'organizzazione cooperativa in misura maggiore rispetto ad altre forme di organizzazione produttiva e che consiste nel decentramento democratico del potere di organizzazione e gestione della produzione. Inoltre, l‘istituzione dei fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, ad opera della legge 31 gennaio 1992, n. 59, è ispirata alla mutualità di sistema o esterna, volta a incentivare la cooperazione nella sua globalità. Il legislatore gode di ampia discrezionalità nella scelta dei mezzi più idonei ad incrementare la cooperazione (Corte cost. 16 giugno 2022, n. 150). La giurisprudenza, prima della riforma del 2003, ha sempre sottolineato che la mutualità rappresenta il connotato essenziale delle società cooperative, che le differenzia da altre imprese sociali (Cass. S.U., n. 144/1970). Essa si realizza pertanto nel fornire beni e servizi ed occasioni di lavoro direttamente ai membri dell'organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato (Trib. Cagliari 9 giugno 1977). In particolare lo scopo mutualistico proprio delle cooperative può avere gradazioni diverse, che vanno dalla cosiddetta mutualità pura, caratterizzata dall'assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddetta mutualità spuria, che, attenuandosi il fine mutualistico, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando così il fine mutualistico con un'attività commerciale e con la conseguente possibilità per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro. La possibilità che la cooperativa assuma tali diverse tipologie comporta necessariamente una diversità di posizioni del socio cooperatore, senza, peraltro, che, anche laddove è più accentuato il fine mutualistico (come nelle cooperative di consumo), il parametro normativo di riferimento cessi di essere quello delle società, pur rimanendo la posizione del socio cooperativo distinta da quella del socio di una società di capitali, in quanto quest'ultimo persegue un fine puramente speculativo, mentre il primo mira di regola ad un risultato economico e ad un vantaggio patrimoniale diverso dal lucro, o comunque peculiare e variante a seconda del ramo di attività cooperativa esercitato dalla società. Tale vantaggio non è costituito (o almeno non lo è prevalentemente) dalla più elevata remunerazione possibile del capitale investito, ma dal soddisfacimento di un comune preesistente bisogno economico (di lavoro, del bene casa, di generi di consumo, di credito ed altri), con la congiunta consecuzione di un risparmio di spesa per i beni o i servizi acquistati o realizzati dalla propria società (come nelle cooperative di consumo), oppure di una maggiore retribuzione per i propri beni o servizi alla stessa ceduti (come nelle cooperative di produzione e di lavoro). Inoltre i soci di una cooperativa sono portatori di uno specifico interesse a che l'attività d'impresa sia orientata al soddisfacimento delle loro richieste di prestazioni (cosiddette prestazioni mutualistiche) ed alle condizioni più favorevoli consentite dalle esigenze di economicità nella condotta dell'impresa sociale, ma tale interesse è realizzabile dal socio soltanto azionando i mezzi di tutela predisposti dal diritto societario (impugnativa delle delibere assembleari, azione di responsabilità contro gli amministratori), qualora la gestione dell'impresa sociale non sia improntata al rispetto dello scopo mutualistico. (Cass I, n. 9513/1999). In particolare, il socio di una cooperativa, beneficiario del servizio mutualistico reso da quest'ultima, è parte di due distinti (anche se collegati) rapporti, l'uno di carattere associativo, che discende direttamente dall'adesione al contratto sociale e dalla conseguente acquisizione della qualità di socio, l'altro che deriva dal contratto bilaterale di scambio, per effetto del quale egli si appropria del bene o del servizio resogli dall'ente (Cass. I, n. 11015/2013). Il perseguimento dello scopo mutualistico è elemento caratterizzante le società cooperative, a tal punto che è stata dichiarata nulla per illiceità dell'oggetto, per contrasto con norme dettate a tutela degli interessi generali, la delibera di modifica dell'oggetto sociale di una società cooperativa, che comporti una deviazione dallo scopo mutualistico (Trib. Milano, 21 maggio 2020). Con la partecipazione ad una società cooperativa, il singolo socio pone in essere due tipi di rapporti: quello mutualistico (che ha riflessi sul piano patrimoniale) e quello sociale (che attribuisce al socio dei poteri all'interno dell'organizzazione). Con la riforma del diritto societario si è voluto evidenziare che il rapporto mutualistico, seppur distinto da quello societario, è da esso derivante e, inoltre, si è per la prima volta codificato il principio (già esistente in passato) della parità di trattamento tra i soci cooperatori. In particolare, l'art. 2516 c.c. è volto ad evitare discriminazioni nell'attuazione del rapporto mutualistico e, sebbene faccia riferimento alle fasi della costituzione e della esecuzione, il principio della parità di trattamento deve essere rispettato anche nella fase di cessazione del rapporto. Ne consegue che, pur dovendo tenersi distinti i diritti e gli obblighi derivanti dal rapporto sociale da quelli derivanti dal rapporto mutualistico, i due rapporti, tuttavia, sono connessi tra di loro. (Trib. Roma, III, 8 febbraio 2016). Quanto al rapporto tra mutualità e lucratività, la giurisprudenza ha ulteriormente affermato che, mentre lo scopo di lucro (cd. lucro soggettivo) non è elemento caratterizzante l'attività d'imprenditore commerciale, il cd. lucro oggettivo, ossia l'obiettiva economicità dell'attività imprenditoriale esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi, che costituisce invece elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale e che può essere anche accertata in via esclusiva sui dati di bilancio (Cass., 6-1, n. 3202/2019), ben può essere presente anche in una società cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci, con la conseguenza che la società cooperativa, qualora eserciti attività commerciale, può essere assoggettata, in caso d'insolvenza, alla dichiarazione di fallimento in applicazione dell'art. 2545-terdecies c.c.. (Cass., I, n. 25478/2019; Cass., I, n. 9567/2017; Cass., 6-I, n. 14250/2016;Cass., I, n. 