Usura. Sulla rilevanza penale degli interessi di mora

06 Novembre 2018

La sentenza in commento, fra le varie questioni affrontate, si è diffusamente soffermata sul tema attinente al momento consumativo del reato di usura e, altresì, su quello relativo alla rilevanza penale degli interessi di mora.
Massima

Il delitto di usura appartiene alla categoria dei reati a consumazione anticipata o a condotta frazionata e può manifestarsi in due modi.

Il primo, nel quale vi è conseguimento effettivo del profitto illecito, consiste nella prestazione di interessi o vantaggi usurari. Il secondo, invece, corrisponde alla mera pattuizione di questi ultimi. Il momento consumativo è, di conseguenza, diverso: nel primo caso coincide con il pagamento del debito usurario; nel secondo caso, invece, con l'accettazione dell'obbligazione rimasta inadempiuta

Il caso

Il tribunale penale di Cagliari ha assolto con la formula perché il fatto non sussiste alcuni dirigenti di un istituto di credito imputati del delitto di usura. L'ipotesi accusatoria muoveva dalla premessa che gli imputati si sarebbero fatti promettere e poi avrebbero incassato da un imprenditore, nell'ambito di un'operazione di finanziamento bancario, interessi qualificabili come usurari perché eccedenti il tasso soglia.

Secondo il tribunale l'accordo di finanziamento non poteva essere considerato fonte di interessi usurari perché il saggio pattuito e applicato al cliente risultava ben al di sotto del tasso soglia e ciò con riferimento sia agli interessi corrispettivi sia a quelli moratori.

La questione

La sentenza in commento, fra le varie questioni affrontate, si è diffusamente soffermata sul tema attinente al momento consumativo del reato di usura e, altresì, su quello relativo alla rilevanza penale degli interessi di mora.

Sotto il primo aspetto è importante una breve premessa di carattere storico.

Prima della riforma introdotta con la l. 108/1996 la giurisprudenza e la dottrina prevalenti consideravano l'usura un reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti.

L'art. 11 della l. 108/1996 ha introdotto l'art. 644-ter c.p. in virtù del quale la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale.

Si è discusso in dottrina e in giurisprudenza sulle conseguenze di questa nuova disposizione in ordine alla natura giuridica del reato di usura.

E invero il precedente insegnamento giurisprudenziale si era consolidato nel ritenere l'usura come un reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti laddove il momento consumativo era rappresentato dalla semplice accettazione della promessa di pagamento di interessi usurari ancorchè l'offesa potesse perdurare nel tempo, mentre gli atti di effettivo adempimento in tal senso eseguito erano considerati come post factum non punibile, con l'ulteriore corollario che il termine di prescrizione decorreva dalla data in cui era intercorso l'accordo criminoso e non da quella dell'ultimo pagamento.

Dopo l'introduzione dell'art. 644-ter c.p. la giurisprudenza ha rivisto il proprio orientamento e muovendo dalla considerazione che «la prescrizione decorre dal giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale» ha inquadrato il delitto di usura come reato a duplice schema, nel quale il momento di consumazione del delitto è costituito, alternativamente, dalla semplice accettazione della promessa di pagamento di interessi usurari nel caso in cui l'obbligazione rimanga inadempiuta, ovvero dagli atti di adempimento e in quest'ultimo caso l'usura si configura come reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata.

Una parte della dottrina tuttavia continua a sostenere che l'art. 644-ter c.p. non avrebbe inciso sulla natura giuridica del reato ma solo sulla prescrizione.

In proposito, si è osservato che il Legislatore, anziché annoverare la fattispecie dell'usura nell'alveo dei reati permanenti, avrebbe confermato il tradizionale indirizzo giurisprudenziale incentrato sulla tesi del reato istantaneo a effetti eventualmente permanenti. Lo stesso Legislatore consapevole di tale classificazione se ne sarebbe discostato al solo fine di consentire il decorso della prescrizione non dal momento in cui è intervenuto l'accordo illecito, bensì dall'ultima riscossione del capitale e degli interessi usurari.

La soluzione legislativa sarebbe stata funzionale soltanto all'esigenza di dilatare i termini prescrizionali, sebbene sotto ogni altro aspetto il reato di usura abbia conservato la natura di reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti.

