La frammentazione della nozione di tempus commissi delicti dopo le Sezioni unite n. 40986/2018

Ludovica Deaglio
26 Novembre 2018

La Corte di cassazione si è recentemente pronunciata a Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Unite, dep. 24 settembre 2018, n. 40986) sulla individuazione del tempus commissi delicti nei reati di evento, ai fini della corretta applicazione della disciplina sulla successione di leggi penali nel tempo ex art. 2, comma 4, c.p. La Corte, come noto, risolve il contrasto giurisprudenziale accogliendo la c.d. teoria della condotta...
Abstract

La Corte di cassazione si è recentemente pronunciata a Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Unite, dep. 24 settembre 2018, n. 40986) sulla individuazione del tempus commissi delicti nei reati di evento, ai fini della corretta applicazione della disciplina sulla successione di leggi penali nel tempo ex art. 2, comma 4, c.p. La Corte, come noto, risolve il contrasto giurisprudenziale accogliendo la c.d. teoria della condotta e affermando che debba trovar applicazione la disciplina in vigore al momento dell'azione – sempre che questa sia stata integralmente posta in essere prima della novella normativa – qualora sia più favorevole rispetto a quella vigente al momento dell'evento.

Premessa la sottoscrizione della soluzione adottata dalle Sezioni unite, nell'elaborato l'autrice si propone di approfondire la tematica del tempus commissi delicti, vero fulcro della pronuncia in commento. La Suprema Corte ha avuto l'innegabile merito di affermarne chiaramente la non unitarietà e l'impossibilità di fissarne la collocazione in un unico momento dato, evidenziando piuttosto come lo stesso vari a seconda dell'istituto in relazione al quale viene in considerazione. Di conseguenza, all'interprete viene richiesto uno sforzo esegetico – tutt'altro che scontato se si considera quella che per diversi decenni fu la linea maggioritaria in tema di reati di evento, solo oggi rivista e corretta –, reso necessario da un linguaggio legislativo che predilige termini di significato non univoco.

Di conseguenza viene auspicato un intervento chiarificatore da parte del nostro Legislatore, che permetta di individuare univocamente il tempus commissi delicti in relazione, anzitutto, ai diversi istituti, ma anche alle diverse categorie di reato.

Il caso

Nel caso di specie un automobilista, il 16 gennaio 2016, investe un pedone, il quale decede il 28 agosto seguente a causa delle lesioni riportate; il 25 marzo 2016, durante il periodo di degenza della vittima, entra in vigore la l. 41/2016 che inserisce nel codice penale, all'art. 589-bis, la nuova fattispecie delittuosa di omicidio stradale – reato che prevede un trattamento sanzionatorio più severo rispetto alla fattispecie di omicidio colposo aggravata ex art. 589, cpv., c.p. –, ai sensi del quale l'imputato viene condannato in primo e in secondo grado. La IV sezione della Corte di cassazione, ravvisato un contrasto giurisprudenziale in punto individuazione del tempus commissi delicti nei reati cd. ad evento differito, rimette la questione davanti alle Sezioni unite formulando il seguente quesito: «se, a fronte di una condotta posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione il trattamento sanzionatorio vigente al momento della condotta, ovvero quello vigente al momento dell'evento».

L'articolata motivazione depositata il 24 settembre scorso dal massimo consesso della Suprema Corte descrive ampliamente le due diverse teorie prospettate per l'individuazione del tempus commissi delicti nell'ottica dell'applicazione della disciplina della successione delle leggi penali nel tempo ex art. 2, comma 4, c.p.

La c.d. teoria dell'evento, impostazione più recente e nettamente maggioritaria (v., da ultimo, Cass. pen., Sez. IV, 22379/2015, imp. Sandrucci), nega tout court la sussistenza di una problematica connessa al citato art. 2, comma 4, c.p.: tale orientamento muove dall'equiparazione tra momento commissivo e momento consumativo del reato, coincidente con la realizzazione dell'evento lesivo contemplato dalla fattispecie, vale a dire, nella vicenda in esame, la morte della persona offesa. È con esclusivo riferimento a tal periodo che va individuata la disciplina applicabile, con conseguente irrilevanza della norma in vigore in precedenza (rectius, al momento della condotta).

La Corte delinea altresì un secondo orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto – che ha trovato un'ultima eco in una risalente pronuncia dei giudici di legittimità (Cass. pen., Sez. IV, 8448/1972, imp. Bartesaghi), vertente anch'essa su un caso di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme stradali –, denominato teoria della condotta. Tal impostazione evidenzia, anzitutto, l'ontologica differenza intercorrente tra i concetti di commissione e consumazione del reato, da riferirsi, rispettivamente, al momento della condotta e a quello di realizzazione dell'evento. Sulla scorta di tal distinzione, la teoria in commento sostiene l'applicazione dell'art. 2, comma 4, c.p. – che, in effetti, fa esplicito riferimento al momento commissivo del reato – qualora la condotta del soggetto agente si sia integralmente esaurita prima della novella normativa; in particolare, andrà applicata la norma in vigore al momento della condotta qualora la stessa risulti più favorevole.

