La definizione agevolata delle controversie tributarie
29 Ottobre 2018
Premessa
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge 23 ottobre 2018, n. 119 – noto come “pace fiscale” in modo certamente amplificato – i contribuenti sono chiamati a confrontarsi con l'ennesimo provvedimento di definizione agevolata delle controversie che, al di là del nome, disciplina un vero e proprio condono. Il contenuto del decreto legge, nonostante sia stato frutto di un acceso confronto in ambito governativo che ha portato ad un doppio passaggio nel Consiglio dei Ministri – ipotesi certamente non frequente – non può dirsi comunque definitivo.
Invero, alcune modifiche sono state già annunciate da parte della stessa compagine governativa; altre saranno necessarie sia se si vuole effettivamente incentivare i contribuenti a definire le controversie pendenti, sia perché, sul piano tecnico, il testo merita una revisione in termini puramente linguistici oltre che su taluni aspetti di dubbia costituzionalità. In ogni caso, l'attuale provvedimento è stato predisposto sulla falsa riga dell'analoga definizione del 2017 ancorché con delle modifiche di carattere sostanziale. Ad esempio, a differenza del precedente provvedimento non è stata riproposta la possibilità prevista dall'indicato art. 11 comma 1-bis, introdotto dalla legge di conversione, per gli enti territoriali. Non rientrano nell'ambito di applicazione della disciplina in esame neanche le controversie instaurate contro altri enti impositori, come ad esempio l'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Le liti definibili
Come principio generale è possibile definire, a seguito di domanda del contribuente, le "controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l'Agenzia delle Entrate pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione e anche a seguito di rinvio". L'individuazione delle liti definibili va, quindi, effettuata in conformità alle disposizioni recate dall'art. 2 del decreto sul contenzioso 546/1992, concernente l'oggetto della giurisdizione tributaria. Ne deriva che possono essere definite, purché aventi ad oggetto questioni devolute alla giurisdizione tributaria, le liti pendenti presso:
Ai fini della determinazione delle di cui è “parte” l'Agenzia delle Entrate, mutuando anche le indicazioni degli Organi centrali della pregressa disciplina, occorre fare riferimento alla nozione di parte in senso formale e, quindi, alle sole ipotesi in cui l'Agenzia delle Entrate sia stata evocata in giudizio o, comunque, sia intervenuta.
Ne deriva che non sono definibili le liti nelle quali l'Agenzia delle Entrate, pur essendo titolare del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, non sia stata destinataria dell'atto di impugnazione e non sia stata successivamente chiamata in giudizio né sia intervenuta volontariamente.
Va da sé che sono escluse dalla definizione le controversie vertenti su sanzioni amministrative non tributarie, anche qualora l'Agenzia delle Entrate sia stata chiamata in giudizio, come, ad esempio, quelle instaurate avverso le sanzioni irrogate per l'impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria o per l'irregolare conferimento di incarichi a dipendenti pubblici.
Al fine di delimitare l'area operativa oggettiva delle liti aventi natura tributaria occorre richiamarsi alle ipotesi in cui l'Agenzia delle Entrate possa essere parte in senso formale; sono escluse, quindi, tutte quelle liti non rientranti nell'oggetto della giurisdizione tributaria.
Di contro, dovrebbero essere definibili le liti relative ad atti emessi dall'Agenzia delle Entrate che vedono come parte in giudizio, assieme alla stessa Agenzia, anche l'agente della riscossione. In ogni caso, appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento.
Al riguardo, per costante orientamento della Suprema Corte di cassazione, la giurisdizione tributaria, è una giurisdizione attribuita in via esclusiva e ratione materiae; essa comprende le controversie aventi ad oggetto "tributi di ogni genere e specie comunque denominati": occorre, da un lato, che si tratti di controversie in cui sia configurabile un rapporto di natura effettivamente tributaria, cioè concernente prestazioni patrimoniali imposte di natura tributaria, al fine di evitare la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali; dall'altro, che alla controversia non sia estraneo l'esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario, il quale non è configurabile in assenza di un soggetto investito, in senso lato, di potestas impositiva (Cass. civ., Sez. Unite, 11 settembre 2018, n. 22086).
Inoltre, la giurisdizione del giudice tributario include anche la controversia relativa ad una opposizione all'esecuzione attuata con un pignoramento presso terzi promosso con riguardo al mancato pagamento di tasse, laddove oggetto del giudizio sia la fondatezza del titolo esecutivo. In tali casi, infatti, trattandosi di valutare l'an del tributo, la giurisdizione non può che appartenere al giudice tributario.
Tuttavia, non tutte le controversie rientranti nella giurisdizione tributaria sono definibili. Occorre, invero, che la controversia abbia un “valore”.
Nel caso di lite in cui si contesta un atto relativo al classamento di immobile che contenga anche il recupero di tributi catastali e l'irrogazione di sanzioni non si ritiene possibile definire il giudizio, tenuto conto che, non può ammettersi la definizione parziale della lite vertente sul medesimo atto. Non è possibile infatti scindere, ai fini della definizione, la lite instaurata avverso l'intero atto, cioè riferita sia al classamento dell'immobile, di valore indeterminabile e quindi non definibile, sia ai tributi e alle sanzioni eventualmente oggetto di contestuale recupero. Sono esclusi, infine, i contributi previdenziali i quali, notoriamente, non costituiscono oggetto di liti fiscali e non rientrano, peraltro, nella giurisdizione delle Commissioni tributarie né tanto meno è configurabile, in relazione alle relative controversie, la legittimazione passiva dell'Agenzia delle Entrate.
