Assicurazione obbligatoria RCA e nozioni oggetto di copertura: giurisprudenza CGUE e margini di non conformità del modello italiano

Clara Cerlon
22 Novembre 2018

La disponibilità o meno, in capo agli Stati membri, della determinazione della portata delle nozioni di “veicolo” e di “circolazione di veicoli”, essenziali per l'operatività delle direttive in materia di assicurazione obbligatoria per la RCA, è una questione che ha determinato a più riprese l'intervento della Corte di Giustizia. Quest'ultima, attraverso declaratorie di incompatibilità ed affermazioni di principi interpretativi cui dovrebbero ispirarsi gli Stati membri, è pervenuta a delineare un modello di diritto uniforme che impone di verificare la conformità fra questo e l'impostazione italiana.
Le nozioni di “veicolo” e di “circolazione” nella giurisprudenza ultima della Corte di Giustizia

Recenti decisioni della Corte di Giustizia in materia di ambito operativo della garanzia assicurativa obbligatoria rappresentano un'imperdibile occasione per fare il punto della situazione sulla compatibilità della legislazione italiana (innanzitutto l'art. 122, comma 1, cod. ass.) - e più precisamente dell'interpretazione di questa offerta dalla nostra giurisprudenza - con la disciplina CE/UE, ciò alla luce del noto ed indiscusso principio della primazia del diritto dell'Unione, per cui il giudice nazionale è tenuto ad interpretare la normativa interna in considerazione sia della lettera che dello scopo di quella comunitaria, onde conseguirne il risultato ivi contemplato.

In particolare, dinanzi alla presenza nella normativa comunitaria di una clausola così aperta quale quella di cui all'art. 1 («Definizioni»), punto 1, della direttiva 2009/103/CE per cui per «veicolo» si intende «qualsiasi autoveicolo destinato a circolare sul suolo e che può essere azionato da una forza meccanica, senza essere vincolato a una strada ferrata, nonché i rimorchi, anche non agganciati» (senza ulteriori delimitazioni e, come ricavabile dall'art. 5, con una circoscritta possibilità per gli Stati membri di stabilire deroghe all'obbligo d'assicurazione), uno dei problemi, che da ultimo in più occasioni è stato affrontato dalla Corte di Giustizia nel campo dell'assicurazione obbligatoria per la RCA, è stato quello di determinare se, nell'applicazione delle direttive CE/UE che disciplinano il settore, le nozioni di “veicoli” e di “circolazione di veicoli” siano o meno nella disponibilità degli Stati membri, ovvero se i legislatori nazionali ed i giudici interni abbiano la facoltà di limitare l'operatività della garanzia assicurativa a certi tipi di veicoli e/o di circolazione ovvero a quella che avvenga su determinati “suoli”.

In questi precedenti la Corte di Giustizia è stata decisamente chiara nel circoscrivere al massimo i margini di discrezionalità a disposizione degli Stati quanto alla definizione di dette categorie; al contempo la Corte ha ritagliato in seno alle direttive in questione - innanzitutto la direttiva 2009/103/CE – delle nozioni aperte tali da estendere l'obbligo di copertura anche alle aree private ed a qualsiasi uso normale del veicolo compatibile con la sua funzione di mezzo di trasporto.

Damijan Vnuk c. Zavarovalnica Triglav d.d. (CGUE, Sez. III, 4 settembre 2014, causa C-162/13)

La prima in ordine di tempo fra le sentenze più importanti dell'ultimo periodo è indubbiamente questa pronuncia del 2014, autentico leading case in materia. In tale vicenda si chiedeva alla Corte di chiarire se la nozione di “circolazione di veicoli” di cui all'art. 3, paragrafo 1, della prima direttiva in materia di assicurazione obbligatoria (cfr. ora l'art. 1 della direttiva 2009/103), dovesse essere interpretata nel senso di comprendere anche il caso in cui l'assicurato abbia cagionato un sinistro con un trattore nell'atto di sistemare delle balle di fieno in un fienile e, quindi, in relazione ad un evento verificatosi in un'area privata, ossia un contesto avulso dalla circolazione su aree pubbliche.

L'art. 3 della direttiva 2009/103, che ha provveduto all'unificazione di quelle previgenti, prevede l'obbligo per ciascuno Stato di adottare «tutte le misure appropriate … affinché la responsabilità civile relativa alla circolazione dei veicoli che stazionano abitualmente nel suo territorio sia coperta da un'assicurazione…». L'art. 5 della stessa normativa, d'altra parte, concede, come si è anticipato, una limitata facoltà di deroga alla prima disposizione solo con riferimento a talune persone fisiche o giuridiche, pubbliche o private, il cui elenco deve essere espressamente notificato agli altri Stati membri ed alla Commissione, in ogni caso imponendosi agli Stati, a fronte di tali deroghe, di prevedere un sistema indennitario alternativo per i danni eventualmente causati dai suddetti soggetti.

Atteso tale quadro normativo, il ragionamento della Corte si è fondato sul fatto che l'applicazione uniforme tanto del diritto dell'Unione quanto, più in generale, del principio di uguaglianza esigono che, laddove una disposizione UE non contenga alcun espresso rinvio al diritto degli Stati membri, la determinazione del suo senso e della sua portata debba reggersi su un'interpretazione autonoma, pertanto spettando alla Corte fornire i criteri da seguire affinché l'applicazione della normativa comune risulti omogenea e concordante in tutta l'Unione. La Corte ha pure ricordato come sia parimenti pacifico che, ai fini di detta interpretazione, si debba tener conto non soltanto del tenore letterale della disposizione scrutinata, ma anche e soprattutto dei suoi scopi.

Riportando tali principi al caso di specie ed atteso che nessuna delle direttive sull'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli contiene una definizione di “incidente” o di “sinistro”, come pure di “circolazione” o di “uso del veicolo”, la Corte ha ritenuto opportuno riferirsi all'economia generale ed alle finalità della normativa. In particolare, sulla finalità perseguita la Corte ha posto in luce come sin dalla prima direttiva e poi in tutte le tre successive (trasposte infine nella direttiva 2009/103) l'obiettivo costantemente perseguito sia stato da un lato, quello di garantire la libera circolazione sia dei veicoli stazionanti abitualmente nel territorio dell'Unione sia delle persone a bordo degli stessi, dall'altro, anche e soprattutto quello di garantire alle vittime degli incidenti causati da tali veicoli un congruo e concreto risarcimento del danno a prescindere dal luogo del sinistro, ciò con l'ulteriore obiettivo di scongiurare il rischio di trattamenti differenziati (e non parimenti satisfattori) di situazioni analoghe per mere ragioni territoriali.

