Unioni civili: scioglimento anche senza la preventiva dichiarazione innanzi all'ufficiale di stato civile

14 Novembre 2018

Il Tribunale di Novara, con la pronunzia in commento che è la prima edita, affronta due questioni di rilevante interesse: l'oggetto del giudizio di scioglimento dell'unione civile, ovverosia il perimetro entro il quale il Giudice deve muoversi per pronunziare lo scioglimento e la natura dell'obbligo, previsto dall'art. 1, comma 24, l. n. 76/2016, di esprimere innanzi all'Ufficiale di Stato civile del luogo in cui l'unione è stata costituita la volontà di una o di entrambe le parti di sciogliere l'unione civile.
Massima

La dichiarazione di voler sciogliere l'unione, prevista dall'art. 1, comma 24, l. n. 76/2016, nelle forme previste dal d.m. 27 febbraio 2017, non costituisce condizione di procedibilità della domanda di scioglimento dell'unione civile che, dunque, può essere pronunziata anche in assenza della fase amministrativa; in questa ipotesi, però, tra l'udienza presidenziale – in cui la parte richiedente abbia ribadito la propria volontà di cessare l'unione – e la sentenza devono decorrere almeno 3 mesi, ovvero quel lasso temporale che, secondo la norma richiamata, deve decorrere tra la dichiarazione resa all'Ufficiale di stato civile e la presentazione del ricorso.

Il caso

Tizio, italiano, e Caio, francese, hanno contratto unione civile in Italia e fissato la loro residenza familiare in Novara da cui Caio si è allontanato.

Tizio ha dunque richiesto al Tribunale lo scioglimento dell'unione civile, senza però comunicare preventivamente a Caio la propria volontà a mezzo raccomandata, come previsto dal d.lgs. n. 5/2017 e senza rendere alcuna dichiarazione all'Ufficiale di Stato civile, come in realtà sarebbe previsto dall'art. 1, comma 24, l. n. 76/2016.

Nonostante la ritualità della notificazione, Caio non si è costituito né è comparso all'udienza ex art. 4. l. n. 898/1970, nel corso della quale il Presidente ha autorizzato le parti a vivere separate. Notificata l'ordinanza presidenziale, Caio non si è costituito neppure all'udienza innanzi al G.I. che ne ha dichiarato la contumacia. Precisate immediatamente le conclusioni, senza lo svolgimento di alcuna attività istruttoria, anche in considerazione dell'assenza di richieste accessorie, il Tribunale ha pronunciato lo scioglimento dell'unione.

La questione

Il Tribunale di Novara, con la pronunzia in commento che è la prima edita, affronta due questioni di rilevante interesse: l'oggetto del giudizio di scioglimento dell'unione civile, ovverosia il perimetro entro il quale il Giudice deve muoversi per pronunziare lo scioglimento e la natura dell'obbligo, previsto dall'art. 1, comma 24,l. n. 76/2016, di esprimere innanzi all'Ufficiale di Stato civile del luogo in cui l'unione è stata costituita la volontà di una o di entrambe le parti di sciogliere l'unione civile.

Le soluzioni giuridiche

In primo luogo, il Tribunale di Novara, ancorché non lo motivi espressamente nella decisione in commento, ritiene di avere la competenza giurisdizionale all'emissione della pronunzia, pur in presenza di elementi di "extraterritorialità" nella fattispecie: una delle parti era infatti cittadina francese. Si tratta di competenza non certo fondata sul Reg. UE 2201/2003 (assolutamente inapplicabile alle unioni registrate e, dunque, alle unioni civili) quanto semmai sull'art. 32-quater l. n. 218/1995, così come modificata dall'art. 1 d.lgs. n.7/2017. La coppia infatti aveva contratto l'unione civile in Italia e, comunque sia, uno dei contraenti era cittadino italiano. Il Tribunale era poi territorialmente competente giacché, nel suo circondario, si trovava l'ultima residenza comune dei coniugi e dunque ai sensi dell'art. 706, comma 1, c.p.c., espressamente richiamato dall'art. 1, comma 25, l. n. 76/2016.