6835/2014; Trib. Padova 12 aprile 2002). Secondo il medesimo orientamento, più di recente la S.C. ha affermato che è assoggettabile a fallimento la società cooperativa sociale che risulti svolgere un'attività commerciale secondo criteri di economicità (cd. lucro oggettivo) all'esito di un accertamento riservato in via esclusiva all'autorità giudiziaria, senza che abbiano natura vincolante i pareri e gli atti adottati dal Ministero dello sviluppo economico nell'esercizio dei poteri di vigilanza attribuitigli dalla legge e senza che rilevi l'eventuale assunzione della qualifica di onlus, ai sensi dell'art. 10 d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, trattandosi di norma speciale di carattere fiscale che non integra la “diversa disposizione di legge” contemplata dall'art. 2545-terdecies, comma 2, c.c. (Cass. I, n. 29245/2021). Sempre in tema di assoggettabilità al fallimento di una società cooperativa, i giudici di legittimità hanno stabilito che l'indagine circa la natura imprenditoriale della sua attività può essere concentrata in via esclusiva sui dati di bilancio, qualora dagli stessi emerga una sproporzione tra ricavi e costi di dimensioni tali da essere oggettivamente incompatibile con la prevalenza di uno scopo mutualistico (Cass. 6-I, n. 3202/2019). Da ultimo, in tema di cooperative e dichiarazione d'insolvenza, si è affermato che l'accertamento dello stato d'insolvenza, ai sensi dell'art. 202, comma 1, l. fall., di una società cooperativa sotto soglia ex art. 1 l. fall. non viola gli artt. 3 e 45 Cost., non costituendo disparità di trattamento rispetto ad altre società (Corte cost., n. 93/2022). Il tema del rapporto tra società cooperativa e fallimento è stato esaminato anche ai fini dell'esonero dal fallimento delle società cooperative fra imprenditori agricoli e dei consorzi di produttori che commercializzano i prodotti degli associati. Per poter pervenire a detto esonero, occorre procedere alla verifica: a) della forma sociale e della qualità dei soci; b) dello svolgimento di attività agricole in senso proprio o di attività «connesse» alle prime, anche in via esclusiva, da parte della società o del consorzio, ai sensi dell'art. 2135, comma 3, c.c.; c) dell'apporto prevalente dei soci o della destinazione prevalente a questi ultimi di beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico, ai sensi dell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 228 del 2001 (Cass. I, n. 831/2018). La Suprema Corte si è altresì interrogata sul rapporto intercorrente fra società di lucro e società cooperative con particolare riferimento alla legittimità delle clausole mutualistiche introdotte in una società per azioni. In particolare, poiché l'autonomia negoziale delle parti, nelle società capitalistiche, pur essendo libera di scegliere il modello più conveniente ai loro interessi, incontra il limite delle norme imperative che definiscono quello concretamente prescelto, essa non può spingersi fino al punto di eleggere uno scopo sociale incoerente con la sua forma giuridica. Per tale ragione, sulla base del predetto principio, la Corte ha giudicato valida la delibera, assunta a maggioranza, modificativa dello scopo sociale da mutualistico – risultato tale a sua volta da una precedente modifica statutaria – a lucrativo, perché, a differenza della delibera originaria, quella oggetto di impugnazione non si è posta in contrasto con alcuna norma imperativa dettata in tema di società per azioni o a responsabilità limitata (Cass. I, n. 7536/2005). La variabilità del capitaleLa dottrina ha precisato l'importanza del collegamento, messo in evidenza dalla disposizione in rassegna, tra la variabilità del capitale e scopo mutualistico, sicché, pur nella rispettiva autonomia normativa, i due elementi non rappresentano profili isolati, ma al contrario concorrono a definire profili fortemente interconnessi con la complessiva disciplina societaria, rappresentando due aspetti che valgono a configurare come elemento esclusivo delle società cooperative la mutualità caratteristica di tale tipo di società, in rapporto alle finalità mutualistiche presenti pure nelle strutture di tipo consortile (Genco, 1404). Il capitale variabile costituisce elemento tipico delle società cooperative, al pari, rispetto alle società di capitali, dell’assenza di un minimo legale. Quindi il capitale non è determinato in un ammontare prestabilito, ma varia in base al numero di soci e ai conferimenti da ciascuno promessi in relazione alle azioni o quote sottoscritte. Viceversa, il capitale non varia al variare del patrimonio netto, cioè in funzione di utili accumulati o di perdite subite. Tuttavia, anche nelle cooperative il capitale si atteggia a posta fissa di stato patrimoniale, la cui entità, non risultando dall’atto costitutivo, si ricava dal bilancio di esercizio. Ne consegue che il capitale delle cooperative assume le medesime funzioni che sono assegnate al capitale delle società per azioni e a responsabilità limitata. Sono perciò applicabili anche alle cooperative, in quanto compatibili, le regole sulla formazione e manutenzione del capitale previste per le società di capitali (Stagno D’alcontres -De Luca, 832-833) La variabilità del capitale è l’espressione riassuntiva di una serie di nome che «semplificano» rispetto ad altre società le regole d’ingresso nella cooperativa ed è sinonimo del principio della «porta aperta» (Bassi, Principi generali, 59), che ne costituisce l’antecedente logico, funzionale a soddisfare specifici bisogni di «categoria» e quindi di una platea di soggetti potenzialmente indeterminata, accomunati da un interesse economico unitario, che viene realizzato tramite l’esercizio dell’attività programmata (Paciello, 172). Pertanto, la variabilità del capitale incide sulla disciplina del procedimento necessario per consentire l’ingresso nella cooperativa di terzi e l’aumento del numero complessivo dei soci non comporta l’obbligo di adeguare l’entità del capitale sotto il profilo formale. Si tratta di una tecnica volta ad agevolare l’adesione di nuovi membri, sia per allargare il numero dei soggetti legittimati a usufruire del beneficio mutualistico, che per incrementare il mercato potenziale dell’impresa, che si sviluppa in funzione della quantità di prestazioni erogate ai propri