Da tale ricostruzione deriva, come concluso dalla Corte in Vnuk, il principio generale per cui rientra nella nozione di “circolazione” rilevante per l'Unione qualunque uso di un veicolo che sia conforme alla funzione abituale dello stesso, per l'appunto, in linea teorica (da verificarsi caso per caso dal giudice nazionale), «compresa la manovra di un trattore nel cortile di una casa colonica per immettere in un fienile il rimorchio di cui è munito». Per la Corte, infatti, non vi sarebbe alcuna ragione per ritenere che il legislatore comunitario abbia voluto limitare la tutela accordata ai danneggiati escludendo talune vittime per il sol uso che del veicolo – oggetto dell'obbligo assicurativo – sia stato fatto oppure per la tipologia dell'area, pubblica o privata, su cui sia stato impiegato, purché si tratti di un «uso conforme alla funzione abituale del veicolo», parametro fondamentale nel modello delineato dalla Corte (invero, però, non esente esso stesso da incertezze circa la sua esatta portata, con possibili esiti negativi per una serie di persone eppure lese, sul piano causale, dalla circolazione di veicoli e, in particolare, da impieghi non canonici degli stessi, come potrebbe avvenire nel caso di un'auto condotta fra la folla da un terrorista; anche il caso Rodrigues de Andrade, però, evidenzia i possibili difetti di tale parametro con riferimento ad un impiego meno estremo, quello del “mezzo di trasporto” impiegato al momento del sinistro anche quale “mezzo di lavoro”).

Rodrigues de Andrade c. Crédito Agricola Seguros (CGUE, Grande Sezione, 28 novembre 2017, causa C-514/16)

Nel 2017 la Corte è tornata sul tema specificando ulteriormente la portata dei principi espressi in Vnuk.

In Rodrigues de Andrade - il primo dei due precedenti resi dalla Corte nel 2017 - prendeva le mosse da una richiesta di risarcimento pervenuta dall'attore a seguito del decesso della moglie a causa del ribaltamento di un trattore agricolo utilizzato, al momento del sinistro, per lo spargimento di erbicida ed avvenuto nell'azienda agricola presso la quale ella lavorava.

In questa circostanza si chiedeva alla Corte se l'obbligo di assicurazione, di cui all'art. 3 della direttiva 2009/103, operasse a prescindere dal carattere pubblico o privato del luogo dell'evento e nei soli casi in cui il veicolo risulti in movimento – e, quindi, nell'atto di circolare – ovvero anche quando sia fermo ma con il motore acceso; si domandava, inoltre, se alla corretta applicazione della disciplina comunitaria ostasse una normativa interna tale da escludere dalla nozione di ”veicoli“ quelli utilizzati per scopi meramente agricoli o industriali.

Ciò posto, anche in questa occasione, nel ribadire gli obiettivi delle direttive in questione, la Corte ha specificato che la «circolazione di veicoli» non va limitata ad ipotesi di circolazione stradale sulla pubblica via, essendo esclusivamente l'uso del veicolo in qualità di «mezzo di trasporto» ad avere carattere dirimente.

Tale impostazione ha condotto la Corte innanzitutto a ritenere che il fatto che il trattore, nel momento dell'incidente, fosse fermo e con il motore azionato non valesse, ex se, ad escluderne la funzione di “mezzo di trasporto” e, di conseguenza, a negare che tale impiego rientrasse nella nozione di circolazione rilevante ai sensi dell'art. 3, paragrafo 1, della direttiva.

Quanto poi alla questione dell'uso effettivo che di quel mezzo, al momento del sinistro, si facesse, la Corte ha sottolineato, su un piano generale, come, in presenza di macchine da lavoro, l'operatività o meno dell'assicurazione obbligatoria dipenda dal fatto che il veicolo in questione, con riferimento al caso concreto, sia stato principalmente usato come mezzo di trasporto – in tal caso rientrando appieno nella nozione di circolazione di veicoli e, di conseguenza, determinando l'operatività dell'assicurazione obbligatoria – ovvero come macchina da lavoro, in quest'ultimo caso potendo risultare fondato il diniego della copertura assicurativa imposta ex lege.

Ebbene, con riferimento al caso specifico (purtroppo presentato in sentenza senza ripotarsi circostanze fattuali rilevanti ai fini di una compiuta comprensione delle sue implicazioni) la Corte, invero discutibilmente (ma al contempo essa stessa «con riserva delle verifiche che spetta al giudice del rinvio effettuare»), ha ritenuto di massima integrata la seconda delle due ipotesi, con conseguente esclusione della responsabilità dell'assicurazione, giacché, quanto all'impiego del mezzo agricolo in questione, «la sua funzione principale, nel momento in cui si è verificato l'incidente, consisteva non nel servire da mezzo di trasporto ma nel generare, in quanto macchina da lavoro, la forza motrice necessaria per azionare la pompa di un polverizzatore d'erbicida» (più nello specifico, il trattore «era utilizzato come generatore della forza motrice necessaria ad azionare la pompa di polverizzazione d'erbicida, di cui era munito, al fine di spargere tale erbicida sui ceppi di vite» dell'azienda agricola); nondimeno a prescindere dalla condivisibilità o meno delle indicazioni fornite con riferimento alla fattispecie concreta (suscettibili di dare luogo a significative situazioni di incertezza), rimane come il principio di base espresso e sposato dalla Grande Sezione confermi, in assoluta linea di prosecuzione con il precedente Vnuk, l'irrilevanza della tipologia di terreno sul quale il sinistro si è verificato.

Infatti, in Rodrigues de Andrade, a fronte della constatazione per cui «nessuna disposizione delle direttive relative all'assicurazione obbligatoria […] pone limiti all'estensione dell'obbligo di assicurazione […] ai casi in cui [gli autoveicoli] sono utilizzati su determinati terreni o su determinate strade», la Corte ha mantenuto invariato il principio di massima, tratto da Vnuk, per cui «la nozione di «circolazione dei veicoli» non è limitata ad ipotesi di circolazione stradale, vale a dire di circolazione sulla via pubblica, ma in tale nozione rientra qualunque uso di un veicolo che sia conforme alla funzione abituale dello stesso, a prescindere dalle caratteristiche del terreno sul quale lo stesso è utilizzato».

In questo quadro, dunque, l'unico dato dirimente è che l'evento dannoso sia stato causato da un veicolo usato, al momento del sinistro, quale mezzo di trasporto: gli autoveicoli rilevanti ai fini del diritto uniforme sono quelli, «indipendentemente dalle loro caratteristiche, […] destinati a servire abitualmente come mezzi di trasporto».

