Limiti successori al trasferimento delle partecipazioni: clausola di riscatto

Marco Nagar

Inquadramento

La circolazione mortis causa delle partecipazioni sociali assume connotati diametralmente opposti rispetto a quanto previsto nelle società di persone in quanto in nei modelli sociali capitalistici le qualità personali si affievoliscono in favore dell'accezione imprenditoriale e l'acquisto di partecipazioni non comporta responsabilità illimitata.

Il principio di carattere generale prevede quindi la libera trasferibilità, sia inter vivos che mortis causa, delle partecipazioni.

Ciò vuol dire che, a seguito dell'apertura della successione, verificata l'insussistenza di clausole limitative della circolazione, l'erede con l'accettazione dell'eredità, o il legatario (per il quale non è necessaria l'accettazione ai sensi dell'art. 649 c.c.), divengono automaticamente soci a seguito degli adempimenti prescritti dalla legge. Da qui si rileva la sostanziale differenza con la disciplina relativa alle società di persone, nelle quali la disciplina legale vuole che in successione non vada la quota, bensì il diritto alla liquidazione.

La regola di carattere generale, come accennato, può essere derogata con l'introduzione nello statuto di clausole limitative alla circolazione (sul tema si rinvia a Dentamaro, sub art. 2355-bis, in Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Il nuovo diritto societario, 378 ss.; Sabbatini, sub art. 2355-bis, in Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia (a cura di), Codice commentato delle nuove società, Milano, 2011, 521).

Partendo dalle s.p.a., il penultimo comma dell'art. 2355-bis, c.c. estende ai trasferimenti mortis causa la disciplina sul gradimento del “comma precedente” della medesima norma, applicandola a tutte le clausole che limitano il trasferimento della partecipazione (la formulazione testuale della norma, nella quale il legislatore utilizza il termine “trasferimento”, permette di riferirsi ad una realtà più ampia rispetto a quanto avveniva con la precedente disciplina e quindi di limitare la circolazione delle partecipazioni anche nei casi di trasferimenti inter vivos a titolo universale, che possono avvenire mediante fusione per incorporazione, o mortis causa).

Il legislatore ha così reso legittima l'introduzione di limiti statutari per “chiudere” la società e mantenere inalterata la compagine sociale ma, per bilanciarne gli effetti, ha avuto premura di creare un sistema di exit, stabilendo che tali clausole siano efficaci a condizione che in favore degli eredi sia previsto il diritto ad ottenere il controvalore. Difatti il terzo comma della norma in commento prevede che sia riconosciuto il diritto di recesso, o l'obbligo di acquisto, quale condizione di efficacia di tutte le clausole che limitino latu sensu la circolazione mortis causa. In caso contrario, esse sono da ritenere inefficaci, in quanto limitative dei diritti degli eredi o legatari a subentrare nella posizione del de cuius.

All'apertura della successione i soggetti delati, con l'accettazione dell'eredità, dovranno essere messi dinanzi a tale alternativa e quindi delle due l'una: o possono entrare in società, nell'identica posizione del de cuius con conseguente iscrizione nel libro soci – rectius Registro delle Imprese – oppure devono sempre avere una possibilità di exit, con il diritto alla liquidazione della partecipazione, acquisita iure successionis, ad un valore congruo, determinato secondo i criteri di cui all'art. 2437-ter, c.c. (per un'attenta analisi della norma cfr. Cappiello, sub art. 2437-ter, in Codice commentato delle nuove società, 2011, op. cit., 1365 ss.; Callegari, sub art. 2437-ter, in Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Il nuovo diritto societario, 1420 ss. Inoltre si ritiene opportuno consultare le Massime del Consiglio Notarile del Triveneto H.1.5 e H.1.6).

Formula

CLAUSOLA DI RISCATTO

In caso di morte di uno dei soci, gli altri soci superstiti avranno il diritto di esercitare il riscatto delle azioni del de cuius, versando in favore degli eredi o legatari dello stesso la quota di liquidazione calcolata secondo i criteri di cui all'art. 2437-ter c.c.

