Intercettazioni. La Cassazione indica le modalità per ottenere copia dei supporti informatici nel subprocedimento cautelare

Redazione Scientifica
29 Novembre 2018

In un procedimento per riciclaggio, l'indagato, vedendosi confermata dal tribunale di Lecce la misura cautelare degli arresti domiciliari proponeva ricorso in Cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione...

In un procedimento per riciclaggio, l'indagato, vedendosi confermata dal tribunale di Lecce la misura cautelare degli arresti domiciliari proponeva ricorso in Cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'eccezione di nullità – sollevata in sede di riesame – per la mancata consegna al difensore dei supporti telematici contenenti le registrazioni delle conversazioni intercettate e utilizzate per l'accoglimento della richiesta cautelare, nonostante il difensore abbia presentato tempestivamente al P.M. la rituale richiesta.

La Cassazione (sentenza n. 51935/2018) ha dichiarato il ricorso infondato.

Rilevano infatti i giudici di legittimità che il mero riferimento all'ordinanza applicativa della misura contenuto nella richiesta di rilascio copie – come nel caso di specie – può non essere sufficiente al fine perseguito dall'indagato. Il difensore potrebbe, infatti, voler esaminare il materiale captativo prima di decidere la propria strategia: presentare un'istanza di revoca, ovvero di modifica della misura cautelare in atto, oppure per l'impugnazione ex art. 309 c.p.p.: «in entrambi i casi» spiega la S.C. «l'istanza difensiva di rilascio delle copie deve essere esaminata e definita rapidamente» ma «solo nella seconda ipotesi la sua presentazione implica e va a inserirsi nella rigorosa scansione temporale che caratterizza il procedimento di riesame».

Non può altresì sostenersi che il P.M. sarebbe a conoscenza della presentazione dell'impugnazione in ragione dell'avviso di cui al comma 5 dell'art. 309 c.p.p.: «tale adempimento ha il fine […] di consentire il rituale avvio del procedimento camerale attraverso la trasmissione degli atti al tribunale distrettuale: un procedimento che in sé ben potrebbe essere definito, del tutti ritualmente e anzi “fisiologicamente”, con l'utilizzo dei soli “brogliacci” relativi alle conversazioni intercettate.

La S.C., a sostegno delle sue motivazioni, ha richiamato quanto affermato dalle Sezioni unite (n. 30300/2010):«in tema di riesame, l'illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall'ingiustificato ritardo del pubblico ministero nel consentire al difensore, prima del loro deposito ai sensi del quarto comma dell'art. 268 cod. proc. pen., l'accesso alle registrazioni di conversazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei cosiddetti brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell'adozione di un'ordinanza di custodia cautelare, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, lett. c), cod. proc. pen., in quanto determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova, che non inficia l'attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati. Ne consegue che, qualora tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il Tribunale non abbia potuto acquisire il relativo supporto fonico entro il termine perentorio di cui all'art. 309, nono comma, cod. proc. pen., le suddette trascrizioni non possono essere utilizzate come prova nel giudizio de libertate».

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