Ciò premesso, la prima questione risolta nella decisione in commento riguarda l'oggetto del giudizio di scioglimento dell'unione civile, ovverosia dell'accertamento del Giudice.

È noto, infatti, che all'unione civile non si applica la disciplina sostanziale della separazione (esclusa dal comma 20 e non richiamata dal comma 22) ma solo, parzialmente, quella del divorzio. L'unione civile dunque si scioglie per morte, a seguito di dichiarazione di morte presunta (comma 22), nel caso rettificazione di sesso (comma 26), e nei casi previsti dall'art. 3, nn. 1 e 2, lett. a), c), d) ed e) (comma 23).

Non essendo applicabili le norma sostanziali della separazione, all'unione non è applicabile, sia perché non richiamato dal comma 25, sia perché non applicabile in forza del comma 20, la disciplina statisticamente "più comune" nel caso di coppie eterosessuali e dunque lo scioglimento dopo la separazione; ad essa il legislatore ha sostituito il meccanismo di cui al comma 24, come poi precisato dal d.lgs. n. 5/2017. Chi vuole sciogliere l'unione deve prima mandare una comunicazione in tal senso all'altro (tranne il caso in cui la volontà sia comune) a mezzo raccomandata o strumento "equipollente", poi recarsi innanzi all'Ufficiale di Stato civile per rendere la dichiarazione di voler sciogliere l'unione, secondo le formule sacramentali previste nel d.m. 27 febbraio 2017 e, infine, rivolgersi al Giudice con ricorso (e procedimento) disciplinato dalle norme sul divorzio (l. n. 898/1970).

Nella sentenza in esame, il Giudice ha correttamente rilevato che il comma 25 non richiama espressamente gli artt. 1 e 2 l. div.; da ciò, secondo il Tribunale piemontese discenderebbe che, mentre nel caso di divorzio «per poter pronunziare una sentenza di scioglimento il Giudice deve a rigore accertare che la comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita» per gli eventi indicati nell'art. 3, nel procedimento di scioglimento dell'unione civile è del tutto «irrilevante se ed in che misura il perfezionamento di una delle fattispecie indicate nell'art. 3 l.div.» abbia inciso sulla comunione di vita tra le parti; nella sentenza in commento infatti si sostiene che, a differenza del matrimonio, «l'esistenza ab origine e la conservazione di una comunione materiale e spirituale di vita tra le parti è del tutto priva di rilevanza nell'istituto dell'unione civile».

In altre parole: nel procedimento di scioglimento dell'unione civile, il Giudice deve limitarsi a prendere atto dell'esistenza di uno dei fatti indicati nel comma 23 (morte e morte presunta indicati al comma 22 producono infatti lo scioglimento automatico dell'unione) per pronunziare lo scioglimento.

Risolta la prima questione, il Tribunale affronta la seconda: che natura si deve riconoscere alla preventiva comunicazione all'altro e alla successiva dichiarazione resa innanzi all'Ufficiale di Stato civile prima di poter adire il Giudice?

Il Tribunale esclude categoricamente possa riconoscersi alla fase c.d. amministrativa la natura di condizione di procedibilità della domanda, come, invece, sostenuto da parte della dottrina. Secondo i giudici novaresi infatti: a) «in primo luogo (…) l'invocato comma 24, pur stabilendo che la parte renda la dichiarazione innanzi all'Ufficiale di stato civile, non qualifica espressamente tale dichiarazione come condizione di procedibilità dell'azione, né fa discendere alcuna conseguenza dall'inadempimento di tale incombente»; b) la dichiarazione ha il solo effetto di determinare lo scattare di quello spatium deliberandi trimestrale necessario all'ottenimento della pronunzia: i tre mesi sono funzionali (a bene vedere anche in linea con il termine semestrale del divorzio eterosessuale) a far riflettere la parte sulle proprie intenzioni; c) una volta riconosciuto che «l'unico scopo attribuito a tale dichiarazione è quello di cristallizzare in maniera formale il momento in cui il partner manifesta la volontà di sciogliere l'unione»sotto il profilo teleologico-sistematico, nulla impedisce di «escludere la possibilità di equiparare, quanto a sacralità e formalità, la dichiarazione resa all'Ufficiale di stato civile con quella resa al Presidente del Tribunale».

