La Suprema Corte si è di recente più volte pronunciata in merito alla annosa quaestio del principio di inerenza, fondamentale per la determinazione in merito alla deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette e, seppur con differente accento, al fine della relativa detraibilità IVA. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 3 luglio 2017, n. 450 (depositata l'11 gennaio 2018) ha compiuto un deciso revirement rispetto al proprio precedente costante orientamento, riformulando lo stesso concetto di inerenza e, ancor prima, ridefinendone in maniera assolutamente innovativa il fondamento normativo. Come si approfondirà nel prosieguo del presente contributo, alla predetta Ordinanza n. 450/2018 sono seguite diverse altre pronunce che, con buona pace del ruolo nomofilattico della Suprema Corte, talvolta hanno integralmente fatto proprio il nuovo principio di inerenza (come si vedrà, “qualitativo”), altre volte invece totalmente rifiutando tale nuovo corso e rifacendosi ai precedenti orientamenti.
L'Ordinanza n. 450 del 2018
Con l'Ordinanza n. 450/2018 i giudici di legittimità hanno in primo luogo espresso il principio, mutuato da parte della dottrina, in base al quale l'inerenza esprime la riferibilità del costo sostenuto all'attività d'impresa, anche se in via indiretta, potenziale o anche in proiezione futura. Vanno invece esclusi, precisa la motivazione, i costi che si collocano in una sfera estranea all'esercizio dell'impresa. Tale nuova formulazione vene espressamente definita “giudizio qualitativo oggettivo” e si contrappone in modo sostanziale, come si vedrà infra, a quello che si definisce il “giudizio quantitativo” di inerenza, ormai ancorato al più risalente orientamento interpretativo.
Ma il principale aspetto di novità della motivazione di cui trattasi consiste nel fatto che per la prima volta in assoluto la Suprema Corte afferma che il principio di inerenza, quale vincolo alla deducibilità dei costi, non discende dall'art. 75, comma 5, TUIR (ora art. 109, comma 5, TUIR), che invece si riferisce al diverso principio dell'indeducibilità dei costi relativi a ricavi esenti (ferma l'inerenza), vale a dire alla correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili. In sostanza, in base a tale pronuncia, il principio di inerenza non può essere riconducibile ad alcuna norma imperativa contenuta nel TUIR né in altra disposizione, ma è un principio connaturato nella nozione stessa di reddito d'impresa, logicamente necessario per determinare quella “ricchezza effettiva” alla quale il legislatore lega il presupposto impositivo. Partendo da un tale assunto, riteniamo dunque che la necessaria conseguenza sia quella di riferire il principio di inerenza ad una norma di rango superiore, vale a dire connetterlo direttamente al principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. Il principio di inerenza è da considerarsi, in sostanza, una “norma senza disposizione” (G. Zizzo, Giurisprudenza sistematica di diritto tributario).
Con la motivazione dell'Ordinanza n. 450/2018 viene superata, argomentando, la definizione del principio di inerenza in precedenza fatta propria dalla Suprema Corte, formulata in termini di suscettibilità, anche solo potenziale, di arrecare, direttamente e indirettamente, un'utilità all'attività d'impresa, quale requisito necessario generale per la deducibilità dei costi. Fin qui, nulla quaestio. L'Ordinanza n. 450/2018 disattende tuttavia il precedente orientamento interpretativo nella parte in cui questo pone(va) erroneamente un necessario legame tra il costo e l'attività d'impresa secondo un parametro di utilità, all'interno di una relazione deterministica che sottende rapporti di causalità. Riassumendo, secondo la precedente nozione di inerenza, apertamente criticata con l'Ordinanza n. 450/2018, l'utilità andrebbe apprezzata considerando anche la dimensione “quantitativa” della spesa, per cui un costo potrebbe essere inerente anche solo in parte. Ecco che ora si può già meglio comprendere la distinzione fondamentale tra l'innovativo principio di inerenza c.d. qualitativa e la precedente nozione definibile quale inerenza quantitativa.
Ciò premesso, la Suprema Corte argomenta le ragioni del proprio “cambiamento di rotta”, sottolineando come l'impiego del criterio utilitaristico (proprio del concetto di inerenza c.d. quantitativa) non giova alla corretta esegesi della nozione di inerenza, in quanto il concetto aziendalistico e quello civilistico di spesa non sono necessariamente legati all'elemento dell'utilità, essendo invece configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all'attività d'impresa. Secondo il nuovo orientamento della Suprema Corte, invece, l'inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o di vantaggio (come detto, propri del giudizio quantitativo) e deve essere anche ben distinta dalla nozione di congruità del costo(sulla quale si veda infra).
