I capitoli della prova per testi

22 Ottobre 2018

La testimonianza è, insieme alla confessione e al giuramento, una prova costituenda, che fa cioè ingresso nel processo all'esito di un'attività istruttoria in senso stretto. Per ottenere l'ingresso nel processo di una prova costituenda è necessaria un'apposita istanza di parte, sulla base della quale il giudice avrà l'onere di compiere una doppia valutazione: in un primo momento occorrerà, infatti, previa verifica della loro ammissibilità, disporne l'assunzione; all'esito di questa, valutarne l'attendibilità e la rilevanza ai fini della decisione.
Inquadramento

Il codice di rito vigente non contiene una definizione normativa di prova testimoniale. La definizione invalsa in dottrina, che ha supplito a tale carenza, vuole che la prova testimoniale sia una dichiarazione di scienza compiuta da soggetti terzi rispetto alle parti in causa, cioè estranei al processo, circa l'esistenza o la narrazione di fatti rilevanti ai fini della decisione. Oggetto di prova testimoniale possono essere dunque solo fatti obiettivi e non giudizi o valutazioni personali del deponente.

Trattasi a tutti gli effetti di un mezzo di prova, sebbene rimesso al libero apprezzamento dell'organo giudicante; in taluni casi, peraltro, può assurgere a mero argomento di prova (vedi artt. 421, ult. comma, e 116, comma 2, c.p.c.).

La testimonianza è, insieme alla confessione e al giuramento, una prova costituenda, che fa cioè ingresso nel processo all'esito di un'attività istruttoria in senso stretto.

Per ottenere l'ingresso nel processo di una prova costituenda è necessaria un'apposita istanza di parte, sulla base della quale il giudice avrà l'onere di compiere una doppia valutazione: in un primo momento occorrerà, infatti, previa verifica della loro ammissibilità, disporne l'assunzione; all'esito di questa, valutarne l'attendibilità e la rilevanza ai fini della decisione.

Il legislatore detta per la prova testimoniale una disciplina contenuta in parte nel codice di rito (artt. 244-257 c.p.c.) quanto alle modalità d'ammissione ed assunzione; in parte nel codice civile (artt. 2721- 2726 c.c.), in cui sono delineati precisi limiti sostanziali all'ammissibilità di tale strumento probatorio che attengono a profili oggettivi e soggettivi, dimostrando una tendenziale sfiducia del legislatore rispetto alle dichiarazioni, e dunque una preferenza per le prove documentali.

L'acquisizione della prova in giudizio

La tradizionale scansione che regola l'acquisizione della prova in giudizio si articola, come già esplicitato, nelle fasi di deduzione, ammissione e assunzione.

L'art. 244 c.p.c., rubricato “Modo di deduzione”, stabilisce che la prova per testimoni debba essere dedotta mediante indicazione specifica dei testi da escutere e dei fatti su cui interrogarli, formulati in articoli separati.

La capitolazione della prova, ovvero l'enunciazione dell'oggetto della prova in proposizioni chiare e riferite a circostanze precise su cui il teste deve pronunciarsi, spetta alla parte che intende avvalersi di detto mezzo istruttorio, in quanto espressione del suo potere dispositivo.

L'articolazione (o capitolazione) è correttamente effettuata se ad ogni articolo, ad ogni proposizione, corrisponde un fatto a sé stante. Sono dunque da ritenersi inammissibili i capitoli contenenti l'enunciazione di più fatti che avrebbero potuto essere oggetto di quesiti separati.

Per rifuggire da uno sterile formalismo, tuttavia, si ammettono comunque articoli di prova vertenti su circostanze complesse, quando queste, proprio per la loro complessità, avrebbero potuto essere frazionate in più capitoli solo a prezzo di grandi sforzi e con ripercussioni negative sulla loro comprensibilità (Cass. civ., n. 5842/2002).

L'accertamento della specificità rientra tra i poteri discrezionali del giudice; e, in quanto espressione di tali poteri, la sua valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretta da adeguata motivazione.

