La postergazione del finanziamento soci come norma di sistemaFonte: Cod. Civ. Articolo 2467
28 Settembre 2018
Premessa
Le esigenze finanziarie della società, come noto, possono essere colmate dai suoi soci o da terzi. Da tale assunto nasce la dicotomia, rilevante negli studi economici e giuridici, di capitali propri e capitali di terzi. In molte giurisdizioni il flusso finanziario dei soci nei confronti della società non è regolamentato ed è riservata ai soci e alle regole sociali di ingaggio l'eventuale disciplina dei canali e dei metodi attraverso i quali i proprietari possono far fronte ai bisogni finanziari della società. In tali casi la tutela dei terzi viene affidata alle ferree regole di origine fallimentare che dovrebbero indurre i soci a operare sempre nell'interesse della società, anche al fine di scongiurare l'epilogo della liquidazione coatta e le conseguenze, anche personali e di immagine, che questa porta. In alcuni ordinamenti, invece, si è scelto di inserire meccanismi di regolamentazione dei finanziamenti dei soci a favore della società, al fine di garantire ulteriormente i diritti dei terzi con i quali la stessa si trovi a operare. La regolamentazione dei finanziamenti dei soci nel nostro ordinamento
In Italia, in seguito alla riforma del diritto societario del 2003, il legislatore ha deciso di aderire alla dottrina germanica, introducendo il nuovo art. 2467 c.c., che si propone di limitare l'utilizzo dello schema del finanziamento soci laddove si verifichi un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure allorquando la situazione finanziaria della società renda ragionevole operare un conferimento. La novella si propone di limitare il fenomeno della sottocapitalizzazione, ovvero della consuetudine del capitalismo a ristretta compagine italiana di preferire l'utilizzo dello schema del finanziamento soci in alternativa al meccanismo del conferimento, anche e soprattutto per evitare di dover attendere la liquidazione della società per poter rientrare dell'investimento (M. Innocenti, Finanziamenti dei soci, in Codice delle Società, 2016, Torino, II, 1825; A. Ricciardi, S.p.A. e S.r.l.: conferimenti e forme di finanziamento, in Amministrazione & Finanza, 2009, 7, 11). Infatti, come ha recentemente ricordato la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 7471 del 23 marzo 2017), il contributo in conto capitale diventa esigibile solo in sede di scioglimento della società. Pur non volendo svolgere una esegesi dettagliata della norma, ai fini del presente lavoro, si ritiene opportuno citarla per intero. Recita l'art. 2467 c.c.: “Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”. A partire dall'introduzione del dettato ci si è domandati se la previsione, volutamente inserita dal legislatore nel Capo VII relativo alla disciplina della società a responsabilità limitata, sia suscettibile di essere applicata anche nell'ambito delle società per azioni “chiuse”, laddove la compagine sociale sia limitata e si verifichino le situazioni di squilibrio dettate dal precetto (M. Innocenti, Finanziamenti dei soci, op. cit., 1826-1827). La dottrina maggioritaria, sin dall'inizio, si è orientata verso tale possibilità di applicazione analogica, anche confortata dall'art. 2497-quinquies c.c., al capo IX, recita: “Ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti si applica l'articolo 2467”. In particolare, la dottrina ha spesso riconosciuto tale possibilità laddove la compagine sociale abbia base ristretta e laddove, dunque, l'assetto proprietario sia simile a quello immaginato dal legislatore per la società a responsabilità limitata (M. Innocenti, Finanziamenti dei soci, op. cit., 1835-1836). Le posizioni in dottrina risultano, invece, diversificate laddove si dibatta di un'estensione generalizzata della norma alle società per azioni chiuse che non preveda un'indagine volta a verificare quale sia la reale ingerenza dei soci nella gestione e quale sia la loro materiale conoscenza della vita sociale (M. Innocenti, Finanziamenti dei soci, op. cit., 1835-1836; T. Cavaliere, Applicabilità dell'art. 2467 c.c. alla S.p.A. “chiusa” – la questione dell'applicabilità analogica dell'art. 2467 c.c. alla società per azioni, in Giur. It., 2016, 4, 894). La giurisprudenza di legittimità, sin dagli albori, sembra aver riconosciuto il carattere sistemico della norma introdotta a tutela dei diritti dei terzi nei confronti di società che si trovino in procinto o nel mezzo di una crisi, al fine di stimolare i soci e gli amministratori, ciascuno nei limiti del proprio ruolo, ad attenersi a principi di prudenza e di corretto finanziamento in un momento particolare della vita dell'impresa (Cass., 30 marzo 2007, n. 7980; M. Innocenti, Finanziamenti dei soci, op. cit., 1825-1826, 1835-1836). La successiva giurisprudenza di merito, seguendo il percorso suggerito dalla prima dottrina, ha confermato come la postergazione operi laddove il socio sia in grado di influenzare materialmente la volontà dell'organo amministrativo in merito all'adozione del finanziamento (M. Innocenti, Finanziamenti dei soci, in Codice delle Società, op. cit., 1835-1836; Trib. Pistoia, 21 settembre 2008, in Fall., 2009, 7, 799, nota di N. Panzani). Un più efficace e approfondito rilievo della Suprema Corte di Cassazione