Responsabilità per danno cagionato da animali: quali frontiere giurisprudenziali?

Alice Cocchi
02 Novembre 2018

La presente rassegna mira ad approfondire la tematica relativa ai danni da animali ai sensi dell'art. 2052 c.c. e, in particolare, la natura di tale responsabilità e gli elementi caratterizzanti la fattispecie. In considerazione del fatto che tale responsabilità si intreccia con quella prevista da altre norme ed alla luce dell'excursus giurisprudenziale in materia, sono state prese in considerazione le possibili applicazioni concrete della normativa. Infine, è stata trattata la particolare tematica dei danni cagionati da fauna selvatica, per la quale è prevista una disciplina civilistica speciale.
Premessa
La responsabilità per danno cagionato da animali trova la propria disciplina nell'articolo 2052 del codice civile, il quale prevede che «Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito». Ci troviamo di fronte ad una delle ipotesi speciali di responsabilità civilistiche previste dal nostro ordinamento, cui si applica una disciplina in parte derogatoria rispetto a quella prevista dall'art. 2043 c.c. Infatti, in questo caso la responsabilità rientra tra le ipotesi di tipo oggettivo, poichè non fondata sugli elementi soggettivi del dolo e della colpa, ma sul rapporto di fatto del proprietario o del detentore con l'animale. Tale fattispecie trovava disciplina già nel codice previgente, dal quale l'attuale codice civile del 1942 si diversifica solo per l'introduzione della prova liberatoria. In merito alla sua applicazione, la norma dell'art. 2052 c.c. riconosce la presenza di una responsabilità civilistica nel caso in cui sussistano i seguenti requisiti:a) collegamento causale tra il fatto dell'animale ed il danno;b) accertamento di un rapporto di proprietà o di utenza in capo al convenuto, il quale potrà liberarsi dalla responsabilità solamente dimostrando il caso fortuito. Trattiamo la fattispecie in modo approfondito.
Il fondamento della responsabilità ex art. 2052 c.c.
Data la sua formulazione, la previsione contenuta nell'art. 2052 c.c. viene spesso affiancata a quella dell'art. 2051 c.c. sulla responsabilità da cose in custodia in termini di presupposti e di onere della prova. Infatti, entrambe le fattispecie prevedono una responsabilità di tipo oggettivo e, pertanto, sia la liberazione solo a seguito di dimostrazione della sussistenza del caso fortuito, sia il requisito dell'esistenza di un rapporto di custodia (nell'ipotesi dell'art. 2051 c.c. riguarda oggetti inanimati,mentre, nell'articolo seguente, animali). In realtà, con riguardo all'art. 2052 c.c. la questione non risulta così pacifica, tanto che sono emersi due opposti orientamenti volti a disegnare i contorni della responsabilità della fattispecie in esame. In particolare e soprattutto in epocameno recente, sull'interpretazione della norma in commento si sono contrapposte due diverse opinioni: la prima di impianto soggettivista, che rinveniva nella colpa il fondamento della responsabilità per danno cagionato da ani-nfatti, in questo caso la responsabilità rientra tra le ipotesi di tipo oggettivo, poiché non mali e faceva discendere quest'ultima dalla violazione di un obbligo di custodia; la seconda di derivazione oggettivista, la quale riconosceva nella disciplina dell'art. 2052 c.c. un'ipotesi di responsabilità oggettiva basata in parte sul principio latino cuius commoda, eius et incommoda ed in parte sul principio del rischio, che fa ricadere la responsabilità su colui che svolge attività potenzialmente pericolose per la collettività. Anche parte della giurisprudenza ha rinvenuto la ricorrenza della colpa in questa fattispecie e, pertanto, si è parzialmente dimostrata propensa ad aderire alla tesi soggettivistica, motivando tale posizione sul riconoscimento dell'esistenza di una presunzione iuris et de iure di colpa a carico del proprietario/utente dell'animale. Infatti, quest'ultima corrente giurisprudenziale ha ritenuto sottointeso l'elemento soggettivo: il fatto stesso che fosse accaduto un evento dannoso sarebbe stata la dimostrazione che la custodia non fosse