Test del DNA errato: sì al danno da perdita del rapporto parentale

Alberto Figone
23 Novembre 2018

È risarcibile il danno subito dal minore cui è stata erroneamente attribuita una paternità non veritiera in conseguenza di un test del DNA sbagliato?
Massima

Il danno conseguente alla perdita (o alla lesione) del rapporto parentale deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, a prescindere dall'esistenza di un vincolo di sangue, se connotato da una relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini tale da infondere nel danneggiato un sentimento di protezione e di sicurezza.

Il caso

Una donna, in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore, chiede il risarcimento dei danni all'azienda sanitaria e al medico, che aveva effettuato un erroneo accertamento genetico, in forza del quale era stata attribuita al bambino una paternità difforme dal vero. La Cassazione afferma la sussistenza, nella specie, di un danno risarcibile da perdita del rapporto parentale.

La questione

Ci si chiede se sia risarcibile, e sulla base di quali parametri, il danno subito da un minore, cui è stata erroneamente attribuita una paternità non veritiera in conseguenza di un test del DNA sbagliato.

Le soluzioni giuridiche

Tra le varie figure di danno c.d. esofamiliare, particolare rilevanza assume quella da perdita del rapporto parentale, a seguito della morte di un prossimo congiunto. Si tratta di un danno non patrimoniale, che incide su diritti della personalità tutelati a livello costituzionale. La giurisprudenza ha riconosciuto la risarcibilità di tale tipologia di danno anche in presenza di relazioni interpersonali non sorrette su un rapporto giuridico di coniugio o di parentela. Tali conclusioni sono state fatte proprie, sia pur con ambiguità, anche dal legislatore con la l. n. 76/2016; il comma 49 dell'art. 1 di tale legge infatti estende anche al convivente di fatto la tutela risarcitoria in caso di illecito causativo del decesso (ma non delle lesioni) dell'altro, secondo i criteri propri del danno patito dal coniuge (al riguardo G. Sileci, Criteri per la liquidazione del danno da morte del convivente more uxorio e oneri di allegazione della parte danneggiata, in IlFamiliarista). Negli ultimi anni, si sono vieppiù espansi i confini del danno da lesione parentale, con una contaminazione tra danno esofamiliare ed endofamiliare. Si è così affermato doversi equiparare all'evento naturalistico della morte anche atti giuridici posti in essere con la piena consapevolezza di pregiudicare l'altrui identità personale, con riferimento specifico al rapporto di genitorialità. Tipico è il caso di colui che abbia riconosciuto "per compiacenza" come proprio il figlio altrui, ben sapendo di non averlo generato, per esercitare in un momento successivo l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità. Si tratta di fattispecie che si è presentata sovente in sede giudiziale, per lo più prima della riforma dell'art. 263 c.c., di cui al d.lgs. n. 154/2013, quando l'azione in questione era espressamente dichiarata come imprescrittibile (cfr. per tutte Trib. Trento 14 novembre 2016 V. A. Figone, Inammissibile l'impugnazione del riconoscimento del figlio per compiacenza in ilFamiliarista.it e Trib. Milano 6 giugno 2016 v. A. Figone, Falso riconoscimento del figlio, impugnazione e risarcimento del danno in ilFamiliarista.it). Alla perdita dello status ha sovente fatto seguito l'accoglimento della domanda riconvenzionale risarcitoria del danno da perdita del rapporto parentale e da lesione dell'identità personale. Tale danno, secondo la Suprema Corte, richiede una valutazione equitativa (Cass. 31 luglio 2015, n. 16222), anche se non mancano pronunce di merito che hanno richiamato l'applicazione delle tabelle milanesi del danno da morte, ancorché con gli adeguati adattamenti al caso concreto. Altra fattispecie, di cui si è occupata la giurisprudenza, riguarda la donna coniugata che non rende edotto il marito di una propria relazione extraconiugale, con conseguente attribuzione al nato dello status di figlio matrimoniale, in forza della presunzione di paternità, là dove si scopra poi che il concepimento era avvenuto da parte dell'altro uomo (Trib. Torino 24 aprile 2018, v. A. Scalera, Risarcibile il danno da lesione del diritto di autodeterminazione in ordine al proprio ruolo genitoriale in IlFamiliarista).