membri (Paciello, ivi). La riforma di cui al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ha rafforzato il principio della porta aperta. prevedendo che l’atto costitutivo debba determinare la procedura per l’ammissione di nuovi soci secondo criteri non discriminatori, coerenti con lo scopo mutualistico e con l’attività economica svolta dalla cooperativa (art. 2527, comma 1), che le deliberazioni consiliari di rigetto siano motivate (art. 2528, comma 3) e che, in caso di rigetto, l’aspirante socio possa chiedere che sulla sua istanza si pronunci l’assemblea (art. 2528, co. 3) (Bassi, ivi). Quindi la variabilità del capitale agevola l’entrata di nuovi soci che con il loro apporto di partecipazione personale contribuiscono al funzionamento della società (Bonfante, 91) e accentua i caratteri personalistici della società cooperativa, pur senza intaccare la sua piena natura di società di capitali, destinata a regolarne l’operatività nei rapporti con i terzi (Vella-Genco-Morara, 30). Secondo l’opinione prevalente la variabilità del capitale opera anche per lo scioglimento del rapporto sociale favorendo l’uscita di soci non più interessati alla prestazione mutualistica (in senso positivo, Bonfante, ivi; Campobasso, 613; Presti-Rescigno, 602) L'iscrizione all'alboLa necessità dell'iscrizione all'Albo è stata introdotta dall'art. 10, comma 1, l. 23 luglio 2009, n. 99 (v. anche l'art. 2512, comma 2, l'art. 223-sexiesdecies disp. att. c.c. e il d.m. 23 giugno 2004). Nell'Albo delle società cooperative, tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, devono essere iscritte le cooperative a mutualità prevalente e, in una diversa sezione del medesimo Albo, le cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente (Farenga , 501). Secondo una parte della dottrina la disposizione in esame non erige l'iscrizione nell'Albo delle cooperative a requisito di esistenza della cooperativa (Ceccherini, 1432). Secondo una diversa opinione, l'iscrizione avrebbe efficacia costitutiva (Bonfante, 252). Società cooperative edilizie di abitazioneConsiderati i diversi possibili oggetti delle società cooperative, può essere utile una breve rassegna degli orientamenti in materia. Le società cooperative edilizie di abitazione sono costituite al fine di far conseguire ai soci la proprietà o comunque la disponibilità di una casa di abitazione (Farenga, 501), La dizione <<cooperativa edilizia di abitazione>> è stata adottata nella l. 31 gennaio 1992, n. 59 (art. 13) e sta proprio a indicare il perseguimento dello scopo mutualistico di assegnare ai soci alloggi in proprietà (oppure in godimento o in locazione), con o senza attività di edificazione, distinguendosi comunque dalla cooperativa di costruzione che opera sul diverso versante della cooperazione di produzione e lavoro (Schirò, 78). In particolare, il comma 1-bis dell'art. 13 l. 31 gennaio 1992, n. 59 (introdotto dall'art. 28-bis d.l. 1° marzo 2022, conv. con modificazioni dalla l. 27 aprile 2022, n. 34) ha stabilito che <<ai fini della presente legge si considerano società cooperative edilizie di abitazione le società cooperative costituite ai sensi degli articoli 2511 e seguenti del codice civile che hanno come scopo mutualistico e come oggetto sociale principale la realizzazione e l'assegnazione ai soci di alloggi in proprietà, in godimento ovvero in locazione, nonché', in via accessoria o strumentale, attività o servizi, anche di interesse collettivo, svolti secondo i principi della mutualità cooperativa e senza fini di speculazione privata, a favore dei soci, dei loro familiari nonché' di soggetti terzi, connessi direttamente all'oggetto sociale principale e, comunque, sempre riconducibili all'attività caratteristica delle cooperative di abitazione"». Le cooperative edilizie di abitazione si distinguono tra quelle che fruiscono di contributi pubblici, soggette alla disciplina del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165 (Testo unico delle disposizioni sull'edilizia economica e popolare), e cooperative libere, rimesse alla disciplina dettata dall'autonomia statutaria. Le prime sono riservate a categorie sociali stabilite dalla legge e perseguono finalità pubblicistiche; pertanto, i soci, con riferimento al procedimento di assegnazione dell'alloggio, sono normalmente titolari non di diritti soggettivi, ma di interessi legittimi, la cui tutela è sottratta al giudice ordinario. L'effetto traslativo della proprietà delle singole unità immobiliari si verifica con l'accollo del mutuo da parte del socio assegnatario, a conclusione di un procedimento che prevede la prenotazione e l'assegnazione dell'alloggio ed il frazionamento del mutuo edilizio. Le cooperative edilizie private godono invece di un ampio margine di autonomia, che consente ai soci di disciplinare in concreto l'attuazione del rapporto mutualistico. L'effetto traslativo della proprietà si verifica con l'atto di assegnazione e non con l'accollo del mutuo; inoltre, il socio prenotatario può avvalersi della tutela dell'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre, in base all'art. 2932 c.c., qualora la cooperativa non provveda al trasferimento della proprietà dell'immobile (Bassi, 93-96; Schirò, 78-79). La l. 31 gennaio 1992, n. 59 contiene varie norme innovative della disciplina delle cooperative edilizie di abitazione, tra cui l'istituzione dell'Albo nazionale delle cooperative edilizie di abitazione e dei loro consorzi, che si trovino in possesso degli specifici requisiti richiesti. L'iscrizione in detto Albo costituisce condizione necessaria per fruire dei contributi pubblici (Schirò, 79). In tema di cooperativa edilizia, si è in primo luogo ritenuto che l'assegnazione degli alloggi ai soci, effettuata in una situazione di avvenuta perdita del capitale sociale non ripianata e di irregolarità gestorie volte a occultare le effettive poste passive della società, costituisce atto di disposizione del patrimonio sociale potenzialmente idoneo a provocare la dispersione dei valori dell'impresa sociale, che gli amministratori sono obbligati ad evitare al fine di preservare l'integrità del patrimonio sociale stesso ai sensi dell'art. 2486 c.c. (Cass. III, n. 28613/2019). Quanto ai rapporti tra scopo mutualistico e scopo di lucro, si è affermato che la cooperativa