Denuncia di nuova operaFonte: Cod. Civ. Articolo 1171
22 Ottobre 2018
Inquadramento
La denuncia di nuova opera ex art. 1171 c.c. spetta a chi abbia ragione di temere che da una nuova opera - iniziata da meno di un anno e non terminata - sia per derivare danno ad una cosa che forma oggetto del suo diritto (nel senso che può essere proposta anche con riferimento ad un manufatto che, pur se non immediatamente lesivo, sia suscettibile di essere ritenuto fonte di un futuro danno in forza dei caratteri obiettivi che l'opera potrebbe assumere se condotta a termine, v. Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2001, n. 892; Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1988, n. 4802). Tale azione, avendo carattere preventivo in quanto mira ad evitare un danno, può essere promossa, sia per difendere il possesso sia per difendere il diritto di proprietà o un qualsiasi altro diritto reale, quando la nuova opera - da altri intrapresa sul proprio come sull'altrui fondo e da cui si abbia ragione di temere che possa derivare danno alla cosa che forma oggetto del diritto o del possesso del denunciante - non sia ancora terminata; quando, invece, l'opera è stata portata a termine, non si può ricorrere all'azione di nunciazione, ma si deve fare ricorso alle azioni repressive volte alla rimozione e alla definitiva eliminazione della situazione dannosa (in particolare, nel caso in cui si intende difendere il possesso, alle azioni possessorie di cui agli artt. 1168 e 1170 c.c., per la cui proponibilità occorre che non sia decorso un anno dalla turbativa, v. Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2002, n. 3573; Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1991, n. 4649). In altri termini, la denuncia di nuova opera tende ad evitare che la prosecuzione di un'opera intrapresa, che si ha ragione di temere dannosa per la propria cosa, si concreti in un danno effettivo, mentre la denuncia di danno temuto, disciplinata nel successivo art. 1172 mira a prevenire il danno minacciato dallo stato attuale della cosa altrui (rispettivamente, rapporto attività umana-cosa, e rapporto cosa-cosa). Il discrimen tra le due azioni, dunque, risiede soltanto nel diverso modo in cui l'attività umana ha determinato l'insorgere del pericolo e nella conseguente diversità del rimedio da adottare: la prima, infatti, postula un facere, cioè l'intrapresa di un quid, nel proprio o nell'altrui fondo, capace di arrecare pregiudizio al bene oggetto della proprietà o del possesso del denunciante, e prevede come rimedio l'inibizione di tale intrapresa o la subordinazione della sua prosecuzione all'adozione di determinate cautele, mentre la seconda postula, invece, un non facere, ossia l'inosservanza dell'obbligo di rimuovere una situazione di un edificio, o di qualsiasi altra cosa, comportante pericolo di un danno grave e prossimo per il bene in proprietà o in possesso del denunciante, e prevede come rimedio l'ordine, a chi abbia la piena disponibilità della cosa costituente pericolo, di eseguire quanto necessario per la rimozione della causa di quest'ultimo. In materia condominiale, per quanto concerne la denuncia di nuova opera, si pensi alla domanda da parte di un condomino nei confronti del proprietario del piano attico, il quale, con l'attività in itinere diretta alla realizzazione di una sopraelevazione sul terrazzo di cui è esclusivo titolare, provochi il pericolo di un danno alla statica dell'immobile, che tale denuncia tende ad evitare invocando il blocco dei relativi lavori. Altre fattispecie ricorrenti nella realtà condominiale possono interessare - tanto per fare qualche esempio - vari beni comuni o di proprietà esclusiva, quali il lastrico solare, i balconi, la facciata dell'edificio, la canna fumaria dell'impianto centrale di riscaldamento, i muri perimetrali, i solai divisori, il tetto di copertura, ecc., mentre le azioni nunciatorie possono intervenire in relazione a molteplici situazioni, come i rigonfiamenti e le scrostature dell'intonaco, l'infiltrazione di acqua piovana, il deflusso di acque luride, il passaggio di umidità, la caduta di rivestimenti, l'anomala spinta alle pareti, i lavori di consolidamento dello stabile, il distacco di tavelloni, il difetto di impermeabilizzazione, e quant'altro (per un'ipotesi particolare di azione di nunciazione promossa da un condominio nei confronti del Comune per la stabilità del fabbricato a causa delle vibrazioni provocate dai mezzi pubblici, con dichiarazione di giurisdizione del giudice ordinario, v. Cass. civ., sez. un., 24 aprile 1991, n. 4510). La legittimazione attiva e passiva
