Verbale di convocazione dell'assemblea ai fini della deliberazione dell'esperimento dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori

Linda Rizzi
aggiornato da Tania M. Tenuzzo

Inquadramento

Gli amministratori sono civilmente responsabili per quanto attiene il loro operato in tre direzioni: verso la società (artt. 2392-2393 c.c.), verso i creditori sociali (art. 2394 c.c.) e verso i singoli soci e terzi (art. 2395 c.c.)

Conformemente a quanto stabilito dall'art. 2393 c.c., l'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberato dall'assemblea ordinaria, anche nel caso in cui la società sia in liquidazione, oppure dal collegio sindacale a maggioranza di due terzi dei suoi componenti. Nel corso della deliberazione assembleare avente ad oggetto la scelta di agire oppure no nei confronti degli amministratori, gli amministratori-soci non possono votare, essendo in evidente conflitto di interessi ex art. 2372, comma 2.

Siffatta deliberazione può essere assunta anche dall'assemblea in occasione della discussione del bilancio, anche se non sia iscritta all'ordine del giorno, purché si tratti di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio (art. 2393, comma 3).

La responsabilità degli amministratori verso la società è una responsabilità da inadempimento di preesistenti obbligazioni e non da illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.) La società che agisce in giudizio dovrà provare solo l'esistenza di un danno imputabile a inadempimento degli amministratori, non anche la colpa dei medesimi. Sarà invece compito degli amministratori dar prova dei fatti atti ad escludere o ad ottenere la responsabilità: assenza di colpa o di nesso di causalità fra inadempimento e danno (art. 1218 c.c.).

L'azione sociale di responsabilità, promossa con atto di citazione, può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore dalla carica (art. 2393, comma 3).

Gli amministratori possono anche essere responsabili nei confronti dei creditori sociali (art. 2394 c.c.). I presupposti dell'azione, tuttavia, sono differenti. Infatti, non solo gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali solo “per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale”, ma l'azione può essere posta in essere dai creditori solo nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti (non sussiste alcun danno nei loro confronti finché il patrimonio sociale è capiente). La legge prevede per l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali un termine quinquennale (art. 2949, 2° comma, c.c.) il quale inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere e, quindi, dal momento in cui si è prodotto il danno sul patrimonio sociale (inteso come il momento della percepibilità del danno ad essi conseguente che per i creditori sociali coincide con l'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti); (cfr. Cass. n. 25178/2015; Corte di Appello di Firenze del 10.10.2022).  

L'art. 2395 c.c. completa il quadro della responsabilità civile degli amministratori, affermando che un socio e un terzo possono chiedere agli amministratori il risarcimento dei danni nel caso in cui ricorrano due presupposti:

- compimento da parte degli amministratori di un atto illecito nell'esercizio o in occasione del loro ufficio;

- produzione di un danno diretto al patrimonio del singolo socio o del singolo terzo. Si deve trattare di un danno che non sia semplice riflesso del danno (eventualmente) subito dal patrimonio sociale.

Occorre premettere che, accanto al controllo interno del collegio sindacale ed al controllo contabile affidato ad un revisore esterno, l'ordinamento prevede un articolato sistema di controlli esterni sulle società per azioni. Tra questi, ex art. 2409 c.c., vi è anche il c.d. “controllo giudiziario” sulla gestione, forma di ingerenza da parte dell'autorità giudiziaria nella vita delle società, volta a ripristinare la legalità dell'amministrazione stessa. Tale controllo è, di regola, azionabile solo in presenza di irregolarità gravi e dannose relative all'operato degli amministratori. La denuncia al Tribunale può essere posta in essere con ricorso, notificato anche alla società:

- dai soci che rappresentino almeno il decimo del capitale sociale (limitazione pensata al fine di evitare iniziative pretestuose da parte di titolari di percentuali minime del capitale sociale);

- dal collegio sindacale (o dal corrispondente organo di controllo nei sistemi alternativi);

- dalla Consob (con riferimento alle sole società quotate);

- dal pubblico ministero (con riferimento alle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio;

- dal commissario giudiziale o straordinario (con riferimento ad una società in amministrazione straordinaria).

Il tribunale, invece, non può mai agire d'ufficio.

Formula

VERBALE DI ASSEMBLEA ORDINARIA

Il giorno … , alle ore … , in … , alla via … , n._, si è riunita (“in prima”, oppure “in seconda” convocazione, essendo la prima andata deserta) l'assemblea ordinaria degli azionisti della … s.p.a. per deliberare sul seguente

ORDINE DEL GIORNO

1. Promuovere un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori

Assume la Presidenza il Sig. … , mentre il Sig. … , viene invece chiamato alla funzione di Segretario.