José Luís Núñez Torreiro c. AIG Europe Limited (CGUE, Sez. VI, 20 dicembre 2017, causa C-334/16)

A dimostrazione ulteriore di quanto la giurisprudenza UE si mostri compatta sul tema in disamina depone anche il secondo precedente reso dalla Corte nel 2017, originato da un rinvio pregiudiziale disposto dalla Audiencia Provincial di Albacete (Spagna) che riguardava un ufficiale dell'esercito spagnolo, il quale, in occasione di esercitazioni notturne in un campo riservato all'effettuazione di manovre militari, a seguito del ribaltamento del mezzo dell'esercito sul quale viaggiava quale passeggero (un veicolo fuoristrada militare a ruote di tipo “Aníbal”), riportava gravi lesioni per le quali richiedeva il risarcimento all'assicurazione del veicolo; quest'ultima, sull'assunto che la zona nella quale il veicolo transitava non fosse destinata alla circolazione di veicoli ma esclusivamente a quello dei mezzi cingolati militari, sosteneva che la copertura assicurativa non dovesse operare, atteso che la normativa spagnola la limitava ai terreni «idonei alla circolazione» o «comunemente utilizzati» per tale specifico scopo; il Tribunale di primo grado aveva accolto la tesi prospettata dalla compagnia assicurativa; il militare danneggiato, quindi, aveva impugnato la pronuncia innanzi alla Audiencia Provincial contestando l'interpretazione restrittiva del primo giudice; il giudice del rinvio, nutrendo dubbi sulla compatibilità tra la legislazione nazionale e la direttiva, aveva sollevato tre questioni pregiudiziali: se la nozione di “circolazione dei veicoli” o di “fatto relativo alla circolazione” – inteso come rischio dell'assicurazione disciplinata dagli artt. 3 e 5 della direttiva 2009/103 – possa essere definita dalla normativa di uno Stato membro in modo difforme rispetto alla disciplina dell'Unione e, in caso di risposta positiva a tale primo quesito, se detta nozione possa escludere determinate fattispecie di circolazione in considerazione del luogo in cui la stessa si sia verificata, quali la circolazione su strade o terreni inidonei; la terza questione era se, analogamente, possano escludersi determinati impieghi di un veicolo eppure connessi alle sue funzioni (quali l'uso a scopo sportivo, industriale od agricolo) oppure a particolari scopi del conducente (come la perpetrazione di un reato doloso mediante l'impiego del veicolo), questione quest'ultima, però, almeno apparentemente rimasta senza risposte (una risposta, tuttavia, la si potrebbe ravvisare indirettamente nel discrimine costituito dall'uso della vettura alla stregua di “mezzo di trasporto”, filtro che ben può operare a prescindere dal fatto che il mezzo sia stato impiegato per uno sport oppure per investire dolosamente una persona).

Ciò illustrato, la Corte, riprendendo tutte le argomentazioni esposte nei due precedenti innanzi menzionati (Vnuk in primis) in relazione a ratio e scopo della disciplina CE/UE, ha ribadito come la tutela delle vittime costituisca l'obiettivo centrale e che, quindi, questa finalità debba orientare gli interpreti. Inoltre, come ribadito dalla Corte, non vi è traccia, di una volontà del legislatore comunitario di circoscrivere l'operatività della copertura assicurativa a determinate tipologie di sinistri o di aree. Muovendo da tali premesse, la Corte ha nuovamente affermato che la nozione di circolazione non è limitata alle ipotesi di circolazione stradale sulla via pubblica: eventuali peculiari caratteristiche del terreno interessato dal sinistro non incidono sull'operatività della tutela assicurativa.

Quanto al caso concreto, la Corte, in ragione di tali presupposti, ha ritenuto che l'impiego del mezzo militare su cui viaggiava Núñez Torreiro rientrasse a pieno titolo, ai sensi dell'art. 3, comma 1, della direttiva 2009/103, nella nozione di «circolazione dei veicoli» essendo utilizzato a tutti gli effetti come «mezzo di trasporto». Soprattutto, va rimarcato il seguente passaggio: «il fatto che, come emerge dalla decisione di rinvio, il veicolo in questione, quando si è ribaltato, circolava in un campo di manovre militari il cui accesso era vietato a qualsiasi veicolo non militare e in una zona di tale campo non idonea alla circolazione di veicoli a ruote non può influire su tale conclusione né, pertanto, limitare l'obbligo di assicurazione che deriva da tale disposizione».

Sulla base di questi rilievi, la Corte è giunta ad enunciare l'incompatibilità tra la normativa spagnola ed il diritto dell'Unione. E proprio tale pronuncia, come meglio si specificherà in seguito, dovrebbe avere importanti ripercussioni anche sull'ermeneutica italiana, mettendo “in crisi” gli orientamenti espressi dalla nostra giurisprudenza tanto di legittimità che di merito.

Fundo de Garantia Automovel c. Alina Antonia Destapado Pao Mole Juliana (CGUE, Grande Sezione, 4 settembre 2018, causa C-80/17)

In questo precedente la Corte ha continuato a ribadire i principi espressi in Vnuk, Rodrigues de Andrade e Núñez Torreiro, sol specificando che «il fatto che la Corte abbia in sostanza dichiarato [in detti precedenti] che soltanto i casi di utilizzo del veicolo assicurato che rientrino in un utilizzo dello stesso come mezzo di trasporto e, dunque, nella nozione di «circolazione dei veicoli», ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della prima direttiva o dell'articolo 3, primo comma, della direttiva 2009/103, possono dar luogo alla presa in carico da parte dell'assicuratore, in base al contratto di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di tale veicolo, del danno da quest'ultimo causato, non significa affatto che l'esistenza dell'obbligo di stipulare un'assicurazione siffatta debba essere determinata in funzione dell'effettivo utilizzo del veicolo di cui trattasi come mezzo di trasporto in un dato momento», viceversa dovendosi ritenere che anche «un veicolo che sia immatricolato e che non sia stato pertanto regolarmente ritirato dalla circolazione, e che sia idoneo a circolare, corrisponde alla nozione di «veicolo», ai sensi dell'articolo 1, punto 1, della prima direttiva, e non smette, quindi, di essere soggetto all'obbligo di assicurazione enunciato all'articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva per il solo fatto che il suo proprietario non ha più intenzione di guidarlo e lo immobilizza su un terreno privato».

Nel caso di specie, per inciso, era stato chiesto alla Corte se l'obbligo assicurativo riguardi anche i veicoli, che, per mera scelta dei proprietari, siano tenuti fermi in proprietà private. Accadeva, in particolare, che ad aver causato il sinistro fosse una vettura, sottratta dal figlio (poi morto nell'incidente insieme a due passeggeri) alla madre (la proprietaria del mezzo), auto priva di copertura assicurativa atteso che la donna, non impiegando più il veicolo per problemi di salute e tenendolo chiuso nel proprio cortile senza alcuna volontà di utilizzarlo o di farlo utilizzare ad altri, si era determinata a non assicurarlo, però senza avere avviato le pratiche di ritiro ufficiale dalla circolazione.