Secondo il Tribunale, dunque, "la fase amministrativa" indicata nell'art. 1, comma 24, l. n. 76/2016 non costituisce condizione di procedibilità della domanda. In assenza della dichiarazione resa all'Ufficiale di stato civile la parte può comunque chiedere lo scioglimento dell'unione che il Giudice pronunzierà, in assenza della preventiva dichiarazione, se la parte ribadisce la propria volontà di fare cessare il vincolo all'udienza presidenziale e se tra l'udienza presidenziale e il momento «in cui il Tribunale si trova a decidere sulla domanda sia trascorso un termine pari o superiore a tre mesi».

Si tratta, si legge nella motivazione della sentenza della soluzione «più idonea a contemperare il rispetto del dato normativo con i principi di economia processuale e ragionevole durata del processo».

Osservazioni

La sentenza in commento ha un iter espositivo molto chiaro e lineare e si fa carico di risolvere uno dei problemi processuali su cui tutti i commentatori si erano concentrati sin dall'entrata in vigore della l. n. 76/2016; è infatti innegabile, e lo si era segnalato sin da subìto, che il meccanismo previsto dai commi 24 e 25 era assai farraginoso e, complice anche una scrittura non cristallina, si prestava a interpretazioni non uniformi. Il problema non era stato risolto dai decreti delegati e in particolare dal d.lgs. n. 5/2017 (modifiche all'ordinamento dello Stato civile) e dal d.m. 27 febbraio 2017 in forza dei quali, anzi, era stato previsto un ulteriore adempimento preventivo allo scioglimento: l'invio della comunicazione al partner con raccomandata o mezzo "equipollente".

L'interpretazione "liberalizzatrice" proposta dal Tribunale – secondo cui sostanzialmente può essere omessa la fase amministrativa – è sicuramente affascinante e assai ben strutturata, ma pare scontarsi con un'eccezione di carattere insormontabile: si tratta di interpretazione abrogatrice di una disposizione di legge; essa infatti non si limita a interpretare ma, nel momento in cui afferma che il "passaggio" di cui al comma 24 può essere superato, di fatto abroga la norma. Al netto dell'opinione che si può avere sul comma 24 (per chi scrive, assolutamente negativa), non si possono nascondere tutti i dubbi che nascono dall'interpretazione dei magistrati piemontesi, soprattutto perché la fase del comma 24 non sembra essere solo un mero passaggio processuale, ma una vera e propria causa "sostanziale" dello scioglimento, in forza del tenore letterale e dell'intero impianto della norma («L'unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile»); il tutto senza considerare due ulteriori elementi: i) la norma parla di una dichiarazione "all'Ufficiale di stato civile" e non al Pubblico Ufficiale (quale è il giudice); ii) l'Ufficiale dello stato civile annota la dichiarazione di volontà sul certificato di costituzione dell'unione civile, sottoponendo la dichiarazione ad un regime di pubblicità invece completamente assente nell'ipotesi in cui si ritenesse sufficiente la semplice dichiarazione resa, ex post, innanzi al Presidente.

Lascia poi perplessi un passaggio della motivazione della sentenza, peraltro per nulla funzionale alla decisione: i Giudici infatti assumono che «ad avviso dei commentatori […] l'esistenza ab origine e la conservazione di una comunione materiale e spirituale di vita tra le parti è del tutto priva di rilevanza nell'unione civile».