La suesposta, innovativa, tesi sul principio di inerenza, “iniziata” dalla citata Ordinanza n. 450/2018, ha trovato seguito, pur se con sfumature che talvolta hanno assunto i toni di uno scostamento parziale, in numerose altre pronunce della Suprema Corte tra le quali in primis preme richiamare un'altra ordinanza che si ritiene rilevante per gli ulteriori spunti interpretativi espressi, Ord. n. 3170 del 12 settembre 2017, depositata il 9 febbraio 2018. Tra le altre, ex multis, Cass. civ. Sez. V, Ord., 31-05-2018, n. 13882, Cass. civ. Sez. V, Sent., 17-07-2018, n. 18904 e Cass. civ. Sez. V, Ord., 30-07-2018, n. 20113 (quest'ultima, tra l'altro, interessante con riguardo al tema della deducibilità dei costi infragruppo).
Riteniamo che tale nuovo percorso interpretativo conduca ad un esito che è, in ottica progressista, auspicabile, vale a dire il superamento della logora prerogativa limitante dell'inerenza rispetto all'autonomia di scelta imprenditoriale. Il rinnovato principio di inerenza qualitativa, superando la correlazione necessaria tra costo ed attività d'impresa sulla base di parametri utilitaristici, implica invece una relazione (teleo)logica ed economica con l'attività d'impresa in senso ampio, richiedendo che tale relazione sia verificabile ex ante e non ex post. Ciò che ne esce rafforzata è l'idea, fondamentale, di una rinnovata libera scelta organizzativa imprenditoriale. Ed è proprio per tale ragione che parrebbe parimenti auspicabile che il percorso interpretativo esaminato prosegua in tal senso, senza rischiosi “passi indietro”.
Contrasto giurisprudenziale sul nuovo filone interpretativo
Come si anticipava supra, l'innovativa interpretazione della Suprema Corte in tema di inerenza, pur avendo trovato seguito in linea di principio in successive pronunce di legittimità, ha tuttavia registrato anche tesi sostanzialmente “avverse” (nei limiti che di seguito si esporranno) in alcune successive pronunce della medesima V Sezione della Corte di Cassazione, quale emblematicamente Cass. civ., Sez. V, 6-06-2018, n. 14579.
Con tale pronuncia i giudici della Suprema Corte hanno in primo luogo inteso ribadire, in continuità con la “interpretazione tradizionale”, che il concetto di inerenza trova allocazione nell'art. 109, comma 5, del TUIR (così anche Cass. civ. Sez V, Sent. 15-06-2018, n. 15856). Ma ben al di là della discordanza sulla fonte normativa del principio di inerenza, la Corte è sembrata fare un passo indietro rispetto ai principi affermati in relazione alla così denominata “inerenza qualitativa”. Infatti, sostiene la Suprema Corte nella Sentenza n. 14579/2018, l'inerenza va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l'impresa – sicché il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile in virtù della sua correlazione con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili. Prosegue, la motivazione, sancendo che sia incombente sul contribuente l'onere di allegazione della documentazione di supporto da cui ricavare l'importo, la ragione e la coerenza economica della spesa al fine della prova dell'inerenza. Ribaltando, a nostro dire, la prospettiva della citata Ordinanza n. 450/2018, la Sentenza n. 14579/2018 ora in esame prosegue statuendo che per la deducibilità dei costi non è sufficiente che l'attività svolta rientri tra quelle previste nello statuto sociale, circostanza che ha mero valore indiziario, incombendo sul contribuente l'onere di dimostrare che un'operazione, anche apparentemente isolata e non diretta al mercato, sia inserita in una specifica attività imprenditoriale e destinata, almeno in prospettiva, a generare un lucro in proprio favore (in tal senso viene richiamata Cass. civ. Sez V., Sent 25-02-2015, n. 3746). Nel prosieguo della sentenza la Suprema Corte (forse in un afflato nomofilattico che, si ritiene, non ha nel caso prodotto frutti) adotta una motivazione che si pone a metà tra una concreta ed espressa critica all'innovativo principio originato dalla nota Ordinanza n. 450/2018 ed il tentativo di ricondurre anche gli (innovativi) principi da quest'ultima sanciti nell'alveo del tradizionale concetto di inerenza. Proprio riferendosi all'Ordinanza n. 450/2018, infatti, la Suprema Corte ritiene che “l'impostazione da ultimo riferita è ben meno lontana dalla tradizionale interpretazione”. Riteniamo, per le ragioni sopra esposte, che quanto espresso nell'Ordinanza n. 450/2018 (e nelle successive dello stesso “filone”) tuttavia, non possa in alcun modo conciliarsi con il “risalente” concetto di inerenza ripreso dalla medesima Suprema Corte con la Sentenza n. 14579/2018. I giudici hanno ritenuto, nella motivazione di tale ultima pronuncia, che l'abbandono dei requisiti della vantaggiosità e congruità del costo non debba significare che essi siano del tutto esclusi dal giudizio di valore sulla spesa al fine del riconoscimento della sua inerenza. Infatti qualunque sia il concetto di impresa, anche nelle teorie più socialmente orientate a svilirne lo scopo del conseguimento degli utili, non può certo negarsi l'esigenza di applicare buone regole di amministrazione dell'attività, evitando spese che siano svantaggiose, incongrue e sproporzionate. Tale giudizio sulle spese è certamente prognostico a monte, e non in rapporto all'esito, dovendosi altrimenti negare il rischio d'impresa. La motivazione della sentenza in esame giunge, infine, a insistere sul concetto che (volutamente se ne riporta il testo) “spese incongrue o svantaggiose conducano alla mala gestione dell'impresa e da ultimo alla sua estinzione”, sicché i criteri di proporzione e congruità, apparentemente estromessi dall'Ordinanza n. 450/2018, tornerebbero ad assumere indirettamente rilevanza.
Come pare evidente, la Sentenza n. 14579/2018 propone un ritorno alle origini rispetto al principio di inerenza “qualitativa”, rifiutandosi di aderire o ancor meglio di approfondire l'innovativo filone. E tale ritorno alle origini diventa, riteniamo, rischioso nella misura in cui prova a ricondurre alla “interpretazione tradizionale” anche principi che invece, con la tradizione, si pongono in aperto contrasto (i.e. quello di “inerenza qualitativa”). Ciò non solo rischia di rallentare un interessante sviluppo giurisprudenziale, che pure trova una maggioranza di voci favorevoli, ma determina un'incertezza interpretativa su un tema fondamentale, l'inerenza, con rischio di “ricadute” sulla platea dei contribuenti.
L'onere probatorio in tema di inerenza qualitativa
Esaminati gli aspetti più strettamente dogmatici dell'innovativa interpretazione sull'inerenza qualitativa, nonché le criticità derivanti da un persistente contrasto interpretativo, pare opportuno soffermarsi su taluni corollari di fondamentale rilievo, tanto più perché passibili di incidere concretamente sulla platea contributiva.
In tal senso ci sembra utile ripercorrere i principi generali che governano l'onere della prova nei giudizi di inerenza.
Proprio a tal proposito è di recente intervenuta la Suprema Corte che, con la Sentenza n. 18904/2018 ha confermato che in termini di inerenza qualitativa esiste un onere della prova 'originario' in capo al contribuente. Quest'ultimo è infatti tenuto a provare e documentare l'imponibile maturato e quindi ad allegare i fatti e le ragioni per le quali ritiene che i costi abbiano un legame con l'attività d'impresa. Tale dimostrazione risulta semplificata per i beni che i giudici di legittimità definiscono “normalmente necessari e strumentali” (cfr. Cass. civ., Sez. V, Sent. 27-04-2012, n. 6548). Diversamente, per i beni “non necessari e strumentali” o comunque per le spese afferenti a operazioni più complesse, il contribuente deve addurre elementi oggettivi suscettibili di apprezzamento in funzione del giudizio di inerenza.
Dal proprio canto, l'Amministrazione Finanziaria in fase di verifica può, in alternativa, contestare l'inerenza dei costi argomentando in merito all'inadeguatezza degli elementi prodotti dal contribuente ovvero addurre ulteriori elementi tali da far ritenere che il costo non sia in realtà correlato all'impresa, malgrado quanto esibito/esposto dal contribuente. Si precisa che in questa seconda ipotesi la contestazione dell'inerenza rientra necessariamente nell'ambito delle rettifiche analitico-induttive, disciplinate dal secondo periodo del comma 1, lett. d, art. 39 del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, le quali si basano su presunzioni semplici purché gravi precise e concordanti. In tale ipotesi diviene quindi onere dell'Amministrazione Finanziaria dimostrare che gli elementi presuntivi fondanti la rettifica hanno i predetti requisiti di gravità, precisione e concordanza. Una volta che l'Ufficio abbia assolto tale onere, spetta al contribuente replicare dimostrando la regolarità dell'operazione in relazione allo svolgimento dell'attività di impresa e alle scelte imprenditoriali.