Sul versante della legittimazione attiva, va ricordato che, tra le attribuzioni dell'amministratore di condominio di cui all'art. 1130, n. 4), c.c., relativo al compimento degli “atti conservativi delle parti comuni dell'edificio” - così come lievemente modificato dalla l. n. 220/2012, laddove il testo precedente si riferiva ai “diritti sulle parti comuni dell'edificio” - rientrano sia le azioni possessorie tendenti al recupero o al mantenimento del godimento della cosa comune, sottratto illecitamente o molestato dal terzo, sia le azioni nunciatorie per ottenere, oltre che le cautele suesposte, anche il risarcimento del danno cagionato alle parti comuni dello stabile condominiale, quando tale danno si concreti nelle spese occorrenti per la rimessione delle cose comuni nel pristino stato (trattandosi di azioni a tutela di parti condominiali, il relativo esercizio per entrambe, da parte dell'amministratore, non è subordinato all'autorizzazione dell'assemblea). In materia di legittimazione passiva rispetto alle azioni di nunciazione, in generale, si è rilevato che le condizioni delle due azioni nunciatorie, di nuova opera e di danno temuto, sono previste, rispettivamente dagli artt. 1171 e 1172 c.c., esclusivamente con riferimento al procedimento cautelare disciplinato dagli artt. 689 ss. c.p.c., che si esaurisce con l'emissione o con il diniego dei provvedimenti temporanei indicati dalle citate norme, e non anche con riferimento al successivo, autonomo giudizio di merito a cognizione ordinaria diretto ad accertare l'esistenza del diritto per la cui tutela erano stati chiesti quei provvedimenti; in quest'ultimo giudizio, pertanto, la legittimazione passiva si determina in base alla domanda proposta secondo le norme generali, nel senso che il legittimato passivo si identifica in colui che è destinatario della norma invocata dall'attore; ne consegue che, quando la domanda di merito è quella di risarcimento del danno derivato dalla nuova opera, legittimato passivo è colui che, al momento della verificazione del danno, era tenuto, quale possessore o proprietario dell'area ed esecutore (in proprio o quale committente) dei lavori, ad osservare l'obbligo del neminem ledere nell'esecuzione dei lavori medesimi (Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1987, n. 2897). In particolare, nella prima fase, a cognizione sommaria, del procedimento di nuova opera, legittimato passivo è l'autore dell'opera, cioè chi ne assume l'iniziativa (esecutore materiale o morale della medesima), mentre nella seconda fase, di merito ed a cognizione piena, la legittimazione passiva si determina in base alla domanda proposta, secondo le regole generali, ossia il legittimato passivo si identifica in colui che è destinatario del comando dettato dalla norma invocata dall'attore, e, quindi, l'esecutore morale o materiale dell'opera, se il denunciante agisce in possessorio, ed il proprietario o il titolare di altro diritto reale, se il denunciante agisce in petitorio. Analizzando una fattispecie condominiale, si è avuto modo di ribadire che, riguardo al procedimento di denuncia di nuova opera, promosso per ottenere, in via cautelare, la sospensione di lavori intrapresi in fabbricato condominiale, e poi, in esito alla fase di ordinaria cognizione e a titolo petitorio, il ripristino della precedente situazione, la legittimazione passiva tanto dell'autore materiale dell'opera quanto del proprietario va riconosciuta soltanto in detta fase cautelare, mentre, in quella successiva, la legittimazione medesima spetta esclusivamente al proprietario, quale destinatario della pronuncia richiesta al giudice (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1992, n. 8648).
