La conciliazione obbligatoria nelle controversie tra utenti di energia elettrica e gas e i gestori

24 Ottobre 2018

Sono soggette al tentativo obbligatorio di conciliazione le controversie tra clienti finali (consumatori e piccole imprese) di energia elettrica alimentati in bassa e/o media tensione, Clienti finali di gas alimentati in bassa pressione, Prosumer o utenti finali e operatori o gestori.
Premessa

Il d.lgs. n. 130/15, recante “Attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull'ADR per i consumatori)”, ha introdotto, nella parte V del Codice del consumo, un nuovo Titolo II-bis, denominato “Risoluzione extragiudiziale delle controversie”, disciplinando le procedure volontarie per la risoluzione extragiudiziale delle controversie nazionali e transfrontaliere relative ad obbligazioni contrattuali derivanti da un contratto di vendita o di servizi, che coinvolgono consumatori e professionisti, residenti e stabiliti nell'Unione europea, presso organismi ADR.

A seguito di tale modifica il nuovo art. 141, comma 6, lett. c), del Codice del consumo fa salve alcune disposizioni che prevedono l'obbligatorietà delle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie, tra le quali viene espressamente richiamato l'art. 2, comma 24, lett. b), della legge 14 novembre 1995, n. 481 che prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle materie di competenza dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico.

Tale disposizione, pertanto, con riferimento ai settori di competenza dell'Autorità, individua nel tentativo obbligatorio di conciliazione la condizione di procedibilità della domanda giudiziale prevista dall'art. 2, comma 24, lett. b), della l. n. 481/95, attribuendo all'Autorità medesima il potere di regolamentarne le modalità di svolgimento e abrogando tacitamente la riserva regolamentare governativa colà prevista.

Tale disciplina, denominata “Testo integrato in materia di procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra clienti o utenti finali e operatori o gestori nei settori regolati dall'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico – Testo Integrato Conciliazione (TICO), è stata adottata con delibera dell'autorità del 5 maggio 2016 ed è entrata in vigore il 1 gennaio 2017.

Essa peraltro riguarda la condizione di procedibilità delle domande dei soli clienti finali o degli utenti. Nelle premesse del Tico si precisa infatti che la disciplina in esame è stata sospesa per le controversie attivate da un operatore nei confronti del cliente finale ma tale soluzione determina una evidente disparità di trattamento che è incompatibile con l'art. 3 Cost..

Ancora, occorre precisare che, per quanto riguarda il settore idrico, il tentativo di conciliazione rimane volontario, secondo quanto stabilito dalla delibera n. 55 del 28 giugno 2018 dell'Arera, che ha introdotto, con decorrenza dal 1° luglio 2018, la disciplina transitoria delle procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie tra utenti e gestori di tale servizio, richiamando in larga parte quella del Tico, con alcune varianti.

Ambito di applicazione dell'istituto

Sono soggette al tentativo obbligatorio di conciliazione le controversie promosse dai clienti finali (consumatori e piccole imprese) di energia elettrica alimentati in bassa e/o media tensione, Clienti finali di gas alimentati in bassa pressione, Prosumer o utenti finali nei confronti degli operatori o gestori.

Ne sono escluse invece le controversie: a) attinenti esclusivamente a profili tributari o fiscali; b) per le quali sia intervenuta la prescrizione ai sensi di legge; c) promosse ai sensi degli artt. 37, 139, 140 e 140-bis del Codice del consumo.

Ancora, il tentativo di conciliazione non è proponibile se, per la medesima controversia, è pendente o è stato esperito un tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 3, comma 3.1, del testo integrato.

Lo svolgimento del tentativo di conciliazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti giudiziali urgenti e cautelari, secondo una previsione identica a quella dell'art. 5, comma 3, d.lgs. n. 28/2010 in tema di mediazione.

Dopo quanto detto in premessa, circa la delimitazione dell'intervento normativo, è evidente che il tentativo di conciliazione non va esperito prima della richiesta, da parte dell'erogatore del servizio, del decreto ingiuntivo relativo ai corrispettivi non pagati.

Sul punto è opportuno ricordare il contrasto giurisprudenziale delineatosi con riguardo alla analoga questione relativa all'assoggettamento anche del procedimento monitorio all'art. 1, comma 11, legge 31 luglio 1997 n. 249, sulle controversie in materia di comunicazioni che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze A favore della soluzione affermativa si sono espressi: Trib. Milano 17 dicembre 2015; Trib. Milano 22 giugno 2017 e Cass. civ., 20 marzo 2018, n. 6839, rispetto ai decreti ingiuntivi per crediti derivanti da rapporti agrari, sul presupposto però che il tentativo di conciliazione in quel caso è condizione di proponibilità della domanda.

