Vita detentiva. Le novità introdotte con la riforma dell’ordinamento penitenziario

Fabio Fiorentin
23 Novembre 2018

La complessiva riforma del sistema penitenziario tocca la disciplina dell'esecuzione penale nei confronti dei minorenni, la materia del lavoro penitenziario e di alcuni aspetti della vita detentiva e la riforma dell'esecuzione penale nei confronti dei condannati adulti, portato dal d.lgs. 123/18. Di quest'ultimo intervento si sono già analizzati i profili afferenti alle procedure di sorveglianza. L'analisi ora si completa prendendo in esame alcune delle più significative novità in materia di vita detentiva.
Abstract

La complessiva riforma del sistema penitenziario tocca la disciplina dell'esecuzione penale nei confronti dei minorenni (d.lgs. 121/2018, v. TRIBISONNA, Esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni. Le novità normative del d.lgs. 121/2018), la materia del lavoro penitenziario e di alcuni aspetti della vita detentiva (d.lgs. 124/2018, v. MANCA, Lavoro penitenziario. Le nuove disposizioni varate dal Governo) e la riforma dell'esecuzione penale nei confronti dei condannati adulti, portato dal d.lgs. 123/18. Di quest'ultimo intervento si sono già analizzati i profili afferenti alle procedure di sorveglianza (V. FIORENTIN, La riforma dell'ordinamento penitenziario e il nuovo art. 678 c.p.p. per la definizione agevolata dei procedimenti; Il d.lgs. 123/2018: come cambiano le procedure di sorveglianza). L'analisi ora si completa prendendo in esame alcune delle più significative novità in materia di vita detentiva introdotte dai d.lgs. 123/2018 e 124/2018.

La riforma dell'assistenza sanitaria in ambito penitenziario

Nella prospettiva di una rinnovata centralità dell'esecuzione inframuraria rispetto a quella esterna al carcere, l'art.1 del d.lgs. 123/18 sostituisce integralmente l'art.11 della l. 354/1975 (ordinamento penitenziario), dettando nuove disposizioni in materia di assistenza sanitaria dei ristretti, nella consapevolezza che l'attuale livello di servizio non garantisce l'effettività del diritto della popolazione detenuta ad accedere alle cure e prestazioni sanitarie, in contrasto con i principi dell'ordinamento interno (art. 1 d.lgs. 230/1999) e con le indicazioni promananti dalle fonti sopranazionali (Regole penitenziarie europee del 2006; United Nations Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners - “the Mandela Rules”). Carenze si registrano in particolare con riguardo all'offerta di alcuni servizi socio sanitari e alle procedure per l'erogazione delle prestazioni sanitarie alle persone detenute e internate. Le maggiori criticità riguardano la disomogeneità delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione e l'inefficiente programmazione della spesa sanitaria, penalizzata da insufficienti stanziamenti di risorse a fronte del rischio per la salute che, nell'ambiente detentivo è proporzionalmente più elevato che presso la società libera. È, inoltre, avvertita l'esigenza di introdurre un sistema informatico omogeneo di raccolta e conservazione digitale dei diari clinici dei pazienti detenuti, coerente con l'esigenza di assicurare la continuità terapeutica anche in caso di trasferimento di sede detentiva oltre ad agevolare la consultazione dei dati anamnestici e di sviluppare la c.d. telemedicina per ridurre il numero delle traduzioni presso i luoghi esterni di cura e consentendo prestazioni sanitarie con una tempistica più celere dell'attuale.