stata caratterizzata da diligenza, rendendo la prova contraria una probatio diabolica a carico del convenuto. Tale posizione è stata nel tempo criticata da chi ha sostenuto, invece, la teoria oggettivista, affermando — in primis — come la dimostrazione dell'assenza di colpa non possa determinare degli effetti liberatori. Tale posizione è basata sulla considerazione che la disposizione normativa prevede espressamente il caso fortuito ed individua in modo preciso nelle figure del proprietario, del possessore o del detentore i soggetti ritenuti civilmente responsabili del danno cagionato dall'animale. In secundis la dottrina più recente sottolinea l'impossibilità di operare una differenziazione teorica tra presunzione assoluta di colpa e responsabilità oggettiva, arrivando, pertanto, la prima a diventare unamera rappresentazione giuridica. Di fatto, la parte dominante della giurisprudenza ha da sempre accolto quest'ultima impostazione giuridica, riconoscendo il fondamento della responsabilità ex art. 2052 c.c. nel rapporto diutenza intercorrente tra il proprietario, ovvero chi se ne serve temporaneamente, e l'animale; in tal modo si arrivava a disconoscere il fondamento della relativa responsabilità su una presunzione di culpa in custodiendo del padrone o dell'utente dell'animale. Accolta, quindi, come dominante la tesi che ritiene la responsabilità per i danni cagionati da animali di tipo oggettivo, affrontiamo ora la portata che la prova liberatoria assume nell'applicazione concreta della norma.
La prova liberatoria: sussistenza e prova del caso fortuito
Come conseguenza della tipizzazione della responsabilità prevista dall'art. 2052 c.c. tra quelle di tipo oggettivo, l'esonero dalla stessa opera a favore del proprietario od utilizzatore dell'animale solo in presenza di caso fortuito. Il proprietario o titolare del rapporto di utenza deve, infatti, dimostrare prima di tutto la sussistenza di un nesso eziologico tra animale ed evento dannoso e, in seguito, il configurarsi di un evento imprevedibile, inevitabile ed eccezionale che abbia condotto all'attività dannosa dell'animale. Pertanto, dopo che l'attore avrà dimostrato la sussistenza di un nesso eziologico tra animale ed evento dannoso, il convenuto sarà tenuto a provare, di contro, l'esistenza di un evento idoneo ad interrompere il nesso causale tra il fatto dell'animale ed il danno. In particolare, l'evento deve essere contraddistinto da scarsissime possibilità di realizzazione a tal punto da non rientrare tra le possibili ipotesi di sinistri assicurabili. Ad ogni buon conto, il caso fortuito è caratterizzato in questo frangente da una connotazione strettamente oggettiva, tanto che risulta irrilevante, ai fini della liberazione dalla responsabilità, la prova della diligenza nella custodia dell'animale o che il fatto lesivo sia attribuibile alla natura irragionevole dell'animale. Rientra, viceversa, nel caso fortuito l'ipotesi in cui il danno, malgrado provocato concretamente dall'animale, sia attribuibile a titolo di colpa al danneggiato o ad un terzo. Nello specifico, nel caso in cui il danneggiato concorra a cagionare l'evento dannoso con il suo comportamento, quest'ultimo deve essere caratterizzato da un'azione cosciente e non derivante da una reazione istintiva della vittima. In ogni caso, deve trattarsi di un accadimento tale da assorbire l'intero rapporto causale, ossia l'utente dell'animale deve dimostrare di aver adottato tutte le accortezze necessarie allo scopo di impedire l'intromissione del terzo nella sua sfera giuridica e di aver comunque messo quest'ultimo nelle condizioni di essere cosciente dell'eventuale pericolo e, quindi, del derivante divieto di entrare nel luogo in cui è custodito l'animale. Da ciò consegue l'affermazione, ad opera della Suprema Corte, che gli effetti liberatori siano rinvenibili solo nell'eventualità in cui il fatto, idoneo a dar origine all'azione dell'animale, sia connotato da un estrema atipicità ed imprevedibilità, tanto da non poter rientrare nei rischi razionalmente prospettabili dall'utente dell'animale.
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