All'interno dell'ampia categoria del danno ingiusto di cui all'art. 2043 c.c. può anche rientrare quello subito da un minore, cui viene attribuita una falsa paternità, a seguito di errori nello svolgimento di indagini genetiche, quando la relazione intercorsa con il padre viene meno, una volta accertata la verità. In questo caso si viene infatti a costruire un rapporto parentale, poi rescisso, con conseguenze dirette sulla personalità del minore, in termini di lesione del diritto all'identità personale.

Osservazioni

La decisione in esame è assai interessante per la peculiarità della fattispecie, peraltro riassunta in modo eccessivamente sintetico. Una donna, in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore, chiede i danni all'azienda sanitaria e al medico che aveva erroneamente eseguito l'esame del DNA sul figlio, attribuendone la paternità ad un uomo che successivamente si scopre non essere il padre biologico. È da presumere che, a fronte della prima analisi, l'uomo ebbe a riconoscerei il figlio (ovvero venne dichiarato giudizialmente padre), ma dopo ulteriori analisi lo status filiationis venne verosimilmente rettificato, a fonte di azione di impugnazione del riconoscimento, ovvero della sentenza dichiarativa dello status. Fatto sta che al minore era stata attribuita una paternità non conforme al vero, successivamente rimossa sotto il profilo legale.

La novità della questione sta nel fatto che la responsabilità per l'erronea attribuzione di paternità non è imputabile al comportamento di coloro che risultano genitori (la madre che non disvela l'esistenza di una propria relazione adulterina, ovvero il padre che, conoscendo quella relazione, non esercita subito il riconoscimento, ovvero riconosce come proprio il figlio generato da altri). L'attribuzione non veritiera della paternità è stata infatti frutto dell'errore del medico genetista, incaricato di procedere ad un esame del DNA fra il minore e colui che venne riconosciuto come genitore. Si è in presenza di una nuova fattispecie di illecito aquiliano che coinvolge la responsabilità del medico, in relazione alla più ampia tematica della filiazione. Già varie volte si è affermato in giurisprudenza detto tipo di responsabilità in caso di nascita indesiderata (per esclusione dello stato di gravidanza, accertato in un momento avanzato e comunque dopo i primi novanta giorni entro. Io ricorrere liberamente all'aborto) ovvero di nascita di un bimbo con malformazioni o patologie, quando l'errore negli accertamenti prenatali aveva condotto a diagnosticarne l'assenza, impedendo così alla gestante di decidere se portare a termine la gravidanza, ovvero interromperla.

Nella sentenza in commento si afferma che il danno da perdita (ma anche da lesione) del rapporto parentale «deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbiate caratteristiche di una stabile relazione affettiva», a prescindere dall'esistenza o meno di un rapporto di sangue. Quel che rileva e la relazione di affetto o di abitudini «che infonda nel danneggiato un sentimento di protezione e sicurezza» e che si costituisce, come nella specie, tra figlio e padre.

Il danno è insito in qualsiasi causa che interrompa questo rapporto, anche diversa dalla morte, quale, appunto, un erroneo esame genetico, successivamente emendato con il ristabilimento dello status veritiero. Si tratta di un pregiudizio alla stessa identità personale del figlio, da valutarsi in maniera ponderata alla luce di tutte le circostanze della concreta fattispecie che, come si è detto, non risultano in dettaglio dalla pronuncia gravata (età del figlio, successive azioni intraprese dal preteso padre biologico, tipologia della relazione sussistente nell'attualità tra quest'ultimo ed il figlio, nonché di quella pregressa) (cfr. al riguardo M. Marino, I criteri di quantificazione del risarcimento del danno da privazione del rapporto parentale in ilFamiliarista.it).

Vero e comunque l'ingresso sempre più marcato della responsabilità civile all'interno della relazione familiare, con il compito di riparare quei pregiudizi di natura non patrimoniale, che a suo tempo, in difetto di un fatto causativo non penalmente rilevante, non trovavano ristoro, a fronte di una rigida lettura dell'art. 2059 c.c..

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