Ancora insufficienti sono poi le risorse e gli strumenti destinati alle peculiari esigenze dei sempre più numerosi soggetti portatori di problematiche della sfera psichica, per i quali – tra l'altro – una proposta degli Stati Generali auspicava l'approntamento di specifiche misure alternative alla detenzione ordinaria, equiparando ai fini dell'esecuzione penale la situazione di chi è affetto da grave patologia psichiatrica a quella di chi è affetto da grave patologia fisica. Tale situazione, oltre a confliggere con i più elementari principi in materia di tutela della salute quale fondamentale diritto dell'individuo (art. 32 Cost.), espone l'Italia a nuove possibili condanne di fronte alla Corte europea di Strasburgo per violazione dell'art.3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e a criticità sul piano della cooperazione giudiziaria nello spazio europeo, in particolare, in tema di mandato di arresto europeo c.d. “esecutivo”, atteso il motivo di rifiuto della consegna della persona da parte dello Stato estero, che ricorre in caso di "serio pericolo" che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, tenuto conto del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell'Unione e, in particolare, dall'articolo 4 della C.D.F.Ue (Corte Giust. Ue, 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C 659/15, Caldararu).

Nella prospettiva di alcune delle sopra indicate criticità, la novella dell'art. 11 ord. penit., stabilisce che il Servizio Sanitario Nazionale, cui spetta l'organizzazione di un servizio medico e di un servizio farmaceutico rispondente alle effettive necessità dei soggetti detenuti e internati, opera negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni nel rispetto della disciplina sul riordino della medicina penitenziaria (d.lgs. 230/1999), che riconosce a detenuti e internati il diritto a prestazioni sanitarie efficaci, tempestive e appropriate e alla prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Si tratta di un diritto soggettivo pieno: il diritto alle prestazioni sanitarie non soffre, infatti, limitazioni legate allo status detentionis ed è, pertanto, pienamente fruibile e, soprattutto, tutelabile in via giurisdizionale, in particolare con gli strumenti specifici approntati dalla legge di ordinamento penitenziario, dunque mediante il reclamo giurisdizionale di cui all'art. 35-bis ord. penit. Integrano la rete sanitaria interna agli istituti di pena il servizio medico e farmaceutico, che devono essere adeguati alle necessità della popolazione detenuta e l'introduzione della Carta dei servizi, che ogni Asl locale nel cui ambito territoriale insista un istituto penitenziario dovrà adottare e mettere a disposizione dei detenuti e degli internati con le più idonee forme di pubblicità.

Al fine di una migliore tutela del diritto alla salute dei soggetti ristretti, la riforma interviene a razionalizzare la disciplina delle autorizzazioni per il trasferimento temporaneo di detenuti e internati presso luoghi esterni di cura laddove gli interventi sanitari non possono essere garantiti dal servizio sanitario interno degli stabilimenti. In questa prospettiva, la distribuzione della competenza si orienta sulla base della posizione giuridica dei destinatari, con attivazione del giudice che procede nei confronti degli imputati e del magistrato di sorveglianza per i condannati definitivi. Viene, contestualmente, abrogato l'art. 240 disp. att. c.p.p. Nel caso di arrestato in caso di giudizio direttissimo e fino alla presentazione dell'imputato in udienza per la contestuale convalida dell'arresto in flagranza provvede il pubblico ministero. Si noti che all'illustrata disposizione fa rinvio la disciplina della concessione dei permessi ordinari o “di necessità” (art. 30 ord. penit.). La nuova versione dell'art. 11 ord. penit. non contiene più il riferimento alla competenza del direttore dell'istituto nei casi di indifferibile urgenza, contenuto nel comma 3 della precedente dizione, ma tale possibilità resta, in ogni caso, consentita dal comma 8, art. 17, d.P.R. 230/2000. Il provvedimento di autorizzazione può essere modificato per sopravvenute ragioni di sicurezza ed è revocato appena vengono meno le ragioni che lo hanno determinato. Il soggetto ricoverato presso le strutture sanitarie esterne è sottoposto di regola a piantonamento, che può essere disposto – alla luce della nuova disciplina – anche nel caso tale cautela si palesi necessaria per la tutela della incolumità personale loro o altrui (ma non nel caso il pericolo si riferisca ad altri beni giuridici pur tutelati dall'ordinamento). Qualora il soggetto si allontani senza giustificazione dal luogo esterno di diagnosi o di cura in cui si trova temporaneamente ricoverato, è punito ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p., a prescindere dalla circostanza se, nel caso concreto, il soggetto fosse, o no, sottoposto a piantonamento.