La giurisprudenza ha da ultimo avuto cura di fornire (Cass. civ., n. 1294/2018), alcune indicazioni che possono essere di buon ausilio per il giudice nel valutare se detto requisito possa dirsi rispettato. Nella specie, l'esposizione dei fatti deve recarne gli elementi essenziali; questi devono essere adeguatamente circostanziati e collocati nel tempo e nello spazio; devono consentire a controparte di dedurre prova contraria (ex multis Cass. civ., n. 3728/1987, Cass. civ., n. 3635/1989, Cass. civ., n. 12642/2003, Cass. civ., n. 11844/2006, Cass. civ., n. 2201/2007, Cass. civ., n. 12292/2011, Cass. civ., n. 1808/2015).

Giova precisare che tale vaglio di idoneità della specificazione dei fatti va operato non solo riferendosi alla formulazione letterale dei capitoli medesimi, ma anche in relazione agli altri fatti di causa ed alle deduzioni dei contendenti (Cass. civ., n. 10272/1995, Cass. civ., n. 2201/2007, Cass. civ., n. 3280/2008).

Non possono formare oggetto di dichiarazione testimoniale apprezzamenti tecnici, pur se il teste abbia le competenze necessarie, né opinioni o percezioni soggettive. I quesiti devono vertere unicamente su fatti dotati di appigli obiettivi, inequivocabili e pertinenti con l'oggetto del giudizio.

La capitolazione consiste nella redazione di proposizioni descrittive di avvenimenti la cui veridicità il teste deponente è chiamato a confermare o a smentire; mai può articolarsi in modo da indurre il teste a esprimere una valutazione personale.

É evidente, infatti, che il convincimento del giudicante deve restare libero e mai potrebbe fondarsi su capitoli valutativi di parte, da dichiarare inammissibili anche in mancanza di una deduzione di parte.

In dottrina e giurisprudenza ferve il dibattito sulla nota dicotomia “fatto-giudizio”, laddove è richiesto al teste di riportare e descrivere un fatto pertinente all'oggetto della causa accaduto in precedenza e percepito in modo diretto con i propri sensi “de visu vel auditu”.

Il giudice deve essere previamente edotto di tutti quegli elementi atti a ricostruire il fatto storico, epurato da qualsiasi valutazione personale che potrebbe distorcerne la veridicità. Non è men vero che spesso è tutt'altro che agevole demarcare il confine fra narrazione del fatto e giudizio personale sul fatto stesso. Conscia di ciò, la giurisprudenza ha affermato l'ammissibilità dei cd. apprezzamenti inscindibili dal fatto, ossia di quegli apprezzamenti che, essendo di assoluta immediatezza e connessi con la percezione del soggetto che ha assistito al fatto, non possono essere scissi dal resoconto dal teste operato (ex multis Cass. civ., n. 2270/1998, Cass. civ., n. 3505/1999, Cass. civ., n. 5/2001, Cass. civ., n. 5227/2001, Cass. civ., n. 1937/2003, Cass. civ., n. 2166/2001, Cass. civ., n. 9526/2009).

Per meglio specificare, da una lettura delle pronunce di legittimità sul tema, si ricava come l'apprezzamento inscindibile deve per definizione essere immediato, cioè non necessitare una rielaborazione personale; dev'essere consequenziale al fatto oggetto di prova, cioè simultaneo alla percezione e derivare da assunzioni proprie di un uomo medio.

Si ritiene poi che la prova non possa essere capitolata in termini negativi: ad avviso di un orientamento giurisprudenziale, tuttavia, se i fatti negativi costituiscono il fondamento del diritto da far valere, questi possono essere provati attraverso altri fatti positivi (Cass. civ., n. 12746/1992; Cass. civ., n. 11432/1992).

Come opportunamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data con uno specifico fatto positivo contrario o mediante presunzioni da cui possa desumersi il fatto negativo L'onere della prova su chi agisce o resiste in giudizio, invero, non subisce deroga quando abbia ad oggetto fatti negativi.

L'indicazione della prova in modo chiaro e specifico è condicio sine qua non ai fini della sua ammissibilità.

