Omoaffettività femminile ed esclusione dalle tecniche di PMA

Stefania Stefanelli
28 Novembre 2018

Il divieto, sanzionato penalmente, di applicare tecniche di PMA a coppie formate da persone del medesimo sesso è incostituzionale per violazione del diritto fondamentale alla genitorialità, tutelato dall'art. 2 Cost., in quanto introduce un'irragionevole disparità di trattamento fondata sull'orientamento sessuale e sulle condizioni economiche personali.
Massima

Non è manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10 l. n. 40/2004, per contrasto con gli artt. 2, 3, 31 comma 2 e 32 comma 1 Cost., nonché per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui, rispettivamente, limitano l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole coppie di sesso diverso e sanzionano, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche a coppie composte da soggetti dello stesso sesso.

Il caso

Due donne, unite civilmente, domandano ad una struttura pubblica l'applicazione ad una di loro delle tecniche di procreazione assistita eterologa, con seme di donatore anonimo. Ricevutone il rifiuto, fondato sul divieto di accesso alla PMA per le coppie formate da persone del medesimo sesso previsto dall'art. 5 l. n. 40/2004, e assistito da sanzione penale ex art. 12, commi 2, 9 e 10 l. n. 40/2004, le stesse introducono ricorso cautelare ante causam ex art. 700 c.p.c., strumentale ad un giudizio di merito ex art. 2931 c.c., domandando in via principale l'ordine all'azienda sanitaria di consentire loro l'accesso alle tecniche, in ragione di una interpretazione adeguatrice della disciplina di settore alle fonti costituzionali e internazionali, e introducono istanza subordinata per la proposizione di questione di legittimità costituzionale delle norme citate, parzialmente accolta dall'ordinanza in commento.

La questione

Il divieto, sanzionato penalmente, di applicare tecniche di PMA a coppie formate da persone del medesimo sesso è incostituzionale per violazione del diritto fondamentale alla genitorialità, tutelato dall'art. 2 Cost., in quanto introduce un'irragionevole disparità di trattamento fondata sull'orientamento sessuale e sulle condizioni economiche personali, in violazione dell'art. 3 Cost., confligge con la tutela assicurata alla maternità dall'art. 31, comma 2, Cost., nonché con la protezione della salute, di cui all'art. 32, comma 1, Cost., con la protezione del diritto alla vita privata e familiare e col divieto di discriminazioni fondate sul sesso, di cui agli artt. 8 e 14 CEDU?

Le soluzioni giuridiche

All'esito dei numerosi interventi sulla l. n. 40/2004, il divieto di applicare tecniche di PMA a coppie formate da persone dello stesso sesso è uno degli ultimi ancora vigenti. Nel tempo, si è giunti ad ammettere all'accesso non solo le coppie sterili o non fertili, ai sensi dell'art. 4, comma 1, ma anche quelle fertili che potrebbero generare naturalmente figli affetti da malattie infettive (d.m. 11 aprile 2008); a rimettere alla scelta medica la determinazione del numero di embrioni da generare ed impiantare, e di conseguenza a consentirne la crioconservazione fino al trasferimento, senza pregiudizio per la salute della donna (Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151, in Giurisprudenza costituzionale, 2009, 1688 ss., con note di M. Manetti, Procreazione medicalmente assistita: una political question disinnescata, e di C. Tripodina, La Corte Costituzionale, la legge sulla procreazione medicalmente assitita e la “Costituzione che non vale più la pena di difendere”?); ad espungere dal sistema il divieto di procreazione eterologa, in quanto irragionevolmente discriminatorio delle coppie affette da sterilità di massimo grado, non essendo in grado di produrre gameti (Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Europa e diritto privato, 2014, 1105 ss., con nota di C. Castronovo, Fecondazione eterologa in Italia: il passo (falso) della Corte costituzionale) e, infine, ad ammettere le coppie che necessitano della diagnosi preimpianto per procreare un figlio non affetto dalla propria patologia genetica (Corte cost., 5 giugno 2015, n. 96).