Le novellate disposizioni riguardano, altresì, la visita di primo ingresso e i doveri di documentazione e referto del medico, che deve annotare ogni informazione relativa a segni o indicazioni che facciano apparire che la persona possa aver subito violenze o maltrattamenti e ne dà comunicazione al direttore dell'istituto e al magistrato di sorveglianza. Si segnala che - rispetto alla formulazione originaria dello schema di d.lgs. – è scomparso il riferimento alla documentazione fotografica delle eventuali lesioni subite dal detenuto e tale arretramento appare ancor più sconcertante alla luce di alcuni gravi fatti che hanno visto vittime di gravissime violenze soggetti arrestati e sottoposti a custodia cautelare (caso Cucchi). Stessa sorte, nella versione definitiva dell'art.11 ord. penit., subisce la previsione – presente nell'originario schema di decreto attuativo – che prevedeva che la visita di primo ingresso dovesse essere effettuata con l'ausilio del presidio psichiatrico e del servizio per le dipendenze, per accertare non solo la presenza di eventuali malattie fisiche ma anche infermità psichiche, problematiche di dipendenza e al fine di prevenire atti di autolesionismo.

Viene, inoltre, codificato il diritto dei soggetti ristretti a ricevere dal personale sanitario una informazione completa sul proprio stato di salute.

A mente del nuovo art. 11 ord. penit., l'assistenza sanitaria in carcere è prestata con periodici riscontri, allineati alle esigenze di salute del detenuto. Si prevede, altresì, che l'assistenza sanitaria deve svilupparsi con costanza e continuità uniformandosi ai princìpi di metodo proattivo, di globalità dell'intervento sulle cause di pregiudizio della salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, d'integrazione dell'assistenza sociale e sanitaria e di garanzia della continuità terapeutica.

Le visite mediche dei ristretti sono effettuate dal medico del servizio incaricato solo per gli ammalati (detenuti come precisa la dizione lasciando apparentemente esclusi gli internati), laddove per coloro che ne fanno richiesta (deve quindi presumersi per i soggetti non ufficialmente ammalati), la visita è effettuata solo nel caso essa sia giustificata – anzi, necessaria – sulla base dei “criteri di appropriatezza clinica”. Si tratta di previsione in contraddizione logico-sistematica con la previsione in base alla quale l'assistenza sanitaria nell'istituto penitenziario deve svolgere secondo un modello “proattivo”. L'espletamento delle prestazioni sanitarie deve essere assicurato senza limiti orari che ne impediscono l'effettuazione (come potrebbe avvenire se la direzione dell'istituto subordinasse l'apertura dei locali ove si svolgono le prestazioni sanitarie a determinati limiti e orari). Viene, inoltre, sancito il principio della continuità terapeutica in favore dei detenuti e internati con gli eventuali trattamenti in corso all'esterno o all'interno dell'istituto da cui siano stati trasferiti, incluso l'eventuale programma terapeutico di transizione sessuale.

In ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi speciali per l'assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere.

La riforma introduce, infine, disposizioni in tema di prestazioni sanitarie a spese del detenuto o dell'internato, recependo a livello di fonte primaria le disposizioni regolamentari che già disciplinavano la materia (art. 17, commi 6 e 7 del d.P.R. 230/2000), con l'innovativa previsione della possibilità per i ristretti essere sottoposti trattamenti medici, chirurgici e terapeutici a proprie spese da parte di sanitari e tecnici di fiducia nelle infermerie o nei reparti clinici e chirurgici all'interno degli istituti, previ accordi con l'azienda sanitaria competente e nel rispetto delle indicazioni organizzative fornite dalla stessa e su autorizzazione preventiva del giudice che procede e, per gli imputati dopo la sentenza di primo grado, i condannati e gli internati, del direttore dell'istituto.