L'adesione della Commissione Europea al modello delineato dalla Corte di giustizia

De jure condendo va rilevato come la Commissione Europea, dopo un'ultima consultazione pubblica svoltasi nel 2017 (cfr. https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2017-motor-insurance-consultation-document_en.pdf), abbia ritenuto di confermare il modello delineato dalla Corte di Giustizia nelle predette sentenze, espressamente recependole - anche alla luce dell'assenza di evidenze circa il rischio di incrementi eccessivi dei costi per le assicurazioni e, quindi, dei premi - in seno alla proposta di direttiva del 24 maggio 2018 «recante modifica della direttiva 2009/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità» [COM(2018) 336 final; 2018/0168 (COD)].

In particolare, all'art. 1 di tale proposta si prevede di aggiungere all'art. 1 della direttiva 2009/103/CE il seguente punto 1-bis: «“uso del veicolo” ogni utilizzo del veicolo, destinato di norma a fungere da mezzo di trasporto, che sia conforme alla funzione abituale del veicolo stesso, a prescindere dalle sue caratteristiche, dal terreno su cui è utilizzato e dal fatto che sia fermo o in movimento».

E' da notarsi come la Commissione, dinanzi a svariate opzioni che erano sul tavolo, abbia ritenuto che la codificazione dei principi espressi dalla Corte rappresenti la soluzione ottimale al fine di assicurare la certezza del diritto, garantendo questa impostazione «un'attuazione uniforme della giurisprudenza della Corte nell'ambito del diritto nazionale».

Salvi improbabili mutamenti di rotta durante il lungo iter di approvazione di tale proposta, il modello predisposto dalla Corte, dunque, risulta destinato a sopravvivere tale e quale anche nei futuri scenari legislativi, il che rafforza ulteriormente la necessità di vagliare la conformità del modello italiano a quello UE.

Il panorama, normativo e giurisprudenziale, italiano

Alla luce dei precedenti innanzi illustrati risulta evidente come la Corte di Giustizia, sulla scia della finalità perseguita dalle direttive di offrire un'adeguata protezione delle vittime e legittimata a questo approdo interpretativo pure da definizioni decisamente ampie di “veicolo” e di “circolazione” (cfr. il già citato art. 1, punto 1, della direttiva 2009/103), sia ormai ferma nell'offrire un'interpretazione estensiva di tali nozioni rilevanti per determinare la portata dell'obbligazione gravante sull'assicuratore per la RCA.

Questa impostazione, proprio nella prospettiva di una massimizzazione della tutela rimediale offerta alle vittime, non consente, invero, di scontrarsi con limiti che risulterebbero da paletti fissati dal legislatore nazionale in relazione al carattere privato di una strada o di un'altra area, o da una nozione stretta di veicolo, o in ragione di un uso specifico del mezzo. Tutti i mezzi idonei alla circolazione e, più nello specifico, a funzionare quali “mezzi di trasporto”, pertanto, necessitano di rientrare nella nozione di veicolo e, in quanto tali, devono essere coperti da assicurazione obbligatoria. Quest'ultima, inoltre, non può che operare a prescindere dalla natura dell'area su cui è occorso il sinistro: qualsiasi «suolo» (l'espressione è rinvenibile in seno al summenzionato art. 1, punto 1, della direttiva 2009/103), nessuno escluso, può rilevare ai fini dell'operatività dell'assicurazione obbligatoria; in altri termini, sono parimenti irrilevanti eventuali particolari caratteristiche del terreno.

Così in estrema sintesi riassunto il modello definitivamente varato dalla Corte di Giustizia i cui elementi fondanti sono inequivocabili (semmai alcune zone d'ombra - ancorchè l'art. 5 della direttiva 2009/103 non risulti autorizzare deroghe - potrebbero ravvisarsi in relazione ad impieghi, per così dire inusuali, dei veicoli, cioè allorquando impiegati, per esempio, alla stregua di vere e proprie armi per la commissione di atti terroristici oppure quali mezzi per l'effettuazione di altre attività criminali, come lo scippo), occorre allora esaminare se, inevitabilmente fermi tali principi, il panorama italiano sia o meno in linea con gli scenari che emergono dalle predette pronunce.

La necessità di un siffatto approfondimento critico discende tanto dal dato normativo (soprattutto, dall'art. 122, comma 1, cod. ass.) quanto, come si esaminerà al § 3.2, da alcune recenti pronunce della Cassazione che risultano divergere dall'impostazione seguita dalla Corte di Giustizia nelle pronunce sopra scandagliate.

Una tale disamina s'impone anche alla luce delle questioni definitorie che, tanto in tema di assicurazione obbligatoria ed azione diretta ex art. 144 cod. ass. quanto ai fini dell'art. 2054 c.c., continuano a porsi con la conseguenza di decisioni non sempre uniformi a totale discapito di quella certezza e concretezza della tutela risarcitoria eppure fermamente richieste in ambito UE.

L'art. 2054 c.c. e l'art. 122 cod. ass.: i limiti del diritto positivo interno

Sul tema sono principalmente due le disposizioni di riferimento (cfr. da ultimo F. Martini, L'obbligo assicurativo per la circolazione dei veicoli e dei natanti, in Aa.Vv., Responsabilità da circolazione stradale, Milano, 2018, 4-16). Da un lato, si pone l'art. 2054 c.c., che richiama le nozioni di «veicoli» e di «circolazione» senza però offrirne una puntuale definizione e, quindi, senza recare particolari paletti in merito alla tipologia dei veicoli, degli usi di questi o delle aree rilevanti per la tutela risarcitoria; dall'altro, viene in rilievo l'art. 122, comma 1,cod. ass., che, nell'imporre l'obbligo di copertura dei veicoli a motore senza guida di rotaie per le fattispecie di cui all'art. 2054 c.c., sembra, invece, circoscriverne l'operatività ad alcune soltanto delle ipotesi potenzialmente rientranti nella predetta norma codicistica, difatti riferendosi in via esclusiva alla «circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate».

