Codice Civile art. 2527 - Requisiti dei soci (1).

Stefano Schirò

Requisiti dei soci (1).

[I]. L'atto costitutivo stabilisce i requisiti per l'ammissione dei nuovi soci e la relativa procedura, secondo criteri non discriminatori coerenti con lo scopo mutualistico e l'attività economica svolta.

[II]. Non possono in ogni caso divenire soci quanti esercitano in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa (2).

[III]. L'atto costitutivo può prevedere, determinandone i diritti e gli obblighi, l'ammissione del nuovo socio cooperatore in una categoria speciale in ragione dell'interesse alla sua formazione ovvero del suo inserimento nell'impresa. I soci ammessi alla categoria speciale non possono in ogni caso superare un terzo del numero totale dei soci cooperatori. Al termine di un periodo comunque non superiore a cinque anni il nuovo socio è ammesso a godere i diritti che spettano agli altri soci cooperatori.

(1) V. nota al Titolo VI.

(2) Comma così sostituito dall'art. 28 d.lg. 28 dicembre 2004, n. 310.

Inquadramento

Il legislatore, nel demandare all'autonomia statutaria la fissazione dei criteri per l'ammissione dei nuovi soci, indica i criteri generali cui l'autonomia deve ispirarsi e, precisamente, il principio di non discriminazione e di coerenza con lo scopo mutualistico e con l'attività economia svolta dalla cooperativa (Tonelli, 97). I criteri generali fissati dalla legge costituiscono anche il riferimento per la valutazione della legittimità delle clausole statutarie che prevedono i requisiti di ammissione dei soci. L'accesso alla cooperativa è, dunque, subordinato al possesso di quegli specifici requisiti richiesti dallo statuto per il raggiungimento dello scopo mutualistico tipico di quella particolare cooperativa (Bonfante, 125).

Secondo altra dottrina, il possesso dei requisiti statutari deve essere inteso in termini di potenzialità a intrattenere il rapporto mutualistico e non necessariamente come una condizione preventivamente posseduta dall’aspirante socio, fatta salva la presenza di un vincolo statutario esplicito in tal senso. Quindi gli amministratori dovranno valutare la potenzialità di inserimento dell’aspirante socio nel processo produttivo dell’impresa cooperativa e la valutazione circa l’ammissione del nuovo socio presenta un profilo di coerenza sia statutaria che gestionale, riferita all’attività dell’impresa concretamente esercitata dalla cooperativa, avuto riguardo alla natura dell’attività stessa, ma anche all’assetto dimensionale e alle potenzialità produttive (Vella - Genco -Morara, 84).  Se la norma è stata tradizionalmente vista come espressione dei principî di variabilità del capitale e della porta aperta (Tonelli, 97; Capo, 227), essa costituisce anche strumento di attuazione del principio mutualistico pretendendo che, nella fissazione dei requisiti, si individuino soggetti, per qualità personali, interessati alla gestione di servizio della cooperativa (Bonfante, 125). Il criterio generale della coerenza con lo scopo mutualistico lascia aperta la possibilità di una clausola statutaria  che preveda l’ammissione quali soci di elementi tecnici e amministrativi, vale a dire di soggetti che, pur non svolgendo in via diretta l’attività tipica dell’impresa cooperativa, cooperano con la loro prestazione al processo produttivo, ammettendosi anche la coesistenza, all’interno della stessa cooperativa, di un pluralità di profili mutualistici e la possibilità di configurare la suddivisione dei soci in categorie speciali (CHIEFFI, 229). Il rispetto dello scopo mutualistico deve essere verificato anche quando a chiedere l’ammissione alla cooperativa siano enti giuridici, facendo riferimento allo scopo dell’ente, quale desumibile dallo statuto e al concreto atteggiarsi della sua attività e, nel caso di società di persone, anche alle caratteristiche soggettive dei soci illimitatamente responsabili. È possibile, infatti, l’ammissione anche di società lucrative, purché in possesso dei requisii statutari di ammissione, in quanto si ritiene che la struttura dell’ente socio non debba essere tale da riversare il vantaggio mutualistico sui propri partecipanti secondo uno schema, a sua volta, mutualistico (ID, 229-230).  La clausola statutaria che regola i requisiti di ammissione di nuovi soci, oltre che coerente con lo scopo mutualistico, deve essere fondata su criteri non discriminatori. Tale precetto rende esplicito il volto sociale e democratico del principio della porta aperta e costituisce applicazione della regola della parità di trattamento di cui all’art. 2516 c.c., esprimendo altresì i valori costituzionali della mutualità e dell’uguaglianza sottesi agli artt. 45 e 3 Cost. (ID, 232).   