Per i detenuti che si trovino sottoposti al regime detentivo speciale di cui all'art. 41-bis ord. penit., la Circolare del Dap (2.10.2017, n. 3676/6126) adottata con l'intento di uniformare l'applicazione del regime carcerario speciale all'interno dei vari istituti, sulla traccia dell'art. 11 ord. penit., riconosce al detenuto il diritto ad essere visitato da un medico di fiducia a proprie spese, purché quest'ultimo non abbia a proprio carico significativi precedenti o segnalazioni di polizia.

Disposizioni in materia di vita penitenziaria

Il d.lgs. introduce, con il suo Capo IV, (artt. 11 e 12), Disposizioni in tema di vita penitenziaria. Viene, anzitutto, riscritto l'art. 1 della l. 354/1975, inserendovi i principi fondamentali cui deve informarsi l'esecuzione del trattamento penitenziario. Il nuovo testo della disposizione pone in risalto, in chiave di attuazione del precetto costituzionale enunciato dall'art. 27, comma 3, della Carta fondamentale in tema di legalità e finalità della pena, il binomio trattamento e rieducazione e ne fornisce la definizione normativa.

L'art. 9, comma 1, ord. penit., in materia di regime alimentare dei detenuti, viene integrato dalla previsione che – per quanto possibile – è garantita un'alimentazione rispettosa del credo religioso. La previsione di nuovo conio è introdotta nell'ottica di prevenzione dei fenomeni di radicalizzazione religiosa, il cui pericolo è particolarmente avvertito tanto da avere indotto il Dap a emanare un'apposita circolare per il monitoraggio e la prevenzione del fenomeno della radicalizzazione violenta e del proselitismo di matrice religiosa (GDAP 0404299 dd.7.12.2016). Nella circolare sopra richiamata, si inserisce tra gli indicatori di radicalizzazione testualmente gli eventuali «atteggiamenti discriminatori nei confronti dei ristretti musulmani che non dedicano alla preghiera e/o non rispettano i precetti dell'islam (non assunzione di alcol, cibi vietati, etc.)».

L'art. 10, comma 1, ord. penit., prevede l'innalzamento delle ore dedicate alle attività all'aperto a un minimo di quattro. Resta estranea all'area perimetrata dalla nuova disposizione la disciplina degli orari di permanenza in sezione all'esterno dalle camere di pernottamento (c.d. regime aperto). È consentita la riduzione a due ore con provvedimento del direttore dell'istituto, adottato per giustificati motivi. Significativa è la previsione secondo cui l'Amministrazione deve assicurare che gli spazi destinati alla permanenza all'aperto offrano la possibilità di protezione dagli agenti atmosferici (per assicurare l'adempimento di tale prescrizione, il d.lgs. 123/2018, art. 12, prevede una consistente dotazione finanziaria).

La nuova dizione dell'art. 13 ord. penit., in materia di individualizzazione del trattamento, enuncia i contenuti programmatici dell'intervento trattamentale volto anzitutto alla responsabilizzazione del soggetto e alla reintegrazione del reo nel contesto sociale. In questa prospettiva programmatica – che assume la connotazione di un obiettivo vincolante per l'Amministrazione – il principio iscritto nella disposizione in esame dovrà trovare concreta traduzione nell'apprestamento di un progetto trattamentale quanto più possibile ricco, articolato e soprattutto individualizzato, avuto riguardo, da una parte, al patrimonio di abilità e specifiche competenze di cui il detenuto dispone. Espunto il riferimento al “disadattamento sociale”, l'osservazione scientifica della personalità effettuata in istituto è volta esclusivamente alla rilevazione delle cause che hanno condotto la persona a commettere il reato, ivi incluse le eventuali “carenze psicofisiche”. La riforma archivia, quindi, definitivamente l'approccio deterministico proprio del modello penitenziario del 1975, che individuava nella deprivazione sociale la principale causa del reato. Il trattamento deve, inoltre, stimolare il condannato nei confronti delle possibili azioni riparative nei confronti della vittima del reato, a concreta testimonianza della nuova sensibilità maturata in tema di tutela dei diritti delle vittime, di acquisizione dei principi della giustizia riparativa e della moderna vittimologia. Viene stabilito il