La differenza corrente fra le due disposizioni, dunque, è - almeno dovrebbe esserlo - lampante. Che in effetti, pur continuando ad annoverarsi taluna giurisprudenza di legittimità che sul punto risulta muoversi su presupposti errati nella misura in cui non considerano la genesi della norma codicistica in esame (cfr., per esempio, Cass. civ., sez. III, 28 aprile 2017, n. 10513, che ha escluso l'applicazione del regime di responsabilità in questione in ragione del fatto che il sinistro - investimento mortale da parte di un trattore - si fosse verificato su un fondo agricolo e non già su strada; cfr., altresì Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2016, n. 23711), l'art. 2054 c.c. sia del tutto indifferente alla natura, pubblica o privata, del luogo in cui ha avuto luogo il sinistro così come alla circostanza che si tratti di una strada o di altra tipologia di area discende non soltanto dalla rubrica e dalla formulazione di questa norma, che per l'appunto lasciano del tutto aperte ed estensibili sia la categoria di “veicolo” che la nozione di “circolazione” rilevanti per l'insieme dei regimi di responsabilità disciplinati da questa disposizione, ma anche dalla stessa ratio legis; a quest'ultimo riguardo, infatti, non è possibile ignorare quanto precisato dal legislatore nella Relazione al progetto del libro delle obbligazioni (n. 658) del 1940, ove fu espressamente attestata la volontà legislativa di estendere la novella disciplina, di cui al futuro art. 2054 c.c., a casi prima non coperti dall'art. 120 del r.d. 1740/1933 (il previgente Codice della Strada), in primis la circolazione sulle strade ed aree private (così, in particolare, si rinviene nella relazione suddetta: nella trasposizione, dall'art. 120 del predetto r.d. al Codice Civile, della norma sulla responsabilità di conducenti e proprietari, questa «è stata […] estesa a categorie di danni che prima non vi si riportavano: intendo accennare a quelli prodotti dalla circolazione su strada privata, rispetto ai quali non si intende la ragione di un regolamento della responsabilità, diverso da quello posto per la circolazione su strade pubbliche»; sul punto cfr. amplius M. Bona, La responsabilità civile per i danni da circolazione di veicoli, Milanofiori Assago, 2010, 69). Viceversa, come attestato dalla stessa lettera della norma, l'art. 122, comma 1,cod. ass. - come del resto già l'art. 1, comma 1, l. n. 990/1969 - richiama una determinata natura dell'area, ossia richiede che si tratti di strada di uso pubblico o equiparata a questa.

Proprio quest'ultimo dato fa emergere il punto focale della questione relativa alla compatibilità tra la normativa interna e quella di marca comunitaria. Tale questione non riguarda l'art. 2054 c.c. (norma, invero, che non frappone ostacoli di sorta alla conformazione del nostro diritto al modello individuato dalla Corte di Giustizia nelle direttive assicurazioni auto), bensì, giustappunto, il comma 1 dell'art. 122, di cui occorre verificare la possibilità di risultare conforme, in via interpretativa, ad una disciplina sovrannazionale, che, come confermato dai recenti interventi della Corte di Giustizia, può indirizzarsi verso applicazioni estensive e – per così dire – onnicomprensive di qualsiasi sinistro che sia generato da un “mezzo di trasporto” a motore, a prescindere dal luogo in cui si verifichi.

Certamente la norma, di cui al comma 1 dell'art. 122, suscita non poche perplessità. Se già a livello interno tale impostazione sarebbe dovuta risultare critica, allorquando si pervenne all'approvazione della legge n. 990/1969, trattandosi di una disposizione speciale (quella di cui all'art. 1, comma 1) teoricamente funzionale a rafforzare la protezione prevista da un'altra di rango generale (l'art. 2054 c.c.), ma in realtà tale da finire con il prevedere una serie di limiti e classificazioni non recati dalla seconda, comunque questa criticità, ai limiti dell'irragionevolezza, avrebbe dovuto imporre - anche e soprattutto alla luce degli interventi del legislatore comunitario in materia - una riflessione ulteriore in occasione dei lavori che condussero, con l'emanazione del Codice delle Assicurazioni Private (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) al riassetto delle disposizioni vigenti; al riguardo, infatti, si deve rimarcare come, fra i criteri direttivi previsti dalla legge delega, vi fosse innanzitutto l'«adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie» (cfr. art. 4, lett. a, l. 29 luglio 2003 n. 229). Ebbene, non si comprende come la riforma del testo di legge – avvenuta dopo l'introduzione delle direttive europee e, soprattutto, in un contesto in cui già vi era piena contezza del rapporto tra l'ordinamento interno e quello di marca comunitaria – non sia stata sfruttata quale valido momento di adeguamento all'ordinamento sovrannazionale o, quantomeno, alla più generica disciplina di cui all'art. 2054 c.c., norma che ictu oculi in linea con l'impostazione seguita dal legislatore comunitario, poi confermata dalla Corte di Giustizia.

Gli orientamenti giurisprudenziali interni fra posizioni conformi e incompatibilità con il modello UE

Individuato il problema sussistente a livello di diritto positivo, occorre allora verificare se il comma 1 dell'art. 122 cod. ass. possa interpretarsi, da parte della nostra giurisprudenza, in senso conforme alla norma di marca comunitaria così come ulteriormente chiarificata dalla Corte di Giustizia nelle predette pronunce.

Sul punto può evidenziarsi come la giurisprudenza interna, in molteplici occasioni, si sia mostrata sufficientemente elastica quanto alla nozione di “circolazione di veicoli” rilevante per l'assicurazione obbligatoria, sicché diversi suoi approdi risultano senz'altro compatibili tanto con la disciplina UE che con i precedenti della Corte di Giustizia che ne hanno approfondito la portata.

La piena compatibilità con l'ordinamento sovrannazionale e con i principi da ultimo stabiliti dalla Corte di Giustizia può innanzitutto affermarsi nei termini in cui è ormai pacifica per la Suprema corte la rilevanza, ai fini del concetto di “circolazione” tanto della fase dinamica quanto della fase statica. È, infatti, assunto ormai granitico che abbia rilevanza «tanto lo stato di movimento, quanto la situazione di arresto o di sosta», essendosi, pertanto, ritenuta, «sul presupposto della necessità di controllo da parte del conducente sul veicolo in sosta su uno spazio compreso nelle aree di circolazione» cometale da essere «afferente alla circolazione (e coperto il relativo danno da garanzia assicurativa) la movimentazione degli sportelli (chiusura, apertura, abbassamento) a veicolo fermo e, più in generale, qualsiasi attività prodromica alla marcia e alla circolazione»(cfr., così, Cass. civ., Sez. Un., 29 aprile 2015, n. 8620: «il termine “circolazione stradale” non si limita ad esprimere un concetto dinamico, bensì rappresenta un concetto ampio che include, oltre al movimento, anche la sosta, la fermata e l'arresto dei veicoli, quali episodi insiti nella complessità del fenomeno»; «postulare […] l'esigenza di un necessario collegamento tra il danno verificatosi durante la sosta (o la fermata) del veicolo e la circolazione (nel senso che l'evento debba necessariamente collegarsi alla precedente circolazione/movimentazione del veicolo o, almeno, essere riferito a determinate modalità di sosta, in ipotesi contrastanti col disposto dell'art. 157 C.d.S., ovvero con le regole di ordinaria prudenza e diligenza, interferenti con la circolazione) significa, da un lato, accedere ad un'erronea concezione di “circolazione”, giacché anche la sosta […] è circolazione e, dall'altro, trascurare che, ai sensi dell'art. 2054 c.c., u.c., anche il rischio del guasto tecnico è un rischio da circolazione del veicolo»; nella medesima direzione cfr., fra le ultime, le seguenti: Cass. civ., sez. VI, 22 novembre 2017, n.27759; Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2005, n. 18618; Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2004, n. 12284).