I requisiti dei soci e l'autonomia statutaria

Si ritiene in dottrina che il principio della non discriminazione implichi una sostanziale parità di trattamento tra i soci (Capo, 230; Tonelli, 97). Possono essere stabiliti criteri, anche particolarmente selettivi, in relazione a specifiche categorie professionali o produttive cui si rivolge la cooperativa. Sono invece vietati criteri di selezioni basati sull'etnia, sul sesso, sulla religione o sulla fede politica, salvo che una simile clausola non sia giustificata in ragione dell'oggetto o dello scopo mutualistico della cooperativa (Bonfante, 127).

L’aspirante socio di una cooperativa non è titolare di un diritto soggettivo a essere ammesso nella cooperativa, in quanto la clausola dello statuto che prevede le condizioni di ammissibilità non ha valore di offerta al pubblico e la richiesta di adesione al contratto sociale si configura come mera proposta contrattuale, soggetta alla decisione dell’organo amministrativo dotato di potere di placet ex art. 2528 c.c. (Trib. Bologna, 18 dicembre 2019).

Il divieto di cui al secondo comma

Il secondo comma pone, per tutte le cooperative (Capo, 232; Bonfante, 127), il divieto per coloro che esercitano in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa di divenire soci di quest'ultima. Tale divieto mira ad assicurare l'effettivo svolgersi della funzione mutualistica (Capo, 232), impedendo il sorgere di conflitti di interessi all'interno dell'ente cooperativo. Il divieto non si applica ai soci finanziatori (Tonelli, 98). La dottrina osserva che – con particolare riferimento alle cooperative tra imprenditori (che svolgono necessariamente attività affini tra loro) – il carattere concorrenziale deve essere valutato in concreto e non in via astratta (Bonfante, 127) ovvero che la norma deve essere interpretata in senso elastico tenendo conto l'effettiva compatibilità tra la partecipazione sociale dei primi ed il conseguimento dell'oggetto sociale della cooperativa medesima (Capo, 232). Attesa la valenza imperativa della norma, una partecipazione assunta in violazione del divieto deve essere considerata nulla (Capo, 233).

La norma, sebbene si riferisca all’esercizio in proprio di attività d’impresa, non si applica alle sole cooperative di tipo consortile (tra soci imprenditori), ma, per la sua formulazione letterale, riguarda tutte le tipologie di cooperative (si pensi, ad esempio, all’ammissione a socio in una cooperativa di consumatori di un commerciante di beni di consumo). Il concetto di concorrenza non va inteso soltanto come svolgimento di attività oggettivamente identiche o affini a quelle della cooperativa, ma anche in generale come contrasto di interessi tra la cooperativa e il socio, con il conseguente pericolo di sviamento della clientela a danno della cooperativa e a vantaggio del socio. Tale requisito negativo può essere specificamente previsto nello statuto, ma può anche essere rimesso alla valutazione di tipo gestionale da parte degli amministratori (Vella - Genco -Morara, 85). In tale prospettiva, la richiesta di ammissione a socio di un soggetto in possesso di tutti i requisiti soggettivi richiesti potrebbe essere respinta qualora la sua ammissione non risulti in quel momento coerente, sotto un profilo quantitativo o qualitativo, con i programmi produttivi dell’impresa cooperativa (CHIEFFI, 231).

