Clausola statutaria (di s.r.l.) di recesso convenzionale senza deroghe ai criteri di liquidazione della quota

Giuseppe Trimarchi

Inquadramento

Il diritto di recesso nelle società di capitali è disciplinato dagli artt. 2437,2437-bis, 2437- ter, 2437-quater c.c. - in tema di s.p.a.- e dall'art. 2473 c.c. - in tema di s.r.l.

Per le s.p.a., l'art. 2437 individua le ipotesi di recesso, che possono distinguirsi in: legali inderogabili (elencate nel comma 1); legali derogabili per disposizione statutaria (comma 2); il recesso ad nutum (comma 3) e le ulteriori cause di recesso di matrice statutaria.

Per quanto concerne, invece, le s.r.l., il panorama delle cause di recesso è più ampio di quanto previsto per le s.p.a. Ai sensi dell'art. 2473 c.c., lo statuto può, infatti, selezionare liberamente le ipotesi di recesso e le relative modalità di esercizio. La norma prevede, in ogni caso, ai commi 1 e 2 , specifiche ipotesi che giustificano l'esercizio del diritto di recesso.

Formula

È espressamente riconosciuto a tutti i soci che abbiano partecipazioni pari o inferiori al …% del capitale sociale di poter recedere dalla società nei seguenti casi:

… (ad esempio nell'ipotesi di compimento di certe operazioni gestorie; ovvero di sforamento o mancato raggiungimento di parametri contabili, o di bilancio etc.).

In tal caso l'organo amministrativo ha l'obbligo di avvisare i soci aventi diritto al recesso con raccomandata a\r da inviarsi all'indirizzo risultante dal libro soci se tenuto ovvero al registro delle imprese, entro 30 giorni da quello in cui si sia verificato il fatto che dia origine al recesso. Il socio che intende recedere deve darne comunicazione all'organo amministrativo mediante lettera inviata con raccomandata con ricevuta di ritorno indirizzata alla società nel termine di 30 giorni da quello in cui abbia ricevuto la comunicazione di cui all'alinea precedente ovvero da quando ne abbia avuto comunque notizia.

Il recesso produrrà effetti contestualmente alla ricezione della comunicazione del socio.

Dell'esercizio del diritto di recesso deve essere fatta annotazione nel libro dei soci, se tenuto, e comunque ne va data comunicazione al registro delle imprese.

Nel caso di esercizio del diritto di recesso a mente del presente articolo, il rimborso della partecipazione sarà determinato in proporzione al patrimonio sociale che verrà determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso. In caso di disaccordo con l'organo amministrativo sul valore di rimborso questo sarà determinato tramite relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale nella cui circoscrizione ha sede la società, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente. Si applica l'art. 1349, comma 1 c.c. Il procedimento di liquidazione dovrà essere eseguito a norma del quarto comma dell'articolo 2473 c.c.

Commento

Per la s.p.a, l'art. 2437 c.c. (Cfr. Trimarchi, Autonomia privata e recesso dalle società di capitali, Notariato 2/2017, Trimarchi, Autonomia privata e recesso dalle società di capitali. Seconda parte, Notariato 3/2017):

- al primo comma elenca le ipotesi di recesso legale inderogabili, e precisamente:

a) la modifica della clausola dell'oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell'attività della società;

b) la trasformazione della società;

c) il trasferimento della sede sociale all'estero;

d) la revoca dello stato di liquidazione;

e) l'eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto;

f) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell'azione in caso di recesso;

g) le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

- al comma secondo declina le ipotesi di recesso legale derogabili (per disposizione statutaria) ossia:

a) la proroga del termine

b) l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari.

- al comma terzo elabora una singolare ipotesi di recesso ad nutum per le società costituite a tempo indeterminato il cui esercizio è ex lege subordinato unicamente ad un preavviso (di almeno centottanta giorni, salvo che lo statuto non preveda un termine maggiore in ogni caso non superiore ad un anno);

- al comma quarto consente alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio di prevedere statutariamente “ulteriori cause di recesso”.

Vale ricordare in punto applicativo anche che il sesto comma reca una norma di salvaguardia stabilendo la nullità di qualsiasi pattuizione “volta ad escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma”.

Per le s.r.l., l'art. 2473 c.c.:

affida innanzitutto allo statuto (e quindi all'autonomia privata) il compito di selezionare (liberamente) le ipotesi di recesso e le relative modalità di esercizio del medesimo. La norma, tuttavia, prosegue stabilendo che “in ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'articolo 2468, quarto comma.”

Non vi è nella s.r.l. una norma analoga a quella adottata dal comma 6 dell'art. 2437 c.c. con riferimento a patti che ne possano “rendere più gravoso l'esercizio”.

Anche per le s.r.l. l'art. 2473 c.c., al comma 2, stabilisce che: “Nel caso di società contratta a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni; l'atto costitutivo può prevedere un periodo di preavviso di durata maggiore purché non superiore ad un anno”.

In realtà, com'è noto, vi sono altre previsioni che declinano ulteriori ipotesi di “recesso legale”: è il caso dell'art. 2497 quater c.c. destinato a garantire l'exit del socio delle società soggette a direzione e coordinamento specie in caso di speciali delibere dell'ente “sovraordinato”, ed ancora l'ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 2355 bis c.c. (che riguarda il caso di taluni limiti al trasferimento di partecipazioni sociali) ovvero la fattispecie dell'introduzione o soppressione di una clausola compromissoria in società che non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 34, comma 6, d.lgs. n. 5/2003).

