Decreto legislativo - 7/09/2005 - n. 209 art. 37 bis - (Riserve tecniche del lavoro indiretto)1.(Riserve tecniche del lavoro indiretto)1.
1. L'impresa di assicurazione che esercita congiuntamente l'attività di riassicurazione costituisce per il lavoro indiretto le riserve tecniche alla fine di ciascun esercizio, al lordo delle retrocessioni, in relazione agli impegni assunti, in coerenza con le disposizioni del presente Titolo e con le disposizioni dell'Unione europea direttamente applicabili 2. [2. Fino all'emanazione dei regolamenti di cui all'articolo 42-bis, comma 1, e 65, comma 3, le imprese costituiscono per il lavoro indiretto le riserve tecniche alla fine di ciascun esercizio, al lordo delle retrocessioni, in relazione agli impegni assunti. L'iscrizione in bilancio delle riserve tecniche del lavoro indiretto è effettuata, in linea di principio, sulla base di quanto comunicato dalle imprese cedenti. Le imprese valutano la congruità delle riserve del lavoro indiretto affinché risultino sufficienti in relazione agli impegni assunti ed apportano in bilancio le eventuali rettifiche anche tenuto conto delle esperienze passate .] 3 [1] Articolo inserito dall'articolo 2 del D.Lgs. 29 febbraio 2008, n. 56. [2] Comma sostituito dall'articolo 1, comma 37, lettera a) del D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 74. [3] Comma abrogato dall'articolo 1, comma 37, lettera b) del D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 74. InquadramentoUna delle caratteristiche essenziali dell'attività assicurativa è l'inversione del ciclo produttivo (supra). Se la durata del contratto di assicurazione e la durata dell'esercizio di bilancio coincidessero, l'inversione del ciclo produttivo sarebbe irrilevante: i premi riscossi nell'anno servirebbero a pagare i sinistri verificatisi nell'anno, e l'eventuale eccedenza rappresenterebbe l'utile d'impresa. Ciò tuttavia non sempre accade nell'assicurazione contro i danni, e quasi mai nell'assicurazione sulla vita. L'assicurato infatti paga un premio destinato a coprire un rischio che può protrarsi per più anni. Perciò se alla chiusura del primo esercizio successivo alla stipula del contratto il sinistro non si è verificato, il premio incassato dall'assicuratore non rappresenta un ricavo, perché parte di esso dev'essere destinata a coprire il rischio che l'assicuratore correrà negli anni successivi, fino allo spirare della durata pattuita nel contratto. Per colmare questo scarto tra il flusso finanziario (i premi incassati) e la manifestazione economica di esso (i ricavi residui dopo la detrazione degli indennizzi) l'assicuratore deve accantonare, per ogni esercizio, quella parte del premio incassato che è destinare a coprire rischi ancora in corso. Questi accantonamenti prendono il nome di riserve tecniche. Tali riserve non hanno nulla in comune con le riserve patrimoniali (riserve legali di cui all'art. 2430 c.c., riserve statutarie, riserve c.d. improprie). Queste ultime, anche se per legge vanno indicate nel passivo dello stato patrimoniale (art. 2424 c.c.), costituiscono accantonamenti di utili di esercizio, e rappresentano quindi un incremento patrimoniale; debbono avere una consistenza minima stabilita dalla legge; l'obbligo di accantonamento cessa una volta raggiunta una soglia massima, rispetto alla quale l'eventuale surplus può essere ripartito tra i soci. Le riserve tecniche delle imprese assicuratrici, invece, non sono costituite con gli utili di esercizio, ma con il complesso dei premi raccolti tra gli assicurati. Esse non costituiscono perciò un incremento patrimoniale, ma un ricavo anticipato, destinato a coprire gli indennizzi per i sinistri che si verificheranno in futuro, ovvero per i sinistri già verificatisi ma non ancora liquidati ovvero non ancora pagati. Le riserve tecniche delle imprese assicuratrici, inoltre, non hanno limiti massimi, ma sono destinate ad aumentare indefinitamente in proporzione all'aumento dei rischi assicurati. Le riserve, in virtù della loro natura, sono dalla legge vincolate in vario modo al soddisfacimento dei crediti degli assicurati. Per un verso, infatti, l'art. 42, comma 2, cod. ass. stabilisce che le attività poste a copertura delle riserve tecniche sono riservate in modo esclusivo all'adempimento delle obbligazioni assunte dall'impresa con i contratti ai quali le riserve stesse si riferiscono e costituiscono patrimonio separato rispetto alle attività detenute dall'impresa; per altro verso la legge prevede che nel caso di liquidazione coatta amministrativa dell'impresa assicuratrice gli assicurati (ovvero i beneficiari dei contratti assicurativi, se diversi dagli assicurati) debbono essere soddisfatti in via privilegiata sugli attivi iscritti in bilancio a copertura delle riserve (art. 258, commi 3 e 4, cod. ass.). L'opinione secondo cui le riserve costituiscano un patrimonio