È annullabile per contrasto con la norma inderogabile dell’art. 2527, comma 2, c.c., la delibera assembleare di una società cooperativa che modifichi lo statuto consentendo agli amministratori una valutazione discrezionale in ordine all’ammissione di soci che esercitino in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa (Trib. Milano, 1° luglio 2005).

Il socio in prova

L'ultimo comma prende in considerazione la figura del c.d. socio in prova o socio in formazione, (Bonfante, 129; Capo, 233), di fonte statutaria, riferita <<a nuovi soci cooperatori>> (Vella - Genco -Morara, 87). Tali soci costituiscono una vera e propria categoria speciale (Capo, 234) e non possono in ogni caso superare un terzo del numero totale dei soci cooperatori. Benché la norma sia stata spesso interpretata in un’ottica prevalentemente lavoristica, la sua formulazione letterale non consente di costringerne l’applicazione entro tali confini e impone anzi di considerare comprese nella fattispecie tutte le situazioni in cui l’instaurazione del rapporto mutualistico possa richiedere un periodo finalizzato all’inserimento del socio nell’attività produttiva dell’impresa cooperativa. La norma consente, pur non affermandolo direttamente, una limitazione dei diritti del socio in prova, come si evince dalla fissazione di un termine massimo per la durata del rapporto sociale <<speciale>>, scaduto il quale <<il nuovo socio è ammesso a godere i diritti che spettano agli altri soci cooperatori>>. La limitazione dei diritti sociali potrà riferirsi tanto al profilo mutualistico (modalità del rapporto di scambio, ristorni), quanto alle prerogative societarie (diritti di partecipazione all’assemblea e di rappresentanza negli organi elettivi). La norma è chiara nello stabilire che la limitazione dei diritti connessi al periodo di inserimento cessi automaticamente con il decorso del termine, non costituendo il passaggio del socio in prova alla categoria  ordinaria una sorta di nuova ammissione, subordinata alla valutazione dell’esito della prova, con la conseguenza che l’eventuale interruzione del rapporto sociale per una valutazione negativa della prova  costituirà una vera e propria forma di esclusione, che dovrà essere disciplinata in modo particolare e specifico dallo statuto secondo i canoni legali  di non discriminazione e di parità di trattamento (Vella - Genco -Morara, 87-88). Secondo altra opinione, in caso di esito negativo della prova, la cooperativa può legittimamente recedere ad nutum dal rapporto di lavoro, senza che possa configurarsi la fattispecie dell’esclusione del socio (SANTAGATA, 849).

 La clausola del regolamento interno di una società cooperativa (nella specie, di produzione e lavoro), che stabilisce che ‘‘per il primo mese il socio sarà inserito come socio-lavoratore in prova e durante tale periodo la risoluzione del rapporto sociale potrà aver luogo sia da parte della cooperativa che del socio, in qualsiasi momento, senza preavviso né diritto ad indennità di sorta”, è valida e speculare al patto di prova ex art. 2096 c.c., con la conseguenza che, entro il termine del suddetto periodo, la società può legittimamente escludere, senza bisogno di motivazione, il soggetto che sia stato ammesso quale socio-lavoratore in prova ai sensi del regolamento interno, espressamente approvato dall’interessato. (Trib. Milano, 27 dicembre 2005).

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Bibliografia

Bonfante, Trattato di diritto commerciale, Le società cooperative, V, Padova, 2014; Capo, Sub artt. 2511-2574, Delle società - Dell'azienda. Della concorrenza, a cura di D.U. Santosuosso, in Commentario del codice civile, a cura di E. Gabrielli, Torino, 2015; Chieffi, in Aa. Vv., Società cooperative, a cura di Presti, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2006; Santagata, Le società con scopo mutualistico, in Aa.Vv., Diritto commerciale, III, a cura di M. Cian, Torino, 2020; Tonelli, in La riforma delle società. Commentario del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Società cooperative, a cura di M. Sandulli, V. Santoro, Torino, 2003; Vella-Genco-Morara, Diritto delle società cooperative, Bologna, 2018.

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