sull'argomento è emerso nel 2015, con la sentenza n. 14056 del 7 luglio 2015. In tale frangente, la Suprema Corte ha confermato come la ratio ispiratrice dell'art. 2467 c.c. sia la tutela dei diritti dei terzi e, pertanto, ha sostenuto che la disposizione in esame dovesse e potesse essere applicata anche nell'ambito di società per azioni il cui effettivo assetto proprietario e manageriale si riflettesse in una compagine ristretta o familiare e nell'esercizio di impresa di ridotte dimensioni. Citando letteralmente la Suprema Corte: “[…] Sicché anche imprese di modeste dimensioni e con compagini sociali familiari o comunque ristrette ("chiuse") possono essere esercitate nella forma della società per azioni; e giustificare quindi l'applicazione dell'art. 2467 c.c., la cui ratio è appunto quella di regolare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società "chiuse" (fenomeni determinati dalla convenienza dei soci a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa, ponendo i capitali a disposizione della società nella forma del finanziamento anziché in quella del conferimento) […]”. Ovviamente nessun dubbio sussiste in merito all'applicazione della norma nell'ambito dell'attività di direzione e coordinamento della società, come recentemente confermato anche dal Tribunale di Roma, con la sentenza del 25 agosto 2016. Attestano infatti i giudici capitolini che il principio di postergazione è applicabile in qualsiasi tipo sociale nell'ambito dell'attività di direzione e coordinamento per il richiamo espresso effettuato dall'art. 2497-quinquies c.c. In linea con gli arresti di legittimità, anche per i giudici romani è comunque necessario che si verifichi in concreto se l'assetto e le ridotte dimensioni della società siano idonee a giustificarne l'applicazione anche alla luce delle effettive situazioni di rischio (squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o situazione finanziaria che renda più ragionevole un conferimento) (Trib. Roma, sez. III, 25 agosto 2016, in Quotidiano Giuridico, 2016, nota di M. Passaretta). Una recente pronuncia della Corte di Cassazione
Da ultimo, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sull'argomento con la sentenza n. 16291 del 20 giugno 2018. Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una sentenza dal percorso logico e argomentativo conciso, esauriente e impeccabile. Nella sentenza in esame, il ragionamento dei giudici di legittimità si concentra sul primo motivo di ricorso, relativo proprio all'applicabilità dell'art. 2467 c.c. e ripercorre i due principali filoni interpretativi della norma, dei quali si è accennato in precedenza. Il primo filone interpretativo ripercorso dalla Suprema Corte è basato sul combinato disposto degli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. ed è volto ad attribuire valore generale al meccanismo della postergazione da applicarsi indistintamente a tutte le società di capitali. La Suprema Corte aderisce però al secondo orientamento, più equilibrato e in linea con la ratio della norma, secondo il quale per poter applicare la norma di cui all'art. 2467 c.c. a un diverso tipo sociale occorre valutare in concreto l'assetto dei rapporti sociali (Cass., 20 giugno 2018, n. 16291; Cfr. Cass., 7 luglio 2015, n. 14056). D'altro canto, come già osservato, lo stesso tenore dell'art. 2497-quinquies c.c., sembra tendere all'esclusione dell'applicabilità alle sole società a responsabilità limitata. Tale interpretazione pare essere confortata altresì dal disposto dell'art. 182-quater l. fall. che, in merito alla prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, non distingue tra società a responsabilità limitata e società per azioni. Per la Suprema Corte la portata estensiva del disposto normativo sulla postergazione “[…] non può essere dedotta su base presuntiva in ragione delle ridotte dimensioni della società”, ma anzi “si sostanzia in ultima analisi nell'essere soci finanziatori di S.p.A. in posizione concretamente simile a quelle dei soci finanziatori della S.r.l.”, ossia “tutte le volte che l'organizzazione della società finanziata consenta al socio di ottenere informazioni paragonabili a quelle di cui potrebbe disporre il socio di una S.r.l. ai sensi dell'art. 2467 cod. civ; e dunque informazioni idonee a far apprezzare l'esistenza (art. 2467, comma 2) dell'eccessivo squilibrio dell'indebitamento della società rispetto al patrimonio netto, ovvero la situazione finanziaria tale da rendere ragionevole il ricorso al conferimento, in ragione delle quali è posta, per il finanziamento dei soci, la regola della postergazione”. In sintesi, la Suprema Corte conferma come l'art. 2467 c.c. sia norma di portata generale e volta a proteggere il sistema da possibili comportamenti dei soci e degli amministratori che possano compromettere, nel corso di alcuni momenti della vita sociale particolarmente delicati. Per l'applicazione della norma a diversi tipi societari, però, la Cassazione richiede che dall'assetto dei poteri sia plausibile dedurre la conoscenza del socio degli affari sociali.
In conclusione
Alla luce di tutto quanto sopra, ad avviso di chi scrive, la postergazione del finanziamento soci, nei limiti disposti dall'art. 2467 c.c. e circostanziati dalla Suprema Corte, è da considerarsi norma di sistema. |