Le fasi processuali del procedimento
Fatte queste premesse in ordine alle azioni nunciatorie nella realtà condominiale, mette punto rammentare che, nell'impostazione originaria del codice (artt. 689 ss. c.p.c. vecchio testo), si affermava che le azioni di nunciazione, di regola, davano luogo ad una duplice fase di giudizio: la prima di indole cautelare e conservativa tendente all'adozione dei provvedimenti urgenti e necessari - ad esempio, divieto di continuazione dell'opera, o permesso di esercitare una data attività adottando le opportune cautele, oppure misure per ovviare al pericolo o disposizione di idonea garanzia per i danni eventuali - e la seconda facente capo ad una vera decisione di merito, di natura possessoria o petitoria, a seconda che si trattasse di tutelare il semplice possesso o la proprietà. In quest'ottica, le azioni nunciatorie non avevano una propria qualificazione possessoria o petitoria, ma assumevano l'una o l'altra a seconda del titolo fatto valere e dell'oggetto della domanda, ciò che era dato desumere in specie dal contenuto del giudizio cognitorio che seguiva alla fase interdittale (con la conseguenza che non era consentito limitarsi alle indicazioni della semplice istanza cautelare, a meno che questa non offriva già elementi tali da permettere la determinazione della natura dell'azione proposta, v. Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1981, n. 1037). Pertanto, la prima fase aveva finalità cautelare ed in essa il Pretore, con cognizione sommaria e con competenza funzionale, poteva emettere le misure dirette ad evitare che l'ulteriore durata del processo determinasse il pregiudizio denunciato, mentre la seconda fase, dominata dalle normali regole sulla competenza, riguardava il merito della domanda e si svolgeva con cognizione piena; entrambe le fasi del procedimento di nunciazione, però, costituivano momenti di un unico giudizio; il Pretore, se era competente per il merito, procedeva “alla trattazione della causa”, altrimenti rimetteva le parti davanti al giudice competente fissando un termine “per la riassunzione” (v., tra le tante, Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1989, n. 1281). Ai sensi dell'art. 8, comma 2, n. 1), c.p.c. (versione 1995), il Pretore era competente, qualunque ne fosse il valore, (anche) «per le denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo il disposto dell'articolo 688, secondo comma» del codice di rito; tale ultima disposizione, contemplando una deroga alla competenza esclusiva pretorile, prevedeva che, quando vi fosse causa pendente per il merito, la denuncia di cui sopra si dovesse proporre a norma dell'art. 669-quater c.p.c., conseguendone che il ricorso cautelare andava presentato davanti al giudice già investito della controversia sul diritto fatto valere dall'attore, salvo sempre che la causa non fosse pendente davanti al giudice di pace, perché, in tal caso, il provvedimento interdittivo doveva essere richiesto al pretore. Quindi, nell'impostazione della novella del codice di rito, si era mantenuta la competenza esclusiva del Pretore per la fase sommaria ante causam, tuttavia, il Legislatore del 1990 aveva inquadrato le azioni nunciatorie nell'ambito generale dei procedimenti cautelari, disciplinati dagli artt. 669-bis ss. c.p.c. (inseriti dall'art. 74 l. n. 353/1990). Si trattava, pur sempre, di provvedimenti immediati caratterizzati dalla strumentalità, nel senso che erano di regola preordinati all'emanazione di un provvedimento definitivo, di cui tendevano ad assicurare gli effetti in via preventiva; pertanto - a differenza del regime precedente - una volta emesso il provvedimento cautelare, non si poteva più procedere alla trattazione del merito senza soluzione di continuità, dovendo il denunciante dare “inizio” ad un apposito giudizio di merito (ad esempio, con il rilascio di una nuova procura al difensore, e senza che la citazione potesse essere notificata alla controparte presso il procuratore costituito nella fase cautelare). Al riguardo, si era espressa la giurisprudenza nel senso che, in tema di denuncia di nuova opera o di danno temuto, il provvedimento di rigetto dell'istanza cautelare proposta non è una sentenza, ma un'ordinanza contro la quale è ammesso il reclamo, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 253/1994, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 669-terdecies c.p.c. nella parte in cui prevedeva il reclamo solo avverso l'ordinanza di concessione della tutela; il giudice, con l'ordinanza di rigetto, come con quella di accoglimento, non deve emettere disposizioni per la trattazione della causa di merito, vertendosi non già in tema di azioni di reintegrazione o di manutenzione, ma di azioni dirette a ottenere le misure più immediate per evitare danni alla cosa posseduta, mediante un procedimento sommario che si esaurisce con l'emanazione del provvedimento di rigetto o di accoglimento della pretesa cautelare, mentre l'interessato può in un momento successivo instaurare il giudizio a cognizione ordinaria proponendo la domanda di merito al giudice competente (Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 2001, n. 1603). Il quadro di riferimento normativo sopra delineato era mutato a seguito dell'istituzione del giudice unico di primo grado (1999): infatti, le azioni cautelari di denuncia di nuova opera e di danno temuto - previste nell'art. 8, comma 2, n. 1), c.p.c., soppresso dall'art. 49 del d.lgs. n. 51/1998 - si presentavano innanzi al Tribunale, cui erano state trasferite in blocco le originarie competenze esclusive del pretore: il tribunale decideva la fase sommaria in composizione monocratica, mentre in forma collegiale (in cui non poteva far parte il giudice che aveva emanato il provvedimento reclamato) esaminava gli eventuali reclami ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. Comunque, l'unificazione presso il tribunale della competenza sulle situazioni possessorie e su quelle derivanti da diritti reali sui beni immobili condominiali, aveva eliminato ogni dubbio in ordine all'appartenenza della fase di cognizione successiva alle predette azioni nunciatorie, rispetto alle quali - secondo uno degli indirizzi interpretativi - poteva ipotizzarsi sia una competenza del Pretore sia quella del Tribunale, a seconda che il ricorrente avesse fatto valere una posizione di possesso o quella derivante da un diritto reale. In argomento, si può richiamare una recente massima secondo la quale le azioni di nunciazione (artt. 1171 e 1172 c.c.) sono preordinate a difesa sia della proprietà o di altro diritto reale, sia del semplice possesso, e l'ordinario giudizio di merito successivo alla fase preliminare e cautelare ha natura petitoria o possessoria a seconda che la domanda, alla stregua delle ragioni addotte a fondamento di essa (causa petendi) e delle specifiche conclusioni (petitum), risulti, secondo la motivata valutazione del giudice, volta a perseguire la tutela della proprietà o del possesso; ne consegue che la qualificazione di “azione di nunciazione”, comprendendo entrambe le fasi del giudizio, impone che, esaurita quella cautelare, quella a cognizione ordinaria abbia, poi, ad oggetto un accertamento, alternativamente, relativo alla proprietà o al possesso (Cass. civ., sez. II, 15 luglio 2003, n. 11027). Orbene, disponendo che, in caso di domanda cautelare proposta ante causam, il giudice, qualora avesse accolto la misura cautelare, avrebbe dovuto sempre fissare un termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito, e stabilendosi l'inefficacia del provvedimento cautelare (anche quello immediatamente satisfattivo dell'interesse del ricorrente) in caso di mancato (o ritardato) inizio, l'art. 669-octies c.p.c. confermava lo stretto rapporto di collegamento esistente, nel nostro ordinamento processuale, tra il provvedimento cautelare e la pronuncia del giudizio di merito, della quale il primo mirava ad assicurare gli effetti mediante la tecnica dell'anticipazione o della conservazione (anche al fine di impedire ogni abuso della tutela cautelare, che non poteva mai essere fine a se stessa). Tale impostazione, connotata dalla predetta rigida “strumentalità” tra tutela cautelare ed ordinaria, è stata messa parzialmente in crisi dalla