Al netto delle eventuali questioni ideologiche, evidentemente non ancora sopite a due anni dall'introduzione delle unioni civili, sotto il profilo tecnico l'affermazione non pare essere del tutto coerente con l'impianto normativo.

Dal punto di vista processuale, giacchè è pur vero che l'art. 1 l. n. 898/1970 (in forza del quale il Giudice deve accertare il venire meno della comunione materiale e spirituale) non è espressamente richiamato al comma 25, ma è altrettanto vero che detta norma si applica alle unioni civili in forza del comma 20: si tratta infatti di una norma prevista in una legge ordinaria e non nel codice civile.

Sempre sotto il profilo processuale, non v'è chi non veda come l'eliminazione dell'accertamento dell'insussistenza postuma della comunione materiale e spirituale tra i civilmente uniti (prima passaggio di un'operazione che potrebbe portare a degradare il nuovo istituto a un mero accordo tra privati, in contrasto con la volontà del legislatore) avrebbe il risultato di rendere perfettamente inutile il ricorso al Tribunale: ove, infatti, il Giudice dovesse limitarsi a prendere atto della volontà di una delle parti (cosicché lo scioglimento equivarrebbe a recesso unilaterale) il suo intervento sarebbe inutile, giacchè non vi sarebbe nulla da accertare.

Sotto il profilo sostanziale, è quantomeno opinabile la tesi dei Giudici piemontesi.

Secondo la dottrina prevalente, infatti, l'unione civile ha natura familiare (v. in giurisprudenza anche TAR Lombardia, 29 dicembre 2016) e, comunque sia, è caratterizzata dalla sussistenza di una comunione materiale e spirituale di vita tra le parti, in forza dell'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione indicati all'art. 1, comma 11,l. n. 76/2016 e di quello di concordare l'indirizzo della "vita familiare" indicato nel successivo comma 12. Si tratta di due obblighi che sono la traduzione giuridica del concetto di comunione materiale e spirituale che connota, dunque, tanto il matrimonio, quanto l'unione civile.

Peraltro, ove la comunione spirituale e di vita non dovesse connotare l'unione civile, non si spiegherebbe in alcun modo l'applicabilità (ex art. 1, comma 5,l. n. 76/2016) degli artt. 119 (interdizione), 120 (incapacità di intendere e volere), 123 (simulazione) c.c. né la stessa previsione autonoma di cui all'art. 1, comma 7 (impugnazione per dolo, violenza o errore): tutte e quattro le norme, infatti, attribuiscono alla convivenza annuale (il dies a quo come noto varia in funzione della fattispecie) efficacia impeditiva all'esercizio dell'impugnazione del matrimonio e, dunque, dell'unione civile.

Se la convivenza annuale – elemento da cui si desume con presunzione iuris e de iure che la comunione di vita caratterizza il matrimonio – impedisce l'esercizio dell'azione di impugnazione dell'unione civile, ciò non può che significare che la comunione è elemento caratterizzante anche del vincolo tra persone dello stesso sesso.

D'altra parte, diversamente, si degraderebbe l'unione civile, quanto a struttura e natura, a una mera convivenza, semplicemente più strutturata e regolamentata.

E, come è noto, non era questo l'intento del Legislatore del 2016.

Guida all'approfondimento

A. Figone, Presupposti e requisiti dell'unione civile in ilFamiliarista.it;

V. Cianciolo, Divorzio breve, nuovo assegno civile divorzile, unioni civili e convivenze, Bologna, 96;

M. Gattuso, Unione civile e convivenza, di M. Gattuso, G. Buffone, M. Winkler, Giuffré, 54;

G. Ferrando, La disciplina dell'atto: gli effetti: Diriti e doveri, Milano, 93;

G. Casaburi, ll nome della rosa (la disciplina delle unioni civili), in www.articolo29.it.

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