Allo stesso modo, la compatibilità tra disciplina sovrannazionale e orientamenti interni - anzi, forse pure una tutela maggiore in seno a questi ultimi (certamente non preclusa dal diritto uniforme tale da imporre una base minima di protezione) - può ravvisarsi in relazione alla nozione di “veicoli” rilevanti ai fini dell'assicurazione obbligatoria così come in merito all'inclusione di utilizzi anomali dei veicoli (cfr., per esempio, i seguenti precedenti: Cass. civ.,sez. III, 3 agosto 2017, n. 19368, avente per oggetto l'utilizzo di una vettura come vera e propria arma, impiegata per investire più volte la malcapitata vittima con l'intento deliberato di ferirla o di ucciderla; Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2009, n. 10301, in relazione ad un episodio di teppismo di strada, in cui il conducente di un ciclomotore, tentando di resistere all'aggressione di tre malviventi i quali, a bordo di un altro motociclo, gli avevano ordinato di consegnare il proprio mezzo, era stato da questi spintonato finendo con l'essere investito da una vettura proveniente nel senso opposto di marcia; Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2004, n. 11471, che ribadì l'operatività della garanzia assicurativa in relazione ad un caso nel quale un autocarro, sottratto da ignoti al suo legittimo proprietario, era stato usato come ariete per sfondare la vetrina di una gioielleria della società danneggiata; Cass. civ., sez. III, 17 maggio 1999, n. 4798, ove un soggetto trasportato a bordo di un motociclo aveva subito un tentativo di rapina ad opera di due ignoti che, a bordo di un altro ciclomotore, avevano speronato il primo).

Peraltro, sul fronte dei possibili impieghi rilevanti ai fini della copertura assicurativa e dell'azione diretta ex 144 cod. ass., la giurisprudenza di legittimità, in relazione a sinistri cagionati da “macchine operatrici” (per esempio, macchine agricole od autogru) o, comunque, mezzi utilizzati non esclusivamente per il trasporto, ha in più occasioni affermato che l'assicurazione obbligatoria debba riguardare tutte le attività cui il veicolo è destinato (cfr., ancora da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 29 aprile 2015, n. 8620, che ha ritenuto come l'utilizzo del braccio elevatore di una autogru per le operazioni di carico sia da intendersi rientrante nel concetto di circolazione con conseguente operatività della garanzia assicurativa, per l'appunto atteso che l'uso della stessa - sollevamento del cassone con il braccio meccanico - «corrispondeva all'utilitas propria del veicolo in oggetto»).

Peraltro, a ben osservare, le Sezioni Unite del 2015 hanno offerto ai danneggiati, almeno in teoria, una soluzione tale da garantire - ancorché (NB!) soltanto in relazione alle aree pubbliche ed a quelle equiparabili a queste - una tutela risarcitoria rafforzata rispetto all'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia con riferimento ai “mezzi di trasporto” al contempo impiegabili quali “macchine da lavoro”. Si è visto, infatti, che quest'ultima Corte (viene in rilievo, in particolare, la pronuncia Rodrigues de Andrade c. Crédito Agricola Seguros, sulla quale cfr. supra § 1.2), pur discutibilmente, ha stabilito che, allorquando trattasi di macchina utilizzata non soltanto per il trasporto ma anche per attività lavorative (nel caso di specie un trattore munito di pompa per spargere erbicida), ai fini dell'operatività della copertura assicurativa sia preliminarmente necessario determinare se, nel momento in cui si è verificato l'incidente, il veicolo fosse usato quale “mezzo di trasporto” (così rientrando nella nozione di circolazione) o in quanto “macchina da lavoro” (in tal caso rimanendone escluso); viceversa, per le Sezioni Unite «la pericolosità di un veicolo non si relaziona solo con gli eventi tipici della circolazione (marcia, sostanza, partenza ecc), ma è correlato all'insieme delle specificità che lo caratterizzano e che, nella loro globalità - comprensiva, cioè, anche di speciali operazioni che ne caratterizzano la funzione - interferiscono con la presenza di cose e pedoni, allorchè vengano poste in essere nelle aree destinate alla circolazione», cosicché, ai fini della operatività della copertura assicurativa, è «indifferente se durante la sosta essa operi o meno quale macchina operatrice». Sennonché proprio tale pronuncia delle Sezioni Unite, al pari degli altri precedenti di legittimità sia anteriori che successivi intervenuti in relazione alla determinazione dell'ambito operativo dell'assicurazione obbligatoria, ha continuato a ribadire il consolidato principio per cui deve, sempre e comunque, risultare soddisfatto il presupposto per cui la circolazione all'origine del sinistro deve essersi svolta «su una strada di uso pubblico o su un'area ad essa equiparata», principio in relazione al quale, in tutta evidenza, non può che porsi una questione di compatibilità con l'impostazione seguita dalla Corte di Giustizia (da notarsi per inciso come alle Sezioni Unite del 2015 sia sfuggito l'intervento di tale Corte, del settembre 2014, in Damijan Vnuk c. Zavarovalnica Triglav d.d., solo marginalmente notato da taluni precedenti di legittimità successivi, tra cui cfr. Cass. civ.,sez. III, 3 agosto 2017, n. 19368).

Invero, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato, ai fini dell'art. 1 l. n. 990/1969 e dell'art. 122 cod. ass., una nozione generale piuttosto ampia di strade/aree equiparabili a quelle di uso pubblico, il che mitiga in parte la distanza fra, da un lato, il diritto interno e, dall'altro lato, il diritto uniforme.

In particolare, ritenendosi, in via teorica, che ad avere carattere dirimente sia non tanto la proprietà della strada, quanto la sua destinazione e, in particolare, il fatto che ne sia garantito e/o comunque consentito l'accesso ad un numero indiscriminato ed indeterminato di persone con la finalità specifica di essere ordinariamente adibita al traffico veicolare (Cass. civ.,sez. III, 28 giugno 2018, n. 17017; Cass. civ., sez. III, 23 luglio 2009, n. 17279; Cass. civ.,sez. III, 27 ottobre 2005, n. 20911; Cass. civ.,sez. III, 26 luglio 1997, n. 7015), sono state inquadrate alla stessa stregua di strade od aree ad uso pubblico, a titolo esemplificativo, l'area parcheggio dei supermercati (Cass. civ., sez. III, 23 luglio 2009, n. 17279) e l'area destinata alla distribuzione del carburante agli utenti (Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2011, n. 5111). Deve anche segnalarsi come la Cassazione, rispetto al passato (cfr., per esempio, Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1987, n. 965), negli ultimi anni, in relazione a sinistri occorsi all'interno di cantieri edili, abbia pure riconosciuto che «la natura privata del cantiere, luogo dell'incidente, non è […] di per sè incompatibile con la qualificazione dello stesso come area di uso pubblico, ai fini ed agli effetti dell'esperibilità dell'azione diretta» (cfr., così, fra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2018, n. 17017; cfr., altresì, relativamente ad un cantiere, cui potevano accedere coloro che vi lavoravano e chi aveva rapporti commerciali con l'impresa, Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2012, n. 9441; già nella stessa direzione cfr. Cass. civ.,sez. III, 27 ottobre 2005, n. 20911).