La soluzione negativa si rinviene invece in Cass. civ., 14 dicembre 2016, n. 25611.

In mancanza di una espressa deroga, come quella in tema di negoziazione assistita (art. 3, comma 3, lett. a) d.l. 132/2014), deve invece ritenersi che il tentativo di conciliazione costituisca condizione di procedibilità anche della opposizione a decreto ingiuntivo anche se il legislatore non si è posto il problema di coordinare tale obbligo, e quello di un preventivo reclamo, alla necessità di osservare il termine perentorio per l'opposizione.

Manca infatti nel Tico una norma analoga all'art. 5, comma 4, lett. a) d. lgs. n. 28/2010 che differisce l'esperimento della mediazione al momento successivo alla decisione sulla provvisoria esecuzione.

Svolgimento della procedura di conciliazione

a) Avvio

La domanda di conciliazione può essere presentata, direttamente dall'interessato o mediante un suo delegato ed entro un anno dalla data di invio del reclamo:

  • in modalità telematica sul sito web del Servizio Conciliazione, previa registrazione online;
  • in modalità offline, mediante posta, fax o eventuali ulteriori canali indicati sul sito web del Servizio Conciliazione, ferma restando la gestione online della procedura.

Deve contenere degli elementi obbligatori, ovvero costituenti presupposti di ammissibilità della domanda stessa (elencati all'art. 6, comma 5 del Tico), tra i quali merita di essere segnalata l'indicazione dell'«oggetto della controversia e la descrizione della problematica lamentata, corredati della documentazione relativa e dell'indicazione delle ragioni della pretesa e degli eventuali elementi di prova».

Proprio in virtù di tale requisito deve ritenersi che, pur in difetto di una espressa previsione, l'istanza sia idonea ad interrompere il termine di prescrizione e anche la decadenza del diritto di colui che la promuove. Del resto l'art. 12 della direttiva 2013/11 vieta che lo svolgimento della procedura di ADR possa pregiudicare la parte in ragione della scadenza dei termini di prescrizione e decadenza.

Alla domanda devono inoltre essere allegati, a pena di improcedibilità, i documenti elencati all'art. 6.6 del Tico.

Una volta verificata l'ammissibilità della domanda il servizio conciliazione, comunica, in via telematica, entro 7 giorni dalla data di ricezione della stessa (purchè completa), l'avvio della procedura alle parti, provvedendo contestualmente a comunicare la data del primo incontro per lo svolgimento del tentativo di conciliazione, che deve essere fissato nel rispetto del termine di cui all'articolo 3, comma 3.2, ma non prima di 10 giorni dalla comunicazione medesima alle parti.

b) Modalità degli incontri

Si svolgono in modalità telematica nel giorno e ora comunicati dal servizio conciliazione, mediante una delle seguenti modalità: accesso all'apposita area virtuale riservata; web conference tramite chat, audio, video; l'utilizzo combinato di tali strumenti.

Le parti possono intervenire alla procedura facendosi rappresentare da soggetti, anche appartenenti alle associazioni dei consumatori o di categoria, muniti di procura generale o speciale purché idonea a conciliare e transigere la controversia, conferita con atto pubblico o con scrittura privata autenticata ovvero, per i soli clienti o utenti finali, con scrittura privata corredata della fotocopia di un documento di identità del delegante.

Gli operatori o gestori sono tenuti a partecipare alle procedure di conciliazione attivate nei loro confronti dal cliente o utente finale, salvo il caso in cui la domanda di conciliazione sia inammissibile.

Se la parte che ha attivato la procedura non compare al primo incontro, il conciliatore redige un verbale di mancata comparizione e la procedura è archiviata.

Se la parte che non ha attivato la procedura non compare al primo incontro al di fuori dei casi di cui all'art. 7, comma 7.3, il conciliatore dà atto nel verbale dell'esito negativo della procedura.

c) Riservatezza

Tutto ciò che viene dichiarato nel corso degli incontri non può essere registrato o verbalizzato.

É prevista l'inutilizzabilità delle dichiarazioni e delle informazioni apprese durante la procedura non solo, come per la mediazione (art. 10, comma 1), nel successivo giudizio sul medesimo oggetto, anche parziale, e anche iniziato, riassunto, proseguito dopo l'insuccesso della procedura di conciliazione (salvo il caso in cui vi sia il consenso della parte da cui provengono le informazioni e le dichiarazioni), ma anche, a differenza di quanto previsto per la mediazione, nel successivo procedimento arbitrale o contenzioso.