Il presupposto oggettivo
Sotto il profilo oggettivo, ai fini della definizione agevolata è necessario che le liti siano “pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione e anche a seguito di rinvio”.
In merito la norma chiarisce espressamente che sono interessate le controversie in cui il ricorso in primo grado è stato notificato alla controparte entro la data del 24 ottobre 2018 e per le quali alla data della presentazione della domanda il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva.
Ne consegue che sono interessate le controversie per le quali alla data del 24 ottobre 2018 – data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 119/2018 - sia stato proposto l'atto introduttivo del giudizio di primo grado non definite alla data di presentazione della domanda di definizione, fatta eccezione per quelle integralmente definite tramite mediazione tributaria o conciliazione giudiziale.
Per i giudizi innanzi alle commissioni tributarie, occorre fare riferimento alla data in cui il ricorso introduttivo, anche se ricadente nella disciplina del reclamo e della mediazione di cui all'articolo è stato notificato all'Ufficio. In merito, secondo l'orientamento della Suprema Corte di Cassazione, non è stata ritenuta necessaria, entro la medesima data, anche la costituzione in giudizio in quanto la litispendenza si concretizza con la notifica del ricorso, orientamento, comunque, non unanime.
In ogni caso, rilevano le liti interessate da una pronuncia in primo o in secondo grado i cui termini di impugnazione non siano ancora scaduti alla data del 24 ottobre 2018 nonché le liti pendenti innanzi al giudice del rinvio o, quelle per le quali siano ancora in corso, al medesima data, i termini per la riassunzione. Uno dei profili meritevoli di conferma in sede di emanazione delle disposizioni applicative riguarda le liti instaurate mediante ricorsi affetti da vizi di inammissibilità, in quanto proposti oltre i termini prescritti dalla legge ovvero privi dei requisiti di forma e di contenuto previsti. In passato si è ritenuto che, per simili ipotesi, la definizione sia possibile a condizione che, alla data di entrata in vigore del provvedimento, sia stato notificato il ricorso in primo grado e per le quali, alla data di presentazione della domanda di definizione, non sia intervenuta una pronuncia della Cassazione che ne abbia statuito l'inammissibilità, sempre che non si sia in presenza di una forma di abuso del processo.
Si verifica tale circostanza qualora il contribuente utilizzi strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento appresta alla parte tali mezzi di tutela della propria posizione sostanziale. In particolare, la definizione è stata esclusa dalla giurisprudenza laddove si ravvisi la sussistenza di una forma di abuso del processo in presenza di elementi dai quali emerga, in modo evidente e inequivoco, il carattere meramente fittizio e artificioso della controversia principale, instaurata, nonostante la palese tardività, al solo fine di creare il presupposto per poter fruire del beneficio.
A tal fine è stato indicato come chiaro elemento sintomatico della configurabilità di un uso abusivo del processo il caso in cui il contribuente abbia impugnato l'atto impositivo ben oltre il termine di legge senza nulla argomentare in ordine alla perdurante ammissibilità dell'impugnazione nonostante il tempo trascorso.
Sono, definibili, inoltre, le liti interessate da sentenze per le quali pendono i termini per la proposizione della revocazione ordinaria, ad esclusione delle liti per le quali è stata depositata sentenza della Corte di cassazione senza rinvio, che si considerano comunque definitive. Deve, escludersi, per contro la possibilità di definizione delle liti nelle quali siano state pronunciate sentenze impugnabili tramite la revocazione straordinaria atteso che detto rimedio non è richiamato dall'articolo 324 c.p.c. tra i mezzi di impugnazione suscettibili di precludere il passaggio in giudicato delle sentenze.
Parimenti, non possono ritenersi definibili le cosiddette liti potenziali, cioè le situazioni in cui il ricorso di primo grado non sia stato notificato alla data del 24 ottobre 2018, pur essendo pendenti, alla medesima data, i termini di impugnazione di un atto notificato al contribuente. Il costo della definizione agevolata
In via generale il contenzioso può essere definito versando un importo pari al valore della controversia costituito dall'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
In caso di soccombenza dell'Agenzia delle Entrate nell'ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data del 24 ottobre 2018, le controversie possono essere definite con il pagamento: a) della metà del valore della controversia, in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado; b) di un quinto del valore della controversia, in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado.
Le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo l'importo da versare è pari:
Nulla è dovuto, per contro, per le controversie relative esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla definizione in esame.
Il perfezionamento della definizione
La definizione agevolata della controversia si perfeziona con la presentazione di un'apposita domanda, da rivolgere all'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate parte in giudizio e da redigere compilando il modello conforme a quello che sarà approvato con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate e con il pagamento degli importi dovuti o della prima rata entro il 31 maggio 2019.
Qualora gli importi dovuti superano mille euro è ammesso il pagamento rateale, con un massimo di venti rate trimestrali. Il termine di pagamento delle rate successive alla prima scade il 31 agosto, 30 novembre, 28 febbraio e 31 maggio di ciascun anno a partire dal 2019.
Sulle rate successive alla prima, si applicano gli interessi legali calcolati dal 1° giugno 2019 alla data del versamento. In merito sono stati affermati i seguenti principi:
Sospensione dei termini processuali
Contrariamente a quanto avvenuto in passato le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni agevolative nel qual caso il processo è sospeso fino al 10 giugno 2019.
Come ulteriore adempimento è previsto che se il contribuente entro tale data deposita presso l'organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020.
Per contro, per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra il 24 ottobre 2018 e il 31 luglio 2019. |