Commento

Altra ipotesi di disposizione statutaria volta a garantire stabilità agli assetti partecipativi, evitando l'ingresso in società di soggetti terzi e non graditi, ma al contempo senza influire sul fenomeno successorio, è rappresentata dalla clausola di riscatto la quale attribuisce ai soci superstiti il diritto, avente natura potestativa, di acquistare le azioni del socio defunto, secondo le condizioni previste dallo statuto (per una più attenta analisi di tali clausole, si veda Calvosa, Clausole di riscatto di azioni e divieto dei patti successori, in Banca, borsa, tit. cred., 1992, I, 635).

Tali clausole, diversamente da quelle fin ora elencate, non evitano l'acquisto iure successionis della qualità di socio agli eredi o legatari, ma contestualmente li obbligano a subire il riscatto da parte degli altri soci. Tale riscatto può essere previsto in favore dei soci o anche della società, tenuti però bene a mente i limiti derivanti dall'acquisto di azioni proprie di cui all'art. 2357 c.c.

Quanto alla natura giuridica alcuni autori riconducono la clausola ad un diritto di prelazione, mentre la giurisprudenza meno recente la riconduceva nello schema del contratto preliminare, sottoposto alla condizione sospensiva, consistente nella cessione delle partecipazioni (così App. Milano 26 giugno 1973, in Dir. fall. 1974, II, 320 ss.).

La tesi più convincente (per tale impostazione cfr. Barba, cit., 340 e Calvosa, cit., 639), invece, inquadra le clausole di riscatto in un contratto di opzione, ai sensi dell'art. 1331 c.c., sospensivamente condizionato alla premorienza di uno dei soci. Gli eredi o i legatari del socio premorto subiscono la soggezione (pati) per effetti del patto di opzione e sono quindi tenuti ad offrire le azioni ai soci superstiti, creandosi in tal modo una sorta di meccanismo di prelazione impropria (in tali termini si esprime altresì Casali, La circolazione “mortis causa” delle partecipazioni nelle società di capitali, in Società, 2007, 5, 543).

In dottrina si è dubitato della compatibilità di tali clausole con il divieto dei patti successori di cui all'art. 458 c.c., ma l'obiezione risulta priva di fondamento in quanto i soci si riconoscono reciprocamente il diritto potestativo di riscatto mediante atto inter vivos, ma il negozio si andrà a perfezionare post mortem con l'esercizio del diritto di acquisto. D'altronde, è stato sostenuto (Cass. 16 aprile 1994, n. 3609, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, II, 194) che i soci superstiti esercitano il loro diritto di opzione mediante la stipula di un atto inter vivos direttamente con gli eredi o i legatari del defunto.

In linea generale, di recente sulle clausole che limitano i diritti dei soci (a prescindere che siano eredi del socio defunto), cfr. la Massima n. 181/2019 del Consiglio Notarile di Milano: “È legittima la clausola statutaria, tipicamente prevista in caso di suddivisione del capitale sociale tra due soli soci in misura paritetica o in presenza di due soci di controllo paritetico, che attribuisca ai soci – al ricorrere di determinate situazioni di stallo decisionale nell'organo amministrativo e/o in assemblea – la facoltà di attivare una procedura in forza della quale ciascun socio (o uno di essi, a seconda delle circostanze) ha diritto di determinare il prezzo per il trasferimento delle reciproche partecipazioni paritetiche, attribuendo così all'altro socio la scelta tra (i) vendere la propria partecipazione al socio che ha determinato il prezzo, oppure (ii) acquistare la partecipazione di quest'ultimo al medesimo prezzo (c.d. clausola della «roulette russa» o del «cowboy»). La legittimità della clausola – pur non richiedendo necessariamente l'espresso richiamo del criterio legale di determinazione del valore delle partecipazioni stabilito per il caso di recesso, ai sensi dell'art. 2437-ter, comma 2, c.c. o dell'art. 2473, comma 3, c.c. – è da intendersi subordinata, al pari di quanto già affermato nella massima 88 per il caso delle clausole di «drag along», alla sua compatibilità con il principio di equa valorizzazione della partecipazione obbligatoriamente dismessa. Il diritto di attivare la procedura della clausola della «roulette russa» o del «cowboy» può essere attribuito genericamente dallo statuto a qualsiasi socio, eventualmente in dipendenza di una determinata soglia di partecipazione o di determinati presupposti, così come può consistere in un «diritto diverso» che connota (da solo o con altri diritti diversi) una categoria di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c. (o una categoria di quote di s.r.l. PMI ai sensi dell'art. 26, comma 2, d.l. 179/2012) oppure in un «diritto particolare» attribuito uti singuli a uno o più soci specificamente individuati dallo statuto ai sensi dell'art. 2468, comma 3, c.c. Oltre alla c.d. clausola della «roulette russa» o del «cowboy», in senso stretto, come sopra descritta, i medesimi principi trovano applicazione nelle ulteriori possibili varianti di clausole statutarie simili, la cui attivazione sia prevista anche in ipotesi diverse dallo stallo decisionale, dovendosi ritenere che l'autonomia statutaria sia al riguardo libera di determinare (i) i presupposti che consentono di attivare la procedura; (ii) le modalità con cui deve essere attivata ed eseguita la procedura; nonché (iii) il numero di “offerte” che comportano il diritto di riscatto e/o di acquisto”.