Le parti possono presentare argomentazioni, prove e documenti in qualsiasi fase della procedura, mediante upload dei relativi file all'interno della piattaforma telematica, nonché accedere ai documenti presentati dall'altra parte, salvo che quest'ultima non abbia richiesto espressamente che gli stessi debbano restare riservati.

d) Durata della procedura (i termini che seguono decorrono dalla presentazione della domanda):

  • 15 giorni se il cliente o utente finale documenti nella domanda di conciliazione la sospensione della fornitura per una fattura tempestivamente contestata con il reclamo;
  • 30 giorni nel caso in cui nel primo incontro le parti non raggiungano l'accordo (e non siano nemmeno disponibili a proseguire la procedura);
  • 90 giorni nel caso in cui le parti proseguano la procedura, anche dopo che la domanda è divenuta procedibile (ipotesi che appare invero quanto mai improbabile perché se la parte ha introdotto il giudizio difficilmente può aver interesse a proseguire la conciliazione).

Il secondo termine può essere prorogato:

  • per esigenze motivate e per un periodo non superiore a 30 giorni, su istanza congiunta delle parti avanzata entro la scadenza del termine di 90 giorni;
  • su iniziativa del servizio conciliazione, anche su richiesta del conciliatore, che ravvisi la complessità della procedura, previa comunicazione alle parti (non è indicato il termine entro cui deve essere assunta tale iniziativa.

Tali termini, al pari delle modalità di convocazione, sono stati così definiti, secondo quanto si legge nella delibera che ha adottato il Tico, «al fine di coniugare l'obbligo di attivazione della procedura di conciliazione con il diritto di difesa in giudizio dei propri diritti e interessi (garantito dall'articolo 24)».

e) Esito della conciliazione

Se la conciliazione ha esito positivo:

redazione, a cura del conciliatore, del verbale, nel quale sono indicati i punti controversi e l'accordo raggiunto con il relativo contenuto, e sua sottoscrizione dalle parti e dallo stesso conciliatore con firma elettronica. In mancanza di firma elettronica, alla modalità telematica di trasmissione del verbale potrà essere affiancata altra modalità compatibile e idonea a garantirne la provenienza.

La conciliazione può risultare anche dalla accettazione da parte delle parti della proposta conciliativa che esse possono richiedere congiuntamente al conciliatore, secondo modalità e tempi identici a quelli previsti dall'art. 11, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 per la proposta conciliativa del mediatore.

Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo a norma dell'art. 2, comma 24, lett. b), della l.n. 481/95.

Se la conciliazione non ha esito positivo:

il conciliatore redige un verbale nel quale indica i punti controversi e che il tentativo di conciliazione ha avuto esito negativo, ai fini di dare evidenza alla realizzazione della condizione di procedibilità.

Non è previsto che nel verbale si dia atto anche della eventuale proposta conciliativa ma tale formalità va desunta in via interpretativa.

Rapporti con il giudizio di merito

É sicuramente l'aspetto più controverso dell'istituto in esame dal momento che non è disciplinato in nessun modo, nemmeno mediante richiamo ad altre normative, nonostante la sua indubbia rilevanza.

Il Tico infatti, all'art. 3, comma 3.3, stabilisce solo che la condizione di procedibilità «si considera avverata se il primo incontro, da svolgersi non oltre 30 giorni dalla presentazione della domanda completa di conciliazione, si conclude senza l'accordo». Deve ritenersi che lo stesso effetto si produca nel caso in cui il primo incontro si svolgesse dopo il predetto termine di trenta giorni.

Non aiuta nemmeno la scarna disciplina dell'art. 2, comma 24, della l. n. 481/1995, tanto più che tale norma è rimasta di fatto inattuata, a causa della mancata emanazione del regolamento che nelle previsioni della legge avrebbe dovuto riempire di contenuto pratico le linee guida degli istituti da essa solo abbozzati (si veda sul punto Cass. civ., 17 maggio 2007, n. 11452, che, nel rilevare tale situazione, ha qualificato come meramente volontario il tentativo di conciliazione).

Alla luce di tali lacune è dubbio innanzitutto se, dopo il sopra citato esito della procedura, l'interessato possa comunque promuovere il giudizio, per essersi comunque realizzata la condizione di procedibilità.

La risposta pare dover essere negativa in difetto di una disposizione che lo affermi espressamente o che attribuisca al giudice della causa di merito il potere di rivalutare la decisione del servizio di conciliazione sul punto.

