Clausola di intrasferibilità nelle s.p.a.InquadramentoLa circolazione delle azioni e delle quote sociali è rispettivamente regolata dagli articoli 2355 e seguenti c.c. per le S.p.A. e dall'art. 2469 c.c. per le S.r.l. Le norme citate, da un lato, sanciscono il principio generale della libera circolazione delle partecipazioni sociali, tipico delle società di capitali, dall'altro riconoscono alla stessa autonomia statutaria di derogarvi, prevedendo la facoltà per i soci di stabilire diversamente attraverso una contraria disposizione contenuta nell'atto costitutivo od in una successiva modificazione dello stesso. Dal tenore dell'articolo richiamato, dottrina e giurisprudenza dominanti evincono l'ammissibilità, per tale tipo societario, di clausole statutarie che vietino del tutto il trasferimento della partecipazione sociale, tanto inter vivos che in ambito mortis causa. Dalla lettura delle norme, è chiaro l'intento del legislatore, ma le clausole che impongono limiti disciplina appare pertanto chiara, ci sembra invece che vada esaminato con molta attenzione il costante indirizzo dottrinale e giurisprudenziale, il quale ammette - senza limitazione alcuna - la clausola di intrasferibilità mortis causa della quota di s.r.l. Tale opinione va infatti vagliata tenendo in debito conto le operazioni societarie conseguenti al decesso del socio e strumentali alla liquidazione della quota in favore dei suoi eredi, valutando ulteriormente la conformità di queste ultime ai principi generali ed inderogabili delle società di capitali, primo fra tutti quello della «tipicità» delle ipotesi di riduzione del capitale sociale. Qualora dette operazioni risultassero in contrasto con i suddetti principi - come qui si ritiene -, dovremo dunque comprendere quale sia il reale ambito di applicazione del disposto dell'art. 2469 c.c., individuando la tipologia di clausole limitative della circolazione mortis causa della quota che potranno essere legittimamente inserite nello Statuto sociale. FormulaCLAUSOLA DI INTRASFERIBILITÀ NELLE S.P.A. Il trasferimento delle azioni, sia per atto tra vivi, che per successione mortis causa, è vietato per i cinque anni dall'iscrizione della società nel Registro imprese o dall'introduzione del divieto. CommentoIl primo comma dell'art. 2355, comma 1, c.c. prevede la possibilità̀ di vietare statutariamente il trasferimento delle azioni per un periodo non superiore a cinque anni, che decorrono dalla costituzione della società o dalla data di introduzione delle limitazioni stesse. L'inibizione al trasferimento delle partecipazioni sociali è quindi consentita, senza limiti, solo nel caso in cui esso sia limitato temporalmente. La ratio si rinviene nella necessità di evitare il rischio che i soci restino bloccati, sine die, nella società senza poterne uscire. Di recente si è pronunciato il Consiglio Notarile di Milano, che ha sancito che: - “Le clausole statutarie di s.p.a. e di s.r.l. che vietano il trasferimento parziale delle azioni o della partecipazione del socio alienante – e che quindi subordinano il trasferimento alla condizione che il socio alienante trasferisca tutte le azioni o l'intera partecipazione di cui è titolare – sono legittime e non integrano un “divieto” di alienazione, ai sensi dell'artt. 2355-bis, comma 1, c.c., né un'ipotesi di “intrasferibilità” delle partecipazioni, ai sensi dell'art. 2469, comma 2, c.c. Pertanto: (i) nelle s.p.a., la loro introduzione nello statuto dà luogo alla causa legale di recesso di cui all'art. 2437, comma 2, lett. b), c.c., ove lo statuto non disponga diversamente; (ii) nelle s.r.l., esse non danno luogo al diritto di recesso, né ai sensi dell'art. 2469, comma 2, c.c., né al momento della loro introduzione nello statuto, non essendo contemplata tale fattispecie tra le cause legali di recesso ai sensi dell'art. 2473 c.c.” (Massima n. 201/2022) e - “Sono legittime le clausole statutarie di s.p.a. e di s.r.l. che impongono un “tetto minimo” di possesso delle azioni o delle partecipazioni sociali. Esse possono essere configurate: (i) come regole di circolazione delle partecipazioni, che rendono il trasferimento inefficace nei confronti della società in tutti i casi in cui, per effetto del trasferimento, l'acquirente non consegua il possesso minimo ovvero il venditore lo perda; (ii) come regole che subordinano la legittimazione all'esercizio di parte dei diritti sociali alla titolarità di un numero di azioni o di una quota di partecipazione almeno pari o superiori al possesso minimo. La delibera di modifica dello statuto che introduce questo secondo tipo di clausole deve essere adottata, oltre che con le maggioranze richieste dalla legge e dallo statuto, anche con il consenso dei soci che siano titolari di un numero di azioni o di una partecipazione inferiori al possesso minimo richiesto dalla nuova clausola statutaria”. (Massima n. 202/2022). |