Già Corte cost., 10 giugno 2014, n. 16, aveva statuito circa la possibilità di sollevare questione di costituzionalità all'interno del procedimento cautelare, sempre che il giudice non abbia pronunciato sulla domanda o, pur concedendo la misura richiesta, non abbia esaurito il proprio potere di ius dicere. Non vi è dunque questione sull'ammissibilità, e neppure sulla rilevanza della questione qui introdotta, in coerenza col petitum formulato, con riferimento al divieto di far ricorso alla PMA eterologa, qualora a richiederla sia una coppia di donne, conviventi o unite civilmente. La citata decisione merita di essere ricordata anche in quanto pronunciata rispetto alle stesse “plurime esigenze costituzionali” che la procreazione medicalmente assistita coinvolge, presidiate dalle medesime disposizioni fondamentali di cui l'ordinanza in commento sospetta la violazione, chiamando ancora una volta la Consulta a «verificare se sia stato realizzato un non irragionevole bilanciamento di quelle esigenze e dei valori ai quali si ispirano”, nello svolgimento del proprio compito di sindacare quel bilanciamento che appartiene “primariamente alla valutazione del legislatore» (Corte cost., 26 settembre 1998, n. 347).

La violazione degli artt. 2, 3 e 31 Cost. sospettata dal giudice di Pordenone trova le proprie ascendenze ancora nella citata pronuncia di incostituzionalità, per la quale «la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi», che «concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch'essa attiene a questa sfera», libertà che tollera limiti i quali «non possono consistere in un divieto assoluto (…) a meno che lo stesso non sia l'unico mezzo per tutelare altri interessi di rango costituzionale».

Anche la tutela della salute, invocata lamentando la violazione dell'art. 32 Cost., era lumeggiata nella medesima decisione, che la intendeva come comprensiva di quella psichica oltre che fisica – in ossequio al costante orientamento giurisprudenziale nonché alla definizione contenuta nell' Atto di costituzione dell'OMS, firmato a New York il 22 luglio 1946 – tenuto conto che «l'impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia».

Intorno alla tutela della salute è altresì pressoché esclusivamente incentrata la decisione che aprì la strada alla PMA con diagnosi e selezione preimpianto alle coppie fertili, ma portatrici di patologie genetiche gravi, trasmissibili ai discendenti, e che avrebbero giustificato l'interruzione volontaria di un'eventuale gravidanza spontaneamente insorta, ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. b), l. n. 194/1978 (Corte cost., 5 giugno 2015, n. 96). Posto che «l'ordinamento consente comunque a tali coppie di perseguire l'obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità della interruzione (anche reiterata) volontaria di gravidanze naturali», il divieto risultava irragionevolmente lesivo della salute della donna, «senza peraltro che il vulnus, coì arrecato a tale diritto, possa trovare un positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, comunque esposto all'aborto».

È questo un profilo da sottolineare anche rispetto alla nuova ordinanza in commento, trattandosi in questo caso, come a proposito del divieto di eterologa, di una istanza di accesso alle tecniche di PMA «che mira a favorire la vita e pone problematiche riferibili eminentemente al tempo successivo alla nascita», sicché la costituzionalità del divieto censurato non consegue automaticamente all'accertamento per cui il medesimo incide sui citati valori costituzionali, dovendo vagliarsi altresì «se l'assolutezza che lo connota sia l'unico mezzo per garantire la tutela di altri valori costituzionali coinvolti dalla tecnica in esame» (Corte cost. 10 giugno 2014, n. 162).

La motivazione della prima decisione di legittimità sul riconoscimento degli effetti dell'atto di nascita da due madri formato all'estero, in punto di esclusione delle coppie formate da persone dello stesso sesso dall'accesso alla PMA, ha escluso che il divieto legislativo costituisca l'unica opzione compatibile col dettato costituzionale, e non invece soltanto «una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate» (Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Foro italiano, 2016, I, 3329 ss., su cui S. Stefanelli, Status, discendenza e affettività nella filiazione omosessuale, in Fam. e dir., 2017, 83).

Parte della dottrina ha sostenuto che, in forza dell'art. 1, comma 20 e 36 di tale legge, l'art. 5 l. n. 40/2004 si sarebbe già potuto ritenere applicabile alle coppie omosessuali femminili (M. Gattuso, Un bambino e le sue mamme, in Questione giustizia, 2018), ma a tale interpretazione non ritiene di aderire l'ordinanza in commento, neppure in relazione all'obbligo di preferire l'interpretazione coerente col sistema sovranazionale di tutela dei diritti dell'uomo, ed in particolare con la tutela offerta alla vita privata e familiare dall'art. 8 CEDU, obbligo che consegue all'art. 117, comma 1, Cost.; al contrario, preferisce interrogare il giudice delle leggi anche rispetto a tale parametro.