Le Sezioni unite, con un vero e propriorevirement rispetto a quanto sostenuto in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, aderiscono alla teoria della condotta, con conseguente applicabilità al caso di specie del ‘vecchio' art. 589 c.p., pur aggravato ai sensi del secondo comma, norma meno severa rispetto al ‘nuovo' art. 589-bisc.p. A sostegno della decisione, la Corte – dopo aver chiarito la possibilità, in ossequio al criterio interpretativo letterale, di intendere l'espressione ‘reato commesso' di cui al citato art. 2 c.p. come riferita al momento della condotta dell'agente – fa leva sugli artt. 25, cpv., e 27, comma 3, Cost., che sanciscono e tutelano, rispettivamente, il principio di irretroattività della legge penale e il principio di colpevolezza, connesso alla funzione necessariamente rieducativa della pena. Ed in effetti, «è la condotta il punto di riferimento temporale essenziale a garantire la calcolabilità delle conseguenze penali e, con essa, l'autodeterminazione della persona»: l'automatica applicazione di una norma più severa intervenuta successivamente a tal momento decisionale vanificherebbe, da un lato, il c.d. calcolo costi-benefici che l'agente è chiamato ad effettuare sulla base di quanto normativamente previsto (funzione general-preventiva della pena) e, dall'altro, violerebbe la necessaria rimproverabilità del soggetto – fondamentale perché la pena possa effettivamente avere una funzione rieducativa – per non aver represso la spinta criminale. In altre e più semplici parole, la norma sfavorevole diverrebbe conoscibile all'agente in un momento in cui lo stesso, terminata l'azione e innescato l'inesorabile concatenamento di circostanze-causa dell'evento, non ha più modo di modificare il decorso della sua condotta.

Il tempus commissi delicti: da unitarietà a pluralità di significato

Tanto ricostruito, è bene dar conto di un passaggio di centrale rilievo che ben può fungere da stimolo per una riflessione di più ampio respiro. La Corte, affrontando la tematica della possibilità di interpretare il disposto dell'art. 2, comma 4, c.p. e riconducendo il termine ‘commissione' alla sola condotta, dichiara testualmente che «l'individuazione del tempus commissi delicti non possa essere delineata in termini generalizzanti, ma vada riferita ai singoli istituti e ricostruita sulla base della ratio di ciascuno di essi e dei princìpi che li governano». Bando dunque all'unitarietà della nozione di tempus commissi delicti – ciò che da tempo veniva largamente sostenuto dalla dottrina (ex multis, MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, , Padova, 2017; FIANDACA, MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2014; M. GALLO, Diritto penale italiano. Appunti di parte generale, Torino, 2014; A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano, 2003; più risalente ma conforme: M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, Giuffrè, Milano, 1995) – e via libera all'attività dell'interprete, chiamato a ricostruire la ratio fondante di ogni istituto.

Qui di seguito un'analisi – senza pretesa alcuna di esaustività – di alcuni tra gli istituti dell'ordinamento penale nei quali il tema del tempus gioca un ruolo decisivo, specie in relazione ai reati di evento.

L'individuazione del tempus commissi delicti nell'ambito dell'istituto della prescrizione non presenta particolari difficoltà interpretative. Il Legislatore, all'art. 158 c.p. – rubricato «decorrenza del termine della prescrizione» –, statuisce espressamente che «il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione», specificando poi come, in caso di tentativo, rilevi l'ultima condotta penalmente rilevante mentre in caso di reato permanente debba guardarsi al giorno in cui è cessata la permanenza.

Dal punto di vista lessicale – ed è ciò che qui interessa – il Legislatore sceglie il termine consumazione, pacificamente riferendosi non solo alla condotta ma altresì alla realizzazione dell'evento nei reati che lo contemplano come elemento costitutivo; inoltre, è necessario che il disvalore dell'illecito abbia raggiunto il culmine, momento successivo al quale lo stesso si esaurisce. Ed è, a ben vedere, di immediata percezione la necessità che il reato raggiunga tal apice prima che il termine prescrizionale possa iniziare a decorrere [A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, op. cit.].

Privo di particolari difficoltà interpretative appare pure, ad avviso di chi scrive, il linguaggio utilizzato per regolare l'istituto dell'amnistia. L'art. 79 Cost. dispone che «l'amnistia [e l'indulto] non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge»; l'art. 151 c.p. (rubricato amnistia), con parole diverse ma di significato sovrapponibile, stabilisce che «l'estinzione del reato per effetto dell'amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto». La ratio di tal previsione è del tutto evidente: estendere l'applicabilità dell'istituto al periodo successivo alla prospettazione di una futura amnistia regalerebbe, in effetti, un'inaccettabile licenza a delinquere in relazione ai reati oggetto del provvedimento.