Ad avviso di alcuni la normativa sul recesso, in generale, tenderebbe a stabilire le regole di una riattivazione “negoziale” tra maggioranza e minoranza in occasione di eventi riorganizzativi di particolare momento in ragione del perseguimento dello scopo di creare le condizioni di liquidazione della partecipazione del dissenziente.

Altri celebrano la precipua funzione di protezione della minoranza di fronte alla maggioranza.

Da altri, ancora, si è sottolineata che la comune funzione remediale ed unitaria del recesso consiste nel legittimare una reazione del socio dissenziente ai “cambiamenti sostanziali dell'operazione cui partecipa”.

L'ultima delle soluzioni prospettate sembra quella maggiormente destinata a soddisfare in modo unitario le esigenze poste a base di una disciplina (quella del recesso) apparentemente eterogenea: tale normativa autorizza il socio dissenziente a reagire disinvestendo, a prescindere dalla effettiva ricollocabilità in un mercato “ordinario” interno e/o esterno delle sue partecipazioni sociali, ancorché la soluzione dell'assorbimento da parte del mercato sia largamente preferita dal legislatore italiano, il quale tuttavia si è spinto sino a declinare le regole – in caso di mancata soddifacibilità del socio – dello scioglimento della società stessa.

Nelle s.p.a. il recesso legale, almeno nelle ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 2437 c.c., appare contornato da cautele. La prima è nell'inderogabilità delle fattispecie.

Resta da chiarire se tale condizione di permanenza inderogabile delle cause di recesso legale valga per tutte quelle scrutinate come tali dal legislatore indipendentemente dalla loro collocazione topografica nella mappa normativa o se essa permanga unicamente a beneficio delle sole ipotesi del comma 1 dell'art. 2437 c.c. in accordo alla lettera del comma 6 della citata norma.

Giova quindi stabilire se si possa escludere per scelta statutaria un'ipotesi recesso legale non contemplato tra le ipotesi del comma 1 ma non assorbita dalla clausola di derogabilità di cui al comma 2.

Il dubbio sul piano letterale è più che legittimo.

Per dirla in termini concreti quid se i soci desiderino prevedere e/o inserire una clausola che impedisca il diritto di recesso pur in caso di previsione di un mero gradimento al trasferimento delle partecipazioni sociali? o vogliano escludere il recesso nei casi di cui al citato art. 2497 quater c.c.?

L'allocazione della funzione del recesso nella garanzia di una reazione del socio non può coerentemente condurre ad una risposta in astratto negativa, dal momento che nel silenzio della legge emerge la necessità di verificare ulteriormente se l'assenza di una sanzione di nullità per l'eliminazione convenzionale di tali ipotesi di recesso risulti coerente con la funzione dell'istituto e/o con la protezione di altri interessi indisponibili alla cui tutela tale funzione sarebbe chiamata a presiedere a prescindere dall'espressa previsione legislativa della nullità.

E così ad esempio una previsione statutaria che escluda il recesso nel caso di previsione di mero gradimento per il trasferimento delle azioni, più che indurre a dichiarazioni precipitose di invalidità, obbliga a considerarne lo scopo (garanzia di reazione del socio) nel quadro della disciplina del trasferimento delle azioni per le quali, oggi, il legislatore ammette (almeno nei limiti del quinquennio, art. 2355 bis c.c.) addirittura l'intrasferibilità assoluta.

Visto da quest'angolo visuale, l'impedimento al recesso legale, in tale circostanza, avrebbe il medesimo effetto del divieto di trasferibilità.

Diversamente, una pattuizione che inibisse il recesso legale nel caso dell'introduzione o soppressione di una clausola compromissoria appare ictu oculi di dubbia legittimità.

Egualmente complessa è la valutazione di una clausola che tenda ad escludere il recesso legale nei casi dell'art. 2497 quater c.c..

Se si volesse, allora, dare un senso all'assenza di una previsione del tipo di quella contenuta nel comma 6 dell'art. 2437 c.c., la clausola che eliminasse il recesso delle lett. a) e b) dell'art. 2497 quater c.c. lungi dallo svuotare il sistema di protezione del socio della società eterodiretta avrebbe la funzione, ridotta, di eliminare una posizione di rafforzamento di tale protezione, restando a tale socio sempre il rimedio dell'attivazione della responsabilità. La clausola de qua, in conclusione, non appare a chi scrive eversiva del sistema di protezione costruito dal legislatore italiano almeno nelle società per azioni chiuse.

In conclusione, la funzione unitaria riconosciuta al recesso consente d'interpretare coerentemente il richiamo che il comma 6 dell'art. 2437 c.c. fa al comma 1 e non alle altre ipotesi legali di recesso: le clausole che rendono più gravoso l'esercizio del recesso legale proteggono la società di fronte al disinvestimento del socio e, in talune circostanze (ossia in larga misura in quelle ipotesi diverse dalle fattispecie legali di recesso di cui al comma 1 dell'art. 2437 c.c.), il legislatore ha inteso ridurre la protezione.

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