Clausola di continuazione facoltativaInquadramentoNelle società di persone, la morte di uno dei soci produce rilevanti conseguenze dal punto di visti degli assetti endosocietari e per tale motivo è importante per i soci predeterminare, mediante idoneo intervento sullo statuto sociale, gli effetti del decesso di un socio sui propri eredi e sui soci superstiti. La grundnorm è rappresentata dall'art. 2284 c.c. che prevede, quale regola di default nel caso di morte del socio, lo scioglimento del singolo vincolo sociale e la continuazione della società tra i soci superstiti, i quali dovranno liquidare agli eredi del socio deceduto il valore della quota che deteneva. Per M. Ghidini, Società personali, Padova, 1972, 600, la liquidazione deve essere corrisposta dagli altri soci, essendo questo il dettato dell'art. 2284 c.c., così da lasciare inalterato il capitale sociale. Per la teoria oggi prevalente, si veda in dottrina: Campobasso, Diritto Commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2009, 114; Galgano, op. cit., 343 ss., e in giurisprudenza la recentissima Cass. n. 14449/2014, nonché Cass. n. 12125/2006 e Cass. S.U., n. 291/2000, in Società, 2000, 10, 1200 ss., per la quale il debito da liquidazione grava sulla società, in quanto trattasi di vicenda endosocietaria. In particolare: “La domanda di liquidazione della quota di una società di persone, da parte del socio receduto o escluso, ovvero degli eredi del socio defunto, fa valere un'obbligazione non degli altri soci, ma della società, e pertanto, ai sensi dell'art. 2266, c.c., va proposta nei confronti della società medesima, quale soggetto passivamente legittimato (…)”. Per Carlini - Clericò - Trasatti, Morte del socio, diritti dei successori e modalità di subentro nelle società di persone, in Rivista del Notariato, 2003, 6, 1443, la norma doveva fungere da ponte tra le norme in materia di diritto societario e successioni, ma si è rivelata un totale sbilanciamento del legislatore in favore ed a tutele del primo ed a scapito delle seconde. Secondo autorevole dottrina (G. Ferri, in Manuale di diritto commerciale, Torino, 2006, 223-224, 244 ss., secondo cui è: “causa di modifica del contratto e dell'ordinamento sociale previsto dalla legge”), infatti, la morte del socio comporta la modifica del contratto sociale ed il legislatore del '42, ispirato al principio del c.d. favor societatis, ha voluto preservare il valore. La norma, però, introduce un ombrello protettivo per evitare che in successione cada il diritto alla liquidazione, una regola suppletiva, secondo la quale ai soci superstiti si aprono altre due diverse (ed alternative tra loro) strade da percorrere: accanto a quella ex lege dello scioglimento del singolo vincolo sociale (Campobasso, Diritto Commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2015, 110 ss.), è previsto che essi possano decidere di sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi, qualora questi vi acconsentano. FormulaIn caso di morte di uno dei soci, i suoi eredi, avranno la facoltà, previo accordo tra loro, di richiede la liquidazione in loro favore della quota del socio deceduto oppure, in alternativa, di continuare la società con i soci superstiti i quali, in tal caso, saranno obbligati ad accoglierli in società. In entrambi i casi, tale dichiarazione dovrà essere inviata a ciascuno dei soci superstiti agli indirizzi risultanti agli atti della società entro sessanta giorni dalla data di apertura della successione e mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o raccomandata a mano o messaggio di posta elettronica certificata. CommentoIl carattere dispositivo dell'art. 2284 c.c., reso esplicito dall'assunto “salvo contraria disposizione del contratto sociale”, e la natura degli interessi coinvolti, consentono di poter derogare la disciplina legale in caso di morte del socio. Rebus sic stantibus, il contratto sociale può prevedere ex ante una serie di clausole dettate in funzione successoria e mirate a regolamentare gli interessi che scaturiscono a seguito della morte del socio. Le clausole di continuazione sono state, e sono tutt'ora, oggetto di attenzione e forti contrasti tra la dottrina commercialistica e la giurisprudenza (Cass. n. 1311/1968; Cass. n. 2815/1976). Mediante tali clausole i soci prestano preventivamente il proprio consenso alla continuazione della società con gli eredi, nonostante essi non siano ancora conosciuti ed è proprio questo il motivo per il quale tale strumento non ha avuto grande diffusione nella pratica. La dottrina ha elaborato una tripartizione di tali clausole: - clausole di continuazione facoltativa mediante le quali i soci si obbligano a continuare la società con gli eredi del socio premorto, ai quali è riconosciuto il diritto, avente natura potestativa, di aderire o meno alla società; essi non sono onerati dall'obbligo di continuare la società, ma sarà il frutto di una loro libera scelta. L'unico effetto prodotto da tali clausole sarà quello di eliminare il diritto di scelta attribuito ai soci superstiti dalla legge, derogando così all'art. 2284 c.c. Con tale clausola, sulla cui ammissibilità non vi sono dubbi, viene rimessa alla libera volontà degli eredi la loro partecipazione alla società. Essi, quindi, si ritroverebbero nella stessa situazione derivante dall'art. 2284 nell'ipotesi in cui siano destinatari della proposta di entrare in società al posto del de cuius: in particolare, secondo alcuni, tale clausola configurerebbe una opzione - proposta irrevocabile ai sensi dell'art. 1331 c.c. la quale si va ad integrare e perfezionare con l'adesione dell'erede. A seguito dell'evento morte, la detta clausola diviene operante e gli eredi potranno decidere se entrare o meno, mentre ai soci superstiti è attribuita tutt'al più la possibilità di fissare un termine per dirimere la situazione di incertezza. Non sarà sufficiente per gli eredi la mera accettazione dell'eredità, ma dovranno necessariamente manifestare la propria volontà di continuare la società: di guisa che l'ingresso in società avverrà in virtù di un atto tra vivi, e non iure haereditario. - clausole di continuazione obbligatoria le quali si distinguono dalle prime in quanto esse comportano la nascita di una posizione avente carattere obbligatorio, non solo a carico dei soci superstiti, ma anche a carico degli eredi del socio premorto. Esse, infatti, impongono agli eredi del socio di stipulare un accordo per entrare in società, che i soci superstiti saranno tenuti a rispettare. La validità di tali clausole è stata oggetto di vivace dibattito, in quanto alcuni autori, propendendo per la soluzione positiva, ritengono che i soci si promettono reciprocamente il fatto del terzo, e cioè che i propri eredi aderiscano e subentrino a loro in società. Se essi decidono di non entrare in società, sorgerà a loro carico, trattandosi di promessa del fatto del terzo, solo la responsabilità per danni ed un obbligo a versare un indennizzo, ma non vi saranno i presupposti per richiedere una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. che li obblighi ad entrare. Di guisa che gli eredi saranno tenuti al risarcimento, il quale, nel caso di accettazione con beneficio d'inventario, sarà limitato intra vires. Tale ricostruzione, per altra dottrina, presenta un grande vulnus in quanto l'inadempimento farebbe sorgere a carico dell'erede un'obbligazione all'indennizzo nuova e non esistente nel patrimonio del de cuius. È così in re ipsa che tali clausole, anche se meno costrittive rispetto alle clausole di continuazione automatiche, di cui infra, non possono essere ritenute valide, in quanto le norme successorie prevedono che gli eredi subentrino al de cuius nelle obbligazioni già esistenti e non in quelle che possono sorgere ex post rispetto alla morte, come sarebbero quelle relative all'indennizzo dovuto (si violerebbe la regola obligatio ab haeredis paersona incipere non potest). - Infine, vi sono le clausole di continuazione automatica (o di successione) con le quali si prevede la diretta successione nella posizione del socio illimitatamente responsabile a seguito dell'accettazione dell'eredità. La giurisprudenza (Cass. n. 12906/1995, in Giur. it., 1996, I, 1, 1356; Cass. n. 2632/1993), nonostante non abbia mai analizzato ex professo tali clausole, nelle rare pronunce le ha sempre ritenute valide ed ammissibili, in particolare con una recente pronuncia (Cass. n. 163/2013). Per la Corte, infatti, la trasmissione della partecipazione avviene solo a seguito dell'accettazione dell'eredità, liberamente rimessa alla volontà del chiamato. La prevalente letteratura giuridica si è fermamente opposta all'ammissibilità di tali clausole, ritenendole nulle, in quanto è necessario in primis affermare che gli eredi non possono entrare nella compagine sociale, con conseguente responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali derivante dall'attività d'impresa, senza il loro espresso consenso. L'adesione alla società costituirebbe, peraltro, un'implicita condizione per l'accettazione dell'eredità e ciò non è consentito in quanto le disposizioni testamentarie possono essere gravate solo da atti di ultima volontà, sempre revocabili, e non da atti tra vivi, i quali non possono essere revocati unilateralmente. Tali precisazioni lasciano intravedere i motivi per i quali oggi anche la prassi notarile ritiene nulle tali clausole: i soci, che assumono la responsabilità illimitata, lo fanno per una personale decisione, si scelgono reciprocamente, o per motivi familiari o di apprezzamento e stima reciproca, ma non possono ritrovarsi in tale posizione in virtù di una decisione altrui. |