Sul tema va dato conto di una visione non univoca da parte della dottrina presente e passata: diversi autori sostengono come sia necessaria la verificazione dell'evento – elemento costitutivo di fattispecie – antecedentemente al termine indicato agli artt. 79 Cost. e 151 c.p. (si veda in tal senso, per tutti, M. GALLO, Diritto penale italiano. Appunti di parte generale, Torino, 2015): fondamentale argomentazione a supporto è l'asserita necessità che il reato oggetto del provvedimento di clemenza sia consumato, esaurito, «non ne sia, cioè, più possibile la protrazione nel tempo» (testualmente, M. GALLO, Diritto penale italiano. Appunti di parte generale, op. cit., p. 212): solo in tal modo l'illecito può estinguersi. Nonostante la persuasività di tale impostazione, si vuole in questa sede sostenere come il termine commissione utilizzato dalla norma debba preferibilmente e ragionevolmente essere riferito al momento della condotta del soggetto agente, tralasciando il tempo in cui l'evento si è verificato. Ciò, da un lato, in una generica ma sempre valida ottica di favor rei e, dall'altro e soprattutto, in ossequio all'impostazione – fatta propria, tra il resto, dalla pronuncia a Sezioni unite in commento in tema di successione di leggi penali nel tempo – secondo la quale il momento determinante in cui il soggetto si convince a delinquere, ossia il lasso temporale in cui egli non deve conoscere dell'esistenza della proposta di amnistia, pena la licenza a delinquere di cui s'è detto, è il tempo dell'azione o dell'omissione, causa scatenante del successivo evento naturalistico. In altre parole, posta in essere la condotta tipica e innescato il decorso causale, il soggetto rimane privo di controllo sulla realizzazione dell'evento – collocato in un momento futuro e indeterminato – perdendo sullo stesso ogni ulteriore potere decisionale. Subordinare la fruizione di tal beneficio ad un elemento temporale così flessibile quale è la concreta realizzazione dell'evento parrebbe porsi in aperta contraddizione con il dettato dell'art. 3 Cost., riservando un trattamento (considerevolmente) differente a soggetti che hanno realizzato condotte identiche ma le cui conseguenze, per fattori del tutto casuali e fuori dal controllo degli stessi, si sono verificate in momenti distinti (cfr. sul tema A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano, 2003; contra M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, Giuffrè, Milano, 1994). Peraltro, e in conclusione, l'applicazione dell'amnistia a fattispecie individuate esclusivamente sulla base della condotta non precluderebbe la procedibilità per ulteriori e diverse figure di reato a seguito dell'eventuale successiva verificazione dell'evento, elemento costitutivo delle stesse: l'ha chiarito la Corte Costituzionale nella nota sentenza del 31 maggio 2016, n. 200, affermando la sussistenza dell'idem factum e del conseguente divieto di bis in idem esclusivamente in caso di coincidenza non solo di condotta, ma anche di evento e di nesso causale.

Proseguendo l'analisi sui termini di cui ai disposti normativi in questione, si prenda ancora in considerazione l'istituto della sospensione condizionale della pena. Il Legislatore, all'art. 163, commi 2 e 3, c.p. (Sospensione condizionale della pena), prevede tre deroghe alla disciplina ordinaria della concessione del beneficio di legge stabilendo che, qualora il reato sia stato commesso da un soggetto minore degli anni 18 ovvero da un cd. giovane adulto (età compresa tra i 18 e i 21 anni) o, ancora, da un ultrasettantenne, la pena potrà essere sospesa, sussistendo gli altri presupposti, qualora non sia superiore a 3 anni nel primo caso e a 2 anni e mezzo nelle altre due ipotesi. Anche in questo caso, il Legislatore sceglie il termine commissione del reato, come appena visto in tema di amnistia, ma il significato da attribuire appare, almeno in parte, differente. Si diceva in precedenza della necessità che l'interprete, considerata la parcellizzazione della nozione di tempus commissi delicti, si cimenti in un'opera euristica di individuazione della ratio degli istituti e, conseguentemente, individui il momento al quale il tempus debba riferirsi. Le due disposizioni da ultimo descritte ben rappresentano tale attività: muovendo dalla diversa logica sottesa alla sospensione allargata prevista per i ‘giovani' delinquenti e quella prevista per i delinquenti ‘anziani' – connesse, rispettivamente, ad una più attenuata rimproverabilità dell'agente e ad evitare lo stato detentivo a soggetti di età avanzata –, il termine ‘commissione' dovrà declinarsi in due modi distinti. Nel primo caso, dovrà certo farsi riferimento alla condotta; nel secondo, al momento di verificazione dell'evento.

Resta infine da analizzare sotto la “lente semantica” finora utilizzata l'art. 2, comma 4, c.p., fulcro della sentenza della Suprema Corte analizzata in apertura ed effettivo protagonista del presente lavoro.

Per descrivere la successione di leggi penali nel tempo il Legislatore si riferisce genericamente al tempo in cui fu commesso il reato, espressione che, sulla scorta dell'insegnamento delle citate Sezioni uUnite, sappiamo doversi intendere come consumazione in relazione ai reati di mera condotta ma da limitarsi alla sola azione od omissione negli illeciti ad evento naturalistico. Ancora una volta, la locuzione ‘reato commesso' non ha un significato univoco.

In conclusione

La concisa e, lo ripetiamo, non esaustiva analisi svolta è valsa ad evidenziare due aspetti: anzitutto, che il nostro Legislatore utilizza di regola l'espressione commissione del reato, fatta eccezione per l'art. 158 c.p. ove è esplicito il riferimento alla consumazione; d'altra parte, lo studio ha evidenziato l'ambivalenza del suddetto termine. E se è vero che non è impresa impossibile, una volta individuata la ratio dell'istituto, determinarne la corretta declinazione, è vero anche che ogni opera interpretativa è intrinsecamente esposta al rischio di condurre a soluzioni differenti, come ha puntualmente dimostrato la vicenda dell'omicidio stradale nella pronuncia a Sezioni unite in commento.

In relazione all'art. 2 c.p., in particolare, ben potrebbe auspicarsi un intervento legislativo che meglio specifichi il tempus commissi delicti a cui far riferimento nell'ambito della successione delle leggi penali nel tempo: di fondamentale utilità sarebbe l'aggiunta di una previsione dedicata ai reati di evento, che positivizzi il necessario riferimento al momento della condotta penalmente rilevante e alla normativa vigente a quel tempo. Non mancano nell'ordinamento occasioni in cui il legislatore risulta essere stato almeno altrettanto puntuale: si pensi all'art. 158 c.p., che, per indicare il dies a quo del termine prescrizionale, distingue tra reato consumato, permanente e delitto tentato; ancora – e ancor più – si guardi al disposto dell'art. 8 c.p.p., che, nel regolare la competenza territoriale del giudice penale, indica il luogo di consumazione del reato, precisando poi come, qualora dallo stesso derivi la morte di una persona, il criterio debba invece essere il luogo di perpetrazione della condotta. Questo per dire che una maggior tipizzazione è possibile, senza temere di andare incontro ad una iper-specificità, spesso nemica del principio di legge generale e astratta e incapace di assorbire le numerose peculiarità delle situazioni concrete.

Si provi a ragionare, ora, in un'ottica più ampia. Come accennato, dall'osservazione degli istituti analizzati emerge che il codice utilizza il termine commissione – in particolare in relazione ai reati a evento naturalistico – con grande disinvoltura: in alcuni casi per indicare la sola condotta tipica, in altri ricomprendendo altresì l'evento. Nell'ambito dell'art. 163, primo e secondo cpv., addirittura, spetta all'interprete declinare il medesimo termine ora secondo la teoria della condotta, ora secondo quella dell'evento. E allora, forse, l'auspicato intervento legislativo di cui s'è detto potrebbe avere una portata più strutturale, avvalendosi peraltro di studi da tempo avviati sui reali – e ben distinti – significati di commissione e consumazione del reato. Mentre quest'ultima richiede non solo l'integrazione di tutti gli elementi costitutivi di fattispecie, ma anche l'esaurimento del disvalore del reato, impossibilitato a protrarsi oltre – o, meglio, «il momento in cui la realizzazione [dell'illecito, n.d.a.] raggiunge la maggiore gravità» (testualmente, A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 502] –, la commissione coincide con l'azione (o l'omissione) posta in essere dell'agente: nei reati di mera condotta le due nozioni ben potranno coincidere, non così nei reati di evento.

È possibile allora ipotizzare un utilizzo uniforme in tutto il codice di termini dal significato univoco?

Possiamo immaginare che il Legislatore adotti il termine commissione esclusivamente per indicare il tempus commissi delicti coincidente con la sola condotta, preferendo altro vocabolo – verosimilmente consumazione, come s'è visto accadere per la prescrizione all'art. 158 c.p. – per designare il connubio condotta ed evento?

Un'univocità di significato limiterebbe drasticamente l'opera esegetica con il risultato di evitare equivoci interpretativi – tutt'altro che meramente teorici, come la vicenda in commento ha dimostrato – in nome, tra il resto, del principio costituzionale della certezza e determinatezza del diritto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario