Comunicazione dell’organo amministrativo di richiesta di finanziamento deliberato dai soci

Giuseppe Trimarchi

Inquadramento

L'apporto dei soci alla società può configurarsi come definitiva attribuzione al patrimonio della stessa (c.d. conferimento a patrimonio) oppure come finanziamento (secondo la regola del mutuo), con relativo obbligo di restituzione a carico della società. In virtù della regola dettata dall'art. 2467 c.c., il rimborso dei finanziamenti dei soci è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori.

Formula

Spett.le ……………………. Lì …………

RACCOMANDATA A MANO

Oggetto: Richiesta finanziamento infruttifero dei soci

Con la presente le comunico che la società …, al fine di far fronte alle proprie esigenze finanziarie e degli investimenti programmati per l'esercizio sociale in corso necessita di un finanziamento da parte dei Soci dell'importo complessivo di euro … ( … /00).

I finanziamenti erogati dai soci saranno soggetti alla disciplina di cui al verbale della riunione dei soci del …… regolarmente riportata alle pagine… del libro verbale delle riunioni dei soci regolarmente tenuto e vidimato di cui si allegano copie libere.

La invito a voler confermare la sua disponibilità a finanziare la società.

Distinti saluti.

L'amministratore …

Commento

Il legislatore ha dedicato al tema, in sé complesso per la poliforme sfaccettatura delle questioni che lo possono riguardare, cautela ed attenzione.

In linea generale va ricordato che è consolidata opinione quella secondo cui l'apporto del socio alla società possa essere in funzione della definitiva attribuzione al patrimonio della stessa (cd. conferimento a patrimonio), ovvero declinarsi secondo la regola del finanziamento (rectius del mutuo) con l'obbligo, quindi, a carico della società della restituzione.

A tanta semplicità classificatoria non corrisponde altrettanta linearità della valutazione degli interessi in gioco.

Per comodità classificatoria, si ritiene opportuno ricorrere all'esemplificazione di cui al Principio Contabile n. 28 elaborato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri, il quale, com'è noto, distingue tra:

- versamenti a titolo di finanziamento;

- versamenti a fondo perduto (talora detti di capitale o di patrimonio);

- versamenti in conto futuro aumento di capitale;

- versamenti in conto aumento di capitale.

Le prime due "categorie" rappresentano la generale catalogazione della differenza tra apporto di capitale di credito (i cd. finanziamenti) ed apporto a patrimonio di capitale di rischio (i cd. versamenti a fondo perduto). Le altre due configurano formule di anticipazione della copertura del capitale sociale. Concettualmente la distinzione tra questi ultimi due "tipi" di apporti risulterebbe caratterizzata da un grado di maggiore incertezza a carico di quelli classificati come "versamenti in conto futuro aumento di capitale" rispetto a quelli "in conto aumento di capitale". Per i primi, infatti, e non per gli ultimi, l'attribuzione risulterebbe sub condicio: se la delibera di aumento futuro, in funzione della quale essi sono assegnati, non fosse adottata, l'obbligo di restituzione al "conferente" dovrebbe essere fuori discussione. Laddove la restituzione, per i secondi, pur in astratto ipotizzabile, configurerebbe più una questione legata ad una patologia della delibera d'aumento (già) adottata, che ad altro. Il tema è spinoso. Da un lato, infatti, la più diffusa dottrina appare orientata a considerare entrambe le ipotesi in parola come "debiti" della società verso i soci, considerando l'ingresso dei medesimi in contabilità come costitutiva di una posizione debitoria dell'ente verso il socio. Per contro, la prevalente tendenza giurisprudenziale considera questi apporti come apporti di capitale, ancorché sottratti alla disciplina dei conferimenti, con la conseguenza della tendenziale esclusione dell'obbligo di restituzione.

Vale anche sottolineare che un non trascurabile peso ad orientare la tendenza giurisprudenziale in parola gioca la formulazione ed introduzione dell'art. 2467 c.c. secondo cui "Il rimborso dei finanziamenti dei soci [ … ] è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, e se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società deve essere restituito[ … ]".

La norma, infatti, appare diretta a contrastare l'abuso dello strumento del finanziamento in rapporto al trattamento degli altri creditori, avuto riguardo, in particolare, alla disciplina del fallimento.

Vale ribadire comunque che a ben vedere l'art. 2467 c.c. non arreca alcuno specifico contributo al tema della qualificazione dei versamenti in parola, né alla loro disciplina. Infatti, la stessa sarebbe applicabile ai versamenti in conto capitale e\o futuro aumento di capitale solo ove fosse dimostrato il suo presupposto applicativo: ossia che essi siano autentici debiti (ossia finanziamenti) e che siano stati eseguiti in modo "anomalo".

Ad avviso di chi scrive non potrebbe mai trattarsi di riserve con uno speciale vincolo di destinazione in quanto manca, della riserva, la sua preordinata idoneità a soddisfare un interesse sociale tout court, giacché al momento dell'apporto la funzione perseguita è, diversamente, quella di realizzare l'interesse di chi lo esegue a partecipare all'aumento del capitale di cui anticipa, appunto, le somme di sottoscrizione.

Si tratta, allora, di fondi di cui la società è depositaria, il cui mancato utilizzo allo scopo preordinato non può che comportare la restituzione.

Dunque, se il socio esegue un apporto in conto futuro aumento di capitale anche senza che nulla sia indicato quanto al termine entro il quale la delibera debba essere assunta, va da sé che socio e società possano stabilire successivamente detto termine e che, in mancanza, il socio possa sempre chiedere al giudice che detto termine sia fissato.

Né essi sembrano soggiacere alla disciplina dell'art. 2467 c.c., in quanto l'obbligazione restitutoria che li caratterizza, in via peraltro eventuale, appare profondamente diversa da quella che informa la finalità della norma al vaglio. In essa, infatti, si rintraccia la ratio inibitoria del ricorso "abusivo" al credito, onde evitare lo spostamento del rischio d'impresa dal socio a danno dei creditori; pericolo, questo, che appare estraneo alla dinamica del versamento in conto futuro aumento di capitale, nel quale lo scopo – esattamente opposto – è di predisporre, addirittura in anticipo, gli strumenti necessari alla copertura del (futuro) capitale sociale, ossia del capitale di rischio per eccellenza.

In questo contesto va considerato l'ulteriore e dibattuto problema dell'ammissibilità o meno di apporti non proporzionali.

Non può che ritenersi che gli apporti a fondo perduto siano caratterizzati da un principio di libertà e di svincolo da qualsivoglia regola di proporzionalità non essendo per loro natura destinati ad incidere sul capitale sociale.

Per questi apporti autorevole dottrina ha ipotizzato una formazione "personalizzata" o "targata", con ciò volendosi sottolineare che la deroga alla regola della proporzionalità avrebbe comunque alcune conseguenze e segnatamente che:

a) in caso di distribuzione delle riserve di che trattasi la restituzione gioverebbe solo al o ai soci che hanno costituito la riserva de qua e nella misura in cui l'hanno costituita;

b) in caso di copertura delle perdite, tali riserve occorrerebbero alla copertura solo dopo l'erosione di tutte le altre riserve compresa la legale.

La ricostruzione, pur autorevolissima, non risulta del tutto convincente: lascia perplessi l'idea che l'assenza di proporzionalità possa considerarsi equivalente all'apposizione di un vincolo di destinazione più radicato di quello assegnato dalla legge alla riserva legale, che ha il compito, com'è noto, di stabilizzare il capitale sociale.

Sembra invece a chi scrive che solo nel sistema dei conferimenti a capitale il conferente acquisisce – in linea generale e per giunta oggi derogabile – tutti i diritti propri della proporzionalità in tutte le sfumature in cui essa è declinata dalla legge laddove fuori dal perimetro dei conferimenti a capitale il socio si limita a finanziare con capitale di rischio la società, e non si vede perché non debba subire le conseguenze proprie della scelta che lo colloca fuori dalle garanzie proprie dell'investimento di rischio organizzato in capitale sociale.

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