Così impostata la questione è densa di significative conseguenze sul piano del diritto penale sostanziale e processuale.

Sotto il primo profilo è sufficiente ricordare le implicazioni vuoi in materia di concorso di persone nel reato (qualora i pagamenti venissero considerati un post factum non punibile), vuoi quelle collegate alla normativa più favorevole nel caso di successione di leggi nel tempo, vuoi infine quelle relative all'applicazione delle cause di estinzione del reato differenti dalla prescrizione quali l'amnistia e l'indulto.

Sul versante processuale stabilire se l'usura debba considerarsi un reato istantaneo o permanente è parimenti rilevante sotto molteplici aspetti (si pensi alle questioni legate alla competenza territoriale, alla flagranza del reato, all'“attualità” delle esigenze cautelari sottese all'applicazione delle misure restrittive).

Quanto alla possibilità di sussumere interessi moratori nel reato di usura, la sentenza approda a una conclusone positiva.

In attesa di un pronunciamento della Cassazione penale si registra un contrasto di opinioni fra i giudici di merito.

Il tribunale di Cagliari, nell'affermare che anche gli interessi di mora ricadono nel perimetro applicativo dell'usura, ha enunciato criteri ermeneutici che si fondano essenzialmente su elementi di carattere letterale desumibili non solo dalla previsione normativa ex art. 644 c.p. ma anche dall'art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in l. 28 febbraio 2001, n. 24 (concernente l'interpretazione autentica della legge 7/3/1996 n. 108, recante disposizioni in materia di usura). Interpretazione che troverebbe un'autorevole conferma nella sentenza n. 29/2002 dalla Corte Costituzionale.

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in commento, ai fini dell'individuazione del momento consumativo finale del reato di usura, si è riaffermato il consolidato insegnamento giurisprudenziale che configura tale delitto come reato a duplice schema.

In linea con il modello interpretativo già sperimentato in relazione al reato di corruzione, la giurisprudenza sostiene che, attraverso l'incriminazione della semplice promessa di pagare interessi usurari, il Legislatore avrebbe voluto sì anticipare la soglia di punibilità al momento dell'accordo negoziale ma nello stesso tempo avrebbe inteso attribuire rilevanza penale anche alla riscossione degli interessi. Siffatta condotta, di conseguenza, non può essere confinata nell'ambito di un mero post factum non punibile.

E invero attraverso la riscossione degli interessi si realizzerebbe un approfondimento dell'offensività del reato e lo slittamento in avanti della sua consumazione. Tale elemento non può essere considerato pertanto una circostanza esterna ed estranea rispetto alla struttura della fattispecie tipica del reato di usura.

A riprova che la riscossione degli interessi presenta un intrinseco e autonomo significato di offensività, che va ben oltre l'esigenza di reprimere la sola promessa di pagamento, si è ulteriormente osservato che è proprio con la percezione degli interessi usurari che si comprime la libertà morale e l'autonomia contrattuale della persona offesa, depauperandone il patrimonio e comunque alterando il corretto funzionamento del mercato finanziario.

Il tribunale di Cagliari, inoltre, ritiene che gli interessi di mora contraddistinti da un saggio superiore al tasso soglia siano assoggettabili alla disciplina penale dell'usura.

In tal senso la ricostruzione ermeneutica si è fondata principalmente su alcuni elementi di carattere letterale.

E invero l'art. 644, comma 4, c.p. indica esplicitamente i criteri da prendere in considerazione per la determinazione del tasso d'interesse («remunerazioni a qualsiasi titolo e spese collegate all'erogazione del credito») utilizzando al riguardo un'espressione più ampia rispetto a quella contemplata nel primo comma («interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo della prestazione di denaro»).

L'intento del legislatore ai fini dell'usura sarebbe perciò quello di reprimere ogni remunerazione (salve le eccezioni espressamente stabilite) in senso lato funzionalmente collegata all'erogazione del credito.

L'art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394 in questa prospettiva avrebbe considerato qualunque tipo d'interesse, prescindendo anche in tal caso dal nomen iuris, a conferma della sua irrilevanza.

Si è soggiunto che gli interessi di mora non assolvono soltanto a una funzione meramente risarcitoria, ma anche remunerativa.