Se tali indirizzi, come si è riferito, ridimensionano in concreto il divario fra l'impostazione italiana e quella recata dalla disciplina dell'Unione così come specificata dalla Corte di Giustizia, tuttavia rimane l'affermazione del principio generale per cui è necessario che il veicolo si trovi su una strada di uso pubblico o su altra area equiparata, ribadito anche dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 29 aprile 2015, n. 8620).

Tale principio, purtroppo, può riverberarsi in senso negativo sulla tutela di tutta una serie di vittime invece garantite dal diritto uniforme, come, per esempio, è avvenuto in più occasioni in relazione a sinistri occorsi all'interno di cortili (cfr., per esempio, Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2006, n. 13254, nonché, più di recente, App. Milano, 5 giugno 2017, che - in senso diametralmente opposto al caso Vnuk - ha ritenuto non esperibile l'azione diretta ex art. 144 cod. ass. essendo il sinistro - investimento di un ciclista - avvenuto in un cortile interno ad uno stabile condominiale) o di aree industriali (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2009, 16469, che ha confermato la pronuncia impugnata, che, con riferimento al danno alla persona prodotto da un autocarro intento in una manovra di retromarcia, aveva ritenuto che il luogo dell'incidente non fosse aperto al pubblico, trattandosi di luogo chiuso al quale avevano accesso soltanto coloro che intrattenevano specifici rapporti contrattuali con il titolare dell'impresa, quindi non potendosi il capannone equiparare al cortile di accesso ad un negozio).

Manifesta è la distanza corrente fra l'impostazione seguita dalla nostra giurisprudenza e soluzioni del tipo di quella individuata dalla Corte di Giustizia in Núñez Torreiro c. AIG Europe Limited (causa C-334/16), essendo piuttosto evidente come i limiti ribaditi nel 2015 dalle Sezioni Unite condurrebbero a risultati nettamente contrari a quelli affermati in Vnuk e Núñez Torreiro.

Mentre è insegnamento ormai costante della Corte di Giustizia quello per cui la nozione di “circolazione” non è ristretta alle ipotesi di passaggio sulla pubblica via, ma in tale nozione rientra qualunque uso di un veicolo che sia conforme alla funzione abituale dello stesso a prescindere dalla tipologia del suolo su cui ha avuto luogo il sinistro, la giurisprudenza italiana, all'opposto, non è indifferente, pur entro margini vieppiù relativi, al tipo di area su cui si è verificato il sinistro.

Conclusioni: interpretazione conforme, “Francovich claims” od incostituzionalità dell'art. 122 cod. ass.?

Alla luce del quadro sopra descritto, non vi è ombra di dubbio sulla necessità di un decisivo mutamento di rotta dell'impostazione italiana verso il modello desumibile dalle indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia e, quindi, nella direzione della massimizzazione della tutela tanto dei danneggiati che degli assicurati con conseguente pieno allineamento con i principi perseguiti con sempre più fermezza sul versante del diritto uniforme.

Logicamente un intervento legislativo, che modifichi l'attuale formulazione dell'art. 122 cod. ass. in tale senso, costituirebbe la soluzione ideale, innanzitutto in termini di certezza del diritto (pur tuttavia con una serie di questioni relative ai casi pregressi). Nondimeno, la perdurante assenza di iniziative del legislatore in questa direzione non permette di confidare in una prossima riforma.

La questione, dunque, è innanzitutto se la magistratura nazionale possa rimediare agli scenari di incompatibilità tra il diritto uniforme e quello interno.

Al riguardo non dovrebbe dubitarsi che la giurisprudenza italiana - a ciò tenuta dall'imperativo dell'interpretazione conforme al diritto dell'Unione - possa spingersi ad estendere la nozione di “aree equiparate alle strade ad uso pubblico” oltre i confini attuali, financo includendo in tale fattispecie cortili e garage – condominiali, industriali o altro - atteso per questi il potenziale utilizzo da parte di soggetti indeterminati estranei al più ristretto numero delle persone autorizzate all'accesso.

Operazioni giurisprudenziali di questo tipo potrebbero reggersi appieno sull'elasticità e sulla genericità della categoria delle “aree equiparate” contenuta nella norma, così da offrirne una lettura il più possibile compatibile con il diritto uniforme. Del resto, in ragione degli elevati obiettivi perseguiti dal legislatore comunitario (la tutela risarcitoria delle persone), il primato del diritto UE ed il vincolo dell'interpretazione conforme possono senz'altro giustificare persino delle forzature interpretative, ferma restando, sussistendo incertezze in ordine ai limiti del principio dell'interpretazione conforme, la via dell'interessamento della Corte di Giustizia in via pregiudiziale (imprescindibile in sede di legittimità a meno di un coinvolgimento della Consulta come si riferirà al termine di questo paragrafo).

Sennonché, per quanto si possa sospingere una norma verso soluzioni anche opposte alla sua ratio legis originale (in tutta evidenza da adeguarsi – secondo un'interpretazione storico-evolutiva – alle disposizioni dell'Unione in ragione del doveroso rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost.), potrebbero residuare dei limiti insuperabili anche da parte della stessa Corte di Giustizia, non potendo questa disporre la disapplicazione di una norma di diritto interno. A quest'ultimo riguardo viene in rilievo la recente pronuncia resa dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia in Smith c. Meade ed altri (CGUE, Grande Sezione, 7 agosto 2018, causa C122/17), ove la Corte era chiamata ad indicare quali soluzioni fossero praticabili a fronte di una norma interna in materia di assicurazione obbligatoria per la RCA non solo incompatibile con la disciplina di diritto uniforme, ma anche insuscettibile di interpretazione conforme, norma invocata da un'assicurazione privata per la RCA avverso il danneggiato per negare la copertura assicurativa (nel caso concreto, il sig. Smith era rimasto gravemente ferito in occasione di un incidente verificatosi tra il furgone su cui stava viaggiando quale passeggero nella parte posteriore ed un altro veicolo; il furgone non era equipaggiato con posti a sedere fissi per i passeggeri che viaggiavano nella parte posteriore; la polizza del furgone prevedeva una clausola per cui l'assicurazione operava soltanto per il passeggero seduto sul sedile fisso nella parte anteriore e, di conseguenza, escludeva la copertura dei passeggeri seduti nel retro; all'epoca dei fatti, le persone trasportate nella parte posteriore in un furgone non equipaggiato con sedili fissi costituivano “persone escluse” ai sensi del diritto irlandese, che non prevedeva alcun obbligo giuridico di assicurazione a loro favore). In pratica, si domandava alla Corte di chiarire, in via generale e di principio, i limiti operativi per la disapplicazione di una norma di diritto interno da parte della magistratura nazionale.