Il Presidente constata e fa constatare che l'assemblea è stata convocata con pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale”, n. … , del … , di avviso n. … , e che risulta regolarmente costituita.

L'elenco dei partecipanti con l'indicazione del capitale rappresentato da ciascuno viene allegato al presente verbale.

Sull'unico punto dell'ordine del giorno, prende la parola il Sig. … nella sua qualità di Presidente, il quale riassume i fatti a fondamento dell'assemblea odierna:

- … ;

- … ;

- … .

Alla luce di quanto sopra, il Presidente chiede all'assemblea di deliberare in ordine al punto all'ordine del giorno.

Ottenuti i chiarimenti/non avendo alcun rilievo in merito a quanto sopra sinora esposto, l'assemblea, come sopra rappresentata,

DELIBERA

affinché venga promossa l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori sig./dott. …., sig./dott. …., affidando l’incarico per l’esperimento dell’azione all’avv. …..

Null'altro essendovi all'ordine del giorno, l'assemblea viene sciola alle ore … , dopo aver dato lettura del presente verbale.

Commento

Gli obblighi di diligenza e gli obblighi specifici ricavabili dalla legge e dallo statuto

La disciplina sanzionatoria di cui agli artt. 2392 ss. riguarda tutti gli amministratori che vengano meno ai propri obblighi di legge o statuto. Il requisito sufficiente affinché l'amministratore sia ritenuto responsabile di un fatto di mala gestio è quello per cui l'attività incriminata sia stata esercitata in una posizione di autonomia decisionale.

Conformemente a quanto previsto dall'art. 2392 c.c., gli amministratori sono tenuti ad adempiere ai doveri loro imposti “con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze”. È vero il fatto che non si faccia più alcun riferimento al requisito della perizia, ciononostante, se l'amministratore deve essere in grado di ponderare ed analizzare le informazioni relative alla società, risulta difficile affermare che egli possa essere totalmente sprovvisto delle conoscenze della cultura d'impresa.

Proprio sulla base di siffatte considerazioni la Corte di Cassazione ha chiarito che: “il principio secondo cui il dovere di diligenza non comprende il dovere di perizia […] non può esonerare il singolo amministratore dalla conoscenza delle regole fondamentali ed essenziali della professionalità di quella funzione quali sono quelle in tema di inammissibilità di una delega non formale delle proprie funzioni ad altri amministratori, o di tenuta della contabilità, o di divieto di nuove operazioni; con la conseguenza che la mancata acquisizione di queste regole fondamentali da parte di un amministratore prima di assumere la relativa carica costituisce violazione del dovere di diligenza che su di lui grava e lo rende imputabile di ogni forma di responsabilità connessa alla inosservanza dei dovere conseguenti allo scioglimento della società per perdita del capitale sociale, quale quello di astensione dall'assunzione di nuove operazioni” (Cass. n. 3483/1998).

Gli amministratori sono anche tenuti a rispettare obblighi specifici derivanti da precetti contenuti nella legge e nell'atto costitutivo e, nel caso di loro violazione, la responsabilità “può essere esclusa solo nel caso previsto dall'art. 1218 c.c., quando cioè l'inadempimento sia dipeso da una causa che non poteva essere evitata né superata con la diligenza richiesta al debitore” (Cass. n. 5718/2004).

La business judgement rule

il requisito della diligenza rappresenta il limite oltre il quale non può spingersi il sindacato del giudice nell'ambito di un'azione di responsabilità. Ciò significa che, conformemente a quanto previsto dalla business judgement rule non è permesso nemmeno al giudice sindacare l'opportunità di decisioni imprenditoriali assunte dagli amministratori. Secondo tale regola, la responsabilità degli amministratori è una responsabilità per violazione di obblighi direttamente connessi alla funzione, e non per l'insuccesso economico della società ascrivibile ad errori di gestione. In base a tale regola, infatti, non si può non considerare che, nello svolgimento di un'attività imprenditoriale, è fisiologica la presenza di un certo grado di discrezionalità.

Di conseguenza, l'amministratore potrà essere considerato responsabile tutte le volte in cui abbia omesso di adottare le cautele necessarie per assumere quella determinata decisione.

La Corte di cassazione con una recente pronuncia ha statuito che “all'amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, poiché il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione (o le modalità e circostanze di tali scelte), anche se presentino profili di rilevante alea economica. In nessun caso, quindi, il giudice potrà sindacare il merito delle scelte imprenditoriali a meno che, se valutate ex ante, risultino manifestamente avventate ed imprudenti” (cfr. Cass. n. 4849/2023 conf. Cass. n. 23171/2020; Cass. n. 1783/2015).

La azione sociale di responsabilità

A norma dell'art. 2393 c.c., la deliberazione relativamente all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità può essere assunta secondo due diverse modalità:

1) dall'assemblea ordinaria con i quorum costitutivo e deliberativo, anche se la società è in liquidazione. Conformemente a quanto affermato dalla stessa Corte di Cassazione la deliberazione assembleare non deve necessariamente precedere l'esercizio dell'azione, infatti, dal momento che rappresenta una condizione dell'azione stessa, può essere adottata anche successivamente alla notifica dell'atto di citazione, con effetto sanante ex tunc (Cass. n. 9904/2000). Si ritiene, inoltre, che i soci non siano tenuti a fornire la motivazione della decisione di agire con l'azione di responsabilità. Infatti, la sede entro cui valutare la fondatezza delle censure rivolte all'agire degli amministratori è il successivo giudizio radicato davanti al tribunale e non il dibattito all'interno dell'assemblea.

2) dal collegio sindacale a maggioranza dei due terzi dei membri.

Nel caso in cui la deliberazione dell'assemblea sia stata presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, ciò determina la destituzione automatica ed immediata dalla carica di amministratore, al fine di evitare che la gestione della società venga perpetuata da soggetti che hanno perso la fiducia di una parte significativa dell'azionariato.

In conformità a quanto disposto dall'art. 2393, ultimo comma, c.c., l'assemblea ordinaria ha la possibilità di rinunciare alla azione e dar corso alla transazione nel caso in cui:

a) vi sia una espressa deliberazione assembleare in tal senso;

b) non vi sia il voto contrario di tanti soci che rappresentino almeno il quinto del capitale sociale.

Tale tipologia di azione può essere promossa anche su iniziativa del curatore fallimentare nei confronti degli amministratori e dei sindaci, ai sensi dell'art. 255 CCII. L'azione ha natura contrattuale, carattere unitario ed inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. (cfr. Tribunale di Milano del 22.1.2015).

L'azione dei creditori sociali

In base a quanto disposto dall'art. 2394 c.c., l'azione di responsabilità esercitata dai creditori sociale può essere posta in essere al ricorrere di due presupposti:

a) l'inosservanza, da parte degli amministratori, degli “obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale”;

b) il fatto che il patrimonio non abbia una capienza tale da soddisfare le pretese dei creditori.

Due dei temi più dibattuti riguardano la natura della azione di cui si discute e se tale rimedio sia autonomo o meno rispetto all'azione sociale.

Circa il primo problema si ritiene che la responsabilità degli amministratori nei confronti degli dei creditori sociali, derivando dall'inadempimento dei primi, abbia natura contrattuale. Tale connotazione si ricava anche dalla recente giurisprudenza di legittimità che, anche se in un contesto di obiter dictum, ha aderito all'impostazione contrattuale (cfr. ex multis Cass. n. 6870/2010).

Per quanto attiene invece la natura autonoma o surrogatoria dell'azione, la giurisprudenza da tempo propende per qualificare l'azione di responsabilità promossa dai creditori come autonoma rispetto a quella promossa dalla società. Quanto appena affermato trova conferma nelle differenze che intercorrono tra le due azioni:

a) come già ricordato, la responsabilità nei confronti dei creditori è limitata alla violazione degli obblighi di salvaguardia del patrimonio;

b) non è necessario che la società adotti un comportamento inerte, cosa che, invece, sarebbe fondamentale nel caso in cui l'azione si qualificasse come surrogatoria;

c) nel caso in cui la società dovesse rinunciare alla propria azione, ciò non produrrebbe alcuna interferenza né rispetto alla proposizione dell'azione da parte dei creditori, né rispetto alla prosecuzione del relativo giudizio;

d) il dies a quo della decorrenza del termine per promuovere l'azione è diverso.

Sulla base di questo inquadramento sulla natura dell'azione diretta, la Cassazione ha fornito un più saldo fondamento concettuale al principio (già consolidato) in base al quale ai fini dell'accoglimento dell'azione dei creditori sociali è irrilevante l'eventuale conformità dell'operato degli amministratori alla volontà dei soci: la circostanza che l'operazione illegittima e dannosa per la società sia stata compiuta in esecuzione di una deliberazione assembleare risulta del tutto inopponibile ai creditori sociali; è inopponibile altresì in sede fallimentare alla curatela, che può pretendere il risarcimento dei danni da parte dei componenti dell'organo amministrativo (cfr. Cass. n. 15489/2000).

La responsabilità verso singoli soci o terzi

L'azione di responsabilità esercitabile dai singoli soci o dai terzi ex art. 2395 c.c. è differente rispetto alle altre due appena descritte per il fatto che quest'ultima tutela i danni arrecati direttamente al patrimonio del socio o del terzo.