Del resto la stessa Corte costituzionale, sebbene in un obiter dictum, si è pronunciata per la riconducibilità degli interessi di mora nell'ambito della normativa antiusura (Corte cost. n. 29/2002).

In quest'ottica non avrebbe importanza neppure il fatto che, secondo le istruzioni della Banca d'Italia al fine di determinare il TEGM (Tasso Effettivo Globale Medio), non vengano rilevati i tassi moratori.

In sostanza, «il nucleo essenziale dell'art. 644 c.p. (che si configura come una norma penale “parzialmente in bianco”) è descritto in modo compiuto nella stessa disposizione incriminatrice e il rinvio alla normativa secondaria, che è costituita dal decreto ministeriale e non certo dalle istruzioni della Banca d'Italia è effettuato per la mera individuazione del tasso soglia pro tempore vigente. Ma neppure la fonte ministeriale è delegata a delle norme primarie a individuare voci di costo rilevanti ai fini di verifica di legalità del tasso, essendo esse già stabilite dall'art. 644, comma 4, c.p. che prevede: “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese”, senza fare rinvio ad un aggregato di costi predeterminato dalla normativa secondaria che – ove illegittima e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante né per il giudice né per gli operatori professionali del settore».

Osservazioni

L'interpretazione offerta dal tribunale di Cagliari in ordine al momento consumativo finale del reato di usura riflette un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato.

Viceversa l'articolata motivazione a sostegno della tesi secondo cui anche gli interessi di mora debbano essere assoggettati alla disciplina penale dell'usura non appare convincente e, al di là delle intenzioni, si risolve in un'interpretazione analogica che viola il principio di tassatività della norma penale.

A norma dell'art. 644 c.p. l'interesse usurario è quello pattuito quale corrispettivo di una dazione di denaro o di altre utilità.

Tali espressione non lascia dubbi interpretativi, non essendo ipotizzabile che il Legislatore non avesse presente la tradizionale distinzione tra interessi corrispettivi e moratori e, dunque, la diversa funzione che li caratterizza.

I primi, com'è noto, costituiscono la remunerazione per l'uso del denaro, mentre i secondi, che sono dovuti solo in caso d'inadempimento, rappresentano un risarcimento del danno predeterminato in via forfettaria.

È evidente la profonda differenza sul piano economico, operativo e giuridico fra i due tipi d'interesse.

L'interesse moratorio inerisce alla patologia del rapporto contrattuale e non all'originario sinallagma e, in particolare, alla corrispettività e reciprocità tra prestazione e controprestazione, in quanto è subordinato a una situazione di disequilibrio sopravvenuta determinata dall'inadempimento e dipendente esclusivamente dal comportamento del debitore; a differenza degli interessi corrispettivi che operano sul piano della fisiologia del rapporto contrattuale.

A questi ultimi in via esclusiva ha inteso riferirsi il Legislatore.

Se lo scopo della norma incriminatrice fosse stato quello di sanzionare anche gli interessi di mora li avrebbe espressamente menzionati al pari di quelli corrispettivi. Ebbene, neppure nella relazione al progetto di legge che ha accompagnato la modifica dell'art. 644 c.p., introdotta attraverso la l. 7 marzo 1996 n. 108, vi è traccia della volontà di attrarre nell'orbita del penalmente rilevante anche gli interessi di mora.

Né in senso contrario possono valorizzarsi argomenti di natura letterale e logica desumibili dalla normativa dettata dall'art. 644, comma 4 c.p., a norma della quale «per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito». Tale disposizione riveste una funzione complementare dovendo coordinarsi col primo comma, ed è volta unicamente a indicare gli elementi finanziari che nella fisiologia del rapporto contrattuale devono essere considerati per determinare il tasso d'interesse “ corrispettivo” al fine di verificarne il carattere usurario o no.

Guida all'approfondimento

IZZO, Anatocismo, usura e contratti bancari, Giuffrè, 2018;

MAGRO, Riflessioni penalistiche in tema di usura bancaria, in Dir. pen. cont., 3/2017;

MANZIONE, L'usura, Giuffrè, 2013;

MARENHI, Sub. Art. 644, in T. Padovani (a cura di), codice penale, Giuffrè, 2015, 3775.

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