La ratio di tale esigenza di specificità, pur scevra da rigori e formalismi eccessivi, si impernia su un duplice ordine di ragioni: consentire al giudice di valutare la pertinenza e l'influenza del fatto da provare; consentire a controparte di predisporre un'efficace difesa, contraddicendo quanto asserito dal teste. Affinché i fatti indicati nei capitoli siano sufficientemente specifici devono recare indicazioni precise di tempo, luogo e svolgimento, cioè devono essere prospettati in modo chiaro e idoneo a suffragare, se confermati, la tesi del deducente; lasciando tuttavia alla controparte un apprezzabile margine per richiedere chiarimenti e dedurre sul punto prova contraria.

É sufficiente che il fatto sia delineato nei suoi estremi essenziali; i dettagli possono emergere senza che operi preclusione alcuna in sede di espletamento della prova.

La sufficiente specificazione dei fatti dedotti dalle parti non si desume soltanto dalla lettura delle proposizioni formulate, bensì facendo riferimento anche agli altri atti e alle deduzioni delle parti in causa (Cass. civ., n. 2201/2007).

Nonostante il tenore letterale della norma in commento, per cui l'indicazione specifica dovrebbe riguardare anche le persone da interrogare, nella prassi spesso ciò non avviene in quanto si ammette che vi sia da una parte la formulazione dei quesiti, dall'altra l'indicazione dei testi, senza che sia specificato su quali fatti ogni teste sarà chiamato a deporre.

È opinione dominante che la prova testimoniale resti ammissibile in mancanza di precisazione degli articoli su cui ciascun teste si pronuncerà; allo stesso modo non è necessario che i capitoli siano numerati e separati dalla narrazione in fatto, purché questa si componga in articoli separati in cui sono analiticamente indicati i fatti su cui la domanda si fonda (Cass. civ., n. 13753/2004).

Quanto all'indicazione dei nominativi dei testi da escutere, l'art. 244 c.p.c. nulla dice sulle modalità relative. Dopo l'abrogazione degli ultimi due commi dell'art. 244 c.p.c. ad opera della legge n. 353/1990, il giudice non può concedere alle parti un termine per indicare i nominativi, supplendo così alla loro inerzia: la mancata specificazione dei testi sarebbe causa di inammissibilità del mezzo istruttorio, vizio rilevabile anche d'ufficio.

Diversamente, nel caso di incompleta specificazione dei testimoni, ci si è chiesti se possa ritenersi sufficiente l'indicazione delle generalità del teste o se sia richiesta, a pena di inammissibilità, anche l'indicazione della residenza o di altri elementi.

Posto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 75/1993, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 244 c.p.c. nella parte in cui non prescrive all'intimante di indicare la residenza del teste, va ricordato che la Cassazione ha precisato come l'art. 244 c.p.c. vada letto in combinato disposto con l'art. 156 c.p.c. (Cass. civ., n. 26058/2013).

A norma dell'art. 156 c.p.c. non può essere pronunciata alcuna nullità quando l'atto ha raggiunto il suo scopo, di talché una imperfetta o incompleta indicazione degli elementi identificativi (come nome, cognome, residenza) è idoneo ad arrecare un vulnus alla difesa ed al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione o l'assunzione come teste di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato. Corollario di tale principio è che una valutazione di inammissibilità potrebbe aversi ex post e non ex ante e che una simile valutazione dovrebbe essere sollecitata dalla parte e non potrebbe rilevarsi d'ufficio (al pari di quanto avviene nei casi di incapacità del teste ex art. 246 c.p.c.).

Coerentemente con tale interpretazione l'indicazione dei testi può avvenire anche in modo indiretto, ad esempio indicandone le funzioni espletate all'interno dell'ufficio o ente di cui fanno parte, purché ciò consenta una loro sicura individuazione. In ogni caso una designazione parziale non comporta automaticamente un vulnus al diritto di difesa di controparte, finché non provoca concretamente la citazione di un teste realmente diverso da quello che si voleva assumere (Cass. civ., n. 26058/2013).