Pare sin da subito necessario sottolineare che, come si analizzerà meglio infra, alla luce del nuovo orientamento sull'inerenza qualitativa, l'aspetto della congruità della spesa rientra (sia pure con sfumature di rilevanza differenti, tra le pronunce esaminate) tra gli elementi presuntivi fondanti l'eventuale contestazione dell'inerenza.
Il rapporto tra il principio di inerenza qualitativa e il giudizio di congruità ai fini delle imposte dirette
A seguito del deposito dell'Ordinanza n. 450/2018 ci si è domandati se l'innovativo concetto di inerenza qualitativa avrebbe avuto un concreto impatto sulle modalità di accertamento nei confronti dei contribuenti o se invece si sarebbe limitato a risolvere un dibattito dogmatico.
Secondo il precedente orientamento “tradizionale”, il potere di sindacare la sproporzione e l'incongruità del costo era legittimato dal principio di inerenza quantitativa exart. 109, comma 5, TUIR. In molti si sono quindi chiesti se, superato il concetto di ‘inerenza quantitativa' (e il rimando all'art. 109, comma 5, TUIR), l'Amministrazione Finanziaria avrebbe potuto comunque ancora contestare la sproporzione o l'incongruità di un costo, disconoscendone la deduzione totale o solo parziale.
A distanza di alcuni mesi dal deposito dell'Ordinanza n. 450/2018 e dopo diverse pronunce sul tema da parte della Suprema Corte, sembra evidente che il consolidarsi dell'immanente concetto di inerenza qualitativa non abbia comportato il venire meno della possibilità di un giudizio di congruità sui costi ad opera dell'Amministrazione Finanziaria (gli uffici sono sempre legittimati a valutare la congruità e la proporzione dei costi, ma tale operazione, che nel precedente orientamento giurisprudenziale veniva ricondotta all'art. 109, comma 5, TUIR viene ora legittimata nell'ambito dell'accertamento presuntivo exart 39, comma 1, lett. d, D.P.R. 600/1973, del quale si è accennato supra). Invero già nell'Ordinanza n. 450/2018 la Corte di Cassazione si è premurata di precisare che, sebbene esuli dal giudizio qualitativo di inerenza un apprezzamento in termini di congruità o antieconomicità, questi tuttavia costituiscono indici sintomatici dell'inesistenza di tale requisito (così anche Ordinanza n. 3170/2018).
Specifici approfondimenti sul nesso tra il giudizio di inerenza qualitativa e il giudizio di congruità sono stati forniti dalla Suprema Corte nella Sentenza n. 18904/2018. Condividendo quanto statuito nell'Ordinanza n. 450/2018, la Corte di Cassazione in tale sede ha ribadito che il principio di inerenza esprime una correlazione tra costi e attività in concreto esercitata e si traduce in un giudizio che prescinde di per sè da valutazioni di tipo utilitaristico e quantitativo (il costo attiene o non attiene all'attività di impresa a prescindere dalla sua entità). Prosegue la Suprema Corte precisando che il giudizio quantitativo o di congruità non è del tutto irrilevante, in quanto può comunque assumere valenza da un punto di vista strettamente probatorio.
Più precisamente nell'ambito delle imposte dirette, la valutazione di antieconomicità - ossia dell'evidente incongruità di un'operazione legittima — fonda il potere dell'Amministrazione Finanziaria di accertamento exart. 39, comma 1 lett. d del D.P.R. 600/1973. Ciò in quanto la mancanza di congruità del costo, se dimostrata (si sottolinea che l‘onere di dimostrare l'antieconomicità del comportamento del contribuente e l'eventuale misura della sproporzione di un costo incombe sempre sull'Amministrazione Finanziaria), costituisce un forte indizio del fatto che il rapporto in cui lo stesso si inserisce è diverso ed estraneo all'attività di impresa, ossia che la spesa, in sostanza, non è correlata all'attività produttiva, ma assolve ad altre finalità e, quindi, è priva del requisito dell'inerenza. Pare evidente che per le operazioni imprenditoriali di maggiori complessità, la contestazione dell'Ufficio non può tradursi sic e simpliciter in una ‘mera non condivisibilità della scelta' (che equivarrebbe ad un sindacato sulle scelte imprenditoriali) ma deve consistere nella positiva affermazione che l'operazione, sulla base di elementi oggettivi, non si inserisce nell'attività produttiva (a tale riguardo la Suprema Corte, nella Sentenza n. 20113/2018, ha altresì precisato che ai fini della valutazione dell'antieconomicità, vanno tenuti nella dovuta considerazione i vantaggi dell'intera operazione imprenditoriale, e non soltanto il saldo contabile negativo di una parte di essa). L'antieconomicità del comportamento imprenditoriale richiede quindi in primis la dimostrazione- da parte dell'Amministrazione Finanziaria - dell'inattendibilità della condotta del contribuente, tenuto conto dei diversi indici che presiedono la stima della redditività dell'impresa (sul tema cfr. Cass. civ., sez. V, Sentenza 28-10-2016, n. 21869). Assolto tale onere spetta al contribuente a cui venga contestata la deducibilità di un costo, o parte di esso, in ragione della sua non congruità, dimostrare che tale costo è invece economicamente coerente con l'esercizio e con l'oggetto dell'attività di impresa.