Uno dei perni del “nuovo” ordinamento penitenziario è la valorizzazione della formazione professionale, inserita tra gli elementi del trattamento a conferma della preminenza che la riforma annette al lavoro quale strumento essenziale del trattamento di recupero dei condannati e degli internati. Il d.lgs. 123/2018 colloca, accanto al «lavoro», la partecipazione ai progetti di pubblica utilità previsti dall'art. 20-ter ord. penit., contraddistinti da attività connotate dal carattere volontario e gratuito.

Assegnazione dei detenuti a istituti e sezioni e trasferimenti.

La modifica dell'art. 14, ord. penit., in materia di assegnazione dei detenuti agli istituti penitenziari e alle sezioni degli stessi mira a evitare, per quanto possibile, lo sradicamento dei soggetti detenuti o internati rispetto ai luoghi in cui vivono le famiglie o dal territorio dove insiste il centro di riferimento sociale dei medesimi. Viene, a tal fine, stabilito il diritto del detenuto e dell'internato a essere assegnato a un istituto prossimo alla residenza della famiglia o al proprio centro di riferimento sociale, al fine di garantire la possibilità di frequenti contatti dei ristretti con i familiari e, in ultima analisi, creare le condizioni per un effettivo esercizio dell'affettività. Il criterio di assegnazione sopra indicato può essere, tuttavia, derogato in presenza di specifici motivi contrari (che potranno consistere nel pericolo che il soggetto detenuto o internato possa, permanendo nel contesto territoriale di appartenenza, mantenere o riprendere i rapporti con la criminalità comune o organizzata, nella natura del reato commesso ovvero nelle esigenze logistiche degli istituti). L'introduzione di tale nuovo comma antecedente al primo comporta l'abrogazione dell'ultimo periodo dell'attuale comma 2 («Per le assegnazioni sono, inoltre, applicati di norma i criteri di cui al primo e al secondo comma dell'articolo 42»).

La disciplina dei trasferimenti, contenuta nell'art. 42, ord. penit., è investita da alcune modifiche, volte a ribadire il principio che il detenuto deve essere trasferito con assegnazione ad un istituto più vicino possibile alla residenza della sua famiglia o al proprio centro di riferimento sociale, salva la sussistenza di ragioni che ne giustifichino la deroga. È altresì introdotto un termine di sessanta giorni (peraltro non qualificato come perentorio) entro cui l'Amministrazione deve fornire una motivata risposta in caso di istanza di trasferimento per motivi familiari, di formazione, di studio, di lavoro o di salute.

La detenzione femminile

La riformasi occupa specificamente anche delle peculiarità della condizione femminile. Con una modifica dell'art. 14 ord. penit., si intende favorire la istituzione di sezioni femminili di medie dimensioni all'interno degli stabilimenti penitenziari, atte a ospitare detenute in numero sufficiente per consentire l'attivazione di adeguate attività trattamentali, possibilità che, allo stato attuale, è spesso vanificata dalla dispersione delle presenze femminili sul territorio, che comporta altresì un più limitato accesso alle risorse destinate alle attività inframurarie. A tal fine, l'art. 31 ord. penit., prevede, all'interno delle rappresentanze dei detenuti e degli internati, una obbligatoria rappresentanza di genere femminile, finalizzata alla tutela delle specifiche esigenze delle detenute donne. Per le detenute madri che abbiano con sé i figli, è confermata la possibilità che la convivenza sia mantenuta fino ai tre anni di età del bambino e l'istituzione di asili nido nelle sezioni femminili. Nella medesima prospettiva anti-discriminatoria, un nuovo comma dell'art. 14, ord. penit. intende contrastare possibili discriminazioni per identità di genere ed orientamento sessuale, prevedendo l'inserimento in sezioni separate dei detenuti LGBT, presso istituti o sezioni adibiti a quelle sole categorie omogenee (detenuti omosessuali, detenuti transessuali), opportunamente distribuiti su tutto il territorio nazionale, in modo da evitare una promiscuità all'interno delle attuali “sezioni protette”, che attualmente ospitano non solo i detenuti omosessuali e transessuali ma anche i c.d. sex offenders, gli appartenenti alle forze dell'ordine autori di reato e i collaboratori di giustizia.

Colloqui, corrispondenza e informazione

La riforma tocca l'art. 18 della l. 354/1975, in tema di colloqui, corrispondenza e informazione. La nuova dizione introduce la facoltà per i soggetti ristretti di accedere ai colloqui con i “garanti” dei diritti dei detenuti, sgomberando il campo dal dubbio – affacciato con riferimento alla previgente dizione – che la norma si riferisse unicamente al Garante nazionale per i diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale. Tali colloqui – alla stregua di quelli con il difensore – non vanno computati nel numero complessivo di quelli previsti e dovrebbero essere effettuati con le medesime modalità di quelli con i legali (dunque: senza controllo visivo e auditivo di personale di polizia penitenziaria).Ai colloqui con i garanti si estendono le limitazioni di cui all'art. 104 c.p.p. Per detenuti e internati è, altresì, stabilito di diritto, di conferire con il proprio difensore sin dall'inizio dell'esecuzione della misura o della pena, salva la limitazione prevista dall'art. 104, c.p.p.

Significative sono le novità introdotte con riferimento ai colloqui con i familiari. Anzitutto, si prevede che i medesimi devono svolgersi in locali dedicati che favoriscano una dimensione riservata del colloquio stesso, collocati preferibilmente in prossimità dell'ingresso dell'istituto, all'evidente scopo di limitare – per quanto possibile – i disagi dei familiari. La riforma richiede, inoltre, che una particolare cura deve essere dedicata ai colloqui con i minori di anni quattordici.

La competenza ai fini del rilascio delle autorizzazioni relative ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e agli altri tipi di comunicazione disponibili e previsti dal regolamento, è distribuita nel modo seguente: per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado i permessi di colloquio, le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica ed agli altri tipi di comunicazione sono di competenza dell'autorità giudiziaria che procede, individuata ai sensi dell'articolo 11, quarto comma, della medesima legge penitenziaria. Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado provvede il direttore dell'istituto e non più l'autorità giudiziaria.

La riforma si occupa anche di informazione, introducendo, nell'art.18 ord. penit., la previsionedel diritto di ogni detenuto a una libera informazione e di esprimere le proprie opinioni, anche usando gli strumenti di comunicazione previsti dal regolamento, nonché il diritto di accesso a quotidiani e siti informativi con le cautele previste dal regolamento. Si tratta di una novità estremamente importante, che trova le proprie radici nel diritto sancito dall'art. 21 della Costituzione e che trova riscontro, altresì, nelle fonti di soft law di matrice europea (Regole Penitenziarie Europee).

Istruzione, formazione e attività culturali, ricreative e sportive

Il d.lgs. 123/2018 si occupa di istruzione, integrando l'art. 19 ord. penit. con il principio parità di accesso alle donne detenute e internate alla formazione culturale e professionale, e con la previsione della integrazione dei detenuti stranieri anche attraverso l'insegnamento della lingua italiana e la conoscenza dei princìpi costituzionali. Si rammenta che, presso ogni istituto penitenziario, dovrebbe essere distribuita la “Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati”, tradotta in una delle lingue ad essi comprensibile e che, per favorire ulteriormente il processo di integrazione, la modifica dell'art. 27, comma 2, ord. penit., prevede l'inserimento della figura del mediatore culturale tra i componenti della commissione che organizza le attività culturali, ricreative e sportive. È – nella medesima prospettiva – modificato l'art. 80 ord. penit., in tema di personale dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, al fine di implementare la presenza negli istituti di pena dei mediatori culturali e degli interpreti, la cui opera la riforma individua quale fattore principale di interrelazione tra il detenuto straniero e l'istituzione carceraria.

La nuova dizione dell'art. 19 enuncia, infine, un principio di favore per la frequenza e il compimento degli studi universitari e tecnici superiori, anche attraverso convenzioni e protocolli d'intesa con istituzioni universitarie e con istituti di formazione tecnica superiore e per l'ammissione di detenuti e internati ai tirocini formativi di cui alla legge 28 giugno 2012, n. 92.

L'isolamento

Il d.lgs. 123/2018 sostituisce integralmente l'art. 33 ord. penit. in tema di regime di isolamento. La riforma, oltre ad adeguare la dizione normativa sotto il profilo lessicale, espungendo il riferimento all'istruttoria. Un primo intervento riguarda l'isolamento giudiziario, in relazione al quale si introduce il presupposto della sussistenza di ragioni di cautela processuale e il correlativo obbligo da parte dell'autorità giudiziaria che dispone l'isolamento di indicare i limiti di durata temporale e le ragioni poste alla base dell'adozione di tale cautela, ivi e telefonici). La misura, profondamente incisiva sull'equilibrio del soggetto, dovrà essere attentamente monitorata dagli operatori con controlli sanitari e vigilanza continuativa degli operatori penitenziari. Nel corso dell'isolamento non sono ammesse limitazioni alle normali condizioni di vita, a eccezione di quelle funzionalmente connesse alle ragioni (sanitarie, disciplinari o cautelari) che lo hanno determinato e resta fermo il diritto, per il detenuto sottoposto a isolamento, di effettuare i colloqui visivi con i soggetti autorizzati.

Il regime disciplinare

La riforma innova anche il regime disciplinare, con una modifica dell'art. 36 ord. penit., relativo al procedimento di applicazione della sanzione disciplinare e con l'integrazione dell'art. 40 ord. penit. , per quanto concerne la composizione dell'organo disciplinare collegiale (consiglio di disciplina). Con il primo intervento, si stabilisce che nell'applicazione della sanzione si tiene conto del programma di trattamento in corso. La ratio è quella di mitigare l'impatto della sanzione disciplinare sul percorso trattamentale del detenuto, secondo la valutazione dell'organo disciplinare che potrà calibrare tanto l'entità della sanzione da irrogare, quanto le modalità concrete di applicazione della sanzione stessa. La seconda modifica riguarda l'art. 40 ord. penit., provvedendo alla sostituzione della figura del sanitario, quale componente del consiglio di disciplina, con quella di un professionista esperto nominato ai sensi dell'art. 80 l. 354/1975.

Assistenza al dimittendo e alle famiglie

Il d.lgs. 123/2018 arricchisce l'art. 43 ord. penit., con l'introduzione di disposizioni in favore del detenuto in uscita dal circuito detentivo al fine di dotarlo, all'atto delle dimissioni dal carcere, di validi documenti d'identità ed in tal modo accedere più facilmente e rapidamente alla possibilità di iscrizione presso i centri per l'impiego e nelle liste per gli altri strumenti di assistenza e sussidio. È parimenti integrato l'art. 45 ord. penit., in materia di assistenza alle famiglie.

Il ruolo della polizia penitenziaria nei controlli sui soggetti ammessi alle misure esterne

La riforma modifica, altresì, la disciplina delle attività di controllo sull'esecuzione delle misure extramurarie contenuta nell'art.58 ord. penit., assegnando alla Polizia penitenziaria funzioni di controllo ulteriori alla mera attività di vigilanza interna agli istituti penitenziari, fino ad oggi limitare alle misure della semidetenzione della libertà controllata e della libertà vigilata (art. 65, l. 689/1981 e art. 228 c.p.), laddove i controlli sui soggetti ammessi alle misure alternative sono suddivisi tra l'UEPE (per quanto concerne la vigilanza sul rispetto delle direttive impartite: art. 96, comma 5, e art. 118, comma 8, lett. c), d.P.R. 230/2000) e le forze dell'ordine (Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri), che operano in autonomia secondo le normative e le direttive proprie del proprio comparto. Secondo la nuova disciplina, alle dette attività di controllo sui soggetti ammessi all'esecuzione penale esterna partecipi, ove richiesta, la Polizia penitenziaria, secondo le indicazioni del direttore dell'ufficio di esecuzione penale esterna e previo coordinamento con l'autorità di pubblica sicurezza. I controlli potranno, tuttavia, riguardare esclusivamente l'osservanza delle prescrizioni inerenti alla dimora, alla libertà di locomozione, ai divieti di frequentare determinati locali o persone e di detenere armi. Le nuove regole prevedono, inoltre, che le attività di controllo sono svolte con modalità tali da garantire il rispetto dei diritti dell'interessato e dei suoi familiari e conviventi, da recare il minor pregiudizio possibile al processo di reinserimento sociale e la minore interferenza con lo svolgimento di attività lavorative.

In conclusione

I decreti legislativi n. 123 e 124 del 2 ottobre 2018 (cui si aggiunge la riforma dell'ordinamento penitenziario minorile contenuta nel d.lgs. 121/2018), pur riprendendo in molte parti il testo della riforma penitenziaria predisposto sul finire della trascorsa legislatura, riflettono un'idea dell'esecuzione penale e penitenziaria profondamente diversa da quella che aveva avviato e sostenuto il percorso riformatore inaugurato con gli Stati generali dell'esecuzione penale. Una riforma così a lungo attesa nasce, infatti, monca, stante la rinuncia del Governo subentrato al precedente esecutivo ad esercitare la delega su alcuni dei più importanti punti che erano stati, invece, i tratti salienti della riforma abbozzata nel 2017. Nei decreti entrati in vigore il 10 novembre non vi è, infatti, traccia di quell'ampio intervento che, in origine, riguardava la materia delle misure alternative alla detenzione, la sterilizzazione degli automatismi preclusivi ai fini dell'accesso alle stesse, la giustizia riparativa, il volontariato, la riforma delle misure di sicurezza. Il fatto che, nonostante tali gravi amputazioni, la riforma costituisca uno dei più significativi interventi sulla materia penitenziaria a far data dall'introduzione dell'ordinamento penitenziario del 1975, testimonia eloquentemente l'imponente complessità dell'impianto riformatore originario messo in cantiere, frutto del lavoro delle tre commissioni legislative istituite nel luglio del 2017 presso il ministero della giustizia, di cui solo una parte minoritaria è confluita nei tre decreti attuativi. Il tratto più evidente delle modifiche confluite nel d.lgs. 123/2018 è che esse attengono essenzialmente agli aspetti della vita detentiva all'interno degli istituti penitenziari, incentrando l'idea di trattamento e rieducazione dei condannati e internati sugli strumenti intramurari del lavoro e della formazione professionale per lasciare, invece, in ombra i profili afferenti all'esecuzione penale esterna e, in particolare, le misure alternative alla detenzione.

Guida all'approfondimento

F. FIORENTIN, La riforma penitenziaria (d.lgs. 121, 123 e 124 del 2 ottobre 2018), Giuffré Francis Lefebvre, di prossima pubblicazione;

Speciale Riforma dell'ordinamento penitenziario.

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