separato, come tale non aggredibile dai creditori dell'assicuratore o dell'agente che ha riscosso i premi, era stata in passato negata dalla S.C. (Cass. n. 8090/2004). La circostanza che le riserve tecniche siano iscritte nel passivo dello stato patrimoniale non deve però indurre a ritenere, come pure fece un tempo la dottrina, che esse siano costituite da beni di proprietà degli assicurati. Tale opinione è stata da tempo superata, in base all'esatto rilievo che il diritto dell'assicurato alla prestazione assicurativa si atteggia come un diritto di credito, non come un diritto reale avente ad oggetto le riserve dell'assicuratore. Il calcolo delle riserveNella originaria stesura il codice delle assicurazioni, in ossequio ad una tradizione secolare, dettava regole ad hoc per il calcolo delle riserve nei rami vita (art. 36) e nei rami danni (art. 37). La distinzione si giustificava storicamente col rilievo che nei rami vita rilievo preminente avevano le riserve matematiche, cioè quelle destinate a garantire il pagamento degli indennizzi relativi a sinistri non ancora verificatisi. Per una chiara comprensione di questo concetto occorre ricordare che nell'assicurazione sulla vita, al momento della stipula del contratto, vi è una perfetta coincidenza tra il valore attuale dell'indennizzo ed il valore attuale dei premi che l'assicurato ha promesso di pagare periodicamente. Col decorso del tempo, però, questa corrispondenza viene meno: infatti via via che si approssima la soglia di età oltre la quale è dovuto l'indennizzo (nelle assicurazioni per il caso di vita) ovvero l'assicurato si avvicina alla soglia della durata media della vita (nelle assicurazioni per il caso di morte), aumenta il rischio corso dall'assicuratore, e per converso il premio periodico dovuto dall'assicurato diventa proporzionalmente sempre più inadeguato rispetto al rischio. Ciò vuol dire che i premi pagati nei primi anni di vita del contratto presentano una eccedenza di valore rispetto al quoziente di rischio (cioè al rapporto tra la somma degli indennizzi pagati e la somma dei premi riscossi), eccedenza che l'assicuratore deve accantonare (e far fruttare), per garantire il pagamento degli indennizzi anche per i sinistri verificatisi in prossimità della scadenza del contratto, quando il premio è divenuto inferiore al quoziente di rischio. Per questa ragione le riserve matematiche sono state anche definite come il «cumulo delle eccedenze» dei premi pagati dalla massa degli assicurati rispetto a quello che sarebbe risultato dal puro frazionamento del costo complessivo dei sinistri tra tutti gli assicurati. Contabilmente, la riserva matematica è una rimanenza passiva, mentre dal punto di vista economico può considerarsi un ricavo anticipato. Nei rami danni, invece, le principali riserve erano rappresentate dalla riserva frazioni di premi, la quale era costituita dai premi che, pur pagati nell'esercizio in corso, incorporavano una quota di rischio che l'assicuratore correrà negli esercizi successivi (ad es. nel caso di polizze pluriennali, con pagamento del premio anticipato); e dalla riserva per rischi in corso, costituita dall'importo da accantonare a copertura dei rischi incombenti sull'impresa dopo la fine dell'esercizio, per far fronte a tutti gli indennizzi e spese derivanti da contratti di assicurazione stipulati prima di tale data, nella misura in cui il prevedibile importo da liquidare agli assicurati superi quello della riserva per frazioni di premi ed i premi che saranno esigibili in virtù di tali contratti. La riforma introdotta dal d.lgs. n. 74/2015, in attuazione della Direttiva Solvency II (Direttiva n. 138/09) ha mutato questa tradizionale sistematica. Gli artt. 36 e 37 cod. ass. sono stati abrogati; ed il nuovo sistema non disciplina più la forma ed il titolo delle riserve che l'assicuratore deve costituire, ma il metodo e lo scopo da esse sotteso (art. 36-bis e 36-ter cod. ass.). Il metodo deve essere quello di una oculata previsione («prudente, affidabile ed obiettiva»: art. 36-bis, comma 4, cod. ass.); lo scopo quello di mettersi in condizione di «far fronte ad ogni impegno derivante dai contratti di assicurazione» (art. 36-bis, comma 1, cod. ass.). Norme di dettaglio per il calcolo delle riserve sono state dettate da un corposo regolamento Ivass (Regolamento n. 18/2016). La copertura delle riserveLe riserve tecniche, oltre che determinate nel loro ammontare minimo in base ai criteri dettati dalla legge, debbono essere «coperte»: vale a dire che gli accantonamenti eseguiti a titolo di riserve tecniche debbono essere investiti in attività (beni immobili, crediti, strumenti finanziari, ecc.) il cui controvalore sia pari all'ammontare della riserva. I criteri di copertura delle riserve tecniche sono disciplinati da un coacervo di disposizioni: sovranazionali (Direttiva n. 138/09); nazionali (artt. 38 e ss. cod. ass.); e regolamentari (Provvedimenti Ivass). La disciplina della copertura delle riserve tecniche è divisa tra legge e regolamenti. Il codice delle assicurazioni fissa all'art. 38 due principî generali: (1) le riserve devono essere coperte con attivi di proprietà dell'impresa; (2) l'impresa deve investire gli attivi a copertura delle riserve in modo adeguato alla natura dei rischi e delle obbligazioni assunte e alla durata delle passività e nel migliore interesse dei contraenti, degli assicurati, dei beneficiari e degli aventi diritto a prestazioni assicurative, tenendo conto degli obiettivi strategici resi noti dall'impresa. Il registro delle attività a copertura delle riserve, previsto dall'art. 42 cod. ass., svolge una funzione probatoria e di garanzia degli assicurati. Stabilisce, infatti, l'art. 42, comma 2, cod. ass. che le attività poste a copertura delle riserve tecniche, iscritte nel registro di cui al comma 1, sono riservate in modo esclusivo all'adempimento delle obbligazioni assunte dall'impresa con i contratti ai quali le riserve stesse si riferiscono, e costituiscono patrimonio separato rispetto alle attività detenute dall'impresa e non iscritte nel registro stesso. L'art. 258, comma 2, cod. ass., aggiunge che dalla data di notifica all'impresa del decreto di liquidazione coatta amministrativa, la composizione degli attivi indicati nel registro delle attività a copertura delle riserve tecniche e il registro stesso non possono essere modificati senza l'autorizzazione dell'Isvap, salvo che non si tratti di meri errori materiali. L'iscrizione di una qualsivoglia attività nel registro comporta, pertanto, la sostanziale indisponibilità di essa, e la incontestabilità dell'appartenenza all'attivo nel caso di l.c.a. Le concrete modalità di tenuta del registro sono disciplinate dagli artt. 18 (per il ramo vita), 35 e 36 (per il ramo danni) del Reg. Isvap 14 ottobre 2008 n. 27. Riserve tecniche e pandemia da Covid-19In occasione (o forse si dovrebbe dire: “profittando” della pandemia da Covid 19, il governo è intervenuto con decreto legge sulla materia delle riserve (art. 52 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18) modificando l'art. 36 septies, comma 9, del codice delle assicurazioni. In realtà questa norma non ha nulla a che vedere con l'emergenza Covid: essa costituisce attuazione (o meglio, trascrizione letterale) dell'art. 2, comma 1, della direttiva 18 dicembre 2019, n. 2177: una norma, dunque, che comunque sarebbe entrata a far parte dell'ordinamento, Covid o non Covid. La novità riguarda un dettaglio ultraspecialistico, cioè il modo in cui, nel calcolo degli attivi a copertura delle riserve tecniche, si debba tenere conto del rischio di spread eccessivi sui titoli obbligazionari nel Paese ove ha sede l'impresa. Per comprendere il senso della novità, occorre ricordare che la direttiva n. 2009/138 (c.d. “Solvibilità II”) introducendo l'obbligo di valutazione degli attivi a copertura delle riserve in misura non inferiore alla somma del valore attuale atteso dei flussi di cassa futuri (la “miglior stima”) e del “margine di rischio” (e quindi a valori di mercato), aveva accentuato il rischio che andamenti improvvisi e anomali dei mercati finanziari (ad esempio, l'incremento dello spread) potessero provocare notevoli alterazioni dei valori di bilancio. Per prevenire tale rischio, la direttiva Solvibilità II introdusse una nutrita serie di variabili e aggiustamenti (artt. 36 bis e ss. d. lgs. n. 209/05). Tra questi aggiustamenti venne introdotto l' “aggiustamento per la volatilità” (volatility adjustment), una specie di “scudo antispread”. Questo aggiustamento di bilancio scattava quando il valore dello spread fosse divenuto nel singolo Paese maggiore di quello medio europeo, e comunque superiore a 100. Questa soglia del “100” a detta degli esperti di economia finanziaria non avrebbe mai funzionato correttamente e non avrebbe mai assolto il suo compito, in particolare perché costringeva la società assicuratrici (italiane) ad investire le riserve in attività a breve termine (come tutela contro la volatilità dei tassi di interesse), impedendo loro perciò di utilizzare quelle risorse in più remunerativi investimenti a lungo termine[2]. Le lamentele degli assicuratori italiani circa il funzionamento del volatility adjustment sono state esaudite dalla Commissione con la ricordata Direttiva n. 2019/2177, la quale ha abbassato la soglia di attivazione di questo “scudo antispread” da 100 a 85 punti base. E questa è, per l'appunto, la modifica al codice delle assicurazioni introdotta dall'art. 52 del decreto “Curaitalia”. Una questione dunque, come ognun può vedere, del tutto estranea all'emergenza Covid. BibliografiaAvegno, Le imprese di assicurazione, Milano, 2004; Bellucci, le imprese di assicurazione. 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