Ed allora è invece più plausibile ritenere che, a seguito della eventualità ipotizzata, sia necessario riproporre l'istanza di conciliazione, completa e corredata dei documenti richiesti, atteso che la riproposizione in questo caso non è contemplata dal Tico tra le ipotesi di inammissibilità (lo sono invece la riproposizione dopo la rinuncia ad una precedente istanza e dopo la mancata comparizione al primo incontro, se si era promossa la procedura).

Parimenti incerto risulta l'iter del giudizio che venga promosso senza aver esperito il tentativo di conciliazione. Non viene infatti precisato né da chi e fino quando possa essere rilevata tale omissione né le conseguenze di essa, mancando una disciplina di sanatoria come quella fissata, per altre condizioni di procedibilità (art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 e art. 3, comma 1, d.l. n. 132/2014 in tema di negoziazione assistita obbligatoria).

A ben vedere però questa parte della disciplina è accostabile a quella relativa al tentativo di conciliazione obbligatorio nelle controversie agrarie, di cui all'art.11, comma 3, d.lgs. n. 150/2011, riproduttivo del previgente art. 46 l. n. 203/1982, che presenta le medesime lacune.

Ed allora, per chiarire gli aspetti qui in esame, si possono forse applicare, a contrario, i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo a quella normativa.

Orbene, la Cassazione, sulla base del raffronto testuale tra l'art. 46l. n. 203/1982 e gli artt. 410 e 412-bis c.p.c., ha affermato che: «il tentativo di conciliazione in materia agraria deve essere sempre “preventivo”, cioè attivato prima dell'inizio di qualsiasi controversia, atteso che la norma, “inderogabile e imperativa”, non consente che il filtro dallo stesso costituito possa essere posto in essere successivamente alla domanda giudiziale».

L'ulteriore conseguenza è che l'esperimento preventivo del tentativo di conciliazione di cui al citato articolo costituisce condizione di proponibilità della domanda, la cui mancanza, rilevabile anche d'ufficio nel corso del giudizio di merito, comporta la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità (Cass. civ., 29 gennaio 2010, n. 2046; Cass. civ., 22 dicembre 2011, n. 28320; Cass. civ., 31 luglio 2012, n. 13683 e da ultimo, anche con riguardo al procedimento monitorio, Cass. civ., 20 marzo 2018, n. 6839).

Poiché però nel caso di specie il tentativo di conciliazione non viene definito come preventivo dall'art. 2, comma 24, della l. n. 481/1995 mentre al contempo è qualificato come condizione di procedibilità, può ritenersi che possa essere svolto anche nella pendenza del giudizio e che la sua mancanza sia rilevabile solo su eccezione di parte nel termine di cui all'art. 167, comma 2,c.p.c..

Principali differenze con la mediazione

Si è visto come la disciplina dell'istituto abbia alcuni punti di contatto con quella in tema di mediazione e come alcune sue lacune possano essere colmate facendo riferimento a quest'ultima.

I due istituti hanno anche delle significative differenze, desumibili da quanto si è detto nei precedenti paragrafi, che è opportuno riepilogare nel seguente riquadro.

Caratteri distintivi della conciliazione obbligatoria rispetto alla mediazione

  • Non è necessaria l'assistenza difensiva né la presenza personale delle parti.
  • Non è prevista espressamente la possibilità di sessioni separate (a differenza dell'art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 28/2010).
  • Non sono previste sanzioni per la parte che non compare nella procedura, nemmeno se è tenuta a parteciparvi. Se però si tratta della parte che ha promosso la procedura la sua azione giudiziale rimane improcedibile.
  • Il servizio di conciliazione ha poteri valutativi sulla completezza dell'istanza e della documentazione ad essa allegata, per disporne l'integrazione, e, di conseguenza, sulla ammissibilità o procedibilità della stessa (nella mediazione tale valutazione spetta al giudice).
  • Il conciliatore può valutare le prove e i documenti prodotti dalle parti ma, evidentemente, solo al fine dell'esperimento del tentativo di conciliazione.
  • La riservatezza non riguarda i documenti prodotti dalle parti salvo che le stesse non lo chiedano espressamente.
  • Non sono previsti incentivi fiscali (per la mediazione si veda invece l'art. 20, d.lgs. n. 28/2010).
  • Non è espressamente prevista una incapacità a testimoniare del conciliatore nel successivo giudizio (cfr. per la mediazione art. 10, comma 2, d.lgs. n. 28/2010).

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