edilizia, in virtù della finalità mutualistica perseguita dagli interventi pubblici volti all'individuazione delle aree da destinarsi all'edificazione residenziale di tipo economico e popolare, nel cui contesto essa si inserisce, è tenuta ad assegnare ai singoli soci non soltanto, in proprietà esclusiva, alloggi, garage e cantine, ma anche, “pro quota” indivisa, ogni altra parte dell'edificio di uso comune ai sensi dell'art. 205 del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165 e dell'art. 1117 c.c., essendo incompatibile col predetto vincolo di scopo la riserva di una parte del fabbricato a scopo di lucro. (Nella specie, la cooperativa edilizia aveva trasformato in locali commerciali alcune aree comuni, trasferendole a terzi, anziché assegnarle ai soci) (Cass., II, n. 10355/2019). Con riferimento all'assegnazione di alloggio di cooperativa edilizia a contributo statale, si è stabilito che il momento determinativo dell'acquisto della titolarità dell'immobile da parte del singolo socio, onde stabilire se il bene ricada, o no, nella comunione legale tra coniugi, è quello della stipula del contratto di trasferimento del diritto dominicale (contestuale alla convenzione di mutuo individuale), poiché solo con la conclusione di tale negozio il socio acquista, irrevocabilmente, la proprietà dell'alloggio (assumendo, nel contempo, la veste di mutuatario dell'ente erogatore), mentre la semplice qualità di socio, e la correlata «prenotazione», in tale veste, dell'alloggio, si pongono come vicende riconducibili soltanto a diritti di credito nei confronti della cooperativa, inidonei, come tali, a formare oggetto della communio incidens familiare (Cass. II, n. 13570/2018; Cass. II, n. 16305/2011). Poiché il socio di una cooperativa, beneficiario del servizio mutualistico reso da quest'ultima, è parte di due distinti (anche se collegati) rapporti, l'uno di carattere associativo, che discende direttamente dall'adesione al contratto sociale e dalla conseguente acquisizione della qualità di socio, l'altro che deriva dal contratto bilaterale di scambio, per effetto del quale egli si appropria del bene o del servizio resogli dall'ente, deve ritenersi che nelle cooperative edilizie, mentre dal rapporto associativo discende l'obbligo dei conferimenti e delle contribuzioni alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione, dal rapporto di scambio invece sorge, a carico del socio, l'obbligo di provvedere alle anticipazioni e agli esborsi di carattere straordinario necessari per l'acquisto del terreno e la realizzazione degli alloggi, prestazioni quest'ultime che non rappresentano un rimborso delle spese sopportate dalla cooperativa nell'interesse dei soci, ma il corrispettivo del trasferimento della proprietà, la cui causa dunque risulta del tutto omogenea a quella della compravendita, ed è, pertanto, soggetto alla revocatoria fallimentare ex art. 67 l. fall. (Cass., I, n. 11015/2013). Si è anche approfondita la problematica concernente la correlazione tra il perseguimento dello scopo mutualistico da parte della cooperativa edilizia e l'esercizio del diritto di recesso del socio, sostenendosi che il recesso attuato dai soci a cui sono stati già assegnati alcuni appartamenti, mentre la società è ancora impegnata nella costruzione e/o nell'assegnazione di altri alloggi, si pone in contrasto con lo scopo mutualistico che caratterizza la società cooperativa, in quanto il nesso di interdipendenza funzionale che collega lo scopo sociale alle assegnazioni globalmente considerate può dirsi raggiunto solo se tutte le assegnazioni siano esaurite e non potendosi legittimare ciascun socio a perseguire esclusivamente il proprio interesse personale, senza alcun riguardi per quello degli altri. (Cass. I, ord., n. 41515/2021;Trib. Sassari, 27 dicembre 2007). Sul punto, v. anche il commento sub art. 2532 Con riferimento alle cooperative edilizie che non fruiscono del contributo statale, si è espresso l'avviso che non trovi applicazione la disciplina speciale prevista dal r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, in forza della quale l'acquisto della proprietà dell'alloggio sociale da parte del socio deriva direttamente dalla legge al termine di un complesso procedimento, a meno che quella disciplina non sia espressamente richiamata nell'atto costitutivo e nello statuto della società. Ne consegue che, nelle cooperative senza contributo statale, il trasferimento della proprietà avviene per effetto della conclusione di un atto di autonomia privata, ovvero in virtù di un contratto sinallagmatico di scambio, assimilabile alla compravendita, la cui esistenza, in quanto negozio soggetto alla forma scritta ad substantiam, va necessariamente provata mediante produzione in giudizio della relativa scrittura (Cass., II, n. 12924/2012). Sempre in tema di cooperative edilizie, si è confermato che deve distinguersi tra il rapporto sociale, di carattere associativo, e quello di scambio, di natura sinallagmatica, rapporti che, pur collegati, hanno causa giuridica autonoma; da ciò discende che il pagamento di una somma, eseguito dal socio a titolo di prenotazione dell'immobile, deve essere ascritto al rapporto di scambio e perciò al pagamento del prezzo d'acquisto, alla cui restituzione la cooperativa è, quindi, tenuta, in caso di scioglimento dal rapporto sociale per esclusione o per recesso, anche in presenza di un disavanzo di bilancio (Cass. I, n. 13641/2003). La delibera di una cooperativa edilizia a mutualità prevalente, che imponga il conferimento a favore della cooperativa stessa di somme di denaro diverse dalle quote, integra una deviazione dallo scopo essenziale del rapporto societario e non può condurre all'esclusione dalla cooperativa del socio che non intenda adempiere a siffatta delibera (Trib. Roma, III, 30 maggio 2013). Secondo analogo orientamento, qualora una società cooperativa, avente ad oggetto l'assegnazione di alloggi ai propri soci a condizioni più favorevoli di quelle del mercato, modifichi il proprio scopo sociale in maniera tale da caricare sui soci le perdite finanziarie accumulate, essa agisce a scapito dell'interesse dei soci e l'introduzione di un <<canone di godimento>>, al fine di massimizzare le entrate e di valorizzare il proprio patrimonio immobiliare, fa venir meno il rapporto