Come si è anticipato, dedurre testimonianza su fatti capitolati in modo generico, comporta l'inammissibilità del mezzo istruttorio.

Tale inammissibilità, ad avviso della dottrina tradizionale rilevabile d'ufficio, è stata ritenuta invece da buona parte della giurisprudenza alla stregua di una nullità relativa, potendo essere eccepita nella prima difesa successiva al loro verificarsi.

A tal proposito, in cui l'orientamento della giurisprudenza non appare univoco, è intervenuta di recente la Suprema Corte.

Sulla scia dell'orientamento preponderante, «le formalità relative alle modalità di deduzione ed ammissione della prova per testi, sono stabilite non per ragioni di ordine pubblico, ma per la tutela degli interessi di parte; pertanto le nullità derivante dalla violazione delle stesse formalità sono relative e non rilevabili di ufficio dal giudice, ma devono essere eccepite nella prima udienza successiva a quella in cui si sono verificate, nel caso in cui la parte interessata non era presente all'udienza, mentre se era presente all'escussione della prova ed aveva assistito all'atto istruttorio senza opposizione, la nullità ove esistente deve considerarsi sanata» (Cass. civ., n. 2492/2016).

La Cassazione ha superato tale schema, che individuava il fondamento delle regole che presiedono l'ammissione di una prova per testi non in un principio di ordine pubblico ma in ragioni di tutela dell'interesse privatistico, osservando che la «specifica indicazione dei fatti non attiene al piano di validità della prova ma a quello preliminare del giudizio di rilevanza».

Ed invero, la mancata specificazione dei fatti si riverbera direttamente sul potere del giudice di esercitare il potere di direzione del processo, apprezzando la rilevanza della prova rispetto al thema probandum della lite, attingendo quindi il piano dell'economia processuale e della ragionevole durata del processo.

In buona sostanza, chiariscono i Giudici «mentre la violazione di una regola di validità, posta a tutela dell'interesse delle parti, ha carattere relativo ed è rilevabile solo su eccezione delle parti, l'apprezzamento in ordine alla specifica indicazione dei fatti da provare si colloca su un piano preliminare, in quanto relativo alla rilevanza della prova e, dunque, l'eventuale mancanza della specifica indicazione resta rilevabile d'ufficio» (Cass. civ., n. 1294/2018).

Considerazioni conclusive

La disposizione dell'art. 244 c.p.c., come correttamente osservato in giurisprudenza, è una norma di carattere cogente, sicchè la sua inosservanza importa l'inammissibilità del mezzo istruttorio. Tale conseguenza appare invero ragionevole se si pone mente alle ragioni che tale disciplina hanno ispirato.

In presenza di articoli formulati da una parte in modo precipuo e dettagliato, l'altra può opportunamente formulare i propri capitoli di prova contraria, con ciò vedendosi tutelata nel proprio diritto di difesa; d'altro canto l'organo giudicante è nelle condizioni di valutare se i fatti su cui verte la deposizione siano concludenti e pertinenti (ex multis: Cass. civ., n. 25127/2006).

Si è osservato tuttavia in dottrina come il principale inconveniente della capitolazione risieda nel fatto che il deponente, edotto con largo anticipo dei quesiti cui dovrà rispondere, potrebbe – verosimilmente con l'ausilio del difensore di parte – adeguatamente preparare le proprie risposte, con conseguente svilimento della genuinità delle dichiarazioni da lui rese.

Guida all'approfondimento
  • Andrioli, Commentario al codice di procedura civile, II, Napoli, 1954;
  • Balena, La riforma del processo civile di cognizione, Napoli, 1994;
  • Dittrich, La ricerca della verità nel processo civile: profili evolutivi in tema di prova testimoniale, consulenza tecnica e fatto notorio in Riv. dir. proc., 2011;
  • Laudisa, Prova testimoniale (dir.proc.civ.) in EG, XXV, Roma, 1991;
  • Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2005;
  • Viazzi, La riforma del processo civile e alcune prassi giurisprudenziali in materia di prove: un nodo irrisolto, in Foro it., 1994, V.

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