Sul punto la Corte ha dettato un vero e proprio decalogo:

  • il principio di partenza espresso dalla Corte è quello per cui nell'applicare il diritto nazionale i giudici nazionali chiamati a interpretarlo sono tenuti a prendere in considerazione l'insieme delle norme di tale diritto e ad applicare i criteri ermeneutici riconosciuti dallo stesso al fine di interpretarlo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva di cui trattasi, onde conseguire il risultato fissato da quest'ultima e conformarsi pertanto all'art. 288, comma 3, TFUE;
  • tale principio di interpretazione conforme del diritto nazionale, tuttavia, conosce determinati limiti: «l'obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al diritto dell'Unione nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme pertinenti del diritto interno trova un limite nei principi generali del diritto e non può servire a fondare un'interpretazione contra legem del diritto nazionale»;
  • solo nel seguente caso il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la disposizione interna contraria ad una direttiva: «laddove quest'ultima sia invocata nei confronti di uno Stato membro, degli organi della sua amministrazione, ivi comprese autorità decentralizzate, o degli organismi o entità sottoposti all'autorità o al controllo dello Stato o a cui sia stato demandato da uno Stato membro l'assolvimento di un compito di interesse pubblico e che dispongono a tal fine di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli» (questo, per esempio, potrebbe essere il caso di un'azione esercitata contro il FGVS);
  • pertanto, con l'unica eccezione ora riportata, opera l'ulteriore principio per cui il diritto dell'Unione, in particolare l'art. 288 TFUE, «dev'essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, investito di una controversia tra singoli, che si trovi nell'impossibilità di interpretare le disposizioni del suo diritto nazionale contrarie ad una disposizione di una direttiva che soddisfa tutte le condizioni richieste per produrre un effetto diretto in un senso conforme a quest'ultima disposizione, non è tenuto, sulla sola base del diritto dell'Unione, a disapplicare tali disposizioni nazionali nonché una clausola contenuta, conformemente a queste ultime, in un contratto di assicurazione»;
  • qualora la norma interna sia insuscettibile di interpretazione conforme, «la parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell'Unione o la persona surrogata nei diritti di tale parte potrebbe tuttavia invocare la giurisprudenza scaturita dalla sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C6/90 e C9/90, EU:C:1991:428), per ottenere eventualmente, da parte dello Stato membro, il risarcimento del danno subito».

In breve, stando alla Corte di Giustizia, un soggetto, posto da una assicurazione privata dinanzi ad un diniego di copertura sulla base del comma 1 dell'art. 122 cod. ass., dovrebbe confrontarsi con due distinte prospettive e, quindi, operare una scelta decisamente delicata: confidare in un'interpretazione conforme della norma interna (così percorrendo tutti i gradi di giudizio - rinvio pregiudiziale compreso - nella speranza di conseguire tale interpretazione), oppure cercare tutela in un giudizio contro lo Stato per inadempimento di direttiva. Entrambe queste prospettive delineano scenari processuali complessi, lunghi e defatiganti.

Tuttavia, dinanzi a questo bivio, da cui si diramano strade verso destinazioni ignote, per i danneggiati italiani e la nostra magistratura si prospetta pure una terza via, quella della declaratoria di incostituzionalità della norma insuscettibile di interpretazione uniforme.

A quest'ultimo riguardo, infatti, viene in rilievo la pronuncia, indubbiamente importantissima, Corte cost., 30 marzo 2012, n . 75, con cui la Consulta - dinanzi ad un giudice rimettente che aveva rilevato da un lato l'impossibilità di risolvere il contrasto tra la normativa interna (l'art. 15 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111) e la direttiva n. 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso” se non disapplicando la prima (soluzione non percorribile) e, dall'altro lato, la contrarietà ex artt. 76 e 77 Cost. della legge di attuazione della direttiva alla legge delega che prevedeva il recepimento della direttiva (nello specifico, l'art. 24 della l. 22 febbraio 1994, n. 146) - ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale articolo per eccesso di delega, ove limitava la responsabilità per danni alla persona rinviando alle restrizioni poste all'obbligo di ristoro dei danni dalla Convenzione internazionale relativa al contratto di viaggio, firmata a Bruxelles il 23 aprile 1970, ratificata con la legge 27 dicembre 1977, n. 1084 (convenzione, tuttavia, non riportata nell'elenco di quelle espressamente richiamate dalla direttiva). E' da notarsi in particolare, per quanto qui d'interesse, che nel dichiarare l'incostituzionalità della norma attuativa della predetta direttiva per violazione della legge delega la Consulta ha considerato come la delega oggetto di scrutinio recasse una «ratio» consistente «in primo luogo nell'attuazione della direttiva» (conformemente alla ratio della stessa direttiva) e, inoltre, «in un trattamento più favorevole alla tutela del consumatore».

Orbene, sulla scorta di tale insegnamento della Consulta, per quanto concerne il tema odierno potrebbe allora fondatamente dubitarsi che il comma 1 dell'art. 122 cod. ass. - laddove, in direzione opposta all'art. 1, punto 1, ed all'art. 3, della direttiva 72/166/CEE, limita obbligo di assicurazione per la RCA ed obbligazione dell'impresa assicuratrice alla circolazione «su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate» - sia conforme alla legge delega, dato che quest'ultima prevedeva fra i principi ed i criteri direttivi il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di assicurazioni innanzitutto l'«adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie» e la «tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli» (cfr. art. 4, lett. a e b, l. 29 luglio 2003 n. 229).

Quest'ultima prospettiva - incostituzionalità dell'art. 122, comma 1, cod. ass. ex artt. 76, 77 e 117 Cost. - è sicuramente meritevole di considerazione ogniqualvolta la via dell'interpretazione conforme risulti impervia, giacché l'altra alternativa - quella dell'avvio di un “Francovich claim” - è lungi dal poter suscitare particolari entusiasmi, costituendo la responsabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri per violazione del diritto uniforme davvero l'ultima spiaggia (questioni di prescrizione a parte).

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