Ne deriva che il rimedio di cui si discute non è invocabile dai terzi o dal singolo socio laddove il danno venga subito direttamente dalla società e, solo di riflesso, da essi.

Per quanto riguarda i profili di interferenza con la posizione della società, se da un lato l'art. 2395 c.c. non preclude l'eventuale responsabilità concorrente di essa, dall'altro non è riferibile al pregiudizio subito dal terzo a seguito dell'inadempimento contrattuale della società. In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, affermando che “l'inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente o del socio secondo la previsione dell'art. 2395 c.c. atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti imputabili in via immediata a comportamento doloso o colposo degli amministratori medesimi (cfr. Cass. n. 15220/2010); e ciò pur non potendosi escludere il concorso dell'amministratore ove l'inadempimento sia ascrivibile a sua colpa o dolo (Cass. n. 17110/2012).

Analogamente alle altre azioni di responsabilità anche nell'ambito dell'azione individuale del socio e del terzo si può verificare che uno di questi raggiunga una transazione anche con uno solo dei coobbligati. Ci si chiede, dunque, se il soggetto transigente sia l'unico ad essere liberato e quale sia la destinazione dell'ammontare del risarcimento del danno dovuto dagli altri coobbligati che non abbiano raggiunto l'accordo. Sul punto erano già intervenute le Sezioni Unite affermando che le transazioni pro quota avevano da un lato l'effetto di determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore e, dall'altro, la riduzione del danno residuo gravante sugli altri condebitori in solido in maniera proporzionale alla quota di chi ha transatto (cfr. Cass. n. 30174/2011; Corte di Appello di Torino del 4.3.2022).

Il danno risarcibile e la sua quantificazione alla luce delle modifiche subite dall'art. 2486 c.c.

I principi generali del nostro ordinamento impongono a coloro che vogliano agire in giudizio nei confronti degli amministratori per ottenere il ristoro dei danni derivanti da mala gestio di provare il pregiudizio patito e, quanto meno, di allegare le condotte che lo avrebbero determinato.

Secondo quanto recentemente sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, il danno risarcibile deve essere determinato sulla base delle “conseguenze immediate e dirette” delle violazioni contestate agli amministratori. Inoltre, sempre la Cassazione, ha statuito che il medesimo danno deve essere calcolato in misura equivalente alla diminuzione patrimoniale concretamente verificatasi, ai sensi dell'art. 1223 c.c., e sofferta dalla società conseguentemente alle violazioni poste in essere (Cass. n. 10488/1998).

Tuttavia, individuare quali siano le condotte pregiudizievoli e i relativi danni non è cosa facile leggendo la fattispecie prevista dall'art. 2486 cod. civ., dal momento che gli addebiti mossi nei confronti degli amministratori riguardano la gestione dinamica dell'impresa.

La giurisprudenza, perciò, prima dell'entrata in vigore del Codice della Crisi, aveva liquidato il danno ex art. 2486 cod. civ., applicando due criteri presuntivi:

  1. il criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare, che faceva coincidere il danno con la differenza tra l'attivo e il passivo accertati nell'ambito della procedura concorsuale;
  2. il criterio della differenza dei netti patrimoniali, che faceva coincidere il danno con la differenza tra (i) il patrimonio netto della società al momento in cui si era verificata la causa di scioglimento e (ii) il patrimonio netto della società al momento dell'apertura della procedura concorsuale o, se precedente, della messa in liquidazione.

Tra i due, è stato il secondo criterio poc'anzi richiamato ad avere più successo, soprattutto in seguito alla pronuncia delle Sezioni Unite che, nel 2015 (Cass. SU n. 9100/2015), aveva escluso l'automatico ricorso al criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare, nel caso in cui mancassero le scritture contabili della società, ritenendo che per la liquidazione del danno risarcibile occorre che sia individuato un rapporto di causalità tra tali inadempimenti e il danno di cui si pretende il risarcimento. La differenza tra il passivo e l'attivo accertati in ambito fallimentare può essere utilizzato al più solo per individuare una liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni.

Il nuovo terzo comma dell'art. 2486 cod. civ. ha sancito che, fatta salva la prova di un danno di diverso ammontare, il danno risarcibile si presume:

  • pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o alla data di apertura di un'eventuale procedura concorsuale e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento della società, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione;
  • pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura, se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se, per qualsivoglia ragione, i netti patrimoniali non possono essere determinati.

Lo scopo del legislatore è stato evidentemente tanto quello di positivizzare il criterio della differenza dei netti patrimoniali rettificato tanto quello di attribuire un ambito residuale di operatività del criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare.

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