di scambio mutualistico e comporta l'ingresso della cooperativa nelle diffuse e reiterate prassi imprenditoriali tipiche delle società lucrative (Trib. Milano, 21 maggio 2020). La giurisprudenza della Corte di cassazione ha affrontato anche le problematiche relative al finanziamento effettuato dal socio di cooperativa edilizia in favore della società partecipata, affermando che detto finanziamento è riconducibile alla figura dei contratti con scopo di mutuo, ove l ' obbligo di restituzione è insito nell ' operazione compiuta , senza che sia necessaria un'esplicita pattuizione che lo preveda, con la conseguenza che il mutuante può ricorrere al giudice per ottenere la fissazione del termine di adempimento di tale obbligo, qualora non indicato dalle parti, fermo restando che la prescrizione del corrispondente diritto comincia a decorrere dalla data di stipula del mutuo (Cass. I, ord., n. 732/2020). In tema di giurisdizione e con riferimento alle società cooperative edilizie soggette all'applicazione del T.U. sull' edilizia economica e popolare (r.d. 28 aprile 1938, n.1165), si è stabilito che il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo soggiace alle comuni regole correlate alla natura giuridica della posizione fatta valere in giudizio. In particolare, tenuta distinta la prima fase di natura pubblicistica - caratterizzata dall'esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici e, corrispondentemente, da posizioni di interesse legittimo - da quella di natura privatistica - nella quale la posizione dell'assegnatario assume natura di diritto soggettivo, in forza della diretta rilevanza della regolamentazione del rapporto con l'ente - rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo le controversie attinenti a pretesi vizi di legittimità dei provvedimenti emessi nella prima fase, mentre spettano alla cognizione del giudice ordinario le controversie in cui siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o di risoluzione del rapporto (nella fattispecie, in applicazione di questo principio, è stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario in una causa in cui si chiedeva l'annullamento di delibere del consiglio di amministrazione che avevano dichiarato la decadenza del socio ) (Cass. S.U., n. 12082/2006. Conf. Cass. I, n. 22917/2013). Si è infine affermato che rientra nella giurisdizionedel giudice ordinario la controversia instaurata dal Comune per ottenere la condanna di una cooperativa edilizia al rimborso dell'indennità di esproprio corrisposta per l'acquisizione di aree poi usate dalla cooperativa stessa per la realizzazione di edifici di edilizia sociale (Trib. Catanzaro, I, 1° febbraio 2018, n. 207). Società cooperative di produzione e lavoroLe cooperative di produzione sono quelle in cui lo scambio mutualistico ha per oggetto la prestazione di servizi o il conferimento di beni da parte dei soci e trovano riferimento normativo nell'art. 2512, n. 3), e nell'art. 2513, lett. c), c.c. Poiché i soci delle cooperative di produzione sono normalmente degli imprenditori, può anche affermarsi che, in questa categoria di cooperative, lo scambio mutualistico determina a sua volta una prestazione di servizio della cooperativa alle imprese dei soci. Le cooperative di produzione sono anche definite come cooperative consortili, in quanto la qualificazione imprenditoriale del socio cooperatore emerge dalla circostanza che la prestazione di servizi o la fornitura di beni da parte del socio richiedono che esse siano il risultato di un'attività economica organizzata e quindi di un'attività d'impresa. Alle cooperative consortili fa riferimento l'art. 2538, comma 4, c.c., laddove si prevede la possibilità statutaria di riconoscere il voto plurimo in assemblea, in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico, nelle cooperative in cui la realizzazione dello scopo mutualistico avvenga attraverso l'integrazione delle imprese, o di specifiche fasi d'impresa, dei soci. E' evidente il riferimento al contenuto del contratto di consorzio di cui all'art. 2602 c.c., rivolto alla creazione di un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle imprese consorziate, e alla sua natura complessa, che può atteggiarsi a mero rapporto contrattuale ovvero a struttura dotata di autonoma soggettività rispetto ai consorziati e coniugarsi con diverse figure organizzative (consorzio con attività esterna; società lucrativa ; società cooperativa). Le cooperative consortili possono essere formate anche da imprese cooperative. In questo caso si parla di cooperative di secondo grado, in cui lo scopo mutualistico si articola su diversi livelli di aggregazione: la cooperativa consortile di secondo grado agevola il perseguimento dello scopo mutualistico dei soci delle cooperative consorziate (cooperative di primo grado). L'art. 27 della cd. l. Basevi, di cui al d.l.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, prevede la possibilità di costituire consorzi cooperativi; tale norma è ritenuta ancora in vigore, consentendo la costituzione di consorzi cooperativi con un numero minimo di tre cooperative socie(VELLA-GENCO-MORARA, 57-59). Sul punto, v. anche il commento sub art. 2545-septies. Le cooperative di lavoro sono quelle che, nello svolgimento delle loro attività, si avvalgono delle prestazioni lavorative dei soci e trovano riferimento normativo negli artt. 2512, n. 2, e nell'art. 2513, lett. b), c.c. Questa categoria di cooperativa è soggetta, però, alla specifica disciplina della l. 3 aprile 2001, n. 142, <<Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore>>, la quale ha anticipato alcune significative novità, successivamente rese di carattere generale dalle disposizioni contenute nella riforma del diritto societario del 2003, quali il riconoscimento dell'autonomia del rapporto di scambio mutualistico rispetto al rapporto societario e il ruolo dei regolamenti come atti integrativi dell'autonomia statutaria. In particolare, l'art. 6 della l. n. 142/2001 individua il regolamento interno come atto obbligatorio e affida ad esso il compito di definire le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e i diversi tipi di rapporto di lavoro attivabili con i soci, nonché di recepire, in tale ambito, i contratti collettivi (per i soci lavoratori subordinati), ovvero le discipline di legge applicabili (per i lavoratori con altra tipologia di rapporto) (ID., 59-60). Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell ' art. 5, comma 2, lett. e), d.lgs. n. 276 del 2003 , sollevata con riferimento agli artt. 3,41 e 45 Cost., laddove prescrive, per le cooperative di produzione e lavoro che intendano svolgere attività di somministrazione di lavoro, oltre ai requisiti giuridici e finanziari prescritti per tutte le agenzie, lo specifico requisito della presenza, come socio sovventore, di un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Nel bilanciamento di interessi realizzato dal legislatore, detto obbligo non sacrifica irragionevolmente la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità, mirando a realizzare un obiettivo generale di tutela dei lavoratori ed essendo volto alla garanzia dei crediti del lavoratore nei confronti dell'agenzia e a superare le difficoltà di provvista dei mezzi finanziari. Inoltre, il fondo mutualistico, socio sovventore, partecipa anch'esso del carattere di mutualità. Di conseguenza, il legislatore ha anche compiuto un ragionevole bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica delle citate agenzie e le utilità sociali (Corte cost. 16 giugno 2022, n. 150). Con riferimento alla cooperazione mutualistica nel settore dell'autotrasporto e indipendentemente dall'utilizzazione in concreto della denominazione di cooperativa, deve distinguersi la figura del consorzio fra trasportatori - che, senza esercitare direttamente una autonoma impresa di trasporto, si occupa del procacciamento e della ripartizione fra i consorziati delle commesse e sottoscrive con i clienti i contratti di trasporto, alla cui esecuzione non provvede direttamente, ma devolvendo con subcontratti ogni servizio al singolo consorziato, il quale agisce in proprio e con mezzi propri - dalla cooperativa di trasporto , che costituisce cooperativa di produzione e lavoro e la cui configurabilità postula il diretto espletamento dei servizi di trasporto, sia pure mediante l'utilizzazione delle forze lavorative degli associati. In base a tale distinzione, solo in presenza di un consorzio fra trasportatori è possibile configurare tra l'ente e gli associati autonomi contratti di (sub)trasporto; mentre con riferimento alla cooperativa di trasporto, i soci lavoratori (nel regime anteriore alla legge 3 aprile 2001, n. 142, di revisione della materia cooperativistica, applicabile nella specie ratione temporis) possono prestare la loro opera nell'ambito della cooperativa in forza degli obblighi assunti con il patto sociale - nel qual caso essi non possono essere considerati dipendenti della cooperativa medesima, sulla base di un distinto rapporto di lavoro subordinato - oppure, nell'ipotesi in cui lo statuto contempli, o comunque non escluda, la possibilità di costituire con i soci distinti rapporto di lavoro inerenti all'oggetto sociale, per effetto di separati e differenziati contratti di lavoro autonomo o subordinato. Ne consegue che, con riferimento ad una cooperativa di autotrasporto, la qualificazione dei rapporti intercorrenti tra cooperativa e soci trasportatori e la disciplina applicabile, anche per quanto riguarda i termini di prescrizione dei diritti che da tali rapporti derivano, risulta diversa, in dipendenza delle differenti modalità di attuazione del rapporto mutualistico, in concreto accertate dal giudice del merito sulla base delle risultanze di causa e delle specifiche previsioni dello statuto. (Sulla base dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, la quale aveva qualificato come contratti di trasporto, ai fini dell'applicazione del termine di prescrizione di cui all'art. 2951, comma 1, c.c., i rapporti intercorrenti tra una cooperativa e i suoi soci per la realizzazione dello scopo mutualistico) (Cass., I, n. 13269/2006). In tema di cooperative di produzione, le obbligazioni previste dall'atto costitutivo a carico del socio inadempiente all'obbligo di conferire i prodotti in cooperativa, ed in particolare le penali che siano state deliberate dall'organo amministrativo a carico del socio, sono soggette al termine di prescrizione quinquennale stabilito dall'art. 2949 c.c. (Cass., I, n. 4455/2003). In una cooperativa di lavoro, con riferimento al rapporto tra delibera di esclusione e licenziamento del socio, con orientamento consolidato la Suprema corte ha affermato il principio, secondo cui, qualora per le medesime ragioni afferenti al rapporto lavorativo siano stati contestualmente emanati la delibera di esclusione ed il licenziamento del socio, l'omessa impugnativa della delibera di esclusione osta soltanto alla tutela restitutoria della qualità di lavoratore, ma non preclude quella risarcitoria prevista dall'art. 8 della l. 22 luglio 1966, n. 608 (Cass., SU, n. 27436/2017; Cass., L, n. 8386/2019;Cass., L, n. 8224/2019; Cass., L, n. 21567/2018; Cass., L, n. 21566/2018). Il rapporto di lavoro del socio lavoratore di cooperativa è assistito dalla garanzia di stabilità, poiché, in caso di licenziamento, la maggiore onerosità per il conseguimento della tutela restitutoria, legata, oltre che all'impugnativa del licenziamento stesso, anche alla tempestiva opposizione alla contestuale delibera di esclusione, non può, di per sé, definirsi equivalente ad una condizione di metus caratterizzante lo svolgimento del rapporto lavorativo, tale da indurre il socio lavoratore a non esercitare i propri diritti per timore di perdere il posto di lavoro; ne consegue il decorso della prescrizione in costanza di rapporto (Cass. , L, n. 17989/2018 ) . L'inadempimento delle socie/lavoratrici, in seguito alla richiesta deliberata in assemblea di versamento di una consistente somma, non è connotato da una gravità tale da giustificarne l'esclusione e il licenziamento dalla società cooperativa: rilevante per la decisione è stato ritenuto il termine temporale troppo stringente (tre giorni) concesso per l'adempimento (Trib. Taranto, sez. lav., 19 aprile 2018). Nei consorzi di cooperative di produzione e lavoro, i requisiti di ordine generale e morale devono essere posseduti sia dal consorzio sia dalle imprese designate in sede di offerta per l'esecuzione dell'appalto (dovendosi ritenere cumulabili in capo al consorzio i soli requisiti di idoneità tecnica e finanziaria), e tali requisiti devono permanere, in modo continuativo, dalla data di presentazione della domanda per tutto l'iter procedimentale fino all'aggiudicazione definitiva e alla stipula del contratto (Cons. St. VI, 20 febbraio 2018, n. 1084). Cooperative socialiLa disciplina delle cooperative sociali, introdotta dalla l. 8 novembre 1991, n. 381 e in parte modificata con il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, contiene, rispetto alla disciplina generale, alcune rilevanti particolarità, che riguardano la definizione dello scopo mutualistico, la natura dell’attività (oggetto sociale) e i requisiti dei soci. Lo scopo mutualistico prevede il riferimento legale al perseguimento dell’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini. In tal modo le cooperative sociali tendono non solo ad assicurare il servizio mutualistico ai soci, ma anche a produrre vantaggi per la collettività (mutualità esterna). Esse sono considerate ex lege cooperative a mutualità prevalente (art. 111-septies disp. att. c.c.), indipendentemente dal possesso dei requisiti previsti dagli artt. 2512 e 2513 c.c., mentre i requisiti statutari previsti dall’art. 2514 c.c. per le cooperative sociali non sono facoltativi, ma hanno carattere obbligatorio. L’oggetto sociale prevede la gestione dii servizi socio-sanitari ed educativi, nonché lo svolgimento di attività diverse, finalizzate all’inserimento di persone svantaggiate. E’ prevista la possibilità di ammettere soci volontari, ossia soci lavoratori con rapporto di lavoro gratuito, e soci persone giuridiche, con la finalità di sostenere il finanziamento e lo sviluppo di tali cooperative (VELLA-GENCO-MORARA, 60-61). Le cooperative sociali di servizio di cui alla lettera a) dell'art. 1, comma 1, l. 8 novembre 1991, n. 381 perseguono, al pari di ogni altra società cooperativa, lo scopo mutualistico, ancorché si tratti di mutualità esterna, trascendente gli interessi immediati dei soci, in quanto esse mirano a realizzare, nella forma tipizzata della gestione di servizi socio - sanitari od educativi, l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini. Pertanto la gestione di servizi socio - sanitari è sufficiente a qualificare come cooperativa sociale la società cooperativa che li gestisca, restando irrilevante, ai fini della determinazione degli obblighi contributivi previdenziali, la qualità personale dei destinatari del servizio o la erogazione di esso a titolo gratuito o a pagamento (Cass., L, n. 8916/2004). Cooperative bancarieLo svolgimento di attività bancarie è consentito anche alle società cooperative, che assumono le forme societarie specifiche della banca popolare o della banca di credito cooperativo , disciplinate dal Titolo II, Capo V (artt. 28 ss.) del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico bancario). Le banche popolari sono caratterizzate dalla regola del voto per testa, indipendentemente dall'ammontare della partecipazione del socio, dalla previsione di limiti al possesso azionario (pari all'1% dell'intero capitale) e dall'adesione di un numero minimo di 200 soci. E' controverso se le banche popolari siano effettivamente connotate dallo scopo mutualistico, non trovando per loro applicazione la disciplina dell'indivisibilità patrimoniale, prevista prima dalla cd. l. Basevi di cui al d.l.C.P.S.14 dicembre 1947, n. 1577 (art. 26) ed ora dagli art. 2512-2514 c.c. Si tratta comunque di società sorrette da regole organizzative tipiche delle società mutualistiche, le quali, però, nel tempo hanno posto in evidenza alcune criticità nel funzionamento della governance societaria, anche in funzione dell'evoluzione e alle crisi dei mercati finanziari. E' stato così avviato un processo di riforma, conclusosi con la l. 24 marzo 2015, n. 33, che obbliga tali istituti bancari, nel caso che superino determinati limiti dimensionali rapportati all'attivo (8 miliardi di euro), a trasformarsi, con delibera dell'assemblea straordinaria, in società per azioni entro dodici mesi. Le banche di credito cooperativo sono caratterizzate dal voto capitario e dalla partecipazione di almeno cinquecento soci, residenti od operanti con carattere di continuità nel territorio di competenza della banca. Inoltre l'attività creditizia deve essere svolta prevalentemente a favore dei soci, salve deroghe espresse e di durata temporanea da parte della Banca d'Italia. Al fine di favorire un loro rafforzamento patrimoniale e di consentire di fronteggiare i mercati finanziari in condizioni di maggiore efficienza, con il d.l. 14 maggio 2016, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 8 aprile 2016, n. 49, è stata prevista l'adesione obbligatoria di tutte le banche di credito cooperativo ad un gruppo sottoposto alla direzione e al coordinamento di una società per azioni quale capogruppo. L'adesione a un gruppo bancario cooperativo è condizione per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo (VELLA-GENCO-MORARA, 61-62). Sul punto v. anche il commento sub art. 2545-septies. La devoluzione del patrimonio residuo di cui all'art. 11, comma 5, della l. 31 gennaio 1992, n. 59, come interpretato dall'art. 17 della l. 23 dicembre 2000, n. 388, si applica anche alle fusioni riguardanti banche di credito cooperativo, operando l'obbligo anche con riferimento a vicende societarie nelle quali manchi una liquidazione, dovendosi altresì ritenere manifestamente infondata la questione di costituzionalità del menzionato art. 17 della l. n. 388 del 2000 sollevata sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto detta norma è espressione di una scelta discrezionale del legislatore volta a bilanciare finalità contrastanti: garantire, mediante le fusioni, la stabilità del sistema creditizio e tutelare e promuovere la mutualità (Cass, I, n. 16329/2016). La devoluzione del patrimonio residuo di cui all'art. 11, comma 5, della l. 31 gennaio 1992, n. 59, come interpretato dall'art. 17 della l. 23 dicembre 2000, n. 388, si applica anche alle fusioni riguardanti le banche di credito cooperativo realizzate in epoca anteriore all'entrata in vigore di quest'ultima disposizione, dovendosi ritenere manifestamente infondate le questioni di costituzionalità delle norme menzionate, sollevate in relazione agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, non potendosi configurare una ipotesi di esproprio attesa la volontarietà del sacrificio del patrimonio, né una lesione della libertà di iniziativa economica (nella specie, nella forma della banca popolare ), il cui esercizio incontra i limiti stabiliti dalla legge a tutela degli altri valori costituzionalmente rilevanti, né, infine, una lesione del principio di uguaglianza, restando nella discrezionalità del legislatore disciplinare in termini uniformi fattispecie che presentano solo alcuni tratti comuni (Cass, I, n. 25368/2013). Le azioni offerte da banche di credito cooperativo , comportando il pagamento di un prezzo a fronte di un rischio e di un'aspettativa di rendimento in capo all'acquirente, rappresentano una forma di investimento di natura finanziaria e rientrano, pertanto, nell'ampia nozione di "prodotti finanziari", categoria aperta ed atecnica - come evincibile dall'art. 1, comma 1, lett. u), del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 - cui sono riconducibili anche operazioni innominate (Cass. II, n. 4642/2018). Società cooperative e iscrizione all'albo forenseIn forza del disposto dell'art. 4-bis l. 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dall'art. 1, co. 141, lett. B, l. 4 agosto 2017, n. 124, l'esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative iscritte in un'apposita sezione speciale dell'albo tenuto dall'ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società; i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all'albo, ovvero avvocati iscritti all'albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni; il venire meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società; la maggioranza dei membri dell'organo di gestione deve essere composta da soci avvocati; i componenti dell'organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale; i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori. Anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria resta fermo il principio della personalità della prestazione professionale. Per un approfondimento della tematica, v. Bertolotti, 1 ss.
Secondo le Sezioni unite della Corte di cassazione, in tema di esercizio in forma associata della professione forense, dal 1° gennaio del 2018, in virtù del disposto dell'art. 4-bis della legge professionalen. 247 del 2012 (inserito dall'art. 1, comma 141, della l. n. 124 del 2017 e successive integrazioni), sostitutivo della previgente disciplina di cui agli artt. 16 segg. del d.lgs. n. 96 del 2001, non si può negare l'iscrizione all'albo forense di società di persone, capitali e cooperative, i cui soci siano per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto iscritti all'albo, o avvocati iscritti all'albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni; società il cui organo gestore deve essere composto solo da soci e nella maggioranza da soci avvocati (Cass. S.U., n. 19282/2018). Vigilanza e revisioneIl d.lgs. 2 agosto 2002, n. 220, disciplina le norme in materia di vigilanza sugli enti cooperativi. La competenza ad esercitare questa forma di controllo spetta al Ministero dello sviluppo economico ed alla Direzione generale per la vigilanza sugli enti, il sistema cooperativo e le gestioni commissariali, o alle Associazioni Nazionali di rappresentanza giuridicamente riconosciute (LEGACOOP, CONFCOOPERATIVE, A.G.C.I., U.N.C.I., UNICOOP e UECOOP). La vigilanza si concretizza soprattutto in una attività ispettiva svolta in sede di revisione periodica, a cadenza annuale o biennale, a seconda delle caratteristiche e delle dimensioni degli enti cooperativi, oppure attraverso ispezioni straordinarie. La revisione cooperativa comprende tutta quella serie di attività finalizzate a verificare la gestione amministrativa e il livello di democrazia interna dell'ente cooperativo; l'obiettivo è di accertare l'effettiva natura mutualistica dell'ente e la legittimazione di quest'ultimo a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura. Le revisioni cooperative sono programmate almeno una volta ogni due anni, fatte salve le previsioni di leggi speciali che prescrivono una revisione annuale, ed effettuate da revisori, iscritti nell'apposito Albo, incaricati dal Ministero dello sviluppo economico o dalle Associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo. Compito del revisore è di accertare, oltre alla consistenza dello stato patrimoniale dell'ente, la correttezza e la conformità alle norme vigenti dei contratti associativi e dei rapporti di lavoro instaurati con i soci lavoratori. Al termine dell'attività, la revisione si chiude con la richiesta di rilascio del certificato di revisione oppure con la richiesta di provvedimenti sanzionatori a carico della cooperativa (Bonfante, 127; Presti-Rescigno, 614 ). La vigilanza sugli enti cooperativi e i loro consorzi esplica effetti ed è diretta soltanto nei confronti delle pubbliche amministrazioni ai fini della legittimazione a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura, nonché per l’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 12 del d. lgs. 2 agosto 2002, n. 220. I terzi non ne sono destinatari e restano pertanto depotenziate in radice eventuali azioni risarcitorie collegate all’esercizio della vigilanza. Nel caso di riscontrata regolarità, la revisione cooperativa si conclude con un certificato di revisione rilasciato dagli uffici territoriali del Governo (per le cooperative non associate), ovvero con un’attestazione di revisione rilasciata dall’associazione di rappresentanza (per le cooperative ad essa aderenti). Qualora invece siano riscontrate irregolarità sanabili e non si sia provveduto alla loro regolarizzazione o nel caso in cui le irregolarità non siano sanabili, il revisore trasmette il verbale di revisione agli uffici territoriali del Governo, con proposta di conseguente adozione di provvedimento (VELLA-GENCO-MORARA, 196-197). In concreto la revisione, oltre a verificare l'iscrizione della società nell'Albo cooperative, assoggetta a verifica i dati gestionali e statutari relativi a distribuzione degli utili, riserve e alla gestione (artt. 2545-bis e 2545-septies c.c.) e, nel caso, verifica la sussistenza della mutualità prevalente (Trib. Milano II, 8 febbraio 2018). 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