l. n. 80/2005, secondo cui, nell'ottica di una razionalizzazione (in termini di efficienza e celerità) della tutela sommaria, le disposizioni relative al termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito - e, quindi, anche quelle correlate all'eventuale caducazione - non si applicano, tra gli altri, ai provvedimenti emessi a seguito di denuncia di nuova opera o di danno temuto, provvedimenti i quali, pertanto, sono equiparati ai “provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito” ai sensi dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., anche se piuttosto finalizzati a prevenire o impedire la continuazione della lesione del diritto azionato. In tutti questi casi, le eventualità processuali sono: i concessi provvedimenti cautelari rimangono efficaci anche se il giudizio di merito non venga iniziato o si estingua, pur quando la domanda cautelare sia stata avanzata lite pendente (a stretto rigore, qualora il giudice ordina la sospensione della nuova opera, il contenuto del provvedimento nunciatorio costituisce solo un'anticipazione parziale del contenuto della futura sentenza di accoglimento, nel senso che il provvedimento cautelare non può contenere l'ordine di demolizione di quanto illegittimamente costruito, mentre nella denuncia di danno temuto si può avere una completa anticipazione); il giudice non assegna il termine perentorio per l'instaurazione della causa di merito; rimane la libertà, in capo a ciascuna parte processuale, di iniziare il medesimo giudizio in qualsiasi momento (sarà spesso il destinatario passivo del provvedimento cautelare anticipatorio ad avere interesse ad instaurare la causa a cognizione piena, con l'onere di provare l'insussistenza del diritto già accertato esistente a livello di fumus);il provvedimento cautelare non acquista autorità di giudicato “esterna” invocabile in un diverso processo (venendo meno solo con l'instaurazione del giudizio a cognizione piena). In altri termini, chi, come nel caso delle azioni nunciatorie, beneficia di un provvedimento cautelare d'urgenza o comunque anticipatorio degli effetti della sentenza di merito, non è più tenuto, a decorrere dal 1° marzo 2006, a notificare l'atto introduttivo del giudizio a cognizione piena - l'obbligo del giudice che sottoscrive il provvedimento positivo di fissare ugualmente un termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito, contemplato nel comma 1 dell'art. 669-octies c.p.c., troverebbe, però, conferma nel fatto che, come prescritto dal successivo capoverso, in mancanza di fissazione da parte del magistrato, si applica automaticamente il termine fissato dalla legge - mentre le sorti della concessa cautela non sono influenzate dal giudizio di merito, poiché l'estinzione dello stesso non ne determina più la caducazione, anche quando la relativa istanza sia proposta in corso di causa. Tuttavia, tenuto conto che le azioni di nunciazione di cui agli artt. 1171 e 1172 c.c. sono preordinate a difesa sia della proprietà o di altro diritto reale, sia del semplice possesso, resta fermo che l'ordinario giudizio di merito successivo alla fase preliminare e cautelare riveste natura petitoria o possessoria a seconda che la domanda, alla stregua delle ragioni addotte a fondamento di essa (causa petendi) e delle specifiche conclusioni (petitum), risulti, secondo la motivata valutazione del giudice, volta a perseguire la tutela della proprietà o del possesso (v., di recente, Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2006, n. 1519). Casistica
Mandrioli - Carratta, Le denunce di nuova opera e di danno temuto e i giudizi possessori, in Diritto processuale civile, vol. IV, Torino, 2016; Giusti - Scarpa, Le azioni possessorie e di nunciazione - Art. 1168-1172, Milano, 2014; De Stefani, Rapporti tra azioni di nunciazione e ricorsi d'urgenza ex art. 700 c.p.c., in Il Civilista, 2011, fasc. 9, 47; Jaccheri, Un caso peculiare in tema di denuncia di nuova opera, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, 1475; Covuccia - Mannetta, Fase cautelare e giudizio di merito nella denuncia di nuova opera, in Giur. merito, 1994, 468. |