Alla Sentenza n. 18904/2018 può, in definitiva, riconoscersi il pregio (riteniamo) di aver fatto propria l'innovativa nozione di inerenza “qualitativa”, sforzandosi di approfondire il difficile aspetto del rapporto tra inerenza e giudizio di congruità. Tuttavia, come ha giustamente affermato autorevole dottrina, sarebbe stato forse preferibile se la Suprema Corte avesse escluso il nesso tra il giudizio di congruità ed il giudizio di inerenza. Il comportamento antieconomico potrebbe continuare invece ad assumere rilevanza in presenza di altre circostanze o argomentazioni probatorie che consentono di effettuare l'accertamento analitico-induttivo di cui all'art. 39, comma 1, lett. d, D.P.R. 600/1973, dimostrando sulla base di presunzioni gravi precise e concordanti che il corrispettivo diverge da quello contabilizzato (G. Ferranti, Il Sole 24 Ore, 3 settembre 2018).
Cenni sul principio di inerenza in ambito Iva
A conclusione del presente contributo, pare opportuno soffermarsi brevemente sui riflessi che la citata innovativa nozione di inerenza qualitativa ha finora avuto in tema di detraibilità dell'IVA. La Suprema Corte afferma l'unicità del principio di inerenza tanto per le imposte dirette quanto per l'IVA (cfr. Sentenza 18904/2018). Precisa però nel contempo che i principi affermati per le imposte sui redditi non sono immediatamente ed automaticamente applicabili in materia di detraibilità dell'Iva, a ciò ostando la particolare natura del tributo in oggetto, ancorato al principio di riconoscere la perfetta neutralità dell'imposizione. In base alla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte di Cassazione la sproporzione o l'incongruità di un costo assume rilevanza solo laddove l'antieconomicità risulti, alla luce di una complessiva valutazione, macroscopica, ossia del tutto evidente, si da far ritenere in termini rivelatori e indiziari che l'operazione non è correlata all'attività d'impresa (cfr. ex multisCass. civ., sez. trib., ordinanza 27-9-2013, n. 22132). L'apprezzamento in ordine all'antieconomicità nel caso concreto (e di conseguenza la valutazione della sua eventuale ”macroscopicità”) è rimesso alla valutazione del giudice di merito, come peraltro espressamente confermato dalla già citata Sentenza n. 18904/2018. Dalla lettura di tale principio ci pare emerga una pericolosa “lacuna”, consistente nella connaturata discrezionale ampiezza interpretativa da attribuire al concetto di “macroscopica antieconomicità”.
Conclusione
Come emerge dalle analisi svolte, le novità nel panorama giurisprudenziale di legittimità, in tema di inerenza, contengono in sé parimenti spunti innovativi e prospetticamente interessanti tanto quanto criticità e contrasti (retaggio anche del passato) che ad oggi non trovano ancora soluzione. Considerata la centralità del principio di inerenza per il sistema tributario, proprio la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione renderebbe forse opportuno una pronuncia, a Sezioni Unite, che delinei in maniera chiara ed univoca i contorni dei principi sopra analizzati. Sperando, almeno per il pensiero di chi scrive, che il percorso così tracciato conduca ad una sempre più effettiva libertà nella scelta organizzativa di ogni realtà imprenditoriale.
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Sommario
L'Ordinanza n. 450 del 2018
L'onere probatorio in tema di inerenza qualitativa
Il rapporto tra il principio di inerenza qualitativa e il giudizio di congruità ai fini delle imposte dirette