Clausola dell'atto costitutivo che limita i poteri degli amministratori

Gaetano Vladimiro Colonna
aggiornato da Giuliana Migliorati

Inquadramento

Gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società. Eventuali limitazioni risultanti dall'atto costitutivo o dall'atto di nomina sono inopponibili ai terzi salvo il caso della exceptio doli.

Formula

CLAUSOLA DELL'ATTO COSTITUTIVO CHE LIMITA I POTERI DEGLI AMMINISTRATORI [1]

ART. ....

L'organo amministrativo è munito di ogni potere necessario all'amministrazione della società.

È necessaria la preventiva autorizzazione dell'assemblea dei soci per i seguenti atti [2] :

....

L'eventuale inosservanza del limite imposto all'amministratore all'atto della nomina o statutariamente, non inficia la validità dell'atto eventualmente compiuto nei confronti dei terzi, ma ha efficacia meramente interna, comportando la responsabilità dell'amministratore nei confronti della società o la revoca di costui per giusta causa o ancora la denuncia al collegio sindacale se nominato. Essendo, infatti, venuto meno il limite dell'oggetto sociale, l'atto esorbitante da esso non sarà più opponibile ai terzi, salva l'ipotesi del dolo da parte del terzo (conforme Consiglio Notarile di Roma, Massima n. 9/2013).

Le limitazioni al potere di rappresentanza previste per gli amministratori di srl dall'art. 2475-bis, comma 2, c.c. devono risultare dall'atto costitutivo o dall'atto di nomina perché altrimenti non sono opponibili, pur se pubblicate, ai terzi salva la prova che questi ultimi abbiano agito intenzionalmente a danno della società.

Commento

È possibile limitare i poteri degli amministratori mediante clausola dello statuto o all'atto della nomina.

La formulazione della norma di cui all'art. 2475-bis c.c. rubricata “rappresentanza della società”, è stata foriera di notevoli dubbi sia in dottrina che in giurisprudenza, aventi ad oggetto l'estensione dei limiti, ossia se essi riguardano i poteri degli amministratori in generale, oppure, se si faccia riferimento al solo potere di rappresentanza. Si tende per lo più a seguire la seconda interpretazione sulla scorta della rubrica della norma, come sopra citata, riguardante, appunto, la rappresentanza della società.

Per quanto riguarda il regime dell'opponibilità, i limiti siano essi rappresentativi e gestori o solo rappresentativi, anche se pubblicati, non sono opponibili al terzo, con la conseguenza che, l'efficacia e la validità degli atti eventualmente compiuti, non ne viene intaccata, ma rileva esclusivamente nei rapporti interni ed espone l'amministratore alla responsabilità nei confronti della società, o a revoca del medesimo per giusta causa o ancora, infine, alla denuncia disciplinata dall'art. 2408 c.c. (qualora l'organo di controllo sia presente).

Per la dottrina, inoltre, esulerebbero dall'ambito applicativo dell'art. 2475-bis le ipotesi di mancanza assoluta del potere rappresentativo, posto che in tali casi ci si troverebbe di fronte ad un amministratore totalmente privo del potere di rappresentanza o ad un atto compiuto da un soggetto estraneo all'organo amministrativo.

Secondo una recente pronucia  di merito (Trib. Roma, 10 settembre 2020) "la regola posta dall'art. 2475-bis, primo comma, c.c. costituisce una norma di default destinata ad assumere rilevanza nel silenzio dello statuto o dell'atto di nomina. Anche nelle società a responsabilità limitata, infatti, è possibile attribuire il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni amministratori ovvero ricollegarla alla titolarità di alcune cariche (come la carica di amministratore delegato o di presidente del consiglio di amministrazione); ciò lo si può desumere dal fatto che tra le indicazioni che l'atto costitutivo deve necessariamente contenere rientrano quelle concernenti la rappresentanza della società (art. 2463 comma 2, n. 7 c.c.) e che l'art. 2383 comma 4 (richiamato dall'art. 2475 comma 2 c.c.) prevede che entro trenta giorni dalla notizia della nomina, gli amministratori devono chiederne l'iscrizione nel registro delle imprese indicando a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, nonché – in ultimo – da quanto indicato all'art. 2475-ter c.c. dove nel menzionare gli «amministratori che hanno la rappresentanza della società» lascia desumere che possono esservi amministratori che non hanno detto potere in conseguenza di limitazioni poste dall'atto costitutivo o dall'atto di nomina. Le limitazioni statutarie – a differenza delle limitazioni legali – dei poteri rappresentativi degli amministratori non si riverberano in maniera automatica sul contratto sottoscritto dagli amministratori con i terzi, non essendo, se non nel concorso degli altri presupposti indicati dall'art. 2475-bis c.c., ad essi opponibili. Il fatto che un amministratore abbia sottoscritto un contratto eccedendo la propria limitazione del potere rappresentativo, può presentare conseguenze sul piano dei rapporti interni alla società, giustificando la revoca dell'amministratore dall'incarico gestorio ovvero la proposizione di un'azione di responsabilità nei suoi confronti ovvero ancora, qualora nella società sia presente il collegio sindacale, la denunzia ex art. 2408 c.c.”. Inoltre, proseguono i giudici: “Nel caso di violazione dei limiti convenzionali al potere rappresentativo degli amministratori nell'ipotesi descritta dall'ultima parte dell'art. 2475-bis secondo comma c.c. (ossia nel caso in cui il terzo contraente abbia intenzionalmente agito in danno della società) solo la società (e non, quindi, anche il singolo socio) è legittimata ad opporre ai terzi tali limitazioni. Ciò alla luce del fatto che nelle società di capitali, l'interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell'ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni alla società (rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o di far valere la responsabilità degli organi sociali) e non implica la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni ed, in particolare, ad impugnare i negozi giuridici stipulati dalla società, la cui validità, anche nelle ipotesi di nullità per illiceità dell'oggetto, della causa o dei motivi, resta contestabile solo dalla società stessa, senza che in contrario il socio possa invocare la norma dell'art. 1421 c.c. L'eventuale inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator di una società può essere fatta valere dal falso rappresentato, ma non dai soci di quest'ultimo qualora costituito in forma di società di capitali”.

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