Ai fini della legittimità di tale clausola, è però sempre necessario che la liquidazione in favore degli eredi sia almeno pari al valore calcolato ai sensi dell'art. 2437-ter, c.c. (ai fini di una attenta analisi riguardo le conseguenze del recesso sul capitale sociale e sulla vita della società, si veda Trimarchi, Le riduzioni del capitale sociale, Milano, 2010, 454 ss.).

A tale riguardo, cfr. Cass. n. 16168/2014, a mente della quale “E' valida la clausola statutaria che preveda che la consistenza patrimoniale della società, alla quale fa riferimento l'art. 2437 ter, secondo comma, cod. civ. ai fini della liquidazione della partecipazione in caso di recesso del socio (ovvero, in virtù del richiamo di cui all'art. 2355 bis, terzo comma, cod. civ., nell'ipotesi di prelazione nella circolazione "mortis causa"), venga valutata secondo un criterio che tenga conto dell'utilizzo dei cespiti nella prospettiva della continuità aziendale (cosiddetto "going concern") atteso che, da un lato, la valutazione della consistenza patrimoniale può essere effettuata secondo una molteplicità di criteri, sicché la scelta statutaria del criterio del "going concern" non può ritenersi adottata in violazione di legge, mentre, dall'altro, tale criterio si mostra coerente con la condizione dei beni organizzati in azienda, il cui valore complessivo non si risolve nella somma del valore statico dei singoli beni, ma è inevitabilmente influenzato dalla prospettiva della continuazione dell'attività”.

Si ricorda anche la  recente Massima del Consiglio Notarile di Milano n.198/2021: “Sono legittime le clausole statutarie che sanzionano l'inadempimento a taluni obblighi dei soci derivanti dallo statuto – anche diversi dagli obblighi di conferimento e/o dalle prestazioni accessorie ex art. 2345 c.c. – con prestazioni monetarie a carico del socio (che comportino quindi l'insorgere di un'obbligazione pecuniaria) oppure con una alterazione dei diritti sociali delle azioni o quote del socio inadempiente (quali ad esempio la conversione automatica in altra categoria azionaria o la sospensione o limitazione del diritto di voto) o con l'insorgere di obblighi di diversa natura (c.d. “penali statutarie”). Lo statuto può prevedere che le penali statutarie di natura pecuniaria siano abbinate a clausole di riscatto o di esclusione all'esito delle quali l'ammontare della liquidazione spettante al socio riscattato o escluso sia inferiore al valore derivante dall'applicazione dei criteri stabiliti dalla legge per il caso di recesso, con ciò verificandosi una compensazione del debito dovuto dal socio per la penale con il credito al medesimo spettante in virtù della liquidazione delle azioni o quote, nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge per il caso di recesso, e ferma restando la possibilità di riduzione della penale che sia ritenuta manifestamente eccessiva ai sensi dell'art. 1384 c.c.”.

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