Osservazioni

Tra i valori costituzionali eventualmente coinvolti dalla questione in esame, sembra assumere peculiare rilievo il principio di ragionevolezza e pari trattamento di cui all'art. 3 Cost., con specifico riguardo alle coppie eterosessuali che, in quanto non sterili né infertili, sono escluse dall'accesso alla PMA alla pari di quelle omosessuali unite civilmente. Si tratta, in entrambe le ipotesi, di formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell'individuo, ex art. 2 Cost., come esattamente osserva la decisione in commento, con riferimento alla l. n. 76/2016. E tuttavia, il giudice rimettente sospetta l'irragionevole esclusione delle coppie formate da persone del medesimo sesso dall' «elenco dei soggetti legittimati ad accedere alle tecniche di PMA, in una legge che, fra le sue finalità, si pone l'obiettivo di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o infertilità umane», avendo ritenuto tali requisiti «indiscutibili e intuitivi in una coppia omosessuale».

La l. n. 40/2004 si segnala nel panorama comparatistico per l'adesione all'approccio “patologico” – sposato anche dalle legislazioni svizzera, tedesca e francese, sebbene oltralpe sia in atto in procedimento di revisione che ha raccolto il parere positivo del Comité consultatif national d'éthique rispetto all'ammissione alla PMA delle coppie di donne e delle donne sole – per il quale la procreazione medicale non è una tecnica di accesso alla genitorialità alternativa a quella naturale, ma un rimedio, pur se palliativo, all'infertilità. Al contrario, in Romania, in alcuni Stati Usa, in Argentina, Australia (con eccezione dei Territori dell'ovest), Belgio, Canada, Regno Unito, Irlanda, Olanda, Spagna e Svezia, l'accesso alle tecniche è ammesso anche in casi di “infertilità strutturale o sociale”.

La piena equiparazione, ai fini del matrimonio, delle coppie eterosessuali da quelle omosessuali venne esclusa proprio in ragione del «rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall'unione omosessuale», da Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138, in Foro italiano, 2010, I, 1361 ss., con note di R. Romboli, Per la Corte costituzionale le coppie omosessuali sono formazioni sociali, ma non possono accedere al matrimonio, di F. del Canto, La Corte costituzionale e il matrimonio omosessuale, e di M. Costantino, Individui, gruppi e coppie (libertà, illusioni e passatempi). Di impossibilità di predicare la sterilità o infertilità per le coppie omosessuali discute l'ordinanza che ha sollevato questione di legittimità costituzionale sollevata da Trib. Pisa, ord., n. 69/2018 –discussione fissata per il giorno 8 gennaio 2019, rel. Morelli – delle norme che non consentirebbero la formazione di un atto di nascita da due madri, ritenendo che l'art. 8 l. n. 40/2004 non trovi applicazione in quanto la volontà espressa dalla donna convivente o unita civilmente alla gestante non sarebbe assimilabile a quello dell'uomo convivente o coniugato, proprio in ragione del difetto delle predette condizioni legali di accesso alla PMA. È peraltro evidente che dall'ammissione delle coppie di donne alla PMA deriverebbe l'applicazione del principio di filiazione “per scelta”, che si esprime negli artt. 8 e 9 l. n. 40/2004 (su cui cfr. E. Del Prato, La scelta come strumento tecnico di filiazione?, in Id., Lo spazio dei privati. Scritti, Bologna, 2016, 487 ss.).

Anche rispetto al requisito di accertata sterilità o infertilità, di cui all'art. 4, comma 1, l. n. 40/2004, le ricorrenti avevano proposto questione (subordinata) di costituzionalità, ritenuta manifestamente infondata dall'ordinanza in commento, aderendo all'orientamento per il quale una coppia formata da persone delle stesso sesso «si trova necessariamente in una situazione assimilabile a quella di una coppia di persone di sesso diverso cui sia stata diagnostica una sterilità o infertilità assoluta» (Cass., 30 settembre 2016, n. 19599). Orientamento che, tuttavia, non metteva, come si è visto, in alcun modo in discussione la ragionevolezza della scelta legislativa di escludere queste coppie dall'accesso alle tecniche medicali di ausilio alla procreazione.

Guida all'approfondimento

A. Sassi, F. Scaglione, S. Stefanelli, La filiazione e i minori, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2018, 105 ss.
A. Schillaci, Coppie di donne e PMA: la legge n. 40/2004 torna alla Consulta, in Articolo29, 4 luglio 2018.

C. Campiglio, La genitorialità delle coppie same sex: un banco di prova per il diritto internazionale privato e l'ordinamento di stato civile, in Fam. e dir., 2018, 924 ss.

S. Stefanelli, Indagine preimpianto e autodeterminazione bilanciata, in Riv. dir. civ., 2016, 667 ss.

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