L’eccezione di prescrizione dei crediti fiscali nel fallimento
26 Novembre 2018
Un tema d'interesse attiene al modo con il quale il curatore possa (recte, debba) eccepire la prescrizione del credito fiscale. Il banco di prova è la fase della verifica dei crediti. Anche l'Erario, come ogni altro creditore, ha l'onere di partecipare al concorso attraverso la domanda di ammissione al passivo (art. 52 l. fall.). Ogni aspetto circa l'an ed il quantum dell'obbligazione tributaria rientra nella competenza esclusiva (ovvero nella giurisdizione) delle commissioni tributarie. Il merito della pretesa fiscale “sfugge”, pertanto, sotto il profilo della cognizione formale e sostanziale, alla vis attractiva del fallimento. I controlli da parte degli organi della procedura si limitano, così, agli aspetti di natura procedimentale: se il credito sia sorto ante fallimento (principio di concorsualità), sia supportato da un valido titolo (onere della prova), sia privilegiato ovvero chirografario (rispetto delle cause di prelazione). La prescrizione rappresenta un fatto estintivo dell'obbligazione tributaria. I crediti erariali portati da accertamenti definitivi ovvero da sentenze passate in giudicato sono soggetti alla prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. (Cass. civ. sez. V, 12 novembre 2010, n. 22977); si prescrivono, invece, in cinque anni, ex art. 2948 n. 4), c.c., i crediti fiscali di titolarità degli enti locali, correlati a prestazioni periodiche (Cass. civ. sez. V, 23 febbraio 2010, n. 4283). Come segnalato in dottrina, la prescrizione si colloca “a valle” dell'atto impositivo, a differenza della decadenza, la quale si colloca “a monte” dell'atto impositivo (L. Del Federico, I crediti tributari nell'accertamento del passivo fallimentare, in Rass. trib., 2015, 11 ss.). La prescrizione attiene al credito tributario, la decadenza, invece, all'azione accertativa. E se l'eccezione di decadenza rientra pacificamente nella competenza del giudice tributario, l'eccezione di prescrizione ricadrebbe – secondo una tesi - nella cognizione del giudice fallimentare (B. Quatraro-F. Dimundo, La verifica dei crediti nelle procedure concorsuali. Crediti tributari e previdenziali, Milano, 2016, 55). Se così fosse, non vi sarebbero problemi.
Il curatore, rilevata la prescrizione, prospetterebbe l'esclusione della domanda erariale dal concorso; il giudice delegato, in sede d'esecutività dello stato passivo, ne sancirebbe la definitiva esclusione. In tal senso, anche parte della giurisprudenza di merito: la prescrizione del credito fiscale non rientrerebbe nella competenza delle commissioni tributarie, attenendo alle “vicende estintive di un diritto di credito, nella specie tributario, per le quali sussiste la giurisdizione del giudice ordinario” (Trib. Milano, 5 agosto 2009). Tale orientamento si scontra però con la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione: la cognizione esclusiva del giudice tributario si estende ad ogni profilo del rapporto tributario, ivi compresa la valutazione dei fatti estintivi del credito fiscale. Le Sezioni Unite, nel trattare la questione del se la prescrizione possa ricondursi nel foro fallimentare, ha dato risposta negativa: “facendosi valere mediante l'eccezione di prescrizione un fatto estintivo dell'obbligazione tributaria, conoscere della causa spetta al giudice che abbia giurisdizione in merito a tale obbligazione” (Cass. civ. sez. un., 19 novembre 2007, n. 23832). La Suprema Corte ha poi messo a fuoco tale principio, sancendo che ove in sede di verifica dei crediti sia eccepita la prescrizione del credito fiscale, la giurisdizione sulla relativa controversia è quella tributaria e, nel fallimento, la domanda sarà ammessa con riserva ex art. 88 d.P.R. n. 602/1973 (Cass. civ. sez. un., 13 giugno 2017, n. 14648). Sotto un profilo operativo, in caso di fallimento del contribuente l'agente della riscossione richiede l'ammissione al passivo sulla base del ruolo (sostituito, per i tributi diretti e per l'IVA, dall'avviso di accertamento esecutivo ex art. 29 D.L. n. 78/2010). Il ruolo, per quanto venga privato col fallimento di ogni efficacia esecutiva, continua ad assumere rilevanza sotto il profilo della prova della pretesa fiscale ai fini della partecipazione al concorso. Secondo la Cassazione, l'agente della riscossione presenta la domanda d'ammissione al passivo del fallimento unitamente al ruolo, o anche solo al cd. estratto di ruolo, senza necessità di notificare al curatore la cartella di pagamento (Cass. civ. sez. I, 17 marzo 2014, n. 6126). Del resto, l'estratto ruolo rappresenta, in sé, atto autonomamente impugnabile ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992 (Cass. civ. sez. III, 9 giugno 2016, n. 11794). La Cassazione, spingendosi avanti verso soluzioni di crescente favor per le ragioni erariali, ha poi rilevato come la domanda d'ammissione al passivo inviata dall'Amministrazione finanziaria a mezzo PEC, ex art. 93 l. fall., sia idonea a rendere compiutamente edotta la curatela fallimentare circa la pretesa fiscale. Il curatore che intenda contestare la pretesa erariale è quindi tenuto ad impugnare il ruolo (ovvero l'estratto di ruolo) allegato alla domanda di ammissione al passivo, nel termine di sessanta giorni dalla ricezione della PEC (Cass. civ. sez. V, 14 settembre 2016, n. 18082). Guardando la questione con prospettive di “ragion pura”, attribuire rilevanza tributaria ad un atto – la domanda d'ammissione al passivo – idoneo ad esplicare i propri effetti nel solo ambito endofallimentare significa limitare oltremisura l'esercizio del diritto di difesa della curatela fallimentare. La quale avrebbe, così, l'onere di monitorare la data di ricezione delle PEC ricevute ex art. 93 l. fall. non solo in funzione del rispetto del termine per il deposito del progetto di stato passivo, secondo le norme proprie del diritto concorsuale, ma anche in funzione del diverso termine – dalla natura decadenziale – rilevante ai fini della proposizione del ricorso tributario avverso il ruolo.
Venendo a più prudenziali criteri di “ragion pratica”, e qui assumendo che oggetto del ricorso sia non già la domanda d'ammissione al passivo, bensì la sottostante iscrizione a ruolo – per quanto non notificata secondo le norme del diritto tributario (cartella di pagamento) –, il curatore eccepirà la prescrizione avanti al giudice tributario avendo a riferimento, quale dies a quo ai fini della proposizione del ricorso, la data di ricezione della PEC ex art. 93 l. fall. E la domanda sarà ammessa al passivo con riserva, ai sensi dell'art. 88 D.P.R. n. 602/1973. Quanto all'esito del giudizio fiscale, ove l'agente dimostrasse, in tal sede, che il ruolo era stato notificato al debitore ante fallimento mediante la cartella di pagamento, essendo ciò valso ad interrompere i termini prescrizionali, il ricorso introdotto dalla curatela sarebbe verosimilmente respinto dalla commissione tributaria. Ed il giudice delegato scioglierebbe la riserva in senso favorevole all'Amministrazione finanziaria. Ove, al contrario, l'agente della riscossione non fornisse la prova della regolare notifica della cartella al debitore in bonis, e dunque fossero inutilmente decorsi i termini prescrizionali con riferimento alla data di presentazione della domanda d'ammissione al passivo, il giudice tributario sancirebbe l'intervenuta estinzione dell'obbligazione tributaria, accogliendo il ricorso. E il credito erariale verrebbe escluso dal passivo del fallimento. In conclusione, è opportuno che il curatore monitorizzi con attenzione i termini di ricezione delle comunicazioni PEC inviate dall'Amministrazione finanziaria ai fini della partecipazione al concorso, così da non pregiudicare la possibilità di contestare l'estinzione dell'obbligazione fiscale avanti la competente commissione tributaria. |