Clausola per la liquidazione della quota in favore degli eredi del socio defunto

Marco Nagar

Inquadramento

Nelle società di persone, la morte di uno dei soci produce rilevanti conseguenze dal punto di visti degli assetti endosocietari e per tale motivo è importante per i soci predeterminare, mediante idoneo intervento sullo statuto sociale, gli effetti del decesso di un socio sui propri eredi e sui soci superstiti.

La grundnorm è rappresentata dall'art. 2284 c.c. che prevede, quale regola di default nel caso di morte del socio, lo scioglimento del singolo vincolo sociale e la continuazione della società tra i soci superstiti, i quali dovranno liquidare agli eredi del socio deceduto il valore della quota che deteneva. Per Ghidini, Società personali, Padova, 1972, 600, la liquidazione deve essere corrisposta dagli altri soci, essendo questo il dettato dell'art. 2284 c.c., così da lasciare inalterato il capitale sociale. Per la teoria oggi prevalente, si veda in dottrina: Campobasso, Diritto Commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2009, 114; Galgano, op. cit., 343 ss., e in giurisprudenza la Cass. n. 14449/2014, nonché Cass. n. 12125/2006 e Cass. S.U., n. 291/2000, per la quale il debito da liquidazione grava sulla società, in quanto trattasi di vicenda endosocietaria. In particolare: “La domanda di liquidazione della quota di una società di persone, da parte del socio receduto o escluso, ovvero degli eredi del socio defunto, fa valere un'obbligazione non degli altri soci, ma della società, e pertanto, ai sensi dell'art. 2266 c.c., va proposta nei confronti della società medesima, quale soggetto passivamente legittimato ( ....)”. Per Carlini - Clericò - Trasatti, Morte del socio, diritti dei successori e modalità di subentro nelle società di persone, in Rivista del Notariato, 2003, 6, 1443, la norma doveva fungere da ponte tra le norme in materia di diritto societario e successioni, ma si è rivelata un totale sbilanciamento del legislatore in favore ed a tutele del primo ed a scapito delle seconde.

Secondo autorevole dottrina (Ferri, in Manuale di diritto commerciale, Torino, 2006, 223-224, 244 ss., secondo cui è: “causa di modifica del contratto e dell'ordinamento sociale previsto dalla legge”), infatti, la morte del socio comporta la modifica del contratto sociale ed il legislatore del '42, ispirato al principio del c.d. favor societatis, ha voluto preservare il valore.

La norma, però, introduce un ombrello protettivo per evitare che in successione cada il diritto alla liquidazione, una regola suppletiva, secondo la quale ai soci superstiti si aprono altre due diverse (ed alternative tra loro) strade da percorrere: accanto a quella ex lege dello scioglimento del singolo vincolo sociale (Campobasso, Diritto Commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2015, 110 ss.), è previsto che essi possano decidere di sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi, qualora questi vi acconsentano.

Formula

CLAUSOLA PER LA LIQUIDAZIONE DELLA QUOTA IN FAVORE DEGLI EREDI DEL SOCIO DEFUNTO

In caso di morte di un socio, i soci superstiti dovranno liquidarne la quota in favore eredi sulla base dei valori risultanti da una situazione patrimoniale riferita alla data del decesso.

Entro sei mesi i soci superstiti dovranno versare in favore degli eredi un importo pari al valore della quota determinato in base alla suddetta situazione patrimoniale.

Commento

La clausola in commento ricalca la disciplina legale prevista dall'art. 2284 c.c. Ai fini pratici interessa, infatti, precisare quali siano le conseguenze della morte del socio nei confronti dei suoi eredi ed evitare che possano crearsi situazioni di incertezza mediante l'utilizzo di appositi accordi convenzionali.

Infatti, in mancanza di qualsivoglia previsione, per alcuni autori, contrariamente a quanto accade in ordine alle ipotesi di recesso ed esclusione, con la morte del socio non si produce l'immediata estinzione del vincolo sociale: in particolare si ritiene che lo scioglimento definitivo avverrà solo con la liquidazione della quota agli eredi. Tale tesi si fonda sul dato letterale dell'art. 2284 c.c. il quale non presenta alcun riferimento temporale al momento nel quale si scioglie il singolo rapporto sociale.

Si è anche affermato, invero, che la partecipazione venga confinata in una situazione di quiescenza che potrà essere risolta in seguito ad una manifestazione di volontà, sia essa espressa o tacita. Dunque, nonostante la morte sia un evento astrattamente idoneo a far venire meno il rapporto sociale, il legislatore con l'art. 2284 c.c. ha voluto rimettere alle parti la decisione finale.

Il problema di tale tesi è che, anche ammettendo lo stato di quiescenza della partecipazione, sarebbero innumerevoli i problemi che affiorerebbero riguardo all'organizzazione sociale con riferimento a tale situazione.

La dottrina prevalente, anche se meno recente, parte dall'assunto per il quale l'effetto legale della morte del socio è lo scioglimento del singolo vincolo, con la conseguente nascita hoc ipso, a favore degli eredi, di un diritto di credito consistente nella liquidazione del valore della quota e di ciò si trova direttamente conferma dall'art. 2289 c.c. Si ritiene, secondo tale impostazione dottrinale, che il diritto di credito acquisito dagli eredi sia sottoposto alla condizione risolutiva potestativa, consistente nella volontà dei soci superstiti di procedere allo scioglimento e liquidazione della società ovvero proseguirla con gli eredi del de cuius, salvo, beninteso, la loro accettazione.

La tesi che oggi si può ritenere preferibile muove dal presupposto per cui, al momento della morte del socio, la partecipazione si estingue ed, in luogo della stessa, sorge un diritto di credito alla liquidazione. Qualora i soci optino per la continuazione della società con gli eredi, a loro favore vi sarà successione nella quota e conseguente subingresso in società. Essi non saranno tenuti ad effettuare un ulteriore “effettivo” conferimento in società, valendo a tal fine l'originario conferimento del de cuius. Il fenomeno viene trattato alla stregua di una normale modificazione soggettiva del contratto sociale con l'ingresso di nuovi soggetti in società, che in tal caso sono gli eredi. Essi, quindi, non dovranno essere immaginati come nuovi soci che conferiscono un credito.

Qualunque sia la scelta adottata dagli eredi, questa avrà sempre efficacia retroattiva.

Appare quindi, quantomeno opportuno, che i soci, nel caso avessero intenzione di proseguire la società tra loro senza far subentrare terzi (eredi o legatari), inseriscano da subito nello Statuto sociale una clausola in virtù del quale, ai discendenti del socio deceduto, venga liquidata la quota spettante per legge.

La Giurisprudenza di legittimità ha precisato (sent.  1036/2009) quali sono i criteri per la determinazione della liquidazione della quota sociale: “In tema di società di persone, e con riguardo alla liquidazione della quota agli eredi del socio defunto, gli art. 2261 e 2289 cod. civ., che devono essere letti congiuntamente, pongono a carico della società l'obbligo di liquidare la quota stessa, e a carico degli amministratori quello di rendere il conto (obbligo che sussiste nei confronti degli eredi anche qualora il "de cuius" avesse partecipato all'amministrazione), al fine di consentire la formazione, in nome e per conto della società, di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata, nel rispetto dei criteri di redazione del bilancio ed ai fini dell'assolvimento dell'onere della società di provare il valore della quota; di fronte all'inadempimento dell'obbligo di rendiconto, il giudice può deferire ai soci-amministratori il giuramento